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La riconoscibilità dell'errore nell'annullamento del contratto

tramonto di ombre vaganti
Ph. Giacomo Martini / tramonto di ombre vaganti

La riconoscibilità dell'errore nell'annullamento del contratto


L’art. 1428 c.c., a norma del quale l’annullamento del contratto a causa di errore si può chiedere solo nel caso in cui questo sia riconoscibile dall’altro contraente, contrasta con l’art. 96 c.p.c.

The art. 1428 of the Civil Code, according to which the cancellation of the contract due to an error can be requested only if this is recognizable by the other contracting party, is in contrast with art. 96 c.p.c. .

 L’art. 1431 c.c., il quale stabilisce che l’annullamento del contratto nel caso di errore si può chiedere solo se quest’ultimo è riconoscibile dall’altro contraente in base alla normale diligenza, e non prevede che al fine del riconoscimento dell’errore debba essere adottato un grado di diligenza superiore al normale, contrasta con l’art. 1338 c.c. .

The art. 1431 of the civil code, which establishes that the cancellation of the contract in the event of an error can be requested only if the latter is recognizable by the other contracting party on the basis of normal diligence, and does not provide that in order to recognize the error it must be adopted a higher than normal degree of diligence, conflicts with the art. 1338 of the civil code .

In base all’art. 1338 c.c., anche in capo al terzo di cui all’art. 1394 c.c. vi è comunque un onere di diligenza “rinforzato”, il quale rende assai difficile configurare ipotesi nelle quali il conflitto di interessi del rappresentante con il rappresentato non sia agevolmente riconoscibile da parte del terzo stesso.

Based on the art. 1338 of the Civil Code, also by the third party pursuant to art. 1394 of the civil code however, there is a "reinforced" duty of care, which makes it very difficult to configure hypotheses in which the conflict of interest of the representative with the represented is not easily recognizable by the third party itself.


A norma dell’art. 1429 c.c., una delle cause di annullamento del contratto è “l’errore di diritto”, consistente nel fatto che la parte, sulla base di un’errata interpretazione della legge disciplinante il contratto, ha ritenuto di dover eseguire una prestazione alla quale in realtà essa non era tenuta oppure di dover rinunciare ad un diritto che invece le spettava.

Ai sensi dell’art. 1428 c.c., l’errore, di qualunque tipo esso sia (quindi anche l’errore di diritto), per poter legittimare la parte a chiedere l’annullamento del contratto, deve essere stato “riconoscibile dall’altro contraente”.

Dalla norma, pertanto, si desume che, se l’errore, e cioè il motivo di impugnazione, non era riconoscibile dall’altro contraente, la parte non può domandare l’annullamento, ossia non può chiedere al Giudice la tutela dei propri diritti contrattuali.

Ciò equivale a dire: la parte, prima di impugnare, deve sincerarsi del fatto che la controparte, verso cui l’impugnazione viene proposta, condivida sostanzialmente il motivo di impugnazione, riconoscendolo come sussistente e quindi in pratica “dando ragione alla parte”.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

L’art. 1428 c.c., stabilendo che la parte può impugnare solo se la controparte riconosce come sussistente il motivo di impugnazione, fissa un principio che risulta di difficile attuazione, in quanto la controparte, proprio perché ha anch’essa riconosciuto come valide le ragioni dell’impugnazione che la parte intende proporre, avrà tutto l’interesse ad evitare che la parte impugni. La controparte, proprio per il fatto di aver riconosciuto come fondato il motivo dell’impugnazione che l’altra parte intende proporre, avrà tutto l’interesse ad evitare l’instaurarsi del contenzioso giurisdizionale, preferendo tentare semmai la strada della transazione, ossia cercando di venire incontro alle esigenze che la parte intenderebbe tutelare mediante l’azione giudiziale. Essa, dove dovesse accettare di essere citata a giudizio, molto probabilmente andrebbe incontro anche ad una condanna alle spese per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., ossia per aver resistito con dolo o colpa grave, laddove sia il dolo che la colpa grave sono ravvisabili proprio nel già avvenuto riconoscimento, e quindi dell’avvenuta condivisione, dell’errore, ossia del motivo d’impugnazione.

L’art. 1431 c.c. specifica che “l'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo”.

La norma parla di errore che avrebbe potuto essere riconosciuto dalla controparte usando l’ordinaria diligenza.

Di conseguenza, nel caso in cui si tratti di errore che non avrebbe potuto essere riconosciuto con l’ordinaria diligenza in quanto, ai fini di tale riconoscimento, sarebbe stato necessario usare un grado di diligenza superiore a quella normale, l’annullamento del contratto non potrebbe mai essere chiesto.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

Ai sensi dell’art. 1338 c.c.,la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”.

Tizio vorrebbe chiedere l’annullamento del contratto per essere incorso in un errore di diritto, ma la controparte Caio sostiene che tale errore non fosse da lui riconoscibile. Ma l’art. 1338 c.c. stabilisce un obbligo di diligenza, buona fede e correttezza a carico di entrambe le parti del rapporto, e quindi anche Caio avrebbe dovuto diligentemente verificare se tale errore fosse o meno sussistente. Mentre l’art. 1429 c.c. parla di errore che una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevare, l’art. 1338 c.c. stabilisce “il dover conoscere” la causa di invalidità del contratto, e quindi impone alla controparte, di verificare l’esistenza della suddetta causa (nel qual caso, l’errore di diritto) adottando un grado di diligenza superiore a quello “normale”.

