Fideiussioni e la nullità dello schema abi
Abstract:
La disciplina della concorrenza ha ormai preso largamente piede nella normativa italiana ed europea. Uno dei principali ambiti di applicazione di detta disciplina concerne lo spinoso tema delle fideiussioni omnibus, già “condannate” dalla Banca d’Italia nel 2005. Tra le conseguenze più rilevanti, questo lavoro è dedicato alla tutela della singola posizione giuridica soggettiva e alle modalità, ancora controversa, di raggiungimento di detta protezione nell’accesso al Giudice.
Competition legislation now plays a central role in Italian and European legislation. One of the main areas of application of this legislation concerns the thorny issue of "omnibus sureties", already "condemned" by the Bank of Italy in 2005. Among the most relevant consequences, this work is dedicated to the study of the forms of protection of the individual position subjective legal status and how to access the Judge.
Indice:
1. Introduzione
2. Riferimenti generali
3. Gli orientamenti giurisprudenziali
3.1 Nullità totale del contratto a valle
3.2 Nullità totale del contratto a valle in applicazione del 1° comma dell’articolo 1419 c.c.
3.3 Nullità parziale del contratto a valle
3.4 Nessuna invalidità
4. Sull’onere della prova
5. Sull’art. 1957 c.c.
1. Introduzione
Il presente lavoro ha lo scopo di illustrare i principali orientamenti giurisprudenziali che hanno riguardato – e che continuano incessantemente ad interessare – il tema della nullità delle fideiussioni omnibus successivamente al provvedimento emanato nel 2005 dalla Banca d’Italia.
Premessi brevi cenni sull’istituto della fideiussione e della fideiussione omnibus e illustrati i profili di nullità evidenziati dalla Banca d’Italia, il contributo si occuperà principalmente delle pronunce giurisprudenziali che hanno determinato gli effetti dell’intesa concorrenziale sanzionata dalla Banca d’Italia sui contratti stipulati che invadono il mercato finanziario, cercando di illustrarne i principali punti di forza e criticità.
Uno spazio sarà dedicato poi all’insidioso tema dell’onere della prova nel giudizio nel quale viene fatta valere la nullità della garanzia fideiussoria.
Ad ultimo, si illustrerà brevemente una delle conseguenze della declaratoria di nullità (parziale) del contratto di fideiussione, ovvero la decadenza prescritta dall’articolo 1957 c.c.
Nel corso del lavoro, si è tentato di fornire al lettore qualche spunto di riflessione che, superando i confini del tema trattato, meriterebbe qualche approfondimento maggiore su temi di natura centrale nel diritto civile e processuale civile, ma non solo.
2. Riferimenti generali
La fideiussione è il contratto con il quale un soggetto, fideiussore, si obbliga nei confronti del creditore a soddisfare in via accessoria un’obbligazione assunta da altri. Tale contratto è regolato dall’articolo 1936 del codice civile italiano, a mente del quale «È fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui. La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza.».
Nell’ambito della teoria generale dei contratti, il contratto di fideiussione e il contratto da cui nasce l’obbligazione c.d. garantita sono annoverati tra gli esempi classici di sussistenza di un collegamento negoziale tra due o più contratti distinti, ipotesi che ricorre quando due o più contratti sono diretti ad uno stesso fine, ovvero sono parti di un rapporto unitario, o, comunque, di un’operazione unitaria.
Caratterizzano il contratto di fideiussione i connotati della personalità, accessorietà e solidarietà.
Il carattere personale della fideiussione, strettamente collegato alla sussistenza di un collegamento negoziale con il contratto “garantito”, consiste nella possibilità per il creditore di soddisfarsi sul patrimonio del fideiussore e, dunque, di un soggetto diverso dal debitore principale.
Quanto al carattere accessorio della fideiussione rispetto all’obbligazione principale, esso esprime la particolare dipendenza della garanzia rispetto al rapporto intercorso tra creditore e debitore. L’elemento dell’accessorietà è condiviso con i diritti reali di garanzia, in quanto anch’essi esistono fintanto che esiste l’obbligazione principale. Da tale carattere derivano alcune rilevanti conseguenze: “la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose” (articolo 1941 c.c.); la fideiussione non è valida se non è valida anche l’obbligazione principale (articolo 1939 c.c.); il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che potrebbe opporre il debitore principale, tranne quella derivante dalla incapacità (articolo 1945 c.c.).
