“Rito Fornero” e licenziamenti nel pubblico impiego contrattualizzato. Ord. Tribunale di Perugia del 15/01/2013, su reclamo a Ord. del 9/11/2012.
Il nuovo rito è caratterizzato da un’elevata celerità, infatti, la prima fase prende il via con un ricorso al giudice del lavoro, avente i requisiti validi generalmente per tutti gli atti di cui all’art. 125 c.p.c., senza la necessità di dimostrare il periculum in mora e il fumus boni iuris(requisiti indispensabili invece per la procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c.).
Entro quaranta giorni dal deposito del ricorso, il giudice provvederà alla fissazione dell’udienza di comparizione, assegnando un termine per la notifica del ricorso e del relativo decreto di fissazione dell’udienza non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza e un termine non inferiore a cinque giorni prima dell’udienza per la costituzione del convenuto.
All’udienza il giudice, sentite le parti del ricorso, procederà all’istruzione della causa e all’esito, provvederà all’accoglimento o al rigetto della domanda con ordinanza immediatamente esecutiva.
Sennonché, in caso di mancata opposizione da proporsi con ricorso ex art. 414 c.p.c. davanti allo stesso Tribunale entro trenta giorni dalla notifica o comunicazione, nulla quaestio, l’ordinanza avrà valore di giudicato.
Altrimenti, in caso di opposizione, il procedimento seguirà le normali regole del processo di cognizione in materia di lavoro ex artt. 409 e ss. c.p.c.
La ratio della nuova procedura risiede, evidentemente, nell’esigenza di garantire una giustizia in tempi più rapidi, specie per quelle controversie come quelle aventi a oggetto la legittimità del licenziamento, in cui il problema della lungaggine dei processi comporta delle conseguenze che incidono su diritti fondamentali della persona.
Sull’applicabilità del rito in questione ai licenziamenti intimati nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, sono sorti alcuni dubbi interpretativi.
Si è asserito, infatti, che, se è vero che l’art. 1, comma 47 stabilisce che il nuovo rito si applica a tutte le controversie previste dall’art. 18 della Legge 300/1970; e che l’art. 51, comma 2, Dlgs 165/2001 stabilisce che – “il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli artt. 2, commi 2, 3 e 3 comma 1; la Legge 20 maggio 300/1970 e successive modificazioni, si applica alle Pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.
E’ anche vero che, il comma 7 dello stesso art. 1 della Legge 92/2012, stabilisce che, per quanto non espressamente previsto, “le disposizioni della legge” valgono per il pubblico impiego quali meri criteri direttivi e che il successivo comma 8 stabilisce che il Ministro della Funzione Pubblica sentite le parti sindacali definisce anche mediante “iniziative normative” i modi e i tempi per l’armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti della pubblica amministrazione, lasciando intendere la volontà di introdurre in relazione ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, una serie di apposite norme speciali.
In attesa dell’introduzione di questa nuova normativa, ci si è interrogati circa la disciplina, sostanziale e processuale, da applicare alle controversie sui licenziamenti intimati, nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, in seguito all’entrata in vigore della Riforma Fornero (18/07/2012).
Sul punto, il Tribunale di Perugia, con ordinanza del 9 novembre 2012 e successivamente con ordinanza collegiale del 15.01.2013 emessa in ordine al reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. proposto dal ricorrente, si è espressa in senso favorevole circa l’applicabilità del rito sommario ex legge 92/2012 anche ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzati.
A sostegno di tale assunto, il Tribunale di Perugia asserisce che, il rinvio allo Statuto dei Lavoratori (L.300/1970) e di conseguenza anche all’art. 18 dello stesso, formulato dall’art.51, comma 2, Dlgs 165/2001, è un rinvio pacificamente formale e mobile.
In quanto tale recepisce il contenuto delle norme collocate in altre fonti adeguandosi alle stesse e alle loro successive modificazioni e integrazioni.
Da ciò consegue l’applicazione del nuovo testo dell’art. 18 St.l.av. e del rito speciale che il predetto articolo richiama, anche al pubblico impiego privatizzato.
Inoltre, anche a voler considerare inapplicabile al pubblico impiego la riforma sostanziale dell’art. 18 St. Lav. operato dalla L.92/2012 e conseguentemente ritenere applicabile a tali situazioni la disciplina ante riforma; sul piano processuale, il “rito Fornero” troverebbe comunque applicazione nel pubblico impiego in virtù del comma 67, art. 1, della medesima Legge 92/2012, il quale prevede espressamente che: - “il nuovo rito si applica a tutte le controversie instaurate dopo l’entrate in vigore della legge”.
In conformità a tali argomentazioni, il Collegio giudicante ha rigettato il reclamo proposto da un collaboratore scolastico, avverso l’ordinanza del 9.11.2012 emessa dal giudice di prime cure.
L’ordinanza aveva rigettato il ricorso ex 700 c. p.c. da lui proposto al fine di ottenere, in via interinale e urgente, previa declaratoria d’illegittimità del licenziamento intimatogli dal Ministero dell’Istruzione (MIUR) la reintegrazione nel posto di lavoro.
