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I maltrattamenti verso gli anziani

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I maltrattamenti verso gli anziani

 

La situazione in Italia

Assai interessante, ancorché poco analizzata, è la tematica dei maltrattamenti nei confronti degli anziani. Lo statunitense Butler (1975)[1], per analogia con la ben più nota “battered child syndrome”, ha coniato la meno nota espressione “battered old person syndrome”. Si tratta di una tematica poco studiata. D’altronde, negli ultimi decenni, la psicologia e la medicina legale si sono eccessivamente concentrate sulla figura del bambino/parte lesa e, viceversa, hanno manifestato un’attenzione molto scarsa nei confronti degli abusi agiti sui familiari in età senile. Non dedicare spazio alla sindrome dell’anziano maltrattato non ha senso in un Ordinamento sociale, come quello italiano, ove gli ultra-65enni costituiscono il 20% della popolazione, ovverosia il quintuplo dei bambini di 4 anni e più del 50% rispetto agli infra-14enni. In un tessuto collettivo decisamente anziano, è assurdo focalizzare la Criminologia esclusivamente o, quantomeno, prevalentemente sulla tematica dell’abuso verso gli infra-18enni.

Negli Anni Ottanta del Novecento, Hudson & Johnson (1986)[2] hanno censito che, negli USA, il 4/10 % degli anziani è vittima di maltrattamenti. Di più, l’ONU, durante la II Assemblea mondiale sull’invecchiamento, celebrata a Madrid nel 2002, ha monitorato una quota del 3/10 % di ultra-65enni abusata abitualmente in Stati apparentemente “evoluti” come l’Australia, il Canada ed il Regno Unito. Nonostante l’anziano non manifesti una sufficiente propensione alla querela, la situazione non è migliore nel contesto italiano, in cui gli individui in età senile giungono a più di 14 milioni di unità.

Sotto il profilo definitorio, Eastman (1984)[3] ha affermato che “l’abuso degli anziani è qualificabile come il sistematico maltrattamento di una persona anziana da parte di chi è tenuto a darle assistenza. Esso può assumere le forme di aggressione fisica, comportamento minaccioso, incuria ed abbandono”. A loro volta, gli italiofoni Pasqualini & Mussi (2001)[4] evidenziano che “[anche per l’American Medical Association] l’abuso o la negligenza consistono in un atto o un’omissione che determinano un danno o una minaccia per la salute o per il benessere dell’anziano”.

Secondo la ratio criminologica del “modello situazionale”, la battered old person syndrome viene provocata da un circolo vizioso di “situazioni favorenti”. P.e., spesso, la parte lesa in età senile è psico-fisicamente legata al reo maltrattante, che approfitta della scarsa salute e, quindi, della debolezza caratteriale dell’ultra-65enne. Oppure, sussistono dei cc.dd. “fattori strutturali”, come la povertà economica della vittima e/o il suo conseguente isolamento da qualsivoglia relazione sociale. Oppure ancora, la violenza manifestata da colui che ha in cura l’anziano è cagionata da depressione, tossicodipendenza o aggressività caratteriale in capo alla persona che, volontariamente o per mestiere, dovrebbe assistere la parte lesa.

Altrettanto pertinentemente, la “teoria dello scambio sociale”, inaugurata dall’anglofono Phillips (1986)[5], asserisce che “gli anziani sono vittime in quanto senza potere, dipendenti e vulnerabili rispetto alle persone che li hanno in carico […] hanno minore possibilità di interazione, minore potere contrattuale a livello sociale”. Sempre Phillips (ibidem)[6] rimarca che “l’interazionismo simbolico si basa sull’assunto per cui l’interazione sociale è un processo che si stabilisce tra più attori sociali e si modella su ruoli e significati simbolici che debbono essere costantemente negoziati e rinegoziati, al fine di un consenso reciproco che permetta la continuità del rapporto. Secondo il modello teorico del maltrattamento degli anziani fondato su questi assunti, sorge un conflitto di ruolo, sia nella vittima sia nell’autore dell’abuso, per la difficoltà di conciliare l’immagine dell’anziano qual è ora e com’era in passato, e ciò per la perdita di potere, di efficienza, di prontezza. L’esempio dell’anziano affetto da demenza esemplifica drammaticamente tale mutamento e, dunque, il conflitto interattivo e simbolico, ma, anche senza giungere a questi estremi, la sensazione di pena, ma anche di rabbia, che ci coglie quando vediamo i nostri genitori o i nostri nonni declinare è un’altra dimostrazione calzante”.