In ragione del principio generale della solidarietà tra condebitori (articolo 1294 c.c.), il fideiussore è obbligato in solido (articolo 1292 c.c.) con il debitore principale (articolo 1944 c.c.), fatta salva la possibilità di pattuire l’obbligo di previa escussione del debitore principale (beneficium excussionis). Qualora vi sia una pluralità di fideiussori, le parti possono convenire il beneficio della divisione (beneficium divisionis), per cui il debito si divide in tante parti quanti sono i fideiussori e ognuno di essi può esigere che il creditore richieda il pagamento solamente della propria parte del debito (articolo 1947 c.c.). Altrimenti ogni fideiussore è obbligato per l’intero debito. La fideiussione, infine, comporta la surrogazione del fideiussore che ha pagato il debito nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore principale (artt. 1203, 1949 e 1955 c.c.), nonché la possibilità per il fideiussore di esperire azione di regresso nei confronti del debitore, anche qualora questo non fosse stato a conoscenza della fideiussione stessa (artt. 1950 e 1952 c.c.).
Nella prassi commerciale, specialmente orientata alla concessione di credito alle imprese, si è affermata con forza l’ipotesi della c.d. fideiussione omnibus, dovendosi intendere per tale la garanzia che un terzo assume di garantire tutte le obbligazioni – presenti e future – che il debitore ha assunto e assumerà nei confronti del suo creditore. La disciplina normativa di detta prassi è stata individuata nell’articolo 1938 c.c. (“La fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in questo ultimo caso, dell’importo massimo garantito”).
Fortemente dibattuta, per lungo tempo, è stata la validità, nell’ottica dell’ordinamento giuridico, della fideiussione “omnibus”. I dubbi dottrinali muovevano principalmente dalla evidente indeterminatezza dell’oggetto del contratto de quo, nonché dalla incontrollata esposizione del fideiussore al rischio di una garanzia onerosa e soprattutto non prevedibile al momento del perfezionamento dell’accordo. A tacer di ogni dubbio e a prevenzione dei possibili abusi, il legislatore è intervenuto con la legge n. 154/1992 imponendo, da un lato, l’obbligo di prevedere un limite massimo al credito garantito, e, dall’altro, stabilendo la nullità della clausola a mente della quale doveva escludersi che la banca dovesse chiedere speciale autorizzazione al fideiussore per aumentare il credito ad un debitore le cui condizioni economiche fossero peggiorate.
Per gli enti creditori, la fideiussione omnibus rappresenta una forma di garanzia al credito decisamente vantaggiosa, idonea a porre l’ente creditorio a riparo dalle vicende del debitore successivamente alla concessione del credito. Ciò ha indotto alla predisposizione e diffusione di un modello di fideiussione omnibus (noto come “modello ABI”), che è stato presto adottato, in modo uniforme, dalle banche e dagli altri enti creditori.
Dinanzi alla predisposizione e diffusione dello schema ABI, la Banca d’Italia, con il provvedimento n. 55 del 2005, ha censurato gli artt. 2, 6 e 8 dello schema di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI, ritenendo che l’applicazione uniforme di dette disposizioni dà luogo alla violazione dell’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287 del 1990.
La premessa argomentativa della Banca d’Italia è che “in astratto, un’attività associativa che produca l’uniformità degli schemi contrattuali adottati dalle imprese associate può incentivare la concorrenza” (cfr. punto 54 provvedimento). Ciononostante, “sono da ritenersi in contrasto con le regole della concorrenza gli schemi contrattuali atti a:
- fissare condizioni aventi, direttamente o indirettamente, incidenza economica, in particolare quando potenzialmente funzionali a un assetto significativamente non equilibrato degli interessi delle parti contraenti;
- precludere o limitare in modo significativo la possibilità per le aziende associate di differenziare, anche sull’insieme degli elementi contrattuali, il prodotto offerto.
Ciò che rileva, quindi, è la capacità dello schema di determinare – attraverso la standardizzazione contrattuale – una situazione di uniformità idonea a incidere su aspetti rilevanti per i profili di tutela della concorrenza” (cfr. punto 56 provvedimento): nel caso di specie, “l’ampia diffusione delle clausole oggetto di verifica non può essere ascritta ad un fenomeno “spontaneo” del mercato, ma piuttosto agli effetti di un’intesa esistente tra le banche sul tema della contrattualistica”.
Per le ragioni sopra esposte, la Banca d’Italia, con il provvedimento di cui sopra, ha censurato le seguenti clausole:
Articolo 2 schema ABI (c.d. “clausola di reviviscenza”): “Il fideiussore s’impegna altresì a rimborsare alla banca le somme che dalla stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovrebbero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”
Detta clausola comporta che la garanzia fideiussoria prestata sia operante in tutti i casi in cui, pur a fronte dell’adempimento del debitore, la banca sia tenuta a restituire quanto ricevuto per circostanze molteplici. Per il fideiussore, detta clausola configura una precisa posizione di assoluto svantaggio e pregiudizio.
Inoltre, detta disposizione si pone in contrasto con il principio accolto dall’ordinamento della par condicio creditorum, soprattutto con riferimento alle azioni di revoca ex articolo 2091 c.c. e 67 legge fallimentare, che tendono propriamente a mantenerlo intatto.
