La prova della tempestività dell’opposizione in caso di decreto ingiuntivo notificato a mezzo posta
Ove il decreto ingiuntivo sia stato notificato a mezzo posta, in difetto di ulteriori elementi di riscontro, non è consentito al giudice, con rilievo ex officio in sede di opposizione, inferire l’omesso rispetto del termine perentorio di cui all’art. 641 c.p.c. sul fondamento della mancata produzione, da parte dell’opponente, della busta recante il decreto notificato, in quanto su detta busta figura la sola data di smistamento presso l’ufficio postale, non anche quella dell’effettivo recapito al destinatario.
2. Il caso
Un istituto bancario adiva, con ricorso per ingiunzione di pagamento, il Tribunale di Roma per far valere la pretesa di una somma a titolo fideiussorio, in relazione ad una fideiussione concessa dal signor P. a garanzia dell’esposizione debitoria di un ente giuridico. Ritualmente notificatogli a mezzo posta il provvedimento monitorio, l’intimato proponeva opposizione al Tribunale di Roma, il quale dichiarava inammissibile la domanda proposta in rapporto all’art. 641 c.p.c., per omesso rispetto del termine di quaranta giorni ivi previsto.
L’ingiunto impugnava dinanzi alla Corte d’Appello territoriale la pronuncia di inammissibilità, la quale veniva confermata dal giudice di seconde cure. L’appellante evidenziava come il rispetto del termine di quaranta giorni fosse ricavabile dal lasso di tempo intercorso tra la data di spedizione del plico e quella di notifica della citazione in opposizione (la prima del 22 febbraio 2000, la seconda del 7 aprile 2000), citazione di cui, peraltro, controparte mai aveva eccepito la tardività.
In pronuncia, benché la Corte d’Appello desse atto che il rispetto del termine previsto dall’art. 641 c.p.c. possa essere ricavato anche da elementi diversi dalla disamina della copia notificata del decreto opposto, si ritenevano non ricorrenti, nella specie, elementi concreti e non equivoci da cui poter dedurre la tempestività dell’opposizione, tale non ritenendosi neppure il contegno processuale tenuto dall’intimante.
Nuovamente soccombente, l’intimato proponeva ricorso per Cassazione deducendo due motivi di nullità della sentenza: 1) violazione o falsa applicazione delle vigenti norme in tema di notificazione a mezzo del servizio postale (art. 149 c.p.c. e L. n. 890/1982); 2) omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti.
3. La decisione
La Suprema Corte, con la sentenza in esame, ribadisce anzitutto alcuni principi fondamentali in tema di notificazioni che siano effettuate a mezzo del servizio postale. In particolare, viene chiarito che – ove si proceda a siffatta forma di notificazione – l’unico riscontro dell’avvenuto recapito al destinatario e della correlativa data è offerto dall’avviso di ricevimento, che è onere del notificante produrre in giudizio.
Con riguardo al giudizio di opposizione nel procedimento monitorio, riaffermato che il rilievo della tardività - in quanto previsto da norme cogenti - è doveroso per il giudice, la Corte osserva che compete all’attore provare la tempestività dell’opposizione proposta. Se, in genere, la prova della tempestività è data a mezzo della relata di notifica apposta in calce alla copia notificata del provvedimento monitorio, da depositarsi a cura dell’opponente, la Corte chiarisce che il rispetto dei termini perentori possa anche desumersi da elementi diversi. Per l’effetto, il giudice dell’opposizione, dovrà escludere la tardività in tutti quei casi in cui l’osservanza del termine decadenziale possa essere ricavata da altri elementi sicuri, tali essendo anche le ammissioni recate negli atti difensivi dell’opposto.
La Corte di Cassazione, mediante riscontro degli atti processuali, attesta che, nel caso sottopostole, la banca non aveva mai eccepito la tardività dell’opposizione e non risultava acquisito agli atti alcun avviso di ricevimento, avviso che solo la banca era in condizione di poter depositare. Non era perciò possibile per il giudice di merito, in mancanza del predetto avviso, accertare l’esatta data di perfezionamento della notificazione. Così stando le cose, neppure l’eventuale produzione della busta da parte dell’opponente avrebbe consentito di risalire alla data della notifica.
Tanto chiarito, la Corte accoglie il ricorso, ritenendo illegittimo il rilievo d’ufficio dell’inammissibilità dell’opposizione da parte del giudice di merito. Tanto giustifica in quanto la Corte d’Appello di Roma aveva fondato il rilievo di tardività mediante addebito all’opponente del difetto di prova circa la tempestività dell’iniziativa giudiziaria intrapresa, irragionevolmente imputandogli il mancato deposito di una prova documentale alla cui produzione era comunque impossibilitato (l’avviso di ricevimento) o la mancata produzione di un documento comunque non decisivo al fine predetto (la busta recante il provvedimento monitorio). La Corte d’appello capitolina, inoltre, colpevolmente aveva negato giuridico pregio al contegno processuale della banca ingiungente, la quale mai aveva eccepito la tardività della domanda nel corso del giudizio ove era stata convenuta.