In particolare, il Collegio giudicante, nel rigettare il reclamo, ha stabilito che, essendo applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato la disciplina processuale ex art. 1 comma 47 e ss. della Legge 92/2012 (c.d. Rito Fornero) il ricorrente, al fine di ottenere la tutela dei propri diritti in tempi brevi, avrebbe potuto esperire il rito in esame il quale prevede dei precisi termini ridotti per la definizione sollecita della controversia avente ad oggetto la legittimità del licenziamento.
Pertanto, il ricorrente, nel caso in questione, non aveva motivo di temere che in attesa di una decisione del giudice il suo diritto potesse essere minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, dunque doveva ritenersi assente il requisito del periculum, ciò in considerazione del fatto che, come più volte precisato, il nuovo rito introdotto dalla recente riforma è caratterizzato proprio da un’elevata celerità nella definizione di questo tipo di controversie.
Inoltre, il Collegio ha precisato che, il periculum, che insieme al fumus rappresenta uno dei requisiti essenziali per il riconoscimento di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., anche in caso di licenziamento non è considerato in re ipsia ma va comunque allegato e dimostrato.
Il ricorrente, invece, si era limitato alla mera allegazione della propria dichiarazione dei redditi, senza fornire ulteriori elementi (condizioni familiari, abitative, effettiva disponibilità di somme, ecc.) idonei a dimostrare la sua effettiva incapacità di sostentamento a causa del licenziamento.
Pertanto, il Tribunale di Perugia, nella sua composizione collegiale, in conformità a tali presupposti logici, non ha ritenuto sussistente il periculum e di conseguenza ha rigettato il reclamo proposto dal collaboratore scolastico, confermando le statuizioni già prese dal Giudice di primo grado.
TRIBUNALE DI PERUGIA
Il tribunale di Perugia in composizione collegiale quale giudice del lavoro, nella persona dei seguenti
magistrati:
dott. Andrea Claudiani, presidente relatore
dott.ssa Stefania Monaldi, giudice
dott. Michele Moggi, giudice
nel procedimento 1818/2092 R.G.
ha emesso la seguente ordinanza sul reclamo proposto da XXXX avverso l’ordinanza del tribunale di
Perugia-sezione lavoro del 9/10.11.2092.
ORDINANZA
premesso che:
con ricorso ex art. 700 c.p.c., XXX ha richiesto ordinarsi la sua reintegra nel posto di lavoro presso
XXX quale collaboratore scolastico;
a tale fine ha esposto che: -è stato assunto dal XXX con la predetta qualifica; -….è stato arrestato nella
flagranza del reato di cui all’art. 600 quater c.p.; l’arresto era convalidato e all’esito del processo gli
era stata applicata ex art. 444 c.p.p. la pena sospesa di 10 mesi di reclusione e 2000 euro di multa; -
l’Ufficio scolastico regionale lo sospendeva dal servizio con provvedimento del 28.3.2011, nel quale si
dava atto che la notizia dell’illecito era pervenuta il 24.3.2011 a seguito di comunicazione del dirigente
scolastico; -con due provvedimenti del 13.9.2011 si prolungava la sospensione fino alla definizione del
procedimento disciplinare e si procedeva altresì alla contestazione dell’addebito; -con nuovo
provvedimento del 8.3.2012 si effettuava altra contestazione dei medesimi fatti già contestati con la
nota 13.9.2011; -con provvedimento del 28.9.2012 veniva disposto il licenziamento senza preavviso
per giusta causa;
secondo il ricorrente, si tratta di licenziamento illegittimo per le seguenti ragioni:
a. non si è proceduto, come necessario ai sensi dell’art. 55 bis decreto lgs. 165/2001, alla contestazione
dell’addebito immediatamente o nel termine perentorio di 40 giorni dalla notizia dell’illecito: la notizia
è infatti pervenuta all’U.S.R. il 24.3.2011 mentre la contestazione è del 13.9.2011;
b. il licenziamento non è stato intimato entro 120 giorni dalla notizia dell’illecito, come ancora
necessario ai sensi dell’art. 55 bis decreto lgs. 165/2001 (notizia del 24.3.2011, licenziamento del
28.9.2012);
dall’una o dall’altra violazione è conseguita autonomamente la decadenza dalla potestà disciplinare;
decadenza non impedita dalla pendenza del processo penale (invocata dall’U.S.R.), poiché il
procedimento disciplinare non riconosce pregiudizialità a quello penale ai sensi dell’art. 55 ter decreto
lgs 165/2001 già citato, salva la possibilità dell’autorità amministrativa di sospenderlo, con specifica
deliberazione, nei casi di maggiore complessità: sospensione qui non avvenuta e comunque non
legittima trattandosi di caso di semplice definizione;
nel merito, il licenziamento difetta di giusta causa in quanto sproporzionato alla entità dell’illecito, dal
quale non potevano dedursi ragioni cogenti per impedire la presenza del ricorrente in ambiente
scolastico;
il periculum in mora deriva dall’assenza di retribuzione che impedisce il decoroso sostentamento
dell’interessato;
si è costituita l’Avvocatura dello Stato che ha eccepito: -il licenziamento trova giusta causa nella
impossibilità di proseguire il rapporto ai sensi dell’art. 95 CCNL Comparto scuola; -il ricorso ex art.
