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Nullità, usucapione e prescrizione

Contratto
Contratto

Nullità, usucapione e prescrizione
 

L’art. 1422 c.c., a norma del quale l’azione di nullità del contratto è imprescrittibile “salvi gli effetti dell’usucapione”, contrasta con l’art. 24 Costituzione, nonché con gli artt. 1421 c.c. e 948 c.c. .

Nel diverso caso in cui tale norma dovesse essere ritenuta legittima, si ritiene che la stessa debba applicarsi anche a tutela di colui che abbia usucapito la proprietà del bene a seguito di possesso in mala fede.

(The art. 1422 of the Civil Code, according to which the action for the nullity of the contract is imprescriptible "except for the effects of usucapione", contrasts with the art. 24 Constitution, as well as with the articles 1421 of the civil code and 948 of the Civil Code .

In the different case in which this rule should be considered legitimate, it is believed that the same should also apply to the protection of the person who has usucapited the ownership of the asset following possession in bad faith).

 

L’art. 1422 c.c., a norma del quale l’azione di nullità del contratto è imprescrittibile “salvi gli effetti della prescrizione delle azioni di ripetizione”, contrasta con gli artt. 1423, 1419 e 2033 c.c. .

(The art. 1422 of the Civil Code, according to which the action for the nullity of the contract is imprescriptible "except for the effects of the prescription of the repetition actions", contrasts with the articles 1423, 1419 and 2033 of the civil code).

L’art. 1418 c.c. prevede che il contratto è nullo quando “è contrario a norme imperative”.

Ai sensi dell’art. 1422 c.c.,l'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione”.

• Per quanto riguarda il rapporto tra azione di nullità del contratto ed usucapione, si osserva quanto segue.

Tizio (venditore) e Caio (compratore) hanno stipulato un contratto di vendita. Caio, dopo aver acquistato il bene, si è disinteressato del suo utilizzo, ossia è rimasto inerte nel godimento del medesimo. Sempronio (terzo), vista l’inerzia di Caio, si è impossessato del bene, esercitando su di esso poteri corrispondenti a quelli del proprietario (Caio), e quindi, per effetto del decorso del termine previsto dalla legge, ha usucapito tale proprietà.

Tizio, un giorno, chiede che venga giudizialmente dichiarata la nullità del contratto, pretendendo pertanto la restituzione del bene venduto. Il Giudice, pur dichiarando la nullità, non potrà soddisfare la richiesta di Tizio in quanto ormai Sempronio ha usucapito la proprietà del bene, e quindi, per effetto della norma, una declaratoria di nullità da parte del Giudice non potrebbe annullare gli effetti dell’usucapione maturata.

Cosa si ricava dalla norma? Che l’inerzia dimostrata da uno dei contraenti nel godimento del bene, e quindi successivamente all’esecuzione del contratto, determina l’acquisto della proprietà da parte di un terzo (non contraente) anche nel caso in cui il contratto originario sia nullo. Tale inerzia, quindi, è una vicenda che supera i profili di illiceità del contratto stesso. La necessità che un bene venga commercialmente utilizzato, sfruttato e goduto, è talmente forte da superare anche l’eventuale contrarietà del contratto originario a norme imperative. L’esigenza di evitare che un bene rimanga inutilizzato, e quindi quella di garantire la libera circolazione del bene stesso di modo che questo possa essere goduto da terzi, prevale sulla necessità di ripristinare, mediante la sentenza dichiarativa della nullità del contratto, il rispetto di una norma avente carattere imperativo. La posizione del terzo è, pertanto, immune dall’azione di nullità del contratto, nonostante che questa sia imprescrittibile.

L’aspetto centrale da esaminare è vedere se questa sostanziale indifferenza dell’usucapione ad un’azione imprescrittibile, quale quella della nullità, possa considerarsi conforme ai principi generali.

