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L’accettazione dell’eredità

L’APERTURA DELLA SUCCESSIONE

Il libro secondo del codice civile si apre con una disposizione che sancisce quali debbano essere il momento ed il luogo dell’apertura della successione. In particolare è sancito nell’art. 456 c.c. che “la successione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto”.

La legge attribuisce rilevanza alla determinazione del momento e del luogo dell’apertura della successione al fine di rendere agevole l’individuazione della legge applicabile e della competenza territoriale per le cause ereditarie derivanti dalla successione stessa.

Al momento dell’apertura della successione vi è la vocatio all’eredità, ossia l’indicazione di colui che è chiamato all’eredità. Quest’ultimo potrà acquistare il titolo di erede mediante l’accettazione dell’eredità.

L’accettazione può essere impugnata per violenza o dolo ma non, invece, per errore.

L’ACCETTAZIONE

a. in generale:

L’art. 459 c.c. sancisce che l’eredità si acquista mediante accettazione e che, se manifestata, la stessa si intende espressa sin dal momento dell’apertura della successione (efficacia retroattiva dell’accettazione).

«La delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria da parte del chiamato anche l’accettazione mediante "aditio" oppure per effetto di "pro herede gestio" oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c. Pertanto, spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", l’onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede» (Tribunale Bari, sez. II, 8 febbraio 2011, n. 426).

L’accettazione, a differenza del testamento, non è atto personalissimo, ma può essere manifestata anche da rappresentante con procura speciale.

Il diritto di accettare l’eredità si prescrive trascorsi dieci anni dal momento dell’apertura della successione (art. 480 c.c.). Tuttavia, ai sensi dell’art. 481 c.c. è nella facoltà di chiunque vi abbia interesse di proporre azione interrogatoria, ossia di chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine più breve rispetto a quello decennale, entro il quale il chiamato debba dichiarare l’accettazione o la rinuncia all’eredità. Trascorso inutilmente tale termine, il chiamato perde il diritto di accettare. Il termine di prescrizione inferiore a quello di dieci anni può essere stabilito anche dal testatore.

«Se deve escludersi che la prescrizione del diritto di accettare l’eredità sia soggetta a cause di interruzione con specifico riferimento ad atti provenienti dal titolare del diritto indicati dall’art. 2943 c.c., alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche quanto al riconoscimento del diritto suddetto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere ex art. 2944 c.c. Nel caso di diritti potestativi - nel cui novero deve essere compreso quello che consiste nella facoltà del chiamato di acquistare la qualità di erede mediante una propria unilaterale manifestazione espressa o tacita di volontà - infatti, la cessazione dello stato di inerzia da parte del titolare del diritto può conseguire solo al compimento dello specifico atto che ne costituisce a un tempo l’esercizio e la piena attuazione, essendo inconferente il formulare intenzioni a (e, correlativamente il ricevere riconoscimenti da) chi non è tenuto ad alcun comportamento, in quanto è destinato a subire gli effetti che quell’atto produce».(Cassazione civile, sez. II, 3 marzo 2009, n. 5111)

L’accettazione dell’eredità può essere pura e semplice o con beneficio di inventario. Quest’ultima comporta la non confusione dei patrimoni del defunto e dell’erede. Con evidenti conseguenze. In primis, l’erede che abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario non é tenuto al pagamento dei debiti del defunto oltre l’attivo ereditario.

Lo stesso principio non è applicabile in caso di accettazione pura e semplice, a seguito della quale, appunto, la confusione dei due patrimoni comporta che l’erede risponde dei debiti del dante causa anche con il proprio patrimonio.

«A norma dell’art. 475 c.c., l’atto pubblico o la scrittura privata in cui il chiamato all’eredità assume il titolo di erede deve consistere in un atto scritto che provenga personalmente dal chiamato stesso o nella cui formazione questi abbia avuto parte; ne consegue che non comporta accettazione dell’eredità la mera circostanza che l’erede abbia sottoscritto la relazione di notificazione di un atto giudiziario a lui notificato «nella qualità di erede» (Cassazione civile, sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4426).

È nulla l’accettazione parziale o sottoposta a condizione o termine.

Ed infine, non è prevista l’azione surrogatoria dei creditori dell’erede per quanto attiene il diritto di accettare.