700 c.p.c. è inammissibile per il suo carattere esclusivamente residuale, essendo invece prevista la
speciale tutela sommaria di cui all’art. 1 comma 48 ss. L. 92/2012; - non vi era stato ritardo nella
contestazione in quanto la stessa era stata già effettuata con lo stesso decreto di sospensione dal
servizio del 28.3.2011; -allo stesso modo, il medesimo provvedimento del 28.3.2011, conteneva una
statuizione di sospensione del procedimento disciplinare sino all’esito di quello penale;
il giudice della prima fase rigettava il ricorso, reputando l’applicabilità dell’art. 1 l. 92/2012 al pubblico
impiego contrattualizzato e , di conseguenza, la esperibilità del rito sommario per la tutela avverso
licenziamenti illegittimi; da ciò, secondo il giudice, non conseguiva la inammissibilità del ricorso
(essendo la residualità riferibile solo a procedimenti di natura tecnicamente cautelare e non anche
meramente sommaria o urgente), la assenza di periculum, in difetto di alcuna prova circa l’irreperabile
pregiudizio nel brevissimo periodo previsto per la celebrazione del rito speciale citato;
con il reclamo, XXX ha dedotto che: -il c.d. ‘rito Fornero’ non si applica al pubblico impiego poiché il
rinvio recettizio contenuto nell’art. 51 decreto lgs. 165/2001 è riferito al solo art. 18 legge 300/1970 e
tale ultima norma non contiene alcun richiamo al c.d. ‘rito Fornero’; di conseguenza, il periculum
sussiste e, peraltro, sussisterebbe anche in relazione al breve periodo necessario a espletare il rito,
poiché trattasi della compressione del diritto inviolabile non solo alla esistenza decorosa, ma anche al
pieno espletamento della personalità umana attraverso il lavoro; il reclamante ribadiva poi tutte le
ragioni già poste a fondamento della tesi della illegittimità del licenziamento;
l’Avvocatura si costituiva e ribadiva tutte le sue argomentazioni, proponendo altresì reclamo
incidentale condizionato in relazione alla eccezione sulla inammissibilità del rito;
il reclamante eccepiva la tardività del reclamo incidentale;
all’udienza del 11.1.2013 il Collegio si riservava la decisione.
Osservato che
la rinnovata deduzione, da parte dell’Avvocatura, della questione di inammissibilità del ricorso non
costituisce reclamo incidentale poiché l’U.S.R. è stato integralmente vittorioso nella prima fase, e si
traduce nella reiterazione di una mera difesa, che nel merito si reputa non fondata da parte del collegio,
posto che solo la prcvisione di strumenti cautelari in senso stretto inibisce in astratto il ricorso alla
tutela innominata ex art. 700 c.p.c.; il rito speciale ex art. 1 commi 46 ss. legge 92/2012, di contro, non
costituisce rito cautelare, sia per la assenza di ogni riferimento al rito cautelare uniforme sia per la
radicale diversità dei rimedi previsti avverso l’ordinanza che definisce la fase sommaria del rito in
esame;
nel merito, il reclamo di XXX è infondato ed a tale riguardo risulta assorbente la corretta tesi,
sostenuta dal giudice della prima fase, circa l’applicabilità del rito sommario ex L. 92/2012 anche ai
rapporti di pubblico impiego contrattualizzati;
dal punto di vista della ricostruzione testuale del sistema normativo si evidenziano intanto i seguenti
punti:
-il comma 7 dell’art. 1 legge 92/2012, stabilisce che, per quanto non espressamente previsto, “le
disposizioni della legge” valgono per il pubblico impiego quali meri criteri direttivi; il comma 8 indica
le future modalità di attuazione di tale funzione-quadro della nuova legge;
-l’art. 51 comma 2 decreto lgs. 165/2001 richiama, con rinvio pacificamente formale e mobile, l’intera
legge 300/70 e quindi anche l’art. 18 della stessa;
-i commi da 37 a 40 della legge 92/2012 modificano la legge 604/1966 e dettano nuova disciplina dei
requisiti formali e di altri profili del licenziamento;
-il comma 41 detta una regola che integra la disciplina dell’art. 7 legge 300/1970 in relazione al
licenziamento disciplinare;
-il comma 42 sostituisce, con un nuovo testo, l’art. 18 legge 300/1970;
-il comma 46 statuisce per via indiretta l’applicabilità del (nuovo) art. 18 l. 300/70 in casi di
licenziamento senza la prescritta forma;
-il comma 47 stabilisce che il nuovo rito si applica a tutte le ipotesi di licenziamento previste dall’art.
18 legge 300/1970;
-il comma 67 prevede che il nuovo rito si applichi a tutte le controversie instaurate dopo l’entrata in
vigore della legge.