Articolo 6 schema ABI: “I diritti derivanti dalla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti dall’articolo 1957 cod. civ., che si intende derogato”
L’articolo 1957 c.c. – che qui viene espressamente derogato – disciplina il termine – pari a sei mesi – nel quale il creditore deve proporre le proprie istanze ovvero azionare i mezzi giurisdizionali riconosciuti dall’ordinamento, nei confronti del debitore affinché possa intendersi il fideiussore obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione garantita.
La giurisprudenza, già da tempo, ha riconosciuto il carattere derogabile della disposizione di cui sopra, in quanto norma posta alla disponibilità delle parti.
Ciononostante, deve invero intendersi anticoncorrenziale l’utilizzo uniforme della clausola di cui all’articolo 6 dello schema ABI, in quanto la stessa delinea un significativo vantaggio nei confronti dell’ente creditorio – e, contestualmente, un enorme svantaggio del fideiussore – avendo la specifica funzione di esonerare l’ente creditorio dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti dalla norma. Ne consegue che, derogata la norma in commento, l’ente creditorio dispone di un tempo molto lungo per far valere la garanzia fidejussoria, pari al termine di prescrizione dei suoi diritti verso il garantito, termine che, come è noto, può essere sospeso e/o interrotto, con conseguente estensione dei termini di azione, senza cioè limiti di tempo.
Articolo 8 schema ABI: “Qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”
La clausola citata estende la garanzia assunta dal fideiussore anche agli obblighi di restituzione del debitore derivanti dall’invalidità del rapporto principale, obblighi che sono diversi e ulteriori rispetto a quelli sic et simpliciter sottesi alla garanzia fideiussoria, con conseguente possibilità per l’ente creditorio di restare indenne dinanzi a qualsiasi ipotesi – anche prevedibile – di invalidità del contratto principale, aggravando la posizione del fideiussore.
3. Gli orientamenti giurisprudenziali
Sanzionato dunque l’uso conforme delle clausole suddette, l’autorità giudiziaria è stata più volte chiamata a pronunciarsi sugli effetti della declamata anticoncorrenzialità delle clausole censurate rispetto ai contratti di fideiussione omnibus stipulati. Gli esiti di detti interventi sono stati però difformi, ovvero possono essere individuati almeno tre filoni giurisprudenziali tra di loro contrastanti.
I diversi orientamenti che si approfondiranno hanno luogo dalle diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità con riferimento all’effetto dell’intesa anticoncorrenziale sui contratti che invadono il mercato finanziario e creditizio. Già solo impone un richiamo al predetto istituto del collegamento negoziale che, questa volta, riguarda non tanto il piano del rapporto tra contratto “garantito” e contratto di fideiussione, ma il diverso e più intricato piano del rapporto tra l’intesa vietata e il contratto di fideiussione omnibus.
Il tema impone una duplice preliminare riflessione: da un lato, è necessario comunque mantenere un certo formalismo e riconoscere una certa effettività al principio del collegamento negoziale, evitandone un allargamento delle maglie ingiustificato e anche controproducente; dall’altro, non può svuotarsi di contenuto la predetta pronuncia di anticoncorrenzialità delle clausole del modello ABI. Proprio sulla ricerca di un equilibrio tra dette considerazioni la giurisprudenza è chiamata a pronunciarsi.
Fatte salve queste premesse, le numerose sentenze dei giudici di merito e della stessa Corte di Cassazione possono essere suddivise a seconda che queste condividano la tesi della nullità totale del c.d. “contratto a valle”, ovvero la tesi della nullità parziale (limitata alle clausole censurate nel provvedimento della Banca d’Italia) o la tesi dell’assenza di alcuna invalidità di detti contratti.
3.1 Nullità totale del contratto a valle
Tra le principali pronunce giurisprudenziali, salvo altre, che accolgono la suddetta tesi si annoverano:
-
- Corte d’Appello Bari, 21/03/2018 n. 526
- Corte d’Appello Firenze, 18/07/2018;
- Corte d’Appello Roma, 26/07/2018
- Tribunale Salerno, 23/08/2018, n. 3016
- Tribunale Fermo, 24/09/2018;
- Tribunale Bolzano, 19/12/2018;
- Tribunale Belluno, 31/01/2019;
- Tribunale Pesaro, 21/03/2019;
- Tribunale Siena, 14/05/2019
- Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, n. 13846
- Tribunale Taranto, 8/08/2019
- Corte di Appello di Bari, 15/01/2020, n. 45*
L’orientamento che propende, generalmente, per la nullità dei contratti “a valle” di intese vietate muove dalla convinzione che sposare una diversa soluzione giuridica significherebbe vanificare gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l’emanazione della disciplina antitrust, anche in ragione dell’approdo giurisprudenziale, recepito poi dal D. Lgs. 3/2017, secondo cui le norme a tutela della concorrenza e del mercato sono norme che tutelano anche il consumatore. Alla luce di questa considerazione di partenza, “si ritiene, pertanto, che l’obiettivo della più ampia possibile eliminazione degli effetti che l’intesa ha prodotto sul mercato sia quello decisamente più coerente con l’imperatività delle norme a tutela della concorrenza e con la tutela degli interessi generali che queste perseguono, come efficacemente sottolineato in una recente pronuncia dell’ABF di Milano del 4 luglio 2019, secondo cui la diversa soluzione, che si limiti ad eliminare, con la comminatoria di nullità, il vincolo giuridico nascente dall’intesa illecita (ed a sanzionare i colpevoli partecipanti), ma lasci sopravvivere intatti tutti gli effetti che l’intesa ha prodotto sul mercato in termini di contratti stipulati a valle dell’intesa stessa, “appare sicuramente molto poco coerente con gli obiettivi di difesa e promozione del mercato concorrenziale che sono propri del diritto antitrust” (Cfr. Corte di Appello di Bari, 15/01/2020, n. 45).