«In tema di esercizio dell’azione di riduzione di cui all’art. 546 c.c., il legittimario pretermesso è chiamato alla successione per la morte del "de cuius", potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione. Pertanto, la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario stabilita dall’art. 564, comma 1, c.c. per l’esercizio dell’azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede (per disposizione testamentaria o per delazione ab intestato) e non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore. Condizione fondamentale per chiedere la riduzione delle donazioni o delle disposizioni lesive della porzione di legittima è soltanto quella di essere tra le persone indicate dall’art. 557 c.c., e cioè di rivestire la qualità di legittimario, mentre la condizione stabilita dall’art. 564, comma 1, c.c. della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede. Infatti, il legittimario totalmente pretermesso dall’eredità, che impugna per simulazione un atto compiuto dal "de cuius" a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione» (Cassazione civile, sez. II, 11 gennaio 2010 n. 240).

A tutela dei creditori del defunto, il legislatore ha previsto che gli stessi, entro 3 mesi dall’apertura della successione (art. 516 c.c.), possano proporre azione di separazione del patrimonio del defunto e dell’erede, al fine di assicurarsi il soddisfacimento dei crediti a preferenza dei creditori dell’erede e degli altri creditori del defunto che non l’abbiano proposta.

L’azione di separazione non è alternativa rispetto all’accettazione con beneficio di inventario da parte del chiamato.

La separazione è azione a carattere particolare, e cioè vale unicamente sui beni su cui è fatta valere.

La separazione non impedisce ai creditori ed ai legatari che l’hanno esercitata di soddisfarsi anche sui beni dell’erede.

b. Con Beneficio di inventario

L’accettazione con beneficio di inventario è obbligatoriamente espressa e deve essere manifestata mediante dichiarazione ricevuta da notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.

La legge predispone l’obbligo di accettare con beneficio di inventario per gli incapaci, assoluti o relativi, e per le persone giuridiche (con la sola eccezione delle s.p.a.).

L’accettazione deve essere preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario. Qualora il chiamato sia nel possesso dei beni lo stesso deve redigere l’inventario entro 3 mesi (salvo proroga del Tribunale) dal giorno in cui si è aperta la successione, altrimenti lo stesso chiamato viene considerato erede puro e semplice. Lo stesso accade qualora il chiamato nel possesso dei beni e che abbia redatto l’inventario non deliberi l’accettazione o la rinunzia nel termine di 40 giorni.

Qualora il chiamato non sia nel possesso dei beni ereditari lo stesso può fare dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario nel termine di prescrizione di 10 anni.

Una volta manifestata tale accettazione, il soggetto accettante può redigere inventario nel termine di 3 mesi dall’accettazione, salvo proroga del Tribunale. Scaduto inutilmente tale termine, viene considerato erede puro e semplice. Qualora il soggetto che non sia nel possesso dei beni abbia già redatto inventario, l’accettazione deve essere presentata nei 40 giorni successivi, altrimenti perde il diritto di accettare.

«In tema di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, la proroga del termine per il compimento dell’inventario, prevista dall’art 485, comma 1, c.c. e richiamata nel successivo art. 487, può essere concessa una sola volta, onde è perentorio il termine fissato con il provvedimento di proroga» (Cassazione civile, sez. III, 29 gennaio 2010 n. 2033).

Ed inoltre, è rilevante la circostanza che: «In tema di accettazione di eredità con beneficio di inventario, il decreto con il quale il Tribunale rigetta l’istanza di proroga del termine per la redazione dell’inventario non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 cost., in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, esso chiude un procedimento di tipo non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio e non statuisce in via decisoria e definitiva su dette posizioni, stante la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell’art. 742 c.p.c.» (Cassazione civile, sez. II, 8 febbraio 2010, n. 2721).

L’erede con beneficio di inventario, a differenza dell’erede puro e semplice non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre l’attivo ereditario.

Non realizzandosi la confusione dei patrimoni, i creditori del defunto ed i legatari saranno preferiti rispetto ai creditori dell’erede, sul patrimonio ereditario.

L’accettante con beneficio di inventario è amministratore del patrimonio ereditario nell’interesse dei creditori e dei legatari. Lo stesso non può alienare beni senza autorizzazione, altrimenti diventa erede puro e semplice.

c. tacita

L’accettazione pura e semplice può essere manifestata mediante dichiarazione espressa od anche assumendo il titolo di erede (art. 475 c.c.).