Ciò posto, il collegio reputa che :
• il nuovo testo dell’art. 18 legge 300/70, introdotto dal comma 42, si applichi direttamente ed
immediatamente al pubblico impiego;
• se anche ciò non fosse, il ‘rito Fornero’ si applicherebbe comunque, di per sé, al
licenziamento nel pubblico impiego
Si osserva infatti quanto segue:
(questione sub lettera ‘a’)
Anche le modifiche dell’art. 18 S.L. contenute nella legge 92/2012, si applicano immediatamente al
pubblico impiego.
Il problema interpretativo nasce certamente dal fatto che l'art. 1, comma 7 della citata legge, stabilisce
che le disposizioni della stessa , per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono meri
principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti; e che il successivo
comma 8 stabilisce che il Ministro della funzione pubblica, sentite le parti sindacali, definisce anche
mediante “iniziative normative”, le modalità e i tempi per l’armonizzazione della disciplina relativa ai
dipendenti della PA. Inoltre,certamente, la legge 92/2012 non prevede norme esplicitamente
contenenti testuali menzioni del ‘pubblico impiego’ o formulate espressamente ad hoc per i
licenziamenti del nel pubblico impiego.
Tuttavia, un richiamo ‘espresso’, a una indagine di maggior approfondimento concettuale, può
rinvenirsi nella stessa esplicita modifica dell’art. 18, poiché l’articolo 18 era norma che -per effetto
del combinato disposto dell’art. 51 decreto lgs 165/2001- disciplinava direttamente il pubblico impiego.
O, altrimenti, può dirsi che il comma 42-art. 1 Legge 92/2012, modificando l’art. 18, ha modificato
direttamente lo statuto del pubblico impiego e che quindi la riserva dei commi 7 e 8 -generale, a
fronte della specialità del comma 42-, vale solo in relazione ai punti in cui la legge stessa modifica o
innova norme non già in vigore per lo stesso (in particolare al compendio delle innovazioni inerenti i
contratti, la mobilità etc.).
Del resto, accedendo alla tesi che vuole il nuovo art. 18 legge 300/1970 non applicabile al pubblico
impiego, si violerebbe l’art. 51 comma 2 decreto lgs 165/2001, secondo il quale tale settore è
disciplinato dalla legge 300/1970 come via via modificata.
Per superare tale ostacolo, la tesi qui respinta dovrebbe postulare una abrogazione tacita parziale
dell’art. 51 comma 2 citato, con espunzione dalla norma del richiamo alle modifiche del solo art. 18,
fermo restando il rinvio mobile alle altre parti dello Statuto dei lavoratori.
Tale abrogazione non ha appigli testuali nè può farsi derivare da ragioni sostanziali o sistematiche,
poiché nessun argomento depone per la sussistenza di apprezzabili motivi per sottrarre la disciplina del
pubblico impiego (sin qui comune a quella dell’impiego privati) alla modifica dell’art. 18 almeno con
riferimento ai licenziamenti disciplinari, settore che esula da profili riguardanti finalità di mobilità o di
politica del mercato del lavoro.
(questione sub lettera ‘b’)
Se poi la riforma sostanziale dell’art. 18 legge 300/1970 non si applicasse al pubblico impiego, allora
sopravviverebbe, per il pubblico impiego stesso, l’art. 18 nel testo previgente: quindi, sulla base del
comma 67 dell’art. 1 legge 92/2012, ove la controversia sul licenziamento sia instaurata sotto la
vigenza temporale della nuova legge, ed essendo indifferente se il licenziamento sia antecedente, si
applicherebbe comunque il nuovo rito semplificato ferma l’applicazione del vecchio regime
sostanziale.
Nessun elemento testuale impone infatti di postulare un legame necessario tra il ‘rito’ Fornero ed il
nuovo articolo 18 previsto dalla legge 92/2012; un tale legame, invece, come desumibile dal comma
47, sussiste solo tra l’art. 18 “e successive modifiche” da un lato ed il nuovo rito dall’altro; nella
espressione ‘art. 18…e successive modificazioni” va ricompreso anche l’art. 18 previgente alla legge
92/2012 che, secondo la tesi del reclamante, continuerebbe ad applicarsi al pubblico impiego sino a
nuova normativa di dettaglio.
Non può farsi leva, in senso contrario, sul richiamo effettuato dalla legge 92/2012 non semplicemente
“all’art. 18”, ma all’art. 18 “e successive modifiche”. Ciò in quanto:
-sul piano puramente testuale/semantico, la congiunzione “e” è idonea ad indicare non necessariamente
un concetto unico e inscindibile formato dall’unione tra le espressioni “art. 18” e “successive
modificazoni” (unitarietà che avrebbe potuto essere meglio indicata da formule del tipo “come
successivamente modificato”), bensì due diversi e distinti spazi di operatività della norma e cioè sia
l’art. 18 originario che l’art. 18 integrato da modifiche; tale ultima interpretazione semantica, peraltro
rafforzata dalla collocazione tra due virgole delle parole “e successive modificazioni”, appare
necessitata sul piano logico-sistematico ove si dovesse ritenere che, accanto al nuovo art. 18,
sopravviva per il pubblico impiego il vecchio art. 18, posto che, a separare i riti, si cadrebbe in una
ingiustificabile ed incomprensibile disparità di trattamento;
-inoltre, se anche non si condividesse quanto appena detto , anche l’art. 51 decreto lgs. 165/2001 ha
realizzato una “modifica” dell’articolo 18, non certamente incidendo sul contenuto diretto di tale fonte
normativa di cognizione, ma estendendo, per diretta statuizione normativa, il suo campo di
applicazione al pubblico impiego. Per “modifica” normativa, infatti, non deve qui intendersi, in senso
puramente formalistico e privo di orientamento verso la ratio, la diretta modifica della fonte di
cognizione, ma anche la modifica per altra via dell’ordinamento oggettivo generale che comporti
variazione del suo contenuto o del suo ambito di applicazione.