3.2 Nullità totale del contratto a valle in applicazione del 1° comma dell’articolo 1419 c.c.
Pur inquadrandosi nello stesso filone che protende per la nullità totale del contratto a valle, la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 45 del 2020, sancisce la nullità del contratto “a valle” applicando il disposto del 1° comma dell’articolo 1419 c.c.
La Corte muove anzitutto “dalla considerazione che l’indagine sulla presumibile volontà dei contraenti ha senso solo se calata nel contesto “che sarebbe esistito in assenza dell’atto principale colpito da nullità e, quindi, su un mercato non falsato dalla presenza dell’intesa: la domanda che, nel caso di specie, occorre porsi è se in un mercato ragionevolmente concorrenziale (non falsato dalla presenza dell’intesa nulla) i contraenti avrebbero raggiunto ugualmente l’accordo sul contenuto del contratto pur mutilato delle clausole in questione (in termini, provv. ABF Milano del 4.7 .19, cit.)…La risposta è inevitabilmente negativa, trattandosi di clausole che in tanto sono state giudicate dalla Banca d’Italia lesive della concorrenza in quanto incidono su aspetti essenziali del rapporto contrattuale, addossando al fideiussore “le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”. Nella specie, si tratta di clausole essenziali per la Banca e “peraltro dell’essenzialità di tali clausole non fa mistero neppure la stessa ABI, che, nel difendere il mantenimento della clausola c.d. “di reviviscenza” sub articolo 2, sostiene si tratti di disposizione senza la quale non potrebbe attuarsi la peculiare funzione della fideiussione omnibus, ovvero quella di “garantire alla banca l’effetto solutorio definitivo, che “non potrebbe dirsi compiutamente realizzato qualora il pagamento del debitore fosse annullato, dichiarato inefficace o revocato” (v. par. 31 provv . Banca d’Italia n. 55/05). Allo stesso modo, sempre secondo l’ABI, “la funzione indennitaria della fideiussione omnibus giustifica anche la previsione dello schema che sancisce la sopravvivenza della garanzia a fronte dell’invalidità dell’obbligazione principale. Il fideiussore, infatti, anche quando il vincolo del debitore fosse dichiarato invalido, dovrebbe garantire l’obbligo di restituzione delle somme erogate dalla banca, in modo da evitare un ingiustificato arricchimento del debitore ai danni della stessa”(v. argomentazioni ABI, sub par. 32 cit. provv. B.I.).”. Continua poi la Corte affermando che “In definitiva senza le clausole nulle, la banca non avrebbe accettato la fideiussione, la cui funzione “indennitaria” e di garanzia del cd. “effetto solutorio definitivo” sarebbe inevitabilmente venuta meno facendo così perdere alla banca l’interesse al rilascio della garanzia. Del resto, se così non fosse, non si spiegherebbe la ragione per cui le banche, nonostante le prescrizioni emanate dalla Banca d’Italia, abbiano continuato a richiedere il rilascio di fideiussioni mediante i moduli contrattuali contenenti le clausole nulle. Né può, in senso contrario, semplicisticamente affermarsi che la banca avrebbe preferito comunque stipulare il contratto, pur emendato dalle clausole incriminate piuttosto che non farsi rilasciare alcuna garanzia. Ed infatti, come significativamente messo in evidenza dall’ABF nella citata pronuncia del 2019, “il ragionamento del tipo meglio poco che niente” non tiene: “esso può essere vero a posteriori nelle condizioni odierne, in cui si tratta di prendere o lasciare (ma ciò ai fini dell’applicazione dell’articolo 1419 cod.civ. è palesemente irrilevante). Non è invece vero ex ante, quando la banca avrebbe dovuto fare i conti con la concorrenza e con la possibilità di ristrutturare le condizioni a cui offriva il credito, prima ancora che le garanzie (del resto, mantenendo il ragionamento al livello più banale possibile, è ben difficile immaginare che le imprese si diano tanta pena e corrano tanti rischi per fare intese su condizioni contrattuali in fondo marginali di cui potrebbero fare tranquillamente a meno senza rilevanti conseguenze)”. Pertanto, “dal punto di vista della Banca, l’impossibilità di scaricare alcuni costi sul cliente avrebbe richiesto una complessiva ristrutturazione della sua attività e anche della sua politica contrattuale, non solo con riferimento alla garanzia, ma anche con riferimento all’erogazione del credito (in un mercato concorrenziale le banche dovrebbero competere anche sul piano della riduzione dei costi, che non possono più scaricare sulle controparti, e sul piano della ricerca delle migliori combinazioni tra rischi del credito, costi del medesimo e coperture realizzabili attraverso garanzie)”. In conclusione, “Escluso, quindi, che un contratto identico a quello stipulato, ma privo delle clausole nulle, sarebbe stato proposto dalla banca, va dichiarata la nullità dei dedotti contratti di fideiussione ai sensi dell’articolo 1419, 1° co., c.c. (sul punto, v. Cass. 24044/ 19)”.