 

La battered old person syndrome

Salvel & Merzagora Betsos & De Micheli (2007)[7], in tema di battered old person syndrome, hanno messo in risalto che “in termini di teorie dei ruoli, esiste una prima fase in cui i messaggi negativi e di perdita di senso sono ricevuti ed elaborati dal soggetto come una conferma dello stereotipo sociale del vecchio noioso, inutile, sgradevole e da evitare, con cui il soggetto stesso progressivamente tende ad identificarsi. Se un individuo psicologicamente vulnerabile riceve comunicazioni negative, d’altra parte, tende a farle proprie, producendo un circolo vizioso”. Come si può notare, Salvel & Merzagora Betsos & De Micheli (ibidem)[8] applicano all’individuo in età senile la teoria criminologica novecentesca dell’etichettamento, pur se, in questa fattispecie, l’ultra-65enne non viene accusato di aver commesso reati, bensì di costituire un peso sociale da neutralizzare. In effetti, la battered old person syndrome reca in sé una malcelata ratio eugenetica. Il vecchio è percepito alla stregua di un ostacolo all’esercizio di un edonismo sfrenato da parte di una collettività ormai priva di istanze morali inibenti l’aggressività etero-lesiva.

Altrettanto scientificamente lodevole è l’approccio alla tematica da parte di Lagazzi & Moroni (1988)[9], a parere dei quali “le forme in cui può essere agito l’abuso nei confronti degli anziani sono molteplici, e una classificazione possibile comincia con il distinguere quelle attive da quelle passive o omissive. Fra i tipi di abuso figurano l’abuso fisico, l’abuso psicologico, l’abuso sociale e/o ambientale, l’abuso materiale o economico e l’abuso passivo”. Chi redige nota che Lagazzi & Moroni (ibidem)[10], giustamente, individuano modalità anche non fisiche dci maltrattamento. D’altronde, è erroneo ipostatizzare la sola violenza materiale. P.e., nella Giurisprudenza di legittimità italiana degli Anni Duemila, il reato p. e p. ex Art. 572 CP (maltrattamenti contro familiari e conviventi) non è più limitato alla sola aggressività fisica, in tanto in quanto esistono pure forme di lesività sottilmente psicologiche e valoriali. Trattasi di condotte umilianti che cagionano nell’anziano sofferenze non inferiori a quelle corporali.

Pertinente è pure l’ osservazione di Pasqualini & Mussi (ibidem)[11], ovverosia “l’abuso fisico è dato, com’è intuitivo, dall’atto che comporta danno o dolore fisico, e gli esempi [tradizionali] sono schiaffi, percosse, spintoni, bruciature, tagli, contenzioni superflue o attuate con strumenti inadeguati, compresa l’eccessiva somministrazione di farmaci, magari al solo scopo contenitivo”. In effetti, nelle prassi quotidiane, è frequente la dazione eccessiva e pretestuosa di benzodiazepine a soggetti in età avanzata, ancorché sufficientemente capaci di intendere e di volere. Ecco, di nuovo, il ritorno di un approccio eugenetico nella gestione della accresciuta vulnerabilità del soggetto con disturbi più o meno lievi di matrice geriatrica. A tal proposito, Merzagora Betsos (2004)[12] sottolinea che “la Società italiana di geriatria e gerontologia, nel 2004, ha segnalato 150.000 ricoveri all’anno per effetti secondari da farmaci, associazioni erronee o inopportune, assunzione di farmaci sbagliati”. Siffatto “abuso farmacologico”, quando non è praticato con dolo, è un sintomo della presunta e prepotente onnipotenza di una medicina che pretende di annichilire il dialogo e la moralità attraverso dosi industriali di farmaci inutili e spersonalizzanti.

