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Favoreggiamento personale e mafia

favoreggiamento personale
favoreggiamento personale

Favoreggiamento personale e mafia

Abstract

Il concorso esterno in associazione mafiosa, si ricerca in un’area residuale rispetto al vincolo associativo, all’interno della quale rientrano una serie di comportamenti che per il loro carattere episodico, o attivabili da soggetti non inseriti organicamente, non possono essere ricondotti ad una partecipazione interna pur avendo rilevante significato per il mantenimento associativo, tutt’altro il favoreggiamento personale.

Abstract

The external competition in mafia association, is sought in a residual area with respect to the associative bond, which includes a series of behaviors which, due to their episodic nature, or which can be activated by subjects not organically inserted, cannot be traced back to a internal participation even though it has significant meanings for maintaining the association, personal aiding and abetting is quite the opposite.

Ratio Legis favoreggiamento personale


La disposizione tutela l’interesse all’accertamento e alla repressione dei reati, nello specifico evitando che tale attività venga intralciata.

Spiegazione dell’articolo 378 Codice Penale

Il delitto in esame punisce le condotte di auxilium post delictum, estranee quindi al concorso di persone nel reato. Infatti, il bene giuridico tutelato è rappresentato dal regolare svolgimento del processo penale nel momento delle investigazioni e delle ricerche, finalizzato alla repressione dei reati.

Il soggetto può essere chiunque, tranne appunto il concorrente nel reato e l’autore stesso. Pur punendo condotte di aiuto post delictum, la recente giurisprudenza (con riferimento ai reati permanenti) ha stabilito che il momento in cui il favoreggiamento rileva penalmente è quello in cui il reato presupposto ha raggiunto una soglia minima di rilevanza penale (e quindi dal tentativo), con la conseguenza che il favoreggiamento può essere riconosciuto anche unitamente al concorso nel reato presupposto. Pertanto, ai fini di una corretta distinzione, decisiva appare la valutazione dell’elemento soggettivo, verificando cioè se il soggetto agente ha inteso partecipare positivamente all’azione criminosa oppure ha semplicemente inteso aiutare il responsabile del reato permanente.

Il reato di favoreggiamento postula necessariamente che la commissione del reato presupposto sia anteriore alla condotta di favoreggiamento, ma non anche che il reato presupposto abbia già esaurito la sua portata criminosa.

Di conseguenza, l’aiuto consapevolmente prestato al soggetto che perseveri nella condotta criminosa configura generalmente concorso di reato e non mero favoreggiamento, a meno che non si traduca in una facilitazione della cessazione di essa, anche se al fine di far ottenere l’impunità. Nonostante la natura di reato di pericolo, la giurisprudenza ha ritenuto che la condotta ausiliatrice abbia quantomeno frapposto un ostacolo allo svolgimento delle indagini, anche se temporaneo o limitato.

Il reato può configurarsi anche in forma omissiva, quantomeno nelle ipotesi in cui gravi sul colpevole un obbligo giuridico di aiutare o non ostacolare le indagini, come anche nel caso di acquirente di modica quantità sostanza stupefacente per omessa rivelazione dell’identità dello spacciatore (se acquirente di quantità maggiore prevale il suo diritto alla difesa ex art. 384). Viene richiesto il dolo generico, consistente nella volontà di aiutare taluno, con la conoscenza del fatto che vi sia un reato presupposto

In tema di favoreggiamento personale, è configurabile l’aggravante dell’agevolazione mafiosa nella condotta di chi consapevolmente aiuti a sottrarsi alle ricerche dell’autorità un capoclan operante in un ambito territoriale in cui è diffusa la sua notorietà, atteso che la stessa, sotto il profilo oggettivo, si concretizza in un ausilio al sodalizio, la cui operatività sarebbe compromessa dall’arresto del vertice associativo, determinando un rafforzamento del suo potere oltre che di quello del soggetto favoreggiato e, sotto quello soggettivo, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo riconosciuto, risulta sorretta dall’intenzione di favorire anche l’associazione; Vedi: Cass. pen., Sez. VI, 19 luglio 2019, in: Mass. Uf ., n. 32386).

Il Supremo collegio prosegue ancora dicendo che: “Il delitto di favoreggiamento è configurabile non solo quando il comportamento dell’agente sia diretto a eludere le investigazioni, ma anche quando sia preordinato a turbare l’attività di ricerca e acquisizione della prova da parte degli organi della magistratura (non solo inquirente ma anche giudicante), atteso che costituisce attività investigativa oltre quella volta alla ricerca delle prove, anche quella mirante all’acquisizione di esse nel procedimento penale, nonché quella di selezione del materiale probatorio raccolto ai fini della decisione”; vedi medesimo testo già anticipatorio della sentenza di: Cassazione penale, Sez. V, in Mass. Uf ., n. 18110 del 24 aprile 2018).

In tema di favoreggiamento personale art. 378 c.p., sussiste l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in L. n. 203 del 1991, qualora la condotta favoreggiatrice diretta ad aiutare taluno a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità sia posta in essere a vantaggio del capo clan, operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà si presume diffusa, perché essa, sotto il profilo oggettivo, concretizza un aiuto all’associazione, la cui operatività sarebbe compromessa dall’arresto dell’apice dirigenziale, mentre, sotto il profilo soggettivo, in quanto caratterizzata dal consapevole aiuto prestato al capo mafia, è indiscutibilmente sorretta dall’intenzione di favorire anche l’associazione.

(Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 24753 del 11 giugno 2015)

Cass. pen. n. 9989/2015

“La condotta del reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.), che è un reato di pericolo, deve consistere in un’attività che abbia frapposto un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, provocando quindi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione affermativa della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di favoreggiamento con riferimento a condotta consistita nell’aver contribuito alla realizzazione di un bunker in favore di un soggetto latitante investito di un ruolo apicale all’interno di un sodalizio di tipo mafioso” (Vedi: Cassazione penale, Sez. VI, in Mass. Uf ., n. 9989 del 9 marzo 2015).

1. Introduzione sulla norma
 

Cenni storici

Generati dall’emancipazione dal concorso di persone nel reato, il favoreggiamento personale e reale costituiscono strumenti che il legislatore ha messo a disposizione dell’interprete per un’articolazione della risposta sanzionatoria ulteriore rispetto a quanto già ricavabile dagli artt. 110 e ss. c.p..