Un necessario collegamento tra nuovo art. 18 e nuovo rito, non può poi desumersi da profili logici o
sostanziali, poiché, al contrario, appare evidente che il ‘rito Fornero’ incentra la sua ratio esclusiva sul
legame tra celerità del processo e diritto alla reintegra: ragione per la quale tale rito appare
ricollegabile ad ogni ipotesi di tutela reale del lavoratore licenziato.
Del resto, non pare si dubiti, ad esempio, della applicabilità del ‘rito Fornero’ anche ai licenziamenti
intimati prima della legge 92/2012, e quindi disciplinati dal previgente art. 18, ove la causa sia
successiva alla sua entrata in vigore.
Come già sopra osservato, infine, l’applicazione del rito in sé non sarebbe inibita dalle riserve di cui ai
commi 7 e 8 dell’art. 1 legge 92/2012 , poiché il diretto riferimento del comma 47 all’art. 18 vale quale
disciplina diretta del pubblico impiego ed è quindi specifico rispetto alla generale riserva di non
immediata applicabilità.
In sintesi, dunque il ricorrente avrebbe potuto esperire il rito in esame e ciò comporta l’assenza di
periculum nel tempo necessario per far valere il diritto; tempo che i commi 48 ss. dell’art. 1 L. 92/2012
indicano secondo brevissime, rapide, inderogabili cadenze.
Va poi aggiunto che comunque, nemmeno in materia di licenziamento, il periculum è in re ipsa e va
invece allegato e dimostrato. Sul punto, sono ineccepibili le osservazioni del primo giudice circa
l’assenza di specifiche allegazioni e dimostrazioni sulla effettiva incapacità di sostentamento in
relazione alle condizioni familiari, abitative, allo svolgimento di altra attività e simili, alla effettiva
disponibilità di somme che non debbano tradursi in evidenze fiscali (è stata, invero, prodotta la sola
dichiarazione dei redditi).
Per completezza, non appare comunque inutile, anche sotto il profilo del fumus, rilevare la
infondatezza del ricorso.
Infatti, se anche la censura relativa al mancato rispetto dei termini di cui all’art. 55 bis decr.lgs.
165/2001 dovesse ritenersi fondata (tenuto conto che, anche facendo correttamente decorrere il
termine di decadenza dalla sola comunicazione della sentenza penale, sembrerebbe tempestiva la sola
contestazione dell’addebito, ma non anche il decreto di licenziamento, intervenuto dopo i 120 giorni
dalla riapertura del procedimento), la conseguenza di ciò non sarebbe la reintegra ma il mero
indennizzo sostitutivo.
Come detto, si reputa che il nuovo testo dell’art. 18 legge 300/1970 sia applicabile direttamente al
pubblico impiego contrattualizzato.
È pacifico che il licenziamento in esame sia stato disposto dopo l’entrata in vigore di tale nuovo testo
dell’art. 18.
Il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 55 bis decreto lgs. 165/2001 non è espressamente previsto
nella casistica di patologie previste dal novellato art. 18 quale fonte di reintegra piuttosto che di mero
indennizzo.
Le possibili cause di reintegra, automatica o discrezionale, sono elencate infatti, in modo tassativo,
nei commi 1 , 4, 7 del nuovo art. 18 e la violazione dei termini procedimentali non è ivi contemplata.
La conclusione sarebbe la stessa se si ritenesse l’elencazione dei casi di reintegra come non tassativa e,
in altre parole, si ritenesse che il nuovo art. 18 contenga due parallele elencazioni di pari valore.
In questo caso, bisognerebbe prendere atto della assenza del caso in esame in entrambe le elencazioni e
ricercare, mediante attività interpretativa, la disciplina che gli si applica.
Il comma 6 del nuovo art. 18 prevede che la violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge
300/1970 non determini la reintegra ma sole conseguenze economiche.
A tale ipotesi deve parificarsi quella, analoga ed anzi di identica natura, di violazione delle forme e
scansioni procedimentali previste per il licenziamento nel pubblico impiego.
Ove poi si volesse argomentare, direttamente, dall’analisi dell’art. 51 bis, la “decadenza” dalla potestà
disciplinare , ivi prevista, già sul piano tecnico-dogmatico non determina un caso di nullità del
recesso (che può derivare solo da difetti strutturali della fattispecie, da carenza di potere in astratto, o
da illiceità), né integra alcuno dei casi di nullità speciale prevista dal comma 1, i quali presuppongono
che la legge preveda espressamente una tale nullità.