Diffuso è pure l’”abuso psicologico” sull’anziano. Ferracuti (1988)[13], citando l’anglofono Johnson, afferma che “[abusare psicologicamente significa porre in atto] umiliazioni (suscitare vergogna, mettere in ridicolo, rifiutare), insulti, intimidazioni e minacce […] Questo tipo di abuso è più frequente di quello fisico, ma non meno nocivo”. Lodevolmente, Ferracuti (ibidem)[14] mette in risalto che le sofferenze mentali indotte nel/nella familiare non sono affatto meno dolorose di quelle fisiche. Ciò esorta a “smaterializzare”, se necessario, l’aspetto oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia p. e p. ex Art. 572 CP. Tale norma incriminatrice sarebbe inutile qualora il lemma “maltratta”, ex comma 1 Art. 572 CP, venisse interpretato limitatamente al contesto delle sole lesioni personali.

on meno importante è l’”abuso sociale e/o ambientale”, che consiste nell’isolare forzatamente la persona in età avanzata. Oppure, il maltrattamento è “ambientale” quando il domicilio dell’anziano versa in condizioni degradanti e non rispettose della privacy. Inoltre, l’Art. 572 CP acquisisce una rilevanza socio-ambientale quando il vecchio è abbandonato a se stesso da parte di coloro che recano l’obbligo civilistico di assisterlo, di visitarlo e di somministrargli, nella maniera idonea, alimentari e farmaci. In tale fattispecie scatta pure la precettività del non lieve delitto p. e p. ex Art. 591 CP (“chiunque abbandona una persona […] incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni […]. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato”).

Pasqualini & Mussi (ibidem)[15], nel commentare gli epifenomeni criminologici dell’Art. 572 CP, non mancano di sottolineare che “l’abuso (o sfruttamento) materiale o economico si verifica quando vengono tolti all’anziano denaro o beni, e le sue risorse economiche sono usate per profitto altrui”. In tema di “maltrattamenti patrimoniali”, il pensiero corre al frequente caso dell’infedeltà fraudolenta dell’amministratore di sostegno.

In chiosa, i due predetti Autori italiofoni (Pasqualini & Mussi, ibidem[16]) espongono che “l’abuso passivo, in analogia alla negligenza verso i bambini, consiste nel lasciare l’anziano solo, isolato, dimenticato, nel non prendersi cura dei suoi bisogni quotidiani pratici o psicologici, per esempio ostacolandone le relazioni sociali”. Come si vede, anche l’”abuso passivo” induce la Giurisprudenza di legittimità a non sussumere entro il campo precettivo dell’Art. 572 CP le sole lesioni fisiche. In effetti, nella prassi quotidiana, il maltrattamento psicologico cagione un dolore immateriale non meno intenso di quello corporale. A parere di chi scrive, d’altronde, la Suprema Corte, prima degli Anni Duemila, connetteva l’Art. 572 CP alle sole ipotesi di danno fisico. Quanto asserito è confermato pure sotto il profilo statistico, in tanto in quanto l’abuso fisico è limitato ad un 15% dei casi totali, allorquando, viceversa, l’abbandono è presente nel 55% delle fattispecie di maltrattamento. Lo sfruttamento economico, poi, raggiunge un’incidenza del 12%. Per troppi decenni, anche in ambito criminologico, si è sottovalutato il profilo della sofferenza psicologica.

Merzagora, in svariate e recenti Pubblicazioni, ha preso in esame pure le cc.dd. “morti solitarie”, ovverosia i decessi di anziani soli, spentisi per cause naturali, il cui cadavere è stato ritrovato in casa dopo moti giorni o molti mesi. Su tale tematica, Salvel & Merzagora Betsos & De Micheli (ibidem)[17] hanno precisato che “in Italia, gli anziani rappresentano circa il 40 % delle persone che vivono sole. In una ricerca effettuata analizzando le notizie riportate dalla stampa, sono emersi 90 casi di anziani rinvenuti morti in casa da soli dal 1992 al 2004, la maggior parte dei casi (48) in Lombardia. Molti di loro vivevano in condizioni disagiate, abbandonati perché infermi, affetti da svariati disturbi, un peso, lontani da parenti che solo raramente si sinceravano delle loro condizioni. Altri vivevano in condizioni di volontario isolamento, difficile dire se a causa di dissapori e conflitti accumulati negli anno nel rapporto con i propri familiari, o se a seguito di una grave perdita, cercando nel silenzio un po’ di tregua alla loro sofferenza”.

 

I maltrattamenti agli anziani nella Criminologia occidentale.