3.3 Nullità parziale del contratto a valle
Il presente filone giurisprudenziale, anzitutto, condivide con il precedente le argomentazione di fondo sulla necessità di colpire, con una pronuncia di invalidità, i contratti che sono l’effetto dell’intesa anticoncorrenziali realizzate mediante l’applicazione uniforme delle clausole censurate dalla Banca d’Italia.
Diversamente dal precedente, però, questo filone giurisprudenziale si limita a colpire con nullità le clausole individuate dalla Banca d’Italia, invece di riguardare l’intero contratto.
Rientrano in questo orientamento le seguenti pronunce:
- Tribunale Roma sez. XVII, 03/05/2019, n.9354
- Tribunale Treviso, 10/09/2019
- Tribunale Milano sez. VI, 23/01/2020, n.610
- Tribunale Milano sez. VI, 28/04/2020, n.2637
- Corte appello Torino sez. I, 16/07/2020, n.72
Secondo questi orientamenti, “l'illiceità di tali intese, seppur accertata dalla Banca d'Italia, non è idonea a determinare la nullità dell'intero contratto stipulato a valle, in primis perché non vi è prova che le intese di cui sopra siano confluite nel contratto in questione ed in secondo luogo poiché non vi è prova della lesione della libertà contrattuale del fidejussore. Il fidejussore infatti appare sempre vincolato alla prestazione della fidejussione nei confronti della banca del debitore principale e non appare potervi essere scelta da parte dello stesso in relazione ad una diversa forma di garanzia. Ne consegue che la eventuale declaratoria di nullità parziale delle clausole, in un'ottica di conservazione del contratto, appare irrilevante per il fideiussore atteso che il contratto sarebbe comunque dovuto incorrere con la banca del debitore principale” (Cfr. Tribunale Roma sez. XVII, 03/05/2019, n.9354). E allora, “La nullità si riverbera unicamente sulle 3 clausole in questione, dovendosi fare applicazione del disposto di cui all'art 1419 2° co. posto che non risulta che i medesimi non avrebbero sottoscritto la fidejussione senza la presenza di dette clausole (che anzi erano favorevoli alla banca). Trattandosi di nullità parziale l'impegno fidejussorio che gli odierni opponenti hanno assunto deve essere ricondotto allo schema legale della fidejussione” (Cfr. Tribunale Milano sez. VI, 28/04/2020, n. 2637).
Strettamente connesso a questo filone giurisprudenziale è, inoltre, la disquisizione relativa alla valenza dell’articolo 1957 c.c.: infatti, ricondotto il contratto allo schema legale della fideiussione – ovvero eliminata la clausola che derogava l’articolo 1957 c.c. – dovrà accertarsi che la Banca abbia agito correttamente nei termini individuati da questo articoli, pena la decadenza della stessa dall’azione nei confronti del debitore. Si rinvia al capitolo ivi dedicato.
3.4 Nessuna invalidità
Nella ampia rassegna giurisprudenziale in tema di fideiussione omnibus, si annovera anche un filone giurisprudenziale che sostiene la tesi secondo la quale i contratti fideiussori “a valle” non sono invero affetti da alcuna forma di invalidità, rimanendo dunque interamente validi e spieganti i loro effetti. Deve comunque sottolinearsi che questo filone giurisprudenziale non è stato tuttavia condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, ma trattasi di un’impostazione fatta propria da alcuni tribunali di merito.