Le ragioni per le quali l’art. 1422 c.c., nel far salva l’usucapione del terzo anche dinanzi ad un’azione di nulla, suscita forti dubbi di legittimità, sono le seguenti.

1) L’azione di nullità, come del resto ogni altra azione volta a far valere i propri diritti, trova la propria legittimazione, prima ancora che nel codice civile, nel diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione.

Normalmente, ciò che rende inefficace l’esercizio del diritto di difesa, ossia ciò che renderebbe vana la domanda giudiziale nel caso in cui questa venisse proposta, è o l’inammissibilità della richiesta, in quanto presentata in assenza dei presupposti previsti, oppure il fatto che sia già decorso il termine per proporre l’azione giudiziale (prescrizione), ossia tutti motivi imputabili al soggetto che esercita tale diritto, e non ad un comportamento inerte della controparte.

Nel caso dell’art. 1422 c.c., invece, l’inefficacia dell’azione di nullità (ossia l’inidoneità di quest’ultima ad invalidare l’acquisto fatto dal terzo possessore per usucapione) è data dal comportamento della controparte (nel qual caso, il compratore Caio), il quale, essendo rimasto inerte nel godimento del bene acquistato da Tizio, ha determinato, in favore di Sempronio, l’acquisto della proprietà per usucapione. E’ come dire che il diritto di difesa (azione di nullità), tutelato dalla Costituzione, non può essere esercitato perché la controparte contrattuale ha lasciato che il bene, acquistato in dipendenza del contratto, venisse posseduto da altri, e quindi non può essere esercitato non per la negligenza della parte che vuole ricorrere al Giudice ma per l’inerzia della controparte.

Ciò significa impedire alla parte di esercitare i propri diritti di difesa a causa non di un “suo” comportamento negligente (inammissibilità del ricorso) od inerte (prescrizione dell’azione), ma esclusivamente di un comportamento inerte della controparte, la quale ha in tal modo favorito l’acquisto per usucapione ad opera del terzo possessore. Ma ciò appare costituire una rilevante violazione del diritto di difesa sopra citato.

2) Ai sensi dell’art. 1421 c.c.,salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse”. Legittimato a domandare la nullità del contratto è non soltanto la parte del rapporto, ma “chiunque” abbia un interesse ritenuto meritevole di tutela, e quindi anche eventuali terzi.

Riconoscere in capo al “terzo”, ossia ad un soggetto estraneo al rapporto contrattuale, la legittimazione a far dichiarare la nullità del contratto, dovrebbe comportare la possibilità che tale azione possa essere esercitata anche contro il terzo – anch’egli estraneo al rapporto contrattuale – il quale abbia acquistato la cosa per usucapione, e ciò per un principio di pari trattamento tra due soggetti – appunto i “terzi” sopra citati – che sono accomunati dal fatto di essere, entrambi, del tutto esterni al rapporto negoziale del quale si chiede venga accertata la nullità. In base all’art. 1422 c.c., abbiamo un terzo che esercita l’azione di nullità, ed un altro terzo (possessore ad usucapionem) il cui acquisto risulta del tutto indifferente alla medesima azione. Allora, se così deve essere, tanto varrebbe stabilire che legittimata a chiedere la nullità del contratto sia soltanto la parte contrattuale.

3) L’art. 1421 c.c. prevede che la nullità del contratto “può essere rilevata d'ufficio dal giudice”.

Se il vizio di nullità è rilevabile anche dal Giudice, ciò è perché evidentemente esso viene considerato di una gravità tale da esigere un accertamento il quale garantisca il ripristino della norma imperativa che dal contratto è stata violata. Tale ripristino non può cancellare un fatto ormai accaduto, ossia la violazione, ma può comunque attuarsi impedendo, non solo alle parti ma anche ad eventuali terzi possessori, di arricchirsi godendo di un bene che non avrebbe, per legge, potuto essere oggetto di rapporti giuridici, quanto meno non attraverso “quel” contratto.