La Criminologia anglofona è divisa con afferenza al contesto criminogenetico che fa da sfondo ai maltrattamenti verso gli anziani. Eastman (ibidem)[18] reputa che “il fenomeno [degli abusi su ultra-65enni] si riscontra in tutte le classi sociali”. Viceversa, a parere degli statunitensi Sengstock & Liang (1983)[19] “negli USA si trova un maggior numero di casi nelle famiglie con un reddito inferiore ai 10.000 dollari annui [valuta del 1983, ndr]”. A parere di chi commenta, il classismo criminologico di Sengstock & Liang (ibidem)[20] va rigettato con vigore, in tanto in quanto, nella pratica quotidiana, la variabile del reddito non svolge mai un ruolo criminogenetico, come confermano lo white collar crime e le mille devianze occulte dell’alta borghesia. Infatti, molto pertinentemente, Kosberg (1988)[21] abbandona ogni superba posa aristocratica e precisa che “la povertà e la disoccupazione sono tra i fattori che possono favorire, ma che non causano, l’abuso, assieme alla mancanza di risorse assistenziali pubbliche e al ciclo dell’abuso, cioè il fatto che la vittimizzazione e l’abuso in età precoce possono produrre una catena intergenerazionale di vittimizzazioni”. Quindi, nella Dottrina democratico-sociale di Kosberg (ibidem)[22], non è il reddito, bensì la pedagogia familiare ed ambientale a causare il maltrattamento in famiglia, il quale costituisce, d’altra parte, un fenomeno trasversale, non criminologicamente limitato ai ceti sociali meno abbienti.

Si consideri pure che, nella Dottrina criminalistica europea e nordamericana, esistono reati ”specifici”, come i maltrattamenti in famiglia tradizionalmente definiti, ma anche reati-corollario “a-specifici”, giuridicamente non riferibili solo alla fattispecie degli anziani. P.e., l’abbandono di incapace (Art. 591 CP, nel caso dell’Italia) giuridifica, come parti lese potenziali, anche i bambini. Oppure, molte forme di abuso fisico attivo sono, de jure condito, non riservate esclusivamente ad individui in età senile; basti pensare al delitto “generico” delle lesioni personali.

Più dettagliatamente, Bandini & Lagazzi (2000)[23] evidenziano che “[oggi] il vecchio è la vittima privilegiata del reato di circonvenzione di incapace, ed è rilevata una crescente frequenza di procedimenti per questo illecito che interessano l’età senile, tanto da poter sospettare che l’aumento di denunce che si è verificato negli ultimi decenni e la crescita [in Italia, ndr] della popolazione anziana siano da mettersi in stretta relazione. L’ Art. 643 CP dispone che “chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato di infermità o di deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 ad euro 2.065”. Ora, la Dottrina e la Giurisprudenza si sono a lungo interrogate se la nozione di “vecchiaia” sia, automaticamente o meno, sussumibile entro lo spazio precettivo dei lemmi “deficienza psichica” ex Art. 643 CP. La Suprema Corte, in Cass., sez. pen. II, 17 giugno 1988, ha sancito che “talvolta [ancorché non automaticamente] il concetto di deficienza psichica [ex Art. 643 CP] può applicarsi [solo, ndr] a quei soggetti [anziani] che, a cagione della loro età o del loro stato, […] siano particolarmente assoggettabili alle pressioni ed agli impulsi esercitati su di loro”. Pertanto, in Cass., sez. pen. II, 17 giugno 1988, non sussiste un legame tassativo tra la “senilità” e la “deficienza psichica”; è necessario analizzare le specifiche condizioni mentali dell’anziano, caso per caso. Analogamente, in Dottrina, “vecchiaia” e “incapacità” sono due variabili separate, giacché, come nota Fornari (2021)[24] “l’età anziana può, ma non deve costituire una forma di deficienza psichica [ex Art. 643 CP]. Giurisprudenza, Dottrina e prassi psicopatologico-forense sono concordi nell’affermare che la senilità fisiologica non costituisce, di per sé, deficienza psichica ai sensi dell’Art. 643 CP”. Del resto, sarebbe irrealistico e surrettiziamente eugenetico predicare, nell’Art. 643 CP, una correlazione necessaria e intrinseca tra l’anzianità e la non lucidità mentale. Concretizzare è e rimane la parola-chiave.