Tra le pronunce da ascrivere a questo filone si annoverano:
- Tribunale Treviso sez. III, 26/07/2018, n.1623
- Tribunale Spoleto, 14/03/2019, n.197
- Tribunale Cremona, 15/06/2020, n.249
- Corte appello Milano sez. I, 22/01/2020, n.192
L’argomentazione di fondo di questo orientamento giurisprudenziali concerne la necessità di individuare un “nesso di dipendenza funzionale/collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile”[1] (cfr. Tribunale Spoleto, 14/03/2019, n.197) tra il contratto a valle e l’intesa a monte, legame che “non sembra invece riscontrarsi con riguardo alla normale dinamica della contrattazione individuale in cui, al contrario, le intese mostrano di non costituire un tutt'uno con i contratti a valle, di non essere a questi collegati né per legge né per volontà delle parti e di non rappresentarne in alcun modo un presupposto di esistenza, validità od efficacia” (Cfr. Tribunale Treviso sez. III, 26/07/2018, n.1623). Di più, “affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Proprio questo secondo requisito postula, alternativamente, o l'identità soggettiva tra le parti dell'uno e dell'altro accordo, oppure la consapevole e fattiva adesione del contraente del contratto dipendente all'accordo (rispetto al quale egli è terzo) che lo pregiudicherebbe”. Se ne desume che “ove tali elementi non siano oggettivamente apprezzabili, un contratto che sia stato validamente perfezionato, presenti i requisiti strutturali di validità previsti dalla legge e non persegua in sé una causa illecita o immeritevole per l'ordinamento giuridico non può subire effetti invalidanti in dipendenza dell'accertamento della nullità o della caducazione di un rapporto giuridico diverso ed intercorso tra terzi il quale, essendo Res inter alios acta, tertioneque nocet neque prodest” (sempre Tribunale Treviso sez. III, 26/07/2018, n.1623).
La conseguenza di questo assunto è allora che “L'unica forma di tutela esperibile a fronte di intese anticoncorrenziali o di altre violazioni rilevanti ex articolo 2 L. 287/1990 è pertanto quella risarcitoria”: “la prova dell'intesa anticoncorrenziale e dell'applicazione uniforme delle clausole oggetto dell'intesa (…) costituisce esclusivamente uno dei presupposti per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla perdita di chance di stipulare un contratto a condizioni più favorevoli” (Cfr. Tribunale Cremona, 15/06/2020, n.249).
Evidente, alla luce del breve e non esaustivo riepilogo giurisprudenziale, la necessità di un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
4. Sull’onere della prova
Pronunciandosi sulle questioni che precedono, la giurisprudenza si è interessata anche del profilo, non solo solamente processuale, dell’onere della prova della nullità della fideiussione.
La questione giuridica sulla quale si sono interrogati i Giudici concerne l’individuazione del soggetto chiamato a fornire la prova dell’esistenza dell’intesa anticoncorrenziale e della nullità riflessa sul contratto c.d. “a valle”, nonché sulle modalità della prova.
Il tema è in continuo aggiornamento.
Una prima pronuncia sul punto è stata proferita dalla Corte di Cassazione (sent. n.13846/2019).
La Corte ha anzitutto ribadito il principio, già noto e applicato in ambiti diversi, secondo il quale il provvedimento sanzionatorio adottato dall’autorità pubblicistica “ha una elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l'astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori e consente di presumere, (…), che dalla condotta anticoncorrenziale sia scaturito un danno” per la generalità degli interessati. Così, può assumersi agli atti del procedimento pubblicistico, ovvero al provvedimento della Banca d’Italia nel caso che ci occupa, il ruolo di prova privilegiata. Secondo la Corte, “tale rilievo si coniuga con una duplice considerazione: per un verso, nel sistema della L. n. 287 del 1990, come del resto nella disciplina comunitaria, private e public enforcement, e cioè tutela civilistica e tutela pubblicistica, sono tra loro complementari; per altro verso, il principio di effettività e di unitarietà dell'ordinamento non consente di ritenere irrilevante il provvedimento amministrativo nel giudizio civile, considerato anche che le due tutele sono previste nell'ambito dello stesso testo normativo e nell'ambito di un'unitaria finalità: tanto più in considerazione dell'"evidente asimmetria informativa tra l'impresa partecipe dell'intesa anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che si trova, salvo casi eccezionali da considerare di scuola, nell'impossibilità di fornire la prova tanto dell'intesa anticoncorrenziale quanto del conseguente danno patito e del relativo nesso di causalità" (citando Cass. 28 maggio 2014, n. 11904 cit.).
Analoga interpretazione è stata fornita dai Tribunali di merito.
Il Tribunale di Milano (sent. n. 7814/2019), richiamando il precedente sopra citato, ha concluso circa la “necessità fondamentale che il provvedimento dell'autorità sia prodotto in giudizio, in quanto rappresenta l'intesa anticoncorrenziale a monte del contratto”, aggiungendo che “insieme ad esso andrebbe prodotto il parere dell'AGCM, cui il provvedimento del maggio 2005 ha aderito”.