Sin dal Codice Toscano, tali fattispecie vennero ad assumere una connotazione autonoma: “Chiunque, dopo il fatto, senza concerto anteriore al medesimo, e senza contribuire a portarlo a conseguenze ulteriori, scientemente aiuta il delinquente ad assicurare il criminoso profitto, o ad eludere le investigazioni della giustizia, ognoraché non cada sotto una più speciale disposizione della legge, commette il delitto di favoreggiamento”. (Così recita il testo del I par. dell’art. 60 del Codice penale pel Granducato di Toscana del 1853, Cedam, Padova 1993).

Sennonché, la collocazione sistematica della norma nella parte generale del codice, per di più subito dopo la disciplina del concorso di persone nel reato, tradiva una certa pacatezza nel rendere effettiva questa autonomia. Il criterio discretivo dell’assenza di “conseguenze ulteriori” fu mantenuto nella formulazione dell’art. 225 del Codice Zanardelli.

Il codice Rocco, invece, irrigidì il criterio cronologico non ammettendo il concorso dopo il fatto dal momento che “non è dato concorrere alla realizzazione di qualcosa che è stato già realizzato” (PAGLIARO (1). La disciplina dettata dal legislatore del 1930 non fu oggetto di sostanziali modifiche, generando piuttosto aspre riserve circa una compiuta affrancazione delle fattispecie favoreggiatrici dalla matrice concorsuale. Il CARRARA ha parlato, al proposito, di una determinazione “tanto necessaria, quanto malagevole”. Il BELING ha definito il favoreggiamento come una fra le disposizioni in assoluto “più infelici” (vedi: PULITANÒ (2). Un concreto ausilio ermeneutico perviene piuttosto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ancora impegnate a sciogliere i nodi gordiani tuttora insoluti che proveremo a far notare.

Centralità della condotta

Per quanto concerne la portata della norma, notiamo che la condotta prevista dall’art. 378 c.p., deve consistere in un’attività che introduca un vero e proprio scoglio anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, che abbia, dunque, provocato una nefasta alterazione – quale che sia – del contesto fattuale all’interno del quale le indagini e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere con altre modalità o tempistiche (in tal senso vedi: sentenza Tribunale di Bari 12 marzo 2009, in: Tribunale.bari.it, sito ufficiale del Tribunale di Bari).

2. Favoreggiamento personale: il bene giuridico tutelato
 

I contorni sfumati e di non circoscritta formulazione della condotta criminis si ripercuotono, in primis, nella non facile individuazione dell’oggetto giuridico di tutela. Sebbene sia ravvisabile nell’art. 378 c.p., una norma di chiusura nel sistema dei reati a tutela dell’amministrazione della giustizia, non sono mancate interpretazioni tese ad indicare e stabilire più precise sfumature, tentativo di evitare che l’art. 378 c.p. da norma di chiusura si trasformi in “clausola generale” dove far convergere tutti i comportamenti possibili di ostacolo giudiziario.

Ci si è addentrati all’esecuzione di spostamenti dell’oggettività giuridica dalla tutela di un generico interesse di natura pubblicistica alla persecuzione dei reati: “all’interesse pubblico che l’opera della giustizia non sia frustrata nella sua finalità di persecuzione del reo”, MAGGIORE, alla “protezione dell’attività giudiziaria in senso lato quale “interesse della giustizia al regolare svolgersi del processo penale nel momento delle investigazioni e delle ricerche” (PAGLIARO (1); ZANOTTI (5), il quale ha individuato nell’attività pre-processuale di polizia giudiziaria l’oggetto specifico del reato; FIANDACA-MUSCO (6), o quale: “lotta giuridica alla delinquenza” o, come contemporaneamente dichiarato, “all’attuazione della volontà della legge”, obiettivo principe del processo penale (MANZINI (7); BOSCARELLI (8) (in giurisprudenza: Cass. Pen. Sez. I, 11 novembre 1971, Di Gennaro; Cass. Pen. Sez. I, 22 marzo 1982, Carli; Cass. Pen. Sez. I, 20 maggio 1987, Bardella).

Non si può sottovalutare sminuendo quanti, criticando l’eccessiva genericità ed indeterminatezza dei concetti esternati, hanno invece sottolineato la naturale inclinazione di tale figura di reato a “riproporsi come forma generale ed esaustiva delle prestazioni post commissum delictum” (PULITANÒ (2); PADOVANI (9), 1). Seguitano poi le osservazioni sulla gravosa e difficile separazione della fattispecie di favoreggiamento personale dal “concursus subsequens” e la dura “meta iuris” di uno spazio autonomo (vedi di tal prospettiva: CARRARA (10). Comune denominatore ad ogni approccio speculativo rimane stabile, sempre, la considerazione per cui il bene giuridico tutelato dall’art. 378 c.p., è e rimane un’oggettività giuridica di categoria fissa, quale ne sia la sfumatura scelta. Mentre altrettanto non può dirsi del bene giuridico protetto dalla fattispecie plurisoggettiva nascente dalla combinazione della singola previsione di parte speciale con la clausola incriminatrice dell’art. 110 c.p., che varia a seconda del tipo di reato di volta in volta ritenuto rilevante.

3. Favoreggiamento personale: Dettaglio iuris


Il carattere di reato di mera condotta e di pericolo dei delitti di favoreggiamento costituisce un dato pressoché pacifico in giurisprudenza. Ai fini della configurabilità del delitto di favoreggiamento personale non rileva, infatti, l’effettività dello sviamento delle indagini nel caso concreto, essendo sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine, sia pure astratta, ad intralciare il corso della giustizia (Vedi: Cass. Pen. Sez. I, 14 aprile 2010; in: Mass. Uff., n. 21956). Al fine di differenziare l’ipotesi del delitto consumato rispetto a quello tentato, si è anche affermato che, la condotta di favoreggiamento, pur se è sufficiente che sia anche solo potenzialmente lesiva delle investigazioni dell’autorità, per essere tale deve in ogni caso pervenire alla percezione ed entrare nella sfera dell’organo investigativo (vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 18 ottobre 1994, Berutti, come supra). Anche la dottrina dominante propende per la costruzione del delitto in termini di reato di pericolo (PISA; FIANDACA-MUSCO; ZANOTTI).

