Organizzazione Empatica
Nella sua essenza l’empatia viene definita come la “…capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro” (Treccani, Enciclopedia).
È parola sempre più utilizzata a esprimere una situazione in cui un soggetto riesce a porsi in ascolto dell’altro offrendo la percezione di essere effettivamente ascoltati e, magari, compresi.
Si esprime attraverso il linguaggio verbale, silenzio incluso, la postura e tutta quella serie di segnali che fanno della comunicazione umana una realtà unica.
È un termine in genere impiegato per caratterizzare una singola persona, quella che dimostra questa capacità.
Molto raramente viene utilizzato per identificare un intero sistema, azienda od istituzione come forme organizzative.
È possibile dare un significato al connubio organizzazione ed empatia? Ed in cosa consiste?
Partiamo dalla fine: l’organizzazione empatica è la vera sfida per i manager di aziende ed istituzioni del prossimo futuro, per costruirle o per modificarle.
Il concetto descrive una forma di aggregazione di persone orientate ad ottenere con volontarietà un obiettivo comune altrimenti non raggiungibile isolatamente. L’organizzazione, come viene definita, ha intrinsecamente già una prima connotazione di empatia: se aggregandosi le persone non sono, come gruppo, capaci di comunicare (giustificando) la sua costituzione, l’organizzazione si disgrega automaticamente. È un aspetto dell’empatia che riguarda l’attrazione che l’empatico esercita inizialmente nei confronti dell’altro. Anche solo questo aspetto parziale del significato del termine apre a prospettive manageriali impressionanti: quale immagine l’organizzazione rivela di sé quando incontra gli altri (clienti, fornitori, partner, cittadini, utenti etc.)? È capace la tua organizzazione di ascoltare chi ha di fronte nei processi di selezione del personale, e poi di trattenerlo? Il senso di empatia che esprime crea nei fatti la fiducia nella relazione necessaria allo svolgimento delle varie attività (solo come esempio, cattura potenziali finanziatori, attrae e trattiene i clienti)?
Nel quotidiano la capacità di ascolto e di reazione a ciò che accade amplifica o riduce l’effetto empatia dell’organizzazione. Una organizzazione che di fronte a una varianza operativa l’assorbe nel sistema dei suoi processi sviluppando una nuova soluzione e risolvendo la varianza (cioè ascolta ed agisce positivamente) amplifica il feeling empatico; l’organizzazione che rimbalza la varianza, non dimostra la possibile flessibilità nelle sue risposte (cioè non ascolta perché in ascolto del sé, i processi interni), riduce il grado di apprezzamento (eufemismo) nei suoi confronti.
L’organizzazione che investe sullo sviluppo a tutto tondo è frequentata da persone sorridenti (effetto anche dell’empatia culturalmente diffusa); l’organizzazione che si chiude alle novità e si arrocca sul suo quotidiano di solito mostra facce tristi, turnover elevati o grado di acquiescenza alle conformità parossistico (effetto resilienza da sfinimento).
Quindi si dovrebbe investire per costruire sempre più organizzazioni empatiche. Ma abbiamo un problema. Se è vero che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale ma è parte del corredo genetico della specie (dalla evoluzione della specie darwiniana ai neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolati), allora le tante organizzazioni “indifferenti” (non empatiche) che incontriamo, non saranno mica aggregazioni di persone non empatiche, o semplicemente acquiescenti?
La sfida per i manager lungimiranti diventerebbe ancora più gravosa.