Ne deriva che l’ordine di reintegra richiesto, anche ove fondata la censura sul procedimento, non
potrebbe essere accolto.
Non pare invece davvero necessario diffondersi sulla manifesta infondatezza delle censure relative alla
assenza di giusta causa o alla mancanza di proporzionalità del licenziamento, poiché, ad avviso del
Collegio, è di immediata e non controvertibile evidenza la assoluta e definitiva inidoneità del
ricorrente, condannato (se anche ex art. 444 c.p.p.) per reati di pedopornografia, a prestare servizio
quale collaboratore scolastico e cioè quale soggetto incaricato di cooperare ad attività di cura e custodia
materiale, nonché di promozione educativa, di minorenni.
Le spese della presente fase seguono la soccombenza in assenza di giustificato motivo e sono liquidate
in favore dell’Avvocatura, antistatario ex lege, come da parametri oggi in
vigore.
p.q.m.
rigetta il reclamo ;
condanna XXX alla refusione delle spese della presente fase in favore della Avvocatura distrettuale
dello Stato di Perugia, liquidandole in euro 1200,00 per compenso professionale.
Si comunichi.
Deliberato in Perugia nella camera di consiglio del 15.1.2013
Il presidente estensore
Andrea Claudiani Tra le novità salienti introdotte dalla Legge n.92 del 28.06.2012, c.d. “Riforma Fornero”, in campo processuale vi è l’introduzione di un rito speciale accelerato (art.1 co. 47 e ss.) costituito da una fase sommaria e da un’eventuale fase successiva a cognizione piena, per decidere le controversie in materia d’impugnazione di licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 300/1970 e anche per quelle che comportano, insieme al recesso, la necessità di risolvere questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
Il nuovo rito è caratterizzato da un’elevata celerità, infatti, la prima fase prende il via con un ricorso al giudice del lavoro, avente i requisiti validi generalmente per tutti gli atti di cui all’art. 125 c.p.c., senza la necessità di dimostrare il periculum in mora e il fumus boni iuris(requisiti indispensabili invece per la procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c.).
Entro quaranta giorni dal deposito del ricorso, il giudice provvederà alla fissazione dell’udienza di comparizione, assegnando un termine per la notifica del ricorso e del relativo decreto di fissazione dell’udienza non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza e un termine non inferiore a cinque giorni prima dell’udienza per la costituzione del convenuto.
All’udienza il giudice, sentite le parti del ricorso, procederà all’istruzione della causa e all’esito, provvederà all’accoglimento o al rigetto della domanda con ordinanza immediatamente esecutiva.
Sennonché, in caso di mancata opposizione da proporsi con ricorso ex art. 414 c.p.c. davanti allo stesso Tribunale entro trenta giorni dalla notifica o comunicazione, nulla quaestio, l’ordinanza avrà valore di giudicato.
Altrimenti, in caso di opposizione, il procedimento seguirà le normali regole del processo di cognizione in materia di lavoro ex artt. 409 e ss. c.p.c.
La ratio della nuova procedura risiede, evidentemente, nell’esigenza di garantire una giustizia in tempi più rapidi, specie per quelle controversie come quelle aventi a oggetto la legittimità del licenziamento, in cui il problema della lungaggine dei processi comporta delle conseguenze che incidono su diritti fondamentali della persona.
Sull’applicabilità del rito in questione ai licenziamenti intimati nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, sono sorti alcuni dubbi interpretativi.
Si è asserito, infatti, che, se è vero che l’art. 1, comma 47 stabilisce che il nuovo rito si applica a tutte le controversie previste dall’art. 18 della Legge 300/1970; e che l’art. 51, comma 2, Dlgs 165/2001 stabilisce che – “il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli artt. 2, commi 2, 3 e 3 comma 1; la Legge 20 maggio 300/1970 e successive modificazioni, si applica alle Pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.
E’ anche vero che, il comma 7 dello stesso art. 1 della Legge 92/2012, stabilisce che, per quanto non espressamente previsto, “le disposizioni della legge” valgono per il pubblico impiego quali meri criteri direttivi e che il successivo comma 8 stabilisce che il Ministro della Funzione Pubblica sentite le parti sindacali definisce anche mediante “iniziative normative” i modi e i tempi per l’armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti della pubblica amministrazione, lasciando intendere la volontà di introdurre in relazione ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, una serie di apposite norme speciali.
In attesa dell’introduzione di questa nuova normativa, ci si è interrogati circa la disciplina, sostanziale e processuale, da applicare alle controversie sui licenziamenti intimati, nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, in seguito all’entrata in vigore della Riforma Fornero (18/07/2012).
Sul punto, il Tribunale di Perugia, con ordinanza del 9 novembre 2012 e successivamente con ordinanza collegiale del 15.01.2013 emessa in ordine al reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. proposto dal ricorrente, si è espressa in senso favorevole circa l’applicabilità del rito sommario ex legge 92/2012 anche ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzati.