Nel nostro ordinamento la volontà di accettare espressa solo verbalmente è irrilevante.

Al contrario, ai fini dell’acquisto dell’eredità, viene data rilevanza al compimento di determinati atti anche in assenza di volontà espressa.

L’unica condizione perché tali atti possano assumere rilevanza giuridica è che il soggetto che li compie sia nella consapevolezza di essere chiamato all’eredità.

Ai sensi dell’art. 476 c.c., si considera accettazione quando il soggetto “chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.

L’atto rilevante non deve, quindi, rispondere alla mera volontà di acquistare l’eredità, anzi prescinde dall’intenzione di diventare erede.

In effetti, l’accettazione è sempre legata alla volontà del chiamato. La stessa tuttavia può essere effettivamente manifestata (nei modi e nelle forme già chiarite) o può essere presunta in base alla rilevanza del comportamento posto in essere.

Anche se, è bene chiarire, vi sono delle ipotesi di accettazione che la legge distingue del tutto da qualsiasi tipo di volontà anche presunta. Tali ipotesi, come già visto, sono l’acquisto del titolo di erede puro e semplice a seguito dell’inutile decorso del termine per redigere l’inventario qualora il chiamato si trovi nel possesso dei beni ereditari; come anche l’accettazione da parte del chiamato che abbia sottratto o nascosto i beni ereditari, il quale infatti decade dalla facoltà di rinunciare e si considera erede puro e semplice anche e nonostante la già manifestata rinuncia. Da ultimo, vi è l’acquisto dell’eredità da parte dello Stato che prescinde completamente dalla volontà, non potendo lo Stato nemmeno rinunciare all’eredità stessa (art. 586 c.c.).

Il legislatore ha enucleato, tipizzandoli, negli artt. 477 e 478, alcuni comportamenti, ai quali consegue automaticamente l’accettazione, presumendo la volontà di accettare del soggetto che li pone in essere.

In particolare, tali comportamenti sono: la donazione, la vendita o la cessione dei propri diritti di successione da parte del chiamato (che deve essere a conoscenza della delazione nei suoi confronti); e come anche la rinunzia ai propri diritti di successione verso corrispettivo o a favore di alcuno soltanto dei chiamati.

«L’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare; ne consegue che, mentre sono inidonei allo scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi» (Cassazione civile, sez. II, 11 maggio 2009, n. 10796).

Sempre confermativa di tale orientamento giurisprudenziale la sentenza della Cassazione civile, sez. II, 03 marzo 2009 n. 5111, nella quale è sancito che: «La mera richiesta di trascrizione di un atto di acquisto relativo a una successione ereditaria, trattandosi di un adempimento caratterizzato da finalità conservative, è privo di rilevanza ai fini di una sua configurazione come accettazione tacita dell’eredità, in quanto inidoneo ad esprimere in modo certo l’intenzione univoca di assumere la qualità di erede».

d. eredità giacente

Si configura l’istituto dell’eredità giacente qualora sussistano tutte le seguenti condizioni:

1) Non sia ancora intervenuta l’accettazione del chiamato all’eredità;

2) Il chiamato non si trovi nel possesso dei beni;

3) Sia stato nominato, su istanza di chi ne ha interesse od anche d’ufficio, un curatore (peraltro la nomina deve essere motivata dal compimento di atti di gestione non rinviabili al momento dell’accettazione).

Il curatore dell’eredità viene nominato dal Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione ed ha funzioni prevalentemente conservative dell’universitas ereditaria. Può anche esercitare funzioni dispositive, ai sensi dell’art. 782 c.p.c., previa autorizzazione da parte del giudice.

Inoltre, ai sensi dell’art. 529 c.c. il curatore è legittimato attivo e passivo per le cause riguardanti l’eredità.