Ove il decreto ingiuntivo sia stato notificato a mezzo posta, in difetto di ulteriori elementi di riscontro, non è consentito al giudice, con rilievo ex officio in sede di opposizione, inferire l’omesso rispetto del termine perentorio di cui all’art. 641 c.p.c. sul fondamento della mancata produzione, da parte dell’opponente, della busta recante il decreto notificato, in quanto su detta busta figura la sola data di smistamento presso l’ufficio postale, non anche quella dell’effettivo recapito al destinatario.
2. Il caso
Un istituto bancario adiva, con ricorso per ingiunzione di pagamento, il Tribunale di Roma per far valere la pretesa di una somma a titolo fideiussorio, in relazione ad una fideiussione concessa dal signor P. a garanzia dell’esposizione debitoria di un ente giuridico. Ritualmente notificatogli a mezzo posta il provvedimento monitorio, l’intimato proponeva opposizione al Tribunale di Roma, il quale dichiarava inammissibile la domanda proposta in rapporto all’art. 641 c.p.c., per omesso rispetto del termine di quaranta giorni ivi previsto.
L’ingiunto impugnava dinanzi alla Corte d’Appello territoriale la pronuncia di inammissibilità, la quale veniva confermata dal giudice di seconde cure. L’appellante evidenziava come il rispetto del termine di quaranta giorni fosse ricavabile dal lasso di tempo intercorso tra la data di spedizione del plico e quella di notifica della citazione in opposizione (la prima del 22 febbraio 2000, la seconda del 7 aprile 2000), citazione di cui, peraltro, controparte mai aveva eccepito la tardività.
In pronuncia, benché la Corte d’Appello desse atto che il rispetto del termine previsto dall’art. 641 c.p.c. possa essere ricavato anche da elementi diversi dalla disamina della copia notificata del decreto opposto, si ritenevano non ricorrenti, nella specie, elementi concreti e non equivoci da cui poter dedurre la tempestività dell’opposizione, tale non ritenendosi neppure il contegno processuale tenuto dall’intimante.
Nuovamente soccombente, l’intimato proponeva ricorso per Cassazione deducendo due motivi di nullità della sentenza: 1) violazione o falsa applicazione delle vigenti norme in tema di notificazione a mezzo del servizio postale (art. 149 c.p.c. e L. n. 890/1982); 2) omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti.
3. La decisione
La Suprema Corte, con la sentenza in esame, ribadisce anzitutto alcuni principi fondamentali in tema di notificazioni che siano effettuate a mezzo del servizio postale. In particolare, viene chiarito che – ove si proceda a siffatta forma di notificazione – l’unico riscontro dell’avvenuto recapito al destinatario e della correlativa data è offerto dall’avviso di ricevimento, che è onere del notificante produrre in giudizio.
Con riguardo al giudizio di opposizione nel procedimento monitorio, riaffermato che il rilievo della tardività - in quanto previsto da norme cogenti - è doveroso per il giudice, la Corte osserva che compete all’attore provare la tempestività dell’opposizione proposta. Se, in genere, la prova della tempestività è data a mezzo della relata di notifica apposta in calce alla copia notificata del provvedimento monitorio, da depositarsi a cura dell’opponente, la Corte chiarisce che il rispetto dei termini perentori possa anche desumersi da elementi diversi. Per l’effetto, il giudice dell’opposizione, dovrà escludere la tardività in tutti quei casi in cui l’osservanza del termine decadenziale possa essere ricavata da altri elementi sicuri, tali essendo anche le ammissioni recate negli atti difensivi dell’opposto.
La Corte di Cassazione, mediante riscontro degli atti processuali, attesta che, nel caso sottopostole, la banca non aveva mai eccepito la tardività dell’opposizione e non risultava acquisito agli atti alcun avviso di ricevimento, avviso che solo la banca era in condizione di poter depositare. Non era perciò possibile per il giudice di merito, in mancanza del predetto avviso, accertare l’esatta data di perfezionamento della notificazione. Così stando le cose, neppure l’eventuale produzione della busta da parte dell’opponente avrebbe consentito di risalire alla data della notifica.
Tanto chiarito, la Corte accoglie il ricorso, ritenendo illegittimo il rilievo d’ufficio dell’inammissibilità dell’opposizione da parte del giudice di merito. Tanto giustifica in quanto la Corte d’Appello di Roma aveva fondato il rilievo di tardività mediante addebito all’opponente del difetto di prova circa la tempestività dell’iniziativa giudiziaria intrapresa, irragionevolmente imputandogli il mancato deposito di una prova documentale alla cui produzione era comunque impossibilitato (l’avviso di ricevimento) o la mancata produzione di un documento comunque non decisivo al fine predetto (la busta recante il provvedimento monitorio). La Corte d’appello capitolina, inoltre, colpevolmente aveva negato giuridico pregio al contegno processuale della banca ingiungente, la quale mai aveva eccepito la tardività della domanda nel corso del giudizio ove era stata convenuta.