 

Altri approcci criminologici

Nell’Ordinamento italiano, gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione estendono ultra vires la nozione di “stato d’infermità o [di] deficienza psichica”. Di nuovo, dunque, torna il dilemma medico-forense circa la presunta sovrapponibilità automatica tra età senile e carenze psicologiche. A parere di chi redige, come anzidetto nel caso dell’Art.643 CP, la vecchiaia non sempre toglie la lucidità mentale, così come confermato da Cass., sez. pen. II, 17 giugno 1988. Anzi, sotto il profilo criminologico, Carrieri & Greco & Catanesi (1992)[25] sostengono che “l’interdizione e l’inabilitazione, per le quali il rapporto con l’età anziana è molto stretto, vengono talora invocate dai parenti senza necessità e si risolvono in mortificazione ed umiliazione, dunque in un abuso psichico, dell’anziano […] La semplice presentazione dell’istanza non solo può compromettere la dignità della persona interessata, ma può talvolta costituire un evento stressante, in grado di danneggiare la salute fisica e mentale del vecchio, creando condizioni di ulteriore frustrazione ed emarginazione”. Analoghe osservazioni valgono pure per il meno drastico istituto dell’amministrazione di sostegno, spesso anch’esso strumentalizzato da familiari in malafede. Di più, gli anziani temono molto reati di strada quali gli scippi, i borseggi, i furti e le rapine. In effetti, come più volte rilevato dall’ISTAT, il soggetto in età senile reca una maggiore fragilità fisica e, per conseguenza, rischia cadute ed ecchimosi particolarmente gravi. Pertanto, il vecchio giunge al punto di evitare contatti sociali per timore di essere vittima di borseggi più o meno violenti. A sua volta, l’auto-isolamento impedisce all’ultra-65enne di adire la PG, soprattutto quando prevalgono la vergogna, la bassa autostima o l’affetto di fondo nei confronti dei familiari rei dei maltrattamenti. Del resto, va precisato che l’anziano manifesta una assai scarsa propensione a sporgere la querela. P.e., nel 2019, le truffe denunziate in danno di parti lese avanti negli anni hanno raggiunto la cifra di 21.781 notizie di reato, ma, nella realtà, gli episodi sono senz’altro stati quantitativamente maggiori. L’età senile è dominata da eccessivi pudori e da un forte senso di impotenza e di inutilità.

Con attinenza alla passività tendenziale del vecchio, Lanza (1994)[26] osserva che “il numero oscuro delle violenze contro gli anziani è sicuramente alto […] Nel 1988, in Italia, vi sono stati 8646 incidenti domestici con esito mortale, nel 75 % dei quali la vittima contava più di 64 anni. Tale cifra deve anche porre un problema criminologico, essendo ragionevole pensare che qualche riferito incidente mortale domestico sia, invece, frutto di un’azione criminosa di qualche familiare della vittima, in qualche modo, poi, protetto dagli altri membri del gruppo [...[. Per suggerire un’immagine quantitativa del fenomeno stesso, basti pensare che se si ipotizzasse che solo il 5 per mille dei morti anziani per incidente domestico debba l’inizio della catena causale che ha poi prodotto l’evento letale all’azione illecita di un familiare (una spinta, un tentativo di percosse o di lesioni), il valore degli omicidi domestici aumenterebbe subito in valore assoluto di 40 unità all’anno”. Gli asserti di Lanza (ibidem)[27] sono condivisi pure da EURES-ANSA (2007)[28], a parere dei quali la cifra reale degli omicidi domestici di anziani raggiunge quota 19,5 %. Addirittura, EURES (2019)[29] innalza la percentuale al 30,1 %. Del pari, pure Merzagora Betsos (2007)[30] reputa che, nel contesto criminologico italiano, è molto elevata la cifra oscura degli omicidi in famiglia relativi a persone oltre i 64 anni.

            Sempre in tema di violenza omicidaria domestica, Merzagora Betsos & Pleuteri (2005)[31] rilevano che “di una certa consistenza è il fenomeno dell’omicidio-suicidio all’interno di coppie anziane, che si lega al più generale discorso dell’intervento del disagio nella criminogenesi di questi delitti, perché la dinamica è sovente quella in cui uno dei coniugi [solitamente il maschio, ndr] ormai anziano ed incapace di assistere l’altro, a sua volta malato e non autosufficiente, lo uccide e si uccide, al termine di una lunga vita trascorsa nell’amore e nella condivisione, La criminodinamica è quella del: ti devo uccidere, ma vengo con te”.