«Il curatore dell’eredità giacente, pur non essendo rappresentante del chiamato all’eredità, è legittimato sia attivamente che passivamente in tutte le cause che riguardano l’eredità, anche quando sia venuta meno la situazione di giacenza, per l’adempimento degli obblighi che attengono al periodo di gestione dell’eredità. Non può quindi considerarsi inesistente la notifica al curatore del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia dell’Entrate in un giudizio avente ad oggetto l’adempimento di obblighi di natura fiscale sorti durante il periodo di giacenza, anche se, dopo la pronuncia della sentenza di appello, sia intervenuta l’accettazione dell’eredità da parte dell’erede» (Cassazione civile, sez. trib., 15 luglio 2009, n. 16428).

La curatela cessa al momento dell’accettazione dell’eredità da parte del chiamato.

LA RINUNZIA

La rinunzia è una dichiarazione unilaterale, non recettizia con la quale il chiamato all’eredità manifesta la propria decisione di non acquistare l’eredità.

La dichiarazione di rinunzia deve avvenire mediante atto ricevuto da notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La dichiarazione deve essere inserita in apposito registro delle successioni.

Come per l’accettazione, la rinunzia non può essere sottoposta a condizione o termine, pena la nullità della dichiarazione.

La rinunzia è retroattiva e si considera come se il rinunziante non sia mai stato chiamato all’eredità.

La rinunzia può essere revocata per tutto il tempo di pendenza del termine di prescrizione del diritto ad accettare e sempre che non vi sia stata accettazione da parte di altri chiamati.

La rinunzia può essere impugnata per violenza o dolo.

«Attese le importanti conseguenze della rinunzia all’eredità - la quale, pertanto, deve avvenire in forma solenne -, il venir meno degli effetti giuridici della rinunzia medesima non può che avvenire con le medesime forme solenni al fine di garantire certezza in ordine alla vicenda successoria; se, dunque, l’accettazione di una eredità non rinunziata in precedenza può avvenire per fatti concludenti, per accettare una eredità in precedenza rinunziata occorre porre nel nulla gli effetti giuridici di un atto formale con un successivo atto formale di revoca implicante accettazione dell’eredità».(Tribunale Verona, sez. I, 09 dicembre 2008)

Qualora il chiamato all’eredità abbia sottratto o nascosto i beni ereditari, lo stesso, ai sensi dell’art. 527 c.c., decade dalla facoltà di rinunziare all’eredità e si considera come se avesse accettato puramente e semplicemente.

Avv. Armando Attolini

L’APERTURA DELLA SUCCESSIONE

Il libro secondo del codice civile si apre con una disposizione che sancisce quali debbano essere il momento ed il luogo dell’apertura della successione. In particolare è sancito nell’art. 456 c.c. che “la successione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto”.

La legge attribuisce rilevanza alla determinazione del momento e del luogo dell’apertura della successione al fine di rendere agevole l’individuazione della legge applicabile e della competenza territoriale per le cause ereditarie derivanti dalla successione stessa.

Al momento dell’apertura della successione vi è la vocatio all’eredità, ossia l’indicazione di colui che è chiamato all’eredità. Quest’ultimo potrà acquistare il titolo di erede mediante l’accettazione dell’eredità.

L’accettazione può essere impugnata per violenza o dolo ma non, invece, per errore.

L’ACCETTAZIONE

a. in generale:

L’art. 459 c.c. sancisce che l’eredità si acquista mediante accettazione e che, se manifestata, la stessa si intende espressa sin dal momento dell’apertura della successione (efficacia retroattiva dell’accettazione).

«La delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria da parte del chiamato anche l’accettazione mediante "aditio" oppure per effetto di "pro herede gestio" oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c. Pertanto, spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", l’onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede» (Tribunale Bari, sez. II, 8 febbraio 2011, n. 426).

L’accettazione, a differenza del testamento, non è atto personalissimo, ma può essere manifestata anche da rappresentante con procura speciale.

Il diritto di accettare l’eredità si prescrive trascorsi dieci anni dal momento dell’apertura della successione (art. 480 c.c.). Tuttavia, ai sensi dell’art. 481 c.c. è nella facoltà di chiunque vi abbia interesse di proporre azione interrogatoria, ossia di chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine più breve rispetto a quello decennale, entro il quale il chiamato debba dichiarare l’accettazione o la rinuncia all’eredità. Trascorso inutilmente tale termine, il chiamato perde il diritto di accettare. Il termine di prescrizione inferiore a quello di dieci anni può essere stabilito anche dal testatore.