Vi sono comunque voci minoritarie che costruiscono il favoreggiamento come delitto di evento e reato di danno, argomentando nel senso che: la condotta deve aver in ogni caso migliorato la posizione del soggetto aiutato nelle investigazioni o nelle ricerche (in atto o possibili), realizzando un effettivo mutamento della situazione di fatto. Ciò è richiesto, in primo luogo, dal confronto tra il favoreggiamento personale ed altre fattispecie di reato ritenute ipotesi speciali di favoreggiamento, quali la “procurata inosservanza di pena” (art. 390 c.p.) e la “procurata inosservanza di misura di sicurezza detentiva” (art. 391 c.p.). Tali ipotesi si caratterizzano, infatti, per una relazione causale tra i comportamenti dell’agente ed il risultato da questi perseguito, che deve comunque essere effettivamente conseguito ai fini del perfezionamento del fatto tipico. Ulteriormente, dall’: “assenza nella formulazione dell’art. 378 c.p. di espressioni tendenzialmente usate dal legislatore per descrivere ipotesi di reato di mera condotta a consumazione anticipata” (LEONCINI (11), 1; BOSCARELLI (8), 51; PADOVANI (9), 1; MANZINI (7), 849).

Di pregnanza evidente è, in ogni caso, l’idoneità oggettiva della condotta ad intralciare ed arrischiare il corso della giustizia. Il delitto, infatti, non si perfeziona quando la condotta non sia potenzialmente idonea al conseguimento del risultato voluto, come nel caso in cui sia già stato disposto il rinvio a giudizio (vedi: Cass. Pen. Sez VI, 7 aprile 2011, in: Mass. Uf . n. 16558). È stata, per converso, ritenuta configurabile la fattispecie nell’ipotesi in cui l’autorità già fosse a conoscenza dei fatti ed avesse conseguito la prova della commissione del delitto da parte della persona aiutata: (Tribunale di Torre Annunziata, 22 febbraio 2008, n. 1393). Ed ulteriormente, si è sostenuto che: “l’eventuale ininfluenza concreta del comportamento del soggetto agente sull’esito delle indagini non ha alcun rilievo scriminante” (vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 12 novembre 2002, Chiregatti; Cass. Pen. Sez. VI, 3 novembre 1997, Leanza. 10 Vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 30 ottobre 2008 n. 43774; Cass. Pen. Sez.VI, 8 marzo 2007, in: ;ass.Uf ., n. 28639). Configurabile è il reato di favoreggiamento personale anche: “nel caso di aiuto fornito al colpevole di un delitto a sottrarsi a investigazioni che non siano ancora in atto”10).

4. Soggetto agente nel favoreggiamento personale
 

Il delitto di favoreggiamento personale è un reato comune, non essendo richiesta una specifica qualifica per la commissione del delitto. Questo può, infatti, essere commesso da chiunque ad eccezione del concorrente nel reato e dall’autore medesimo. Quanto alla prima delle menzionate eccezioni, è lo stesso art. 378 c.p. ad escludere l’operatività della norma nel caso di concorso nel delitto presupposto (MANZINI (7), 845; PISA (3), 160). Non mancano disguidi, in particolare uno evidente di carattere interpretativo, ossia se il requisito del mancato concorso nel delitto precedente debba intendersi in senso astratto o concreto. Può, infatti, accadere che la condotta di concorso sia sostenuta dalla pubblica accusa nel capo di imputazione e per converso negata dal Giudice nella sentenza conclusiva del giudizio e viceversa.

È fuori discussione che la contestazione del reato, così come formulata nel capo di imputazione, assume un fondamentale ruolo nella concretizzazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Carta Costituzionale. Con la formulazione dell’imputazione, infatti, si permette all’imputato di conoscere l’accusa e di svolgere in maniera conseguenziale le proprie difese.

Per queste ovvie ragioni, parte della giurisprudenza ha ritenuto necessario far riferimento alla qualifica di concorrente così come individuata dall’accusa, ascrivendo conseguentemente la condotta successiva nella sfera di operatività della comune difesa (vedi: Cass. Pen., Sez. III, Barni, id. Mass. Uff.); così come intendono: PATALANO (12), 90; LA MARCA-SANLORENZO (13), 520).

La giurisprudenza più recente ha tuttavia ribadito che il requisito del mancato concorso nel delitto precedente va considerato con riferimento all’esito del processo, non rilevando l’accusa rivolta all’agente quanto piuttosto la definizione giuridica della sua posizione. Costituendo, infatti, un elemento della fattispecie, il reato presupposto – e dunque la mancanza di concorso nel medesimo – deve essere provato (vedi: Corte d’Assise di Roma del 13/09/1999, caso Marta Russo; Cass. Pen., 12 dicembre 1978; Cass. Pen., 19 gennaio 1973; Cass. Pen., 21 aprile 1988. Ritiene in dottrina che tale requisito vada valutato in concreto PISA (3), 163).

Non anacronistiche rimangono le obiezioni di quanti ribadiscono che una simile interpretatio abrogans dell’art. 378 c.p., elidendo la fondamentale funzione di difesa che svolge l’imputazione, finirebbe poi col determinare l’inapplicabilità dell’esimente di cui all’art. 384 c.p., il quale dispone la non punibilità di colui che ha commesso il fatto di favoreggiamento per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore (in merito si rinvia al commento sub art. 384 c.p.).

Puntualizzando ancora, affinché possa sussistere il reato di favoreggiamento personale occorre che l’aiuto sia rivolto nei confronti di “taluno”, ossia nei riguardi di persona diversa dal soggetto che appresta la condotta favoreggiatrice. L’aiuto di se stessi “cd. Autofavoreggiamento” infatti non pone alcun problema di rilevanza penale stante l’operatività indiscussa del principio: “nemo tenetur se detegere”, “l’inesigibilità di una condotta collaborativa da parte dell’accusato ed ancor prima l’assenza di tipicità (vedi: Cass. Pen., 22 febbraio 1982: “secondo il principio nemo tenetur se detegere non è punibile l’auto-favoreggiamento personale cioè la condotta di colui che – dopo aver commesso un reato – cerca l’impunità”. Cass. Pen., Sez. I, 13 novembre 1971; Cass. Pen., Sez. VI, 3 marzo, 1993, in: Mass. Uff., n. 2007); (in dottrina PAGLIARO (1), 40), il quale chiarisce come il termine “aiutare” indichi una condotta diretta a realizzare interessi altrui prima che interessi propri.