A sostegno di tale assunto, il Tribunale di Perugia asserisce che, il rinvio allo Statuto dei Lavoratori (L.300/1970) e di conseguenza anche all’art. 18 dello stesso, formulato dall’art.51, comma 2, Dlgs 165/2001, è un rinvio pacificamente formale e mobile.
In quanto tale recepisce il contenuto delle norme collocate in altre fonti adeguandosi alle stesse e alle loro successive modificazioni e integrazioni.
Da ciò consegue l’applicazione del nuovo testo dell’art. 18 St.l.av. e del rito speciale che il predetto articolo richiama, anche al pubblico impiego privatizzato.
Inoltre, anche a voler considerare inapplicabile al pubblico impiego la riforma sostanziale dell’art. 18 St. Lav. operato dalla L.92/2012 e conseguentemente ritenere applicabile a tali situazioni la disciplina ante riforma; sul piano processuale, il “rito Fornero” troverebbe comunque applicazione nel pubblico impiego in virtù del comma 67, art. 1, della medesima Legge 92/2012, il quale prevede espressamente che: - “il nuovo rito si applica a tutte le controversie instaurate dopo l’entrate in vigore della legge”.
In conformità a tali argomentazioni, il Collegio giudicante ha rigettato il reclamo proposto da un collaboratore scolastico, avverso l’ordinanza del 9.11.2012 emessa dal giudice di prime cure.
L’ordinanza aveva rigettato il ricorso ex 700 c. p.c. da lui proposto al fine di ottenere, in via interinale e urgente, previa declaratoria d’illegittimità del licenziamento intimatogli dal Ministero dell’Istruzione (MIUR) la reintegrazione nel posto di lavoro.
In particolare, il Collegio giudicante, nel rigettare il reclamo, ha stabilito che, essendo applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato la disciplina processuale ex art. 1 comma 47 e ss. della Legge 92/2012 (c.d. Rito Fornero) il ricorrente, al fine di ottenere la tutela dei propri diritti in tempi brevi, avrebbe potuto esperire il rito in esame il quale prevede dei precisi termini ridotti per la definizione sollecita della controversia avente ad oggetto la legittimità del licenziamento.
Pertanto, il ricorrente, nel caso in questione, non aveva motivo di temere che in attesa di una decisione del giudice il suo diritto potesse essere minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, dunque doveva ritenersi assente il requisito del periculum, ciò in considerazione del fatto che, come più volte precisato, il nuovo rito introdotto dalla recente riforma è caratterizzato proprio da un’elevata celerità nella definizione di questo tipo di controversie.
Inoltre, il Collegio ha precisato che, il periculum, che insieme al fumus rappresenta uno dei requisiti essenziali per il riconoscimento di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., anche in caso di licenziamento non è considerato in re ipsia ma va comunque allegato e dimostrato.
Il ricorrente, invece, si era limitato alla mera allegazione della propria dichiarazione dei redditi, senza fornire ulteriori elementi (condizioni familiari, abitative, effettiva disponibilità di somme, ecc.) idonei a dimostrare la sua effettiva incapacità di sostentamento a causa del licenziamento.
Pertanto, il Tribunale di Perugia, nella sua composizione collegiale, in conformità a tali presupposti logici, non ha ritenuto sussistente il periculum e di conseguenza ha rigettato il reclamo proposto dal collaboratore scolastico, confermando le statuizioni già prese dal Giudice di primo grado.
TRIBUNALE DI PERUGIA
Il tribunale di Perugia in composizione collegiale quale giudice del lavoro, nella persona dei seguenti
magistrati:
dott. Andrea Claudiani, presidente relatore
dott.ssa Stefania Monaldi, giudice
dott. Michele Moggi, giudice
nel procedimento 1818/2092 R.G.
ha emesso la seguente ordinanza sul reclamo proposto da XXXX avverso l’ordinanza del tribunale di
Perugia-sezione lavoro del 9/10.11.2092.