Fornendo un riepilogo dell’onere in caso al garante, il garante, al fine di invocare legittimamente la nullità della fidejussione per violazione dello schema ABI deve dare prova:
1. della conformità della fideiussione totalmente o parzialmente allo schema ABI (Tribunale Benevento sent. n.1228/2020);
2. dell'esistenza di un accordo anticoncorrenziale a monte del contratto, ricordando come Cass. n. 13846/19 abbia qualificato i provvedimenti dell'AGCM quale "prova presuntiva qualificata" dell'esistenza di un accordo anticoncorrenziale, il quale, in quanto tale, non è però sottratto all'ordinario onere di allegazione e prova che incombe all'attore o all'opponente ABI (Tribunale Benevento sent. n.1228/2020);
3. del fatto che tale contratto ha concretamente leso la sua sfera di libertà economica (Tribunale Benevento sent. n.1228/2020);
4. del collegamento esistente tra il contratto di fideiussione e l’intesa vietata, ossia al fatto che la fideiussione omnibus prestata nel caso di specie sia stata modellata sullo schema di contratto predisposto dall'associazione di imprese con la finalità di aderire allo stesso e in tal modo escludere un ambito di differente negoziabilità (id est, un margine di concorrenzialità) (Tribunale Milano sent. n.610/2020);
5. del carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata, essendo l’uniformità elemento costitutivo del diritto vantato che la Banca d’Italia ha ipotizzato in astratto ma non accertato nel caso concreto (Tribunale di Roma sent. n. 6319/21);
6. secondo Tribunale di Monza (sent. n. 538/21) e Tribunale di Parma (sent. n. 1002/2020) incombe sul garante provare il proprio diritto allegando anche altre distinte analoghe garanzie rilasciate a favore di altri istituti, o comunque, da questi utilizzate.
È evidente come, in tema di onere probatorio, non sempre facile è l’assolvimento dell’onere che incombe sul garante.
Da una prima lettura sul tema, sono almeno due gli spunti di riflessione che potrebbero nascere e meritare un approfondimento: il primo concerne l’applicabilità (opportuna e doverosa, secondo chi scrive, in un tema così delicato) del principio della vicinanza della prova, il secondo il possibile e forse opportuno impiego dello schema delle presunzioni di cui agli articoli 2727 e successivi del codice civile, senza che ciò rechi un vulnus al principio cardine dell’onere della prova.
5. Sull’articolo 1957 c.c.
La trattazione circa l’articolo 1957 c.c. assume importanza ai fini del presente lavoro in quanto, accertata la nullità del contratto di fideiussione ovvero sostituita la clausola di cui all’articolo 6 schema ABI con la norma codicistica dell’articolo 1957 c.c., ai fini dell’operatività della fideiussione dovrà verificarsi se il creditore sia decaduto o meno dal diritto di agire nei confronti del fideiussore.
Il tema assume particolare rilevanza soprattutto se si aderisce alla tesi della nullità parziale del contratto. Mentre nel caso di nullità totale è l’intero contratto a venire meno e dunque è del tutto infondata qualsiasi pretesa creditizia nei confronti del fideiussore, nel caso di nullità parziale la garanzia prestata dal fideiussore è pienamente valida, pur dovendo comunque ricondurre il contratto al suo schema legale. È in tal caso che dovrà allora verificarsi se il creditore ha agito nei termini previsti dall’articolo 1957 c.c., norma che di fatto riprende totalmente vigore (eliminata cioè la sua deroga).
L’articolo 1957 c.c. dispone che “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.
La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell'obbligazione principale.
In questo caso però l'istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi.
L'istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore”.
La norma è espressione del principio di accessorietà della fideiussione, postulato dall’articolo 1939 c.c., ma tende anche a tutelare il fideiussore dalla possibilità che si crei incertezza in ordine al fatto che egli sia o meno tenuto alla garanzia.
Partendo innanzitutto dalla individuazione della natura del termine qui indicato, deve precisarsi che trattasi di un termine di decadenza, il quale si applica a prescindere da qualsivoglia stato soggettivo del creditore, che esso porti a giustificazione della sua inerzia nell’azione contro il debitore principale. Invero, ciò che rileva è il solo oggettivo decorso del termine senza che il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore principale e l’abbia altresì diligentemente continuate. Tuttavia, rileva un eventuale impedimento giuridico all’azione del creditore nel termine ad esso imposto dall’articolo1957 c.c., in quanto l’inerzia non dipenderebbe in tal caso dalla volontà del creditore.
Fermo restando il principio appena affermato, nel caso in cui il contratto di fideiussione preveda che l’obbligazione del fideiussore si estenda sino all’integrale adempimento (e non soltanto quindi sino alla scadenza dell’obbligazione principale), l’azione del creditore nei confronti del fideiussore non è però soggetta a nessun termine di decadenza.