La questione appare importante allorché la condotta auto-favoreggiatrice determini esiti favorevoli anche nei confronti di chi ha commesso un precedente reato. La giurisprudenza ha risolto la questione sulla base del criterio della direzione della condotta di aiuto, escludendo l’auto-favoreggiamento quando l’imputato abbia agito al fine esclusivo di favorire il terzo responsabile del reato (vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 17 gennaio 1997, in: Mass. Uff., n. 262). Accanto a tale forma di favoreggiamento si rinviene un’ulteriore forma denominata “auto-favoreggiamento mediato” che si verifica nel caso in cui il favoreggiamento del terzo costituisce il mezzo esclusivo e l’effetto automatico e riflesso del favoreggiamento di se stesso (vedi: Cass. Pen. 14 dicembre 1992, n. 2007, sito cassazione voce favoreggiamento).

In questo caso la punibilità è esclusa in quanto la condotta è soggettivamente polarizzata verso l’aiuto di sé, indipendentemente dal miglioramento abusivo di una posizione processuale altrui. Ulteriore ed ultima forma di favoreggiamento non punibile è il cd. favoreggiamento reciproco, che si ha quanto l’attività di favoreggiamento sia posta in essere da due soggetti che siano, vicendevolmente, offesi dal reato commesso dall’altro ed autori del reato subito dall’altro. In tale ipotesi entrambi i soggetti, “nell’aiutarsi reciprocamente ad eludere le investigazioni dell’autorità, tendono alla propria impunità” (vedi: Cass. Pen. Sez. III, 22 febbraio 1982 n. 9336; in dottrina CARINGELLA, DE PALMA, FARINI, TRINCI (14), 356).

Ultimando il discorso possiamo affermare definitivamente che, non sono punibili l’auto-favoreggiamento personale, l’auto-favoreggiamento mediato ed il favoreggiamento reciproco in quanto rappresentano forme di condotta ausiliatrici che si muovono obiettivamente e/o soggettivamente in un contesto di estrinsecazione del diritto di difesa.

Tali esiti interpretativi sono peraltro avallati da specifica norma di legge, l’art. 384, 1 co., c.p. È pertanto lo stesso legislatore ad aver escluso dall’ambito di operatività dell’art. 378 c.p. quelle condotte che sono emanazione della necessità di salvare se medesimo da una possibile condanna, la quale rappresenta senz’altro un grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore.

Nel merito dei presupposti: Preesistenza di un reato e mancato coinvolgimento nel reato presupposto. La questione ancora aperta del reato permanente: l’emblematico esempio della detenzione illecita di sostanze stupefacenti. In forza dell’espressa clausola: “fuori dei casi di concorso” contenuta nell’art. 378 c.p.,: “il delitto di favoreggiamento personale presuppone che il soggetto attivo non sia stato coinvolto, né oggettivamente né soggettivamente, nella realizzazione del reato presupposto” (vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 18 febbraio 2008, in: Mass. Uf ., n. 21439).

Il legame relazionale di necessaria alternatività tra concorso di persone nel reato e favoreggiamento ha indotto gli interpreti ad elaborare criteri discretivi al fine di circoscrivere i confini tra le due figure. Approssimativamente è stata eseguita una formale differenziazione tra tutto ciò che accade ex ante della consumazione del reato presupposto, addebitabile a titolo di concorso, e tutto quello che succede post, addebitabile a titolo di favoreggiamento (od altra fattispecie incriminatrice sussidiaria).

Nello specifico, il concorso si ha quando l’atto posto in essere dal soggetto è destinato ad inserirsi nella realizzazione complessiva della condotta illecita. Si ha, invece, favoreggiamento quando l’aiuto è prestato a seguito della completa attuazione della fattispecie criminosa. Considerando acutamente, pertanto, quello che si determina quale criterio cronologico potrebbe altrettanto senza difetti, definirsi criterio eziologico. Ciò che è fondamentale, infatti, non è se l’aiuto sia stato prestato durante o dopo la commissione del precedente reato, quanto capire come questo aiuto si collochi nell’elaborazione del piano criminoso o nella sua attuazione (GIOVAGNOLI (15), 261).

Molti problemi interpretativi si affacciano quando il reato base è permanente. Varie le opinioni. Secondo quella più tradizionale, l’aiuto prestato durante la permanenza del reato principale integrerebbe sempre un’ipotesi di concorso criminoso (MANZINI (7), 977; PAGLIARO (1), 36; PANNAIN (16), 1518). L’argomento centrale secondo il quale parte della dottrina e della giurisprudenza ha negato di poter ipotizzare il favoreggiamento di un reato permanente è letterale, presupponendo la lettera della legge l’avvenuta commissione di un reato ed il mancato concorso nello stesso. Sino alla cessazione della permanenza mancherebbero entrambi tali presupposti, con la conseguenza che qualsiasi condotta favoreggiatrice finirebbe per dover essere inquadrata nell’ambito concorsuale.

Emblematica è l’ipotesi di detenzione illecita di sostanze stupefacenti: la giurisprudenza ha precisato che il reato di favoreggiamento non è configurabile con riferimento a tale delitto, in costanza di detenzione, atteso che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve inevitabilmente in un concorso quanto meno di carattere morale (vedi: Cass. Pen., Sez. IV, 8 marzo 2006, in Mass. Uf ., n. 12915).

V’è da rilevare che non sempre è agevole tale immediata soluzione e a volte il criterio cronologico può, da solo, non essere sufficiente. In tale evenienza, la giurisprudenza ha mostrato di ripiegare direttamente su considerazioni di carattere soggettivo, vagliando se nel caso concreto sia ravvisabile un’adesione interiore all’evento plurisoggettivo o, piuttosto, una certa neutralità. Il discrimine tra la condotta che costituisca concorso nel reato e la condotta che invece dia luogo al reato di favoreggiamento personale è stato, pertanto, rintracciato nell’elemento psicologico dell’agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l’aiuto consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato (Vedi: Cass. Pen. Sez. IV, 29 marzo 2007, in: Mass. Uf ., n. 12793).

Altro orientamento, invece, valorizzando la tipicità descrittiva della fattispecie e dunque la rilevanza attribuita al momento della “commissione” del reato presupposto, piuttosto che alla sua “consumazione”, propende per la configurabilità del favoreggiamento pur in costanza della permanenza del reato.