            Nella Dottrina criminologica anglofona, è stato coniato il neologismo “ageism”, per indicare la pratica di pregiudizi mortificanti nei confronti di soggetti avanti con l’età. P.e., una forma frequente di ageism consta nell’erogare cure emergenziali ai più giovani, anziché ai più vecchi, in tanto in quanto minore è l’età, maggiori sono le prospettive di vita. A tal proposito, la Criminologia britannica e nordamericana parla della “tragic choice” [scelta tragica] di dover sacrificare la vita dell’anziano al fine di poter erogare cure primariamente all’infra-65enne, che reca un’esistenza potenzialmente più lunga. Nell’analisi di Persad & Wertheimer & Emanuel (2009)[32] si nota che “esistono taluni criteri con cui i medici sono chiamati a confrontarsi con il problema della allocazione di insufficienti risorse: il treating people equally, per esempio il tirare a sorte (lottery) o il privilegiare chi è arrivato prima (first-come, first-served); il favouring the worst-off, o prioritarianism, lo scegliere chi sta peggio o chi è in condizioni più critiche; il maximising total benefits, o utilitarism, che consiste nel calcolare quante più vite si possono salvare o quanti anni di vita in più si possono garantire effettuando una scelta (questo criterio è alla base della scelta in favore dei pazienti più giovani, ma anche di quelli con prognosi più favorevoli); il promoting and rewarding social usefulness, nel caso in cui si privilegino coloro che, come i sanitari, possono essere impegnati nel salvare gli altri o anche coloro che, in passato, hanno fornito un contributo alla collettività, come i donatori di organi”.

            In materia di ageism, Persad (2018)[33] si dichiara favorevole all’”utilitarian ageism/lifetime justice approach”, ovverosia “[bisogna calcolare] quante più vite si possono salvare o quanti anni di vita in più si possono garantire effettuando una scelta […]. Nella decisione di chi curare o salvare, in condizioni di penuria di risorse, debbono essere privilegiati i più giovani”. La barbarica pratica dell’”utilitarian ageism/lifetime justice approach” è purtroppo sostenuta anche da Shaw (1994)[34], secondo cui “l’anziano ha già goduto di più anni di vita rispetto al più giovane, che è quindi in credito di vita, e, inoltre, l’anziano ha meno anni di vita davanti a sé, per cui, privilegiandolo, si sprecano anni”. Analoghe bestialità provengono pure da Callahan (1987)[35], a parere del quale “ non devono essere sviluppate o applicate agli anziani nuove tecnologie, ma deve solo essere garantito un adeguato alleviamento dei dolori […]. Estendere le cure per prolungare la vita ai più anziani non è auspicabile neppure in assenza di scarsità di risorse”.

            Il culmine dell’eugenetica è raggiunto da Shaw (ibidem)[36] nell’affermare che omettere di curare il vecchio consente di non sprecare denaro da parte della già costosa sanità pubblica. Trattasi di argomentazioni simili a quelle che stavano all’origine della pratica generalizzata dell’eutanasia nella Germania nazista. Giustamente e provvidenzialmente, molti Autori hanno rigettato l’ageism in ambito sanitario. P.e., Eideson (2013)[37] rimarca che “[sussiste] un’eguaglianza di valore di tutte le vite […]. Considerando gli anziani come una categoria a bassa priorità nell’accesso a cure salvavita, li si reputa come persone di minor valore”. Pronta è stata la replica cinica di Shaw (ibidem)[38], secondo cui “se tutte le vite hanno lo stesso valore, proprio per questo dobbiamo fare di più per salvare chi ha più anni da guadagnare, indipendentemente da altre considerazioni”. Sullo stesso tema, Borsellino (2020)[39] evidenzia che “quello dell’età è un criterio aprioristico, basato su considerazioni presuntive, poiché l’età anagrafica non sempre è correlata all’età biologica […]. Per l’Italia, paese ai primi posti nel mondo nella graduatoria dell’età media della vita, gli anziani non costituiscono una popolazione omogenea. Vi rientrano soggetti di cui il trascorrere del tempo non ha intaccato la salute psicofisica, né l’idoneità a condurre una vita attiva e ricca di esperienze personali e sociali”.