Per quanto riguarda l’individuazione del dies a quo del suddetto termine decadenziale, secondo un principio costantemente affermato in giurisprudenza, il dies a quo del predetto termine è quello di scadenza del rapporto principale, aderendo così al principio generale in tema di prescrizione e decadenza secondo il quale gli effetti di tali istituti cominciano a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.
Occorre quindi individuare la scadenza esatta del rapporto obbligatorio principale, dovendo necessariamente distinguere diversi casi prospettabili.
Nel caso di un rapporto obbligatorio principale con un’unica scadenza, il termine decadenziale inizia a decorrere dalla data di scadenza di quel rapporto.
Nel caso in cui il debito sia ripartito in scadenze periodiche, ciascuna delle quali dotata di un grado di autonomia tale da potersi considerare esigibile prima ed a prescindere dalla prestazione complessiva, il dies a quo, per calcolare il termine decadenziale previsto dall’articolo 1957 cod. civ., va individuato in quello di scadenza delle singole prestazioni e non già dell’intero rapporto (Cass. n. 15902/2014).
Nel contratto di mutuo, nel quale l’obbligazione è unica e la suddivisione in rate costituisce soltanto una modalità per agevolare una delle parti (il mutuatario), il debito non può però considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata, con la conseguenza che il termine di cui all’articolo 1957 c.c. decorrerà dalla scadenza dell’ultima rata (Cass. n. 2301/2004).
Di conseguenza, può dirsi che non costituisce istanza ex articolo 1957 c.c.: la notifica di un atto stragiudiziale (Cass. n. 283/1997), il precetto notificato dal creditore ma non seguito all’esecuzione (Cass. n. 1724/2016), il deposito di una istanza di fallimento (Cass. n. 8723/1994), la domanda riconvenzionale depositata dal creditore successivamente al termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, chiamato in garanzia dal fideiussore per far dichiarare l’inoperatività della garanzia (Cass. n. 6498/1985).
Diversamente è stata ritenuta valida istanza: la presentazione da parte del creditore di una domanda di insinuazione al passivo fallimentare del debitore principale (Cass. n. 8723/1994), il deposito di un ricorso per l’ottenimento di un sequestro conservativo sui beni del debitore principale (Cass. n. 9364/1991), l’istanza costituita dal deposito di un tempestivo ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. n. 4241/1974), l’istanza depositata dal creditore di ammissione al passivo fallimentare del debitore principale (Cass. n. 8723/1994).
Continua poi la norma in esame affermando che, oltre a proporre istanze, il creditore le debba altresì continuare con diligenza (articolo 1957, 1° comma, c.c.): non è infatti sufficiente proporre l’azione giudiziaria, ma devono anche essere svolte quelle attività volte al soddisfacimento del credito, sino al compimento degli atti esecutivi necessari per la realizzazione dell’obbligazione garantita dal fideiussore. Ovviamente la “continuazione” da parte del creditore delle istanze – iniziate tempestivamente, ex articolo 1957 c.c., nei confronti del debitore – si realizzerà successivamente al termine decadenziale; le istanze non dovranno essere però abbandonate immotivatamente dal creditore, in quanto altrimenti il fideiussore avrà nuovamente diritto di eccepire al creditore la decadenza di cui all’articolo 1957 c.c.
Deve poi precisarsi che, nel caso in cui la fideiussione sia solidale (e cioè il fideiussore si sia obbligato in solido con il debitore principale, senza la previsione di un beneficio di preventiva escussione, da parte del creditore, del debitore principale), l’istanza giudiziale può essere indifferentemente rivolta, a scelta del creditore, contro l’uno o l’altro dei due condebitori solidali (debitore principale o fideiussore), con effetti ugualmente idonei ad impedire l’estinzione della fideiussione (Cass. n. 183/1983).
Se la fideiussione preveda invece il beneficio della preventiva escussione (e cioè il creditore debba prima rivolgersi al debitore principale e soltanto dopo l’inadempimento di questo possa domandare l’adempimento al fideiussore), l’istanza giudiziale deve essere portata dal creditore, entro il termine decadenziale, necessariamente prima nei confronti del debitore principale, per impedire che si realizzi la decadenza prevista all’articolo 1957 c.c.
La decadenza di cui all’articolo 1957 c.c., come è noto nella vicenda in commento, può essere però pattiziamente esclusa dalle parti, in quanto è norma non posta a presidio di alcun interesse di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore (tra le tante, Cass. n. 21867/2013; Cass. n. 9455/2012, Cass. n. 13078/2008, Cass. 394/2006, cass 14089/2005).
La clausola relativa a detta rinuncia non rientra, inoltre, tra quelle particolarmente onerose a norma dell’articolo 1341, comma 2, c.c. e quindi non ha necessità di specifica approvazione per iscritto del fideiussore (Cass. n. 9245/2007; Tribunale Milano, n. 3797/2015).
[1] Ad esempio, come quello che si rinviene tipicamente in un contratto di delegazione passiva.