In altri termini, se i delitti di favoreggiamento, limitandosi unicamente a chiedere l’avvenuta lesione del bene interesse protetto, prescindono dalla “consumazione” del reato presupposto, nulla impedisce la loro configurabilità anche con riferimento a condotte criminose permanenti (ZANOTTI (5), 86; DELLA SALA (17), 1152; ROMANO (18), 174; PISA (3), 163; Ancora presente la questione relativa al rapporto tra permanenza e favoreggiamento sembra ancora aperta, non intravedendosi approdi unitari a possibili sviluppi argomentativi di opinioni tanto diverse e divise tra quanti negano a priori la configurabilità del favoreggiamento nella permanenza della fattispecie base sul fondamento del criterio ezio-cronologico; quanti ne ammettono la configurabilità, esitando in distinzioni soggettivistiche; quanti ammettono il favoreggiamento in costanza di reato base, tentando di fondare tale risultato su basi oggettive e modali).

Continuando nel percorso in merito all’analisi dei presupposti del favoreggiamento, occorre sottolineare che l’ultimo comma dell’articolo 378 c.p.: “le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto” induce ad individuare più precisamente il presupposto del favoreggiamento nel “fatto di reato”, ovvero negli elementi oggettivi e soggettivi di cui si compone la fattispecie, a prescindere dall’attribuzione del reato stesso ad un soggetto determinato. Come visto, poi, costituendo un elemento della fattispecie, il fatto di reato presupposto dovrà essere provato e la sua sussistenza dovrà essere apprezzata con riferimento al momento della “commissione” del fatto.

Dubbi sorgono per quelle ipotesi che richiedono il verificarsi di condizioni obiettive di punibilità con riferimento al reato presupposto. Più precisamente è sorto il dubbio se costituisca favoreggiamento l’aiuto prestato dopo la realizzazione della condotta tipica, ma prima dell’avverarsi della condizione. La miglior dottrina ha risolto la questione attribuendo rilevo, appunto, al momento della commissione del fatto escludendo che il verificarsi della condizione obiettiva di punibilità possa essere ricondotto al concetto di “commissione” (GIOVAGNOLI (15), 261). Tale limite temporale si identifica, secondo la dottrina tradizionale, con il momento della cessazione del tentativo o della cessazione della permanenza, configurandosi altrimenti concorso nel reato o azione indipendente (MANZINI (7), 985). Tuttavia, secondo la dottrina più recente e la giurisprudenza, la condotta di favoreggiamento è configurabile dal momento in cui il reato presupposto ha raggiunto una soglia minima di rilevanza penale, coincidente con l’inizio del tentativo o con l’inizio della permanenza. Ne consegue che tra tale momento e la consumazione del reato principale è astrattamente configurabile sia il favoreggiamento che il concorso nel reato (PULITANÒ (2), 10; ZANOTTI (5), 86).

È sempre con riferimento al momento della commissione, questa volta del reato di favoreggiamento, che dovrà essere valutata la sussistenza del reato presupposto. Ciò significa che alcun rilievo potrà essere attribuito alle successive modifiche normative incidenti sul reato presupposto.

 

5. Il concetto di aiuto e reato a forma libera: configurabilità del favoreggiamento mediante omissione
 

A lungo controversa è risultata la questione relativa alla configurabilità del favoreggiamento personale mediante condotta omissiva. È il caso ad esempio di chi, sentito dalla polizia giudiziaria, renda dichiarazioni reticenti per non coinvolgere terze persone.

Un primo orientamento ha ritenuto di dover escludere, in tali casi, l’applicabilità dell’art. 378 c.p. in considerazione – secondo alcuni – del tenore letterale della norma che richiederebbe una condotta positiva, ovvero dell’impossibilità – secondo altri – di richiamare in tal caso l’art. 40, 2 co. c.p., mancando nel reato di favoreggiamento un evento naturalistico e, ancor prima, l’obbligo giuridico di impedire l’evento. Non esiste, per i fautori di questa tesi, alcuna fonte o situazione giuridica che a priori imponga a chiunque un dovere di collaborare con gli organi investigativi ai fini dell’accertamento dei reati e dell’individuazione dei responsabili (PAGLIARO (1), 4; FIANDACA-MUSCO (6), 396; MANZINI (7), 992).

Una versione “intermedia”, ha ammesso invece la possibilità di un favoreggiamento omissivo a condizione, tuttavia, che la condotta omissiva costituisca violazione di un obbligo giuridico (ANTOLISEI (19), 478) o realizzi “la mancanza di un’attività attesa e pretesa dall’ordinamento giuridico” (PANNAIN (20), 153). Per tale orientamento, il favoreggiamento sarebbe, perciò, realizzabile mediante omissione – non in via generale, bensì – nei soli casi in cui un soggetto, intralcio alle istituzioni della giustizia penale, rivesta una posizione di garanzia nei confronti del bene tutelato. Anche la giurisprudenza ha mostrato, talvolta, di seguire questa impostazione quando ha ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 378 c.p. (il carabiniere che, omettendo di riferire immediatamente ai suoi diretti superiori o all’autorità giudiziaria, il luogo di rifugio del ricercato, ha intralciato l’operato degli inquirenti, determinando così il ritardo nella cattura dell’indagato (Vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 16 marzo 2010, in: Mass. Uf ., n. 11473).

Per altri autori, in particolare coloro che ritengono il favoreggiamento personale un reato di evento, tale fattispecie sarebbe perfettamente compatibile con la traduzione in forma omissiva del delitto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 40 cpv e 378 c.p. (PULITANÒ (2), 110). Altra dottrina è giunta, invece, a ritenere configurabile il favoreggiamento mediante omissione individuando nel delitto ex art. 378 c.p. un modello di reato omissivo proprio. Essendo reato a forma libera, per la sua configurabilità è indifferente il mezzo con il quale l’aiuto è prestato (APICE (21), 278).

La giurisprudenza, dal canto suo, ha costantemente ammesso la configurabilità del favoreggiamento mediante condotta omissiva, quale ad esempio la reticenza (vedi: Cass. Pen., Sez. VI, 14 giugno 1993, Darmanin; Cass. Pen. Sez. VI, 8 giugno-21 novembre 1990, Savo; Cass. Pen. Sez. VI, 20 marzo 1990, Catalano; Sez. VI, 16 marzo 2010, D’Alisa).

La tesi prende vita dalla formulazione generica dell’art. 378 c.p., il quale richiede – quale elemento necessario e sufficiente – che l’agente “aiuti” taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità. Sicché la genericità della locuzione “aiuta” consente di concepire la condotta illecita nelle sue più svariate manifestazioni, purché idonee a favorire l’elusione delle investigazioni. È irrilevante, pertanto, che la condotta del favoreggiatore si sia espressa con il silenzio.