Al Giudice che dichiara la nullità del contratto viene quindi affidato il compito di ripristinare la legalità violata, e tale obiettivo non può essere raggiunto compiutamente se si prevede, come fa l’art. 1422 c.c., che l’acquisto della proprietà del bene oggetto del contratto nullo, ottenuto dal terzo tramite usucapione, prevale sulla declaratoria di nullità.

La rilevabilità di ufficio dal Giudice implica che l’accertamento dell’invalidità del contratto è finalizzato non solo a soddisfare l’interesse della parte che tale invalidità abbia denunciato, ma anche e soprattutto ad eliminare dall’ordinamento gli effetti prodotti da un contratto illecito, ivi compresi quelli maturati a favore del terzo possessore ad usucapionem.

4) Ai sensi dell’art. 948 comma 3 c.c., “l'azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione”.

L’art. 948 comma 1 c.c. prevede che “il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l'attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno”.

Pertanto, il proprietario, esercitando l’azione di rivendica, al fine di poter rientrare nella disponibilità del bene, può rivolgersi a colui che per primo aveva posseduto la cosa, invitandolo a recuperare il bene presso il terzo possessore, e ciò anche nel caso in cui il “primo possessore” abbia perduto il possesso “per fatto proprio”, il che potrebbe voler dire pure “per inerzia nel godimento della cosa”. L’art. 948 comma 1 c.c. precisa poi che il “primo possessore”, nel caso in cui non riesca a recuperare il bene dal terzo possessore, è tenuto nei confronti del rivendicante a pagarne il relativo valore, nonché a risarcire il danno. Il motivo per il quale il “primo possessore” non riesce a recuperare il bene dal terzo possessore, potrebbe risiedere nel fatto che quest’ultimo abbia usucapito la proprietà del bene, come previsto dal comma 3 dell’art. 948 c.c..

Se noi volessimo trasportare l’art. 948 comma 1 c.c. nell’ambito dell’art. 1422 c.c., dovremmo affermare quanto segue: la parte venditrice, esercitando l’azione di nullità del contratto, al fine poter rientrare nella disponibilità del bene venduto, può rivolgersi alla parte acquirente, invitandola a recuperare il bene presso il terzo possessore, e ciò anche se la stessa parte acquirente abbia cessato, per propria inerzia, di possedere la cosa, favorendo pertanto in capo al terzo possessore, che invece di quella cosa ha goduto, l’acquisto della proprietà per usucapione.

Perché questo paragone?

L’azione di rivendica della proprietà viene esercitata sulla base di un contratto che è stato concluso in modo lecito, mentre l’azione di nullità viene esercitata in relazione ad un contratto illecito.

Nel primo caso (art. 948 comma 1 c.c.), la salvezza dell’acquisto per usucapione fatto dal terzo possessore si può giustificare perché esso si è originato da un contratto pienamente lecito.

Ma che l’acquisto per usucapione da parte del terzo possessore venga fatto salvo anche nel secondo caso, ossia quando esso si è originato da un contratto illecito (art. 1422 c.c.), significa che l’usucapione del terzo viene tutelata allo stesso identico modo sia quando sia derivata da un negozio lecito sia quando abbia trovato la propria fonte in un contratto illecito, e ciò si presta a diventare oggetto di una questione di legittimità costituzionale ex art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza (ossia vengono disciplinate allo stesso modo fattispecie che sono palesemente diverse).