«Se deve escludersi che la prescrizione del diritto di accettare l’eredità sia soggetta a cause di interruzione con specifico riferimento ad atti provenienti dal titolare del diritto indicati dall’art. 2943 c.c., alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche quanto al riconoscimento del diritto suddetto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere ex art. 2944 c.c. Nel caso di diritti potestativi - nel cui novero deve essere compreso quello che consiste nella facoltà del chiamato di acquistare la qualità di erede mediante una propria unilaterale manifestazione espressa o tacita di volontà - infatti, la cessazione dello stato di inerzia da parte del titolare del diritto può conseguire solo al compimento dello specifico atto che ne costituisce a un tempo l’esercizio e la piena attuazione, essendo inconferente il formulare intenzioni a (e, correlativamente il ricevere riconoscimenti da) chi non è tenuto ad alcun comportamento, in quanto è destinato a subire gli effetti che quell’atto produce».(Cassazione civile, sez. II, 3 marzo 2009, n. 5111)

L’accettazione dell’eredità può essere pura e semplice o con beneficio di inventario. Quest’ultima comporta la non confusione dei patrimoni del defunto e dell’erede. Con evidenti conseguenze. In primis, l’erede che abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario non é tenuto al pagamento dei debiti del defunto oltre l’attivo ereditario.

Lo stesso principio non è applicabile in caso di accettazione pura e semplice, a seguito della quale, appunto, la confusione dei due patrimoni comporta che l’erede risponde dei debiti del dante causa anche con il proprio patrimonio.

«A norma dell’art. 475 c.c., l’atto pubblico o la scrittura privata in cui il chiamato all’eredità assume il titolo di erede deve consistere in un atto scritto che provenga personalmente dal chiamato stesso o nella cui formazione questi abbia avuto parte; ne consegue che non comporta accettazione dell’eredità la mera circostanza che l’erede abbia sottoscritto la relazione di notificazione di un atto giudiziario a lui notificato «nella qualità di erede» (Cassazione civile, sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4426).

È nulla l’accettazione parziale o sottoposta a condizione o termine.

Ed infine, non è prevista l’azione surrogatoria dei creditori dell’erede per quanto attiene il diritto di accettare.

«In tema di esercizio dell’azione di riduzione di cui all’art. 546 c.c., il legittimario pretermesso è chiamato alla successione per la morte del "de cuius", potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione. Pertanto, la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario stabilita dall’art. 564, comma 1, c.c. per l’esercizio dell’azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede (per disposizione testamentaria o per delazione ab intestato) e non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore. Condizione fondamentale per chiedere la riduzione delle donazioni o delle disposizioni lesive della porzione di legittima è soltanto quella di essere tra le persone indicate dall’art. 557 c.c., e cioè di rivestire la qualità di legittimario, mentre la condizione stabilita dall’art. 564, comma 1, c.c. della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede. Infatti, il legittimario totalmente pretermesso dall’eredità, che impugna per simulazione un atto compiuto dal "de cuius" a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione» (Cassazione civile, sez. II, 11 gennaio 2010 n. 240).

A tutela dei creditori del defunto, il legislatore ha previsto che gli stessi, entro 3 mesi dall’apertura della successione (art. 516 c.c.), possano proporre azione di separazione del patrimonio del defunto e dell’erede, al fine di assicurarsi il soddisfacimento dei crediti a preferenza dei creditori dell’erede e degli altri creditori del defunto che non l’abbiano proposta.

L’azione di separazione non è alternativa rispetto all’accettazione con beneficio di inventario da parte del chiamato.

La separazione è azione a carattere particolare, e cioè vale unicamente sui beni su cui è fatta valere.

La separazione non impedisce ai creditori ed ai legatari che l’hanno esercitata di soddisfarsi anche sui beni dell’erede.

b. Con Beneficio di inventario

L’accettazione con beneficio di inventario è obbligatoriamente espressa e deve essere manifestata mediante dichiarazione ricevuta da notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.

La legge predispone l’obbligo di accettare con beneficio di inventario per gli incapaci, assoluti o relativi, e per le persone giuridiche (con la sola eccezione delle s.p.a.).