In questo modo, la casistica delle condotte di favoreggiamento ne risulta notevolmente estesa, comprendendo al suo interno tutta una serie di comportamenti puramente ostruzionistici, caratterizzati non da un’attivazione del reo per impedire od intralciare le indagini, quanto piuttosto dall’attuata intenzione di non collaborare con le autorità inquirenti.

Tale impostazione è stata avallata dalle Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi sulla configurabilità di una responsabilità dell’acquirente di modica quantità di sostanza stupefacente per omessa rivelazione dell’identità dello spacciatore (Cass. Sez. Un. 5 giugno 2007, in Mass. Uff., n. 21832). Richiamando il suddetto consolidato orientamento pretorio, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il reato di cui all’art. 378 c.p., quale reato a forma libera, ben può essere realizzato con ogni condotta, anche omissiva come il silenzio, la reticenza, il rifiuto di fornire le notizie richieste dalla polizia giudiziaria, che consapevolmente si traduca in un aiuto al terzo per sottrarsi agli accertamenti degli inquirenti.

Peraltro, la citata sentenza delle SS.UU, si segnala anche per la soluzione di ulteriori quesiti che si situano “a monte e a valle” (GAROFOLI (22), 419) rispetto alla questione relativa alla contestabilità del favoreggiamento personale mediante omissione. In particolare, la Suprema Corte di legittimità si interroga sulla possibilità in capo all’acquirente di sostanze stupefacenti, che non rivela alla polizia giudiziaria l’identità dello spacciatore, di esercitare in tal modo un esercizio del diritto di non rispondere (essendo sentito nella qualità di indagato piuttosto che di persona informata sui fatti) ovvero di fruire della causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. ove ricorra la necessità di salvarsi da grave ed inevitabile nocumento alla libertà ed all’onore. Per tali questioni si rinvia al commento dell’art. cit..

6. Elemento soggettivo e circostanza
 

Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale è sufficiente il dolo generico, che deve consistere nella consapevolezza dell’agente di fuorviare, con la propria condotta, le ricerche poste in essere dall’autorità nei confronti della persona ricercata, nella ragionevole consapevolezza dell’apprezzabilità del suo contributo di aiuto, conoscendo il reato presupposto ed al di fuori dei casi di concorso in esso (vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 5 aprile 2007, in Mass. Uf ., n. 38516). (Pur atteggiandosi come generico, il dolo va pertanto rigorosamente provato in tutti questi suoi elementi e può essere desunto dalle stesse modalità dell’ausilio, dai rapporti intercorrenti tra ausiliatore e ausiliato e dalla stessa personalità delinquenziale dei soggetti (Uff. Indagini preliminari Napoli, 13 aprile 2007).

Di conseguenza, dovrà “escludersi la configurabilità del favoreggiamento ogniqualvolta l’aiuto prestato, pur se tale da frustrare in concreto l’attività di investigazione o di ricerca dell’autorità, non risulti essere stato soggettivamente diretto a tale scopo”. “Del tutto irrilevanti sono, invece, le finalità ulteriori o i motivi particolari della condotta” (Trib. Milano, Sez. XI, 12 aprile 2007) o “la circostanza che l’autore sia convinto dell’innocenza del soggetto favoreggiato” (Cass. Pen. Sez. VI, 5 aprile 2007 n. 38516).

L’articolo 378 contempla al secondo ed al terzo comma due ipotesi circostanziate. Il secondo comma c.p. prevede, quale circostanza aggravante, l’essere il reato presupposto l’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p.; il terzo co. considera, quale forma circostanziata attenuta, l’essere il reato presupposto delitto punito con pena diversa dall’ergastolo o dalla reclusione ovvero contravvenzione. I commi in esame non integrano, pertanto, figure autonome di reato rispetto a quella di cui al primo comma, poiché gli elementi costitutivi essenziali delle diverse ipotesi criminose sono identici: condotta, evento ed elemento soggettivo (Vedi: Cass. Pen., 4 giugno 1996, Vinci, sito Cassazione).

La circostanza aggravante di cui sopra ha natura oggettiva, poiché attiene alla maggiore entità del danno subito dall’amministrazione della giustizia per effetto della lesione dell’interesse alla repressione del reato di cui all’articolo 416-bis, considerato di particolare gravità (Cass. Pen. Sez. II, 13 giugno 2007 – 21 settembre 2007 n. 35266). Essa si distingue dall’aggravante speciale di cui all’articolo 7, co. 1 del d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in l.n. 12 luglio 1991 n. 203, di natura soggettiva, secondo la quale per i delitti con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di associazione di stampo mafioso, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Peraltro, le due circostanze aggravanti sono pienamente compatibili tra loro, obbedendo a finalità diverse: quella di cui all’art. 378 co. secondo c.p. è relativa al favoreggiamento funzionale al delitto di associazione di stampo mafioso, nel senso che si deve favorire chi faccia od abbia fatto parte dell’associazione criminosa, non occorrendo la prova che l’attività di favoreggiamento sia diretta ad agevolare l’attività del sodalizio; mentre l’altra circostanza concerne l’azione favoreggiatrice diretta, in maniera oggettiva, ad agevolare l’attività posta in essere dal sodalizio criminoso. Pertanto, esse possono coesistere quando il favoreggiamento si riferisca non solo alla persona facente parte dell’associazione di stampo mafioso ma sia diretto anche ad agevolare l’intera associazione.

Parte della giurisprudenza ha, peraltro, specificato che: “allorché la condotta favoreggiatrice sia posta in essere a vantaggio di un esponente di spicco di un’associazione di tipo mafioso, essa ha per ciò solo una diretta influenza sull’esistenza dell’organismo criminale, ragione per cui l’aggravante speciale di cui all’articolo 7 cit. è configurabile” (Cas. Pen. Sez. V, 24 settembre 2007 n. 238181; Cas. Pen. Sez. V, 6 ottobre 2004, Monteriso; Cas. Pen. Sez. I, 25 giugno 1996, Piazzese). Ancora, la condotta posta in essere a vantaggio di un esponente di spicco di un’associazione di tipo mafioso integra la circostanza aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso (art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in L. 12 luglio1991 n. 203), qualora l’aiuto fornito al capo si concretizzi nell’agevolazione per dirigere da latitante l’associazione, traducendosi così in un aiuto all’associazione la cui operatività sarebbe compromessa dal suo arresto; mentre, sotto il profilo soggettivo, non può revocarsi in dubbio l’intenzione dell’agente di favorire anche l’associazione allorché risulti che abbia prestato consapevolmente aiuto al capomafia (25 Vedi: Cass. Pen. Sez. V, 30 novembre 2010, in: Mass. Uf ., n. 6199).