Pertanto, anche dal punto di vista probatorio, la controparte, per poter dimostrare che l’errore di diritto non fosse da lui riconoscibile, dovrà comunque fornire un’adeguata prova, non essendo per essa sufficiente sostenere di aver adottato la “normale diligenza”.

L’art. 1338 c.c. è disciplinato nell’ambito della parte riservata ai “requisiti del contratto”, e, segnatamente, in quella riguardante l’ “accordo delle parti”. L’accordo, ai sensi dell’art. 1325 c.c., costituisce uno degli elementi essenziali del contratto. Pertanto, è vero che l’art. 1431 c.c., ossia la norma specifica che disciplina l’azione di annullamento, prevede, ai fini dell’esperibilità di tale azione, la riconoscibilità dell’errore in base alla normale diligenza, ma è anche vero che l’art. 1338 c.c., la quale è norma generale in materia di contratti, prescrive un obbligo di “dover conoscere” l’esistenza della causa di invalidità, ossia l’errore di diritto, e quindi tale obbligo implica e presuppone l’utilizzazione di un grado di diligenza superiore al normale.

Di conseguenza, l’art. 1431 c.c. contrasta con l’art. 1338 c.c. .

Una norma che apparentemente sembrerebbe avere dei punti di contatto con l’art. 1431 c.c., è quella contenuta nell’art. 1394 c.c., il quale, nel disciplinare il potere di rappresentanza, così dispone: “il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.

Anche l’art. 1394 c.c. prevede, quale condizione per chiedere l’annullamento del contratto, il requisito della riconoscibilità. Le differenze rispetto all’art. 1431 c.c. sono che, nel caso dell’art. 1394 c.c., l’oggetto della “riconoscibilità” è non l’errore di diritto bensì il conflitto di interessi, e che il soggetto a cui viene attribuita tale riconoscibilità è non la controparte ma un terzo.

Per quanto riguarda il primo aspetto, il rappresentante potrebbe aver agito contro gli interessi del rappresentato non necessariamente con dolo (ossia con il deliberato intento di ledere gli interessi del rappresentato), ma semplicemente perché, anche in tal caso (come in quello di cui all’art. 1431 c.c.), egli ha erroneamente male interpretato una clausola del contratto posto in essere con il terzo, ritenendo (appunto, per errore di diritto) che il rappresentato, per poter beneficiare degli effetti di tale contratto, dovesse necessariamente eseguire una certa prestazione oppure concedere al terzo un qualcosa che invece, secondo legge, non erano affatto dovuti. Quindi, teoricamente anche il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato potrebbe derivare dall’errore di diritto di cui all’art. 1431 c.c. .

Per quanto riguarda il secondo aspetto, nella fattispecie di cui all’art. 1394 c.c. a dover riconoscere il suddetto errore è non già la controparte bensì il terzo. Ma il terzo qui chi è? E’ colui il quale contrae con il rappresentante, e quindi egli riveste la qualità di “controparte” del rappresentante, a differenza di quel che accade, p.es., nel contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.), nel quale il terzo non è il contraente ma soltanto il beneficiario della prestazione eseguita dal promittente.

Di conseguenza, anche nel caso dell’art. 1394 c.c. la riconoscibilità è onere dell’ “altro contraente”, come nel caso dell’art. 1431 c.c. .

Ebbene, mentre l’art. 1431 c.c. fornisce una definizione di “riconoscibilità”, ossia l’errore è riconoscibile quando una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo, l’art. 1394 c.c. invece, quando parla di “riconoscibilità” da parte del terzo, non detta alcuna definizione in merito.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

Il “terzo“ sa benissimo che gli effetti del contratto da egli concluso con il rappresentante si produrranno nei confronti del rappresentato, e quindi, anche se non è il contraente diretto del rappresentato, ha anch’egli l’onere di segnalare al rappresentante che questi sta incorrendo in un errore di interpretazione delle clausole contrattuali, errore che potrebbe andare a ledere gli interessi del rappresentato.

Ciò soprattutto perché si sta parlando di un mandato con rappresentanza, nel quale cioè il mandatario (rappresentante) agisce non solo per conto ma anche in nome del rappresentato.

Pertanto, anche in merito al contratto concluso dal rappresentante, va applicato l’art. 1338 c.c., e cioè il terzo, proprio perché conosce l’interesse del rappresentato, deve verificare con molta attenzione che il rappresentante non stia agendo contro gli interessi del primo, e pertanto, in tale verifica, dovrà necessariamente adottare un grado di diligenza superiore al normale, perché è solo così che la sua buona fede risulterà dimostrata. Tanto più che, ai sensi dell’art. 1393 c.c., “il terzo che contratta col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata”.

Quindi, in base all’art. 1338 c.c., anche in capo al terzo di cui all’art. 1394 c.c. vi è comunque un onere di diligenza “rinforzato”, il quale rende assai difficile configurare ipotesi nelle quali il conflitto di interessi del rappresentante con il rappresentato non sia agevolmente riconoscibile da parte del terzo stesso.