Nel caso in cui, invece, dovesse ritenersi che l’art. 1422 c.c. sia pienamente legittimo, allora occorre approfondire l’aspetto relativo alla tutela del terzo, nel senso di dover coordinare tale norma con l’art. 2652 n. 6 c.c., il quale disciplina “le domande dirette a far dichiarare la nullità … di atti soggetti a trascrizione”, ossia dei contratti. Tale norma stabilisce che “se la domanda è trascritta dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda”. Nell’esempio di cui sopra, Tizio trascrive la domanda giudiziale di nullità dopo 5 anni da quando fu trascritto il contratto di vendita: in tal caso, la sentenza che accoglie tale domanda non pregiudica il terzo (Sempronio), ma solo se quest’ultimo abbia acquistato “in buona fede” ed in base ad “un atto”, la proprietà del bene oggetto del contratto. Pertanto, l’acquisto di Sempronio ex art. 1422 c.c. potrà considerarsi al riparo dall’azione di nullità solo se egli abbia usucapito in buona fede (ossia non sapendo che il bene fosse del compratore Caio), ed inoltre solo se tale acquisto sia avvenuto in base ad “un atto trascritto”. Quando si parla di usucapione, con l’espressione “atto trascritto” ci si riferisce, ex art. 2643 comma 14 c.c., alla “sentenza di accertamento dell’avvenuta usucapione”.

Di conseguenza, l’art. 1422 c.c. non si applica quando l’usucapione è maturata a seguito di possesso in mala fede (ossia Sempronio sapeva che il bene era di Caio) ed in ogni caso, anche nel caso di possesso in buona fede, non è sufficiente che siano maturati i 10 anni previsti dall’art. 1159 c.c. ma occorre che con sentenza tale usucapione sia stata accertata.

Tuttavia, il principio in base al quale l’art. 1422 c.c. si debba applicare solo nel caso in cui il possesso ad usucapionem sia stato in buona fede, non sembra essere così incrollabile. L’art. 2652 n. 1 c.c. prevede che le sentenze le quali accolgano la domanda di rescissione del contratto “non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda”. Ai sensi dell’art. 1447 c.c., un contratto è rescindibile quando “una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”. Il fatto che la sussistenza di tali condizioni inique fosse “nota alla controparte”, vuol dire che quest’ultima era in mala fede, ossia sapeva bene che l’altra parte avrebbe eseguito il contratto in una situazione di svantaggio.

Quindi, se la sentenza che accoglie la domanda di rescissione non pregiudica il terzo neanche nel caso in cui questi sia stato in mala fede (la quale del resto, come abbiamo visto, costituisce il tratto tipico della rescissione), allora neanche la sentenza che accoglie la domanda volta a far dichiarare la nullità del contratto (art. 2652 n. 6 c.c.) dovrebbe pregiudicare il terzo il quale abbia posseduto il bene (ai fini dell’acquisto per usucapione) in mala fede.

• Per quanto riguarda il rapporto tra azione di nullità ed azione di ripetizione di indebito, si osserva quanto segue.

Qui occorre fare una premessa su quelli che sono gli effetti tipici dell’azione di nullità.

Tale azione (ove la relativa domanda venga accolta dal Giudice) dovrebbe avere un effetto retroattivo, ossia tale da “annullare” tutti i benefici che le parti contraenti hanno reciprocamente ricevuto dall’adempimento delle rispettive prestazioni.

Che l’azione di nullità non possa produrre solo effetti da ora per il futuro, e quindi non possa far salvi i diritti acquistati dalle parti fino al momento in cui l’azione venga proposta, ma che debba invece necessariamente agire anche per il passato, travolgendo pertanto i diritti sopra citati, si può desumere da quanto segue:

- a differenza del negozio annullabile (art. 1444 c.c.), “il contratto nullo non può essere convalidato” (art. 1423 c.c.), laddove la convalida è l’atto con il quale una parte, pur potendo agire per ottenere l’invalidità del contratto, decide di rinunciare ad esercitare tale azione e quindi, nel caso della vendita, rinuncia a rientrare in possesso del bene venduto, ragion per cui essa ha quale effetto tipico quello di sanare gli effetti già prodotti. Ebbene, tale possibilità di sanatoria è espressamente vietata per i contratti nulli.