 

[1]Butler, Why Survive ? Growing Old in America. Harper Colophon Books. New York, 1975

[2]Hudson & Johnson, Elder neglect and abuse: A review of the literature, in Eisdorfer & Starr (a cura di), Annual Review of Gerontology and Geriatrics, Vol 6, Springer, New York, 1986

[3]Eastman, Old Age Abuse. Age Concern England, Mitcham, UK, 1984

[4]Pasqualini & Mussi, Come riconoscere e prevenire l'abuso degli anziani, in Giornale di gerontologia, 49, 2001

[5]Phillips, Theoretical explanations of elder abuse, in Pillemer & Wolf (a cura di), Elder Abuse: Conflict in the Family. Auburn House Publishing Co., Dover, 1986

[6]Phillips, op. cit.

[7]Salvel & Merzagora Betsos & De Micheli, Maltrattamento degli anziani e morti solitarie, comunicazione presentata al XX Congresso nazionale della società italiana di Criminologia, gargnano del Garda, 18-20 ottobre 2007

[8]Salvel & Merzagora Betsos & De Micheli, op. cit.

[9]Lagazzi & Moroni, Aspetti criminologici e medico-sociali del maltrattamento dell'anziano, in Rassegna di Criminologia, 13, 1988

[10]Lagazzi & Moroni, op. cit

[11]Pasqualini & Mussi, op. cit,

[12]Merzagora Betsos, il maltrattamento degli anziani in famiglia, in Cendon (a cura di), Trattato della responsabilità civile e penale in famiglia, Vol 3, CEDAM, Padova, 2004

[13]Ferracuti, Alcol e violenza intrafamiliare. In trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, Vol. 15: Alcolismo, tossicodipendenze e criminalità, Giuffrè, Milano, 1988

[14]Ferracuti, op. cit.

[15]Pasqualini & Mussi, op. cit.

[16]Pasqualini & Mussi, op. cit.

[17]Salvel & Merzagora Betsos & De Micheli, op. cit.

[18]Eastman, op. cit.

[19]Sengstock & Liang, Domestic abuse of the aged. Assessing some dimensions of the problem, in Kleiman (a cura di), Social Gerontology, Karger, Basel, 1983

[20]Sengstock & Liang, op. cit.

[21]Kosberg, Preventing elder abuse: identification of the hight risk factors prior to placement decisions, in The Gerontologist, 28, 1, 1988

[22]Kosberg, op. cit.

[23]Bandini & Lagazzi, Lezioni di psicologia e psichiatria forense, Giuffrè, Milano, 2000

[24]Fornari, Trattato di psichiatria forense, 8a edizione, UTET, Torino, 2021

[25]Carrieri & greco & Catanesi, La vecchiaia. Aspetti criminologici e psichiatrico-forensi, Giuffrè, Milano, 1992

[26]Lanza, Gli omicidi in famiglia. Le dinamiche della decisione in Corte d'assise con l'analisi di trenta casi di omicidio domestico, Giuffrè, Milano, 1994

[27]Lanza, op. cit.

[28]EURES-ANSA, L'omicidio volontario in Italia. Rapporto EURES-ANSA 2007, Roma, 2007

[29]EURES, Rapporto su caratteristiche, dinamiche e profili di rischio dell'omicidio in famiglia in Italia, Roma, 2019

[30]Merzagora Betsos, Omicidio in famiglia, in Savona & Caneppele (a cura di), La violenza in famiglia, Transcrime, Trento, 2007

[31]Merzagora Betsos & Pleuteri, Odia il prossimo tuo come te stesso. L'omicidio-suicidio a Milano e provincia, Franco Angeli, Milano, 2005

[32]Persad & Wertheimer & Emanuel, Principles for allocation of scarce medical interventions, in The Lancet, 373, 9661, 2009

[33]Persad, Evaluating the legality of the based criteria in health care: From nondiscrimination and discretion to distributive justice, in Boston College law Review, 60, 3, 2018

[34]Shaw, in defence of ageism, in Journal of Medical Ethics, 20, 1994

[35]Callahan, Setting Limits. Medical Goals in an Aging Society, Simon & Schuster, New York, 1987

[36]Shaw, op. cit.

[37]Eideson, Comment. Kidney allocation and the limits of the age discrimination act, in The Yale Law Journal, 122, 2013

[38]Shaw, op. cit.

[39]Borsellino, Covid-19: quali criteri per l'accesso alle cure e la limitazione terapeutica in tempo di emergenza sanitaria ? In Politeia, 36, 138, 2020