L’accettazione deve essere preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario. Qualora il chiamato sia nel possesso dei beni lo stesso deve redigere l’inventario entro 3 mesi (salvo proroga del Tribunale) dal giorno in cui si è aperta la successione, altrimenti lo stesso chiamato viene considerato erede puro e semplice. Lo stesso accade qualora il chiamato nel possesso dei beni e che abbia redatto l’inventario non deliberi l’accettazione o la rinunzia nel termine di 40 giorni.

Qualora il chiamato non sia nel possesso dei beni ereditari lo stesso può fare dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario nel termine di prescrizione di 10 anni.

Una volta manifestata tale accettazione, il soggetto accettante può redigere inventario nel termine di 3 mesi dall’accettazione, salvo proroga del Tribunale. Scaduto inutilmente tale termine, viene considerato erede puro e semplice. Qualora il soggetto che non sia nel possesso dei beni abbia già redatto inventario, l’accettazione deve essere presentata nei 40 giorni successivi, altrimenti perde il diritto di accettare.

«In tema di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, la proroga del termine per il compimento dell’inventario, prevista dall’art 485, comma 1, c.c. e richiamata nel successivo art. 487, può essere concessa una sola volta, onde è perentorio il termine fissato con il provvedimento di proroga» (Cassazione civile, sez. III, 29 gennaio 2010 n. 2033).

Ed inoltre, è rilevante la circostanza che: «In tema di accettazione di eredità con beneficio di inventario, il decreto con il quale il Tribunale rigetta l’istanza di proroga del termine per la redazione dell’inventario non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 cost., in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, esso chiude un procedimento di tipo non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio e non statuisce in via decisoria e definitiva su dette posizioni, stante la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell’art. 742 c.p.c.» (Cassazione civile, sez. II, 8 febbraio 2010, n. 2721).

L’erede con beneficio di inventario, a differenza dell’erede puro e semplice non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre l’attivo ereditario.

Non realizzandosi la confusione dei patrimoni, i creditori del defunto ed i legatari saranno preferiti rispetto ai creditori dell’erede, sul patrimonio ereditario.

L’accettante con beneficio di inventario è amministratore del patrimonio ereditario nell’interesse dei creditori e dei legatari. Lo stesso non può alienare beni senza autorizzazione, altrimenti diventa erede puro e semplice.

c. tacita

L’accettazione pura e semplice può essere manifestata mediante dichiarazione espressa od anche assumendo il titolo di erede (art. 475 c.c.).

Nel nostro ordinamento la volontà di accettare espressa solo verbalmente è irrilevante.

Al contrario, ai fini dell’acquisto dell’eredità, viene data rilevanza al compimento di determinati atti anche in assenza di volontà espressa.

L’unica condizione perché tali atti possano assumere rilevanza giuridica è che il soggetto che li compie sia nella consapevolezza di essere chiamato all’eredità.

Ai sensi dell’art. 476 c.c., si considera accettazione quando il soggetto “chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.

L’atto rilevante non deve, quindi, rispondere alla mera volontà di acquistare l’eredità, anzi prescinde dall’intenzione di diventare erede.

In effetti, l’accettazione è sempre legata alla volontà del chiamato. La stessa tuttavia può essere effettivamente manifestata (nei modi e nelle forme già chiarite) o può essere presunta in base alla rilevanza del comportamento posto in essere.

Anche se, è bene chiarire, vi sono delle ipotesi di accettazione che la legge distingue del tutto da qualsiasi tipo di volontà anche presunta. Tali ipotesi, come già visto, sono l’acquisto del titolo di erede puro e semplice a seguito dell’inutile decorso del termine per redigere l’inventario qualora il chiamato si trovi nel possesso dei beni ereditari; come anche l’accettazione da parte del chiamato che abbia sottratto o nascosto i beni ereditari, il quale infatti decade dalla facoltà di rinunciare e si considera erede puro e semplice anche e nonostante la già manifestata rinuncia. Da ultimo, vi è l’acquisto dell’eredità da parte dello Stato che prescinde completamente dalla volontà, non potendo lo Stato nemmeno rinunciare all’eredità stessa (art. 586 c.c.).

Il legislatore ha enucleato, tipizzandoli, negli artt. 477 e 478, alcuni comportamenti, ai quali consegue automaticamente l’accettazione, presumendo la volontà di accettare del soggetto che li pone in essere.