- ai sensi dell’art. 1419 c.c., “la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”. Le parti, nel caso in cui abbiano voluto fare proprio “quel” tipo di contratto e quindi ricomprendendo anche la parte che è affetta da nullità, non potranno trattenersi quanto hanno reciprocamente ricevuto;

- vi è un caso in cui, nonostante la cessazione anticipata del contratto, le parti possono trattenere quanto hanno già ricevuto l’una dall’altra, ed è quello dell’avveramento della condizione risolutiva, ove questa sia stata apposta ad un contratto ad esecuzione continuata o periodica. L’art. 1360 comma 2 c.c. prevede che, salvo patto contrario, l’avveramento della condizione “non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite”.

Ma si tratta di un caso diverso dalla nullità, perché nel caso dell’art. 1360 comma 2 c.c. si sta parlando di una clausola liberamente apposta dalle parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale, e non di un contratto illecito in quanto contrario ad una norma imperativa.

Di conseguenza, nel caso in cui la sentenza accolga la domanda di nullità del contratto, tutto ciò che le parti hanno ricevuto grazie ad esso dovrebbe essere reciprocamente restituito, altrimenti si dovrebbe ritenere che l’esigenza di tutelare la certezza del rapporto giuridico sorto dal contratto debba prevalere sulla violazione di norme imperative, ma, come si è visto, sostenere una simile tesi è contrario ai principi generali.

La ripetizione di indebito è disciplinata dall’art. 2033 c.c., il quale così dispone: “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. “Ripetere” vuol dire poter ottenere la restituzione di quanto pagato, e quindi anche l’azione di ripetizione di indebito, esattamente come l’azione di nullità, ha un effetto retroattivo.

L’art. 2033 c.c. parla di “pagamento non dovuto”, il che vuol dire che il pagamento è stato eseguito quando in realtà non sussisteva alcun obbligo in tal senso. L’insussistenza di un obbligo potrebbe essere determinata dal fatto che il contratto, perfettamente lecito, è stato erroneamente interpretato, ossia chi ha pagato ha creduto, erroneamente, di essere tenuto al pagamento, e quindi ha commesso un “errore di diritto”. Tant’è vero che poi l’art. 2036 c.c., a tale riguardo, prevede un’altra ipotesi di “errore”, ossia quella di chi abbia pagato un debito altrui credendosi debitore.

Pertanto, il “pagamento non dovuto” si origina comunemente da un “errore”, e quest’ultimo costituisce uno dei presupposti per domandare l’annullamento del contratto (art. 1429 c.c.).

Dall’art. 2033 c.c. si ricava quindi che l’azione di ripetizione di indebito costituisce lo strumento mediante cui si chiede l’annullamento del contratto, in quanto il presupposto è il medesimo (appunto, l’errore).

Di conseguenza, l’art. 1422 c.c. deve essere interpretato nel senso che l’azione di nullità è imprescrittibile “salvi gli effetti della prescrizione delle azioni di annullamento”.

Ciò equivale a dire che Tizio (venditore), nel caso in cui abbia a disposizione due strumenti di tutela dei quali uno è la nullità ed un altro è l’annullamento del contratto, può sempre agire per la nullità (imprescrittibilità dell’azione) ma non può agire per l’annullamento nel caso in cui la relativa azione si sia prescritta, ossia siano trascorsi 5 anni (art 1442 c.c.).

Tuttavia, occorre segnalare che, in base all’art. 1442 ultimo comma c.c.,l'annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione per farla valere”, e ciò allora vuol dire che, in base all’art. 1422 c.c., la parte può esercitare senza limiti di tempo, oltre che

l’azione di nullità, anche l’azione di annullamento.

Ciò anche perché nullità ed annullabilità attengono a profili diversi, in quanto mentre nel primo caso l’illiceità deriva dalla contrarietà del contratto a norme imperative e quindi da una violazione di legge (ossia da un fatto oggettivo), nel secondo caso essa deriva da un’errata interpretazione giuridica (ossia da un fatto soggettivo), e pertanto si tratta di azioni assolutamente compatibili l’una con l’altra.