Il principio, tuttavia, non è condiviso in giurisprudenza. Altra impostazione, seguita dalla giurisprudenza di merito, non ritiene sussistere l’aggravante di cui all’art. art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 ove non sussista una specifica prova che il favoreggiamento personale sia stato prestato in favore dell’associazione mafiosa, e non del singolo individuo, anche al vertice dell’associazione stessa (Tribunale Catanzaro Sez. II, 5 agosto 2008). Ancora, si è ritenuto che il fatto di favorire la latitanza di un personaggio di vertice di un’associazione mafiosa non determina la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in L. 12 luglio 1991 n. 203 in ragione esclusivamente dell’importanza di questi all’interno dell’associazione e del predominio esercitato dal sodalizio sul territorio, dovendosi distinguere l’aiuto prestato alla persona da quello prestato all’associazione e potendosi ravvisare l’aggravante speciale soltanto nel secondo caso, quando cioè si accerti la oggettiva funzionalità della condotta all’agevolazione dell’attività posta in essere dall’organizzazione criminale (Cass. Pen. Sez. VI 10 dicembre 2007 n. 6571.

Nel senso della possibilità di ravvisare l’aggravante soltanto quando si accerti l’oggettiva funzionalità della condotta all’agevolazione dell’attività posta in essere dall’intera organizzazione criminale e non solo di un singolo appartenente (26 Vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 27 ottobre 2005, Turco; Cass. Pen. Sez. VI, 15 ottobre 2003, Mesi; Cass. Pen. Sez. VI, 9 giugno 1997, Arcuni). Anche il consesso di legittimità in altre decisioni ha seguito medesima strada di pensiero.

Ancora in tema di associazione di stampo mafioso, affinché risulti integrato il concorso esterno (artt. 110 c.p. e 416-bis) piuttosto che il meno grave delitto di favoreggiamento, è necessario – per giurisprudenza costante – che il soggetto, pur non essendo stabilmente inserito nella struttura organizzativa dell’associazione, operi sistematicamente con gli associati fornendo in tal modo uno specifico e concreto contributo ai fini della conservazione e del rafforzamento dell’associazione. I Giudici di legittimità hanno così ritenuto configurabile il delitto concorso esterno, piuttosto che il meno grave delitto di favoreggiamento, nella condotta di soggetti che avevano curato la trasmissione di c.d. pizzini tra uno dei capi dell’associazione mafiosa, latitante da lungo tempo, ed un rappresentante di spicco della stessa, detenuto, garantendo agli esponenti di vertice di “Cosa Nostra” di mantenere la gestione dell’associazione anche in tali situazioni di difficoltà (Cass. Pen. Sez. I, 22 novembre 2006, Alfano; Cass. Pen. Sez. VI, 26 novembre 2009 n. 2533).

Altra questione controversa in giurisprudenza riguarda il rapporto intercorrente tra il reato di favoreggiamento personale e quello di assistenza agli associati (art. 418 c.p.). Parte della giurisprudenza ha individuato il criterio discretivo nella finalità e negli effetti della condotta di aiuto, ritenendo integrato il delitto di assistenza agli associati qualora il soggetto fornisca rifugio o vitto agli associati se non sono ancora in corso le ricerche da parte dell’autorità  (Vedi: Cass. Pen. Sez. VI, 3 marzo 2004, in: Mass. Uf ., n. 17704) sezione della Corte, secondo il quale è configurabile il reato di favoreggiamento personale anche nel caso di aiuto fornito al colpevole di un delitto a sottrarsi a investigazioni che non siano ancora in atto (29 Vedi: Cass. Pen., Sez. VI, 30 ottobre 2008, in: Mass.Uf ., n. 43774; Cass. Pen, Sez. VI, 8 marzo, in: Mass. Uf ., 2007 n. 28639).

Come già accennato riguardo ai rapporti con il reato di false informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis c.p.), la giurisprudenza è concorde nel ritenere tale fattispecie un’ipotesi specifica di reato rispetto al favoreggiamento personale (Cass. Pen. Sez. VI, 17 febbraio 2000).

7. Fatto e conclusioni
 

Fermo a Palermo avvenuto il 16 gennaio 2023 dell’ultimo stragista responsabile delle stragi dei magistrati G. Falcone e P. Borsellino, del 1992-1993 (Capaci- via d’Amelio) e tante altre antecedenti collegate a fatti di mafia.

Il Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia ha dichiarato (in: reti locali: palermotoday.it; la Stampa.it; RepubblicaTV; antimafiaduemila.com) che il debito che la Repubblica italiana aveva con le vittime della mafia in parte è stato saldato con tale arresto, naturalmente non si può parlare di mafia definitivamente sconfitta sarebbe erroneo pensarlo ma sicuramente ha subito anch’essa un forte terremoto all’interno delle organizzazioni di vertice se non la matrice pura ed originaria.

La presenza di Matteo Messina Denaro, è stata intercettata in un day hospital della clinica Maddalena del capoluogo siciliano. Clinica specializzata in cure oncopatologiche; accoglieva tra i pazienti in trattamento il boss M. M. Denaro il quale da un anno eseguiva protocollo terapeutico sotto falsa identità. Il nucleo speciale dei carabinieri del Ros, hanno individuato ed arrestato il boss, altro sodale definito il figlio di don Ciccio ed un uomo fidatissimo di Totò Riina chiamato u curtu da appellativi gergali siciliani. Il capo-mandamento non ha opposto alcuna resistenza durante l’esecuzione dell’arresto, anzi, ha dichiarato la vera identità al carabiniere che domandava le generalità della sua persona.