In particolare, tali comportamenti sono: la donazione, la vendita o la cessione dei propri diritti di successione da parte del chiamato (che deve essere a conoscenza della delazione nei suoi confronti); e come anche la rinunzia ai propri diritti di successione verso corrispettivo o a favore di alcuno soltanto dei chiamati.

«L’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare; ne consegue che, mentre sono inidonei allo scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi» (Cassazione civile, sez. II, 11 maggio 2009, n. 10796).

Sempre confermativa di tale orientamento giurisprudenziale la sentenza della Cassazione civile, sez. II, 03 marzo 2009 n. 5111, nella quale è sancito che: «La mera richiesta di trascrizione di un atto di acquisto relativo a una successione ereditaria, trattandosi di un adempimento caratterizzato da finalità conservative, è privo di rilevanza ai fini di una sua configurazione come accettazione tacita dell’eredità, in quanto inidoneo ad esprimere in modo certo l’intenzione univoca di assumere la qualità di erede».

d. eredità giacente

Si configura l’istituto dell’eredità giacente qualora sussistano tutte le seguenti condizioni:

1) Non sia ancora intervenuta l’accettazione del chiamato all’eredità;

2) Il chiamato non si trovi nel possesso dei beni;

3) Sia stato nominato, su istanza di chi ne ha interesse od anche d’ufficio, un curatore (peraltro la nomina deve essere motivata dal compimento di atti di gestione non rinviabili al momento dell’accettazione).

Il curatore dell’eredità viene nominato dal Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione ed ha funzioni prevalentemente conservative dell’universitas ereditaria. Può anche esercitare funzioni dispositive, ai sensi dell’art. 782 c.p.c., previa autorizzazione da parte del giudice.

Inoltre, ai sensi dell’art. 529 c.c. il curatore è legittimato attivo e passivo per le cause riguardanti l’eredità.

«Il curatore dell’eredità giacente, pur non essendo rappresentante del chiamato all’eredità, è legittimato sia attivamente che passivamente in tutte le cause che riguardano l’eredità, anche quando sia venuta meno la situazione di giacenza, per l’adempimento degli obblighi che attengono al periodo di gestione dell’eredità. Non può quindi considerarsi inesistente la notifica al curatore del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia dell’Entrate in un giudizio avente ad oggetto l’adempimento di obblighi di natura fiscale sorti durante il periodo di giacenza, anche se, dopo la pronuncia della sentenza di appello, sia intervenuta l’accettazione dell’eredità da parte dell’erede» (Cassazione civile, sez. trib., 15 luglio 2009, n. 16428).

La curatela cessa al momento dell’accettazione dell’eredità da parte del chiamato.

LA RINUNZIA

La rinunzia è una dichiarazione unilaterale, non recettizia con la quale il chiamato all’eredità manifesta la propria decisione di non acquistare l’eredità.

La dichiarazione di rinunzia deve avvenire mediante atto ricevuto da notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La dichiarazione deve essere inserita in apposito registro delle successioni.

Come per l’accettazione, la rinunzia non può essere sottoposta a condizione o termine, pena la nullità della dichiarazione.

La rinunzia è retroattiva e si considera come se il rinunziante non sia mai stato chiamato all’eredità.

La rinunzia può essere revocata per tutto il tempo di pendenza del termine di prescrizione del diritto ad accettare e sempre che non vi sia stata accettazione da parte di altri chiamati.

La rinunzia può essere impugnata per violenza o dolo.

«Attese le importanti conseguenze della rinunzia all’eredità - la quale, pertanto, deve avvenire in forma solenne -, il venir meno degli effetti giuridici della rinunzia medesima non può che avvenire con le medesime forme solenni al fine di garantire certezza in ordine alla vicenda successoria; se, dunque, l’accettazione di una eredità non rinunziata in precedenza può avvenire per fatti concludenti, per accettare una eredità in precedenza rinunziata occorre porre nel nulla gli effetti giuridici di un atto formale con un successivo atto formale di revoca implicante accettazione dell’eredità».(Tribunale Verona, sez. I, 09 dicembre 2008)

Qualora il chiamato all’eredità abbia sottratto o nascosto i beni ereditari, lo stesso, ai sensi dell’art. 527 c.c., decade dalla facoltà di rinunziare all’eredità e si considera come se avesse accettato puramente e semplicemente.

Avv. Armando Attolini