Termina con tale arresto la latitanza del capo mafia di Castelvetrano, piccolo comune in provincia di Trapani: latitanza che si protraeva ininterrottamente dal 1993, terminata con successo dopo l’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo De Lucia e dal procuratore aggiunto dr. Paolo Guido, che hanno provveduto anche all’arresto immediato del fiancheggiatore Giovanni Luppino autista “fedele” del boss. Nelle dichiarazioni rese pubbliche dalla Procura è stato sottolineato il fatto che: “il boss è un uomo con evidenti coperture sulle quali si continuano a svolgere indagini, si acquisiscono documenti, si individuano soggetti coinvolti” nella ricerca più completa di determinare la rete che lo ha coperto fino a tal periodo di sottrazione alla giustizia.

Matteo Messina Denaro si era recato nella clinica de qua, dove si presentava con il nome di Andrea Bonafede, nato il 23 ottobre 1963; Si sottoponeva a terapie oncologiche, ha confermato il comandante del Ros dei carabinieri Pasquale Angelosanto dopo l’arresto, compiuto dagli uomini del raggruppamento speciale assieme a quelli del Gis e dei comandi territoriali.

Vestiario di lusso, profumi di ricercata nuance, arredamento di stile tutto quanto definito anche dagli investigatori di indubbia ricercatezza; Nessuna arma in detenzione. E’ come si presenta la dimora di un benestante uomo di mezza età, in una via di Campobello di Mazara nel cuore della provincia di Trapani in Sicilia: distanziato di poco oltre i dieci minuti da Castelvetrano, paese d’origine della famiglia Denaro. In una minuta via, denominata Via Cb 31 oggi chiamata San Vito, i carabinieri del Ros e la procura di Palermo, hanno individuato ed accertato il covo del boss Denaro, arrestato il 16 gennaio 2023 e ristretto nel carcere dell’ Aquila in regime di 41bis firmato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.

In tale ricostruzione fattuale di quanto accaduto storicamente come zampata all’ “ingiustizia qualificata” che ancora oggi permea i settori investigativi e pre-procedurali italiani, è da sottolineare ciò che deve mantenere negli aspetti strutturali di diritto una solida differenziazione. Si tratta della distinzione tra: associazione mafiosa ex art. 416 bis c.p., e favoreggiamento personale ex art. 378 c.p.. che consiste prevalentemente nell’ atteggiamento posto dal soggetto attivo nei riguardi dell’ associazione, e ciò viene valutato in considerazione dell’ elemento soggettivo del reato, con riferimento anche ad una valutazione ex post della condotta del reo, per cui il soggetto interagendo in modalità organica e sistematica, consapevolmente, con gli associati al fine di depistare le indagini di polizia, volte a reprimere l’attività dell’associazione o a perseguire i relativi membri, risponde del reato associativo in quanto la propria condotta, valutata successivamente alla sua attuazione, può dirsi concreta per consolidare, rafforzare ed incrementare la potenza criminale del sodalizio.

Si configura la fattispecie penale di favoreggiamento personale art. 378 c.p., nelle ipotesi in cui il soggetto, disinteressandosi dal perseguire qualsiasi interesse criminale, e non partecipando all’attività delittuosa dell’ente, aiuta in maniera sporadica ed occasionale un consociato, resosi autore di reati rientranti o meno nell’attività prestabilita dal vincolo associativo, ad eludere le operazioni investigative e di ricerca dell’Autorità di polizia.

On the relations between active participation in mafia association, personal assistance and external participation in mafia: applicative practice and judgement law.

La linea interpretativa viene dettata dalla Suprema Corte di Cassazione a SS. UU., sentenza Mass. Uff., n. 33748, del 12 luglio 2005; poi seguita dalla sez. I, Mass. Uff., n. 1470, del 11 dicembre 2007, dove si afferma: “la condotta di partecipazione mafiosa è riferibile solo a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, si da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi così come è altresì noto che, sul piano probatorio, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio purché si tratti di indizi gravi e precisi, come ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti scopo, oltre a molteplici e significativi facta concludentia idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico lasso temporale considerato dall’imputazione (Cass., sez. I, 12/12/2007, in: Mass. Uff., n.!470) fermo restando che, la messa a disposizione dell’organizzazione criminale, rilevante ai fini della prova dell’adesione, non può risolversi nella mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand’anche di livello apicale, al servizio di loro interessi, particolari ma deve essere incondizionatamente rivolta al sodalizio, ed essere di natura ed ampiezza tali da dimostrare l’adesione permanente e volontaria ad esso per ogni fine illecito suo proprio (Cass., sez. I, del 07/giugno 2011, in: Mass. Uff., n.26331).

Stabilisce ancora la Suprema corte che: “il delitto di partecipazione mafiosa si distingue da quello di favoreggiamento in quanto nel primo il soggetto interagisce organicamente e sistematicamente con gli associati, quale elemento della struttura organizzativa del sodalizio criminoso, anche al fine di depistare le indagini di polizia volte a reprimere l’attività dell’associazione o a perseguire i partecipi mentre, nel secondo, egli aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o meno nell’attività prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alle ricerche di questa ( Cass., sez. I, del 13 aprile 2018, in: Mass. Uff., n. 43249).

Quanto detto vale a buon governo per inquadrare le posizioni soggettive di quanti sono responsabili nella vicenda illustrata per rispondere agli ordinati principi, sia nel sussumere la condotta dell’imputato principe, sia di quanti indagati nella ricostruzione della piattaforma gravemente indiziaria dei potenziali favoreggiatori/conoscitori di quanto avveniva nella clinica di riferimento.

8. Aspetti tecnici chiarificatori
 

In definitiva la Cassazione a SS. UU., 30 ottobre 2003, (Mass. Uff., n. 22327) ha chiarito che: il concorrente esterno all’associazione mafiosa, è colui i quale, pur non facendo parte all’associazione ed essendo privo dell’ “affectio societatis”, cioè a dire di quell’intenso vincolo che lega gli associati, apporta alla stessa un supporto, sia esso durevole o saltuario, tale per cui l’associazione possa dirsi rafforzata o semplicemente mantenuta ferma nelle sue prerogative, sempre che l’agente si rappresenti e voglia che questo accada.

In tema poi di valutazione della condotta, il Supremo Consesso, facendo proprio l’iter logico-giuridico proposto nel 2003, ha specificato che il contributo del concorrente “atipico” debba essere tale da risultare, sulla base di una valutazione ex post, effettivamente condizionante le dinamiche dell’associazione e la realizzazione dei propositi criminosi. Il contributo al vincolo associativo del concorrente deve necessariamente riguardare la partecipazione al pactum sceleris, ad una societas sceleris.

Bibliografia:

 

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