ORDINANZA
premesso che:
con ricorso ex art. 700 c.p.c., XXX ha richiesto ordinarsi la sua reintegra nel posto di lavoro presso
XXX quale collaboratore scolastico;
a tale fine ha esposto che: -è stato assunto dal XXX con la predetta qualifica; -….è stato arrestato nella
flagranza del reato di cui all’art. 600 quater c.p.; l’arresto era convalidato e all’esito del processo gli
era stata applicata ex art. 444 c.p.p. la pena sospesa di 10 mesi di reclusione e 2000 euro di multa; -
l’Ufficio scolastico regionale lo sospendeva dal servizio con provvedimento del 28.3.2011, nel quale si
dava atto che la notizia dell’illecito era pervenuta il 24.3.2011 a seguito di comunicazione del dirigente
scolastico; -con due provvedimenti del 13.9.2011 si prolungava la sospensione fino alla definizione del
procedimento disciplinare e si procedeva altresì alla contestazione dell’addebito; -con nuovo
provvedimento del 8.3.2012 si effettuava altra contestazione dei medesimi fatti già contestati con la
nota 13.9.2011; -con provvedimento del 28.9.2012 veniva disposto il licenziamento senza preavviso
per giusta causa;
secondo il ricorrente, si tratta di licenziamento illegittimo per le seguenti ragioni:
a. non si è proceduto, come necessario ai sensi dell’art. 55 bis decreto lgs. 165/2001, alla contestazione
dell’addebito immediatamente o nel termine perentorio di 40 giorni dalla notizia dell’illecito: la notizia
è infatti pervenuta all’U.S.R. il 24.3.2011 mentre la contestazione è del 13.9.2011;
b. il licenziamento non è stato intimato entro 120 giorni dalla notizia dell’illecito, come ancora
necessario ai sensi dell’art. 55 bis decreto lgs. 165/2001 (notizia del 24.3.2011, licenziamento del
28.9.2012);
dall’una o dall’altra violazione è conseguita autonomamente la decadenza dalla potestà disciplinare;
decadenza non impedita dalla pendenza del processo penale (invocata dall’U.S.R.), poiché il
procedimento disciplinare non riconosce pregiudizialità a quello penale ai sensi dell’art. 55 ter decreto
lgs 165/2001 già citato, salva la possibilità dell’autorità amministrativa di sospenderlo, con specifica
deliberazione, nei casi di maggiore complessità: sospensione qui non avvenuta e comunque non
legittima trattandosi di caso di semplice definizione;
nel merito, il licenziamento difetta di giusta causa in quanto sproporzionato alla entità dell’illecito, dal
quale non potevano dedursi ragioni cogenti per impedire la presenza del ricorrente in ambiente
scolastico;
il periculum in mora deriva dall’assenza di retribuzione che impedisce il decoroso sostentamento
dell’interessato;
si è costituita l’Avvocatura dello Stato che ha eccepito: -il licenziamento trova giusta causa nella
impossibilità di proseguire il rapporto ai sensi dell’art. 95 CCNL Comparto scuola; -il ricorso ex art.
700 c.p.c. è inammissibile per il suo carattere esclusivamente residuale, essendo invece prevista la
speciale tutela sommaria di cui all’art. 1 comma 48 ss. L. 92/2012; - non vi era stato ritardo nella
contestazione in quanto la stessa era stata già effettuata con lo stesso decreto di sospensione dal
servizio del 28.3.2011; -allo stesso modo, il medesimo provvedimento del 28.3.2011, conteneva una
statuizione di sospensione del procedimento disciplinare sino all’esito di quello penale;
il giudice della prima fase rigettava il ricorso, reputando l’applicabilità dell’art. 1 l. 92/2012 al pubblico
impiego contrattualizzato e , di conseguenza, la esperibilità del rito sommario per la tutela avverso
licenziamenti illegittimi; da ciò, secondo il giudice, non conseguiva la inammissibilità del ricorso
(essendo la residualità riferibile solo a procedimenti di natura tecnicamente cautelare e non anche
meramente sommaria o urgente), la assenza di periculum, in difetto di alcuna prova circa l’irreperabile
pregiudizio nel brevissimo periodo previsto per la celebrazione del rito speciale citato;
con il reclamo, XXX ha dedotto che: -il c.d. ‘rito Fornero’ non si applica al pubblico impiego poiché il
rinvio recettizio contenuto nell’art. 51 decreto lgs. 165/2001 è riferito al solo art. 18 legge 300/1970 e
tale ultima norma non contiene alcun richiamo al c.d. ‘rito Fornero’; di conseguenza, il periculum
sussiste e, peraltro, sussisterebbe anche in relazione al breve periodo necessario a espletare il rito,
poiché trattasi della compressione del diritto inviolabile non solo alla esistenza decorosa, ma anche al
pieno espletamento della personalità umana attraverso il lavoro; il reclamante ribadiva poi tutte le
ragioni già poste a fondamento della tesi della illegittimità del licenziamento;
l’Avvocatura si costituiva e ribadiva tutte le sue argomentazioni, proponendo altresì reclamo
incidentale condizionato in relazione alla eccezione sulla inammissibilità del rito;
il reclamante eccepiva la tardività del reclamo incidentale;
all’udienza del 11.1.2013 il Collegio si riservava la decisione.
Osservato che
la rinnovata deduzione, da parte dell’Avvocatura, della questione di inammissibilità del ricorso non
costituisce reclamo incidentale poiché l’U.S.R. è stato integralmente vittorioso nella prima fase, e si
traduce nella reiterazione di una mera difesa, che nel merito si reputa non fondata da parte del collegio,
posto che solo la prcvisione di strumenti cautelari in senso stretto inibisce in astratto il ricorso alla
tutela innominata ex art. 700 c.p.c.; il rito speciale ex art. 1 commi 46 ss. legge 92/2012, di contro, non
costituisce rito cautelare, sia per la assenza di ogni riferimento al rito cautelare uniforme sia per la
radicale diversità dei rimedi previsti avverso l’ordinanza che definisce la fase sommaria del rito in
esame;
nel merito, il reclamo di XXX è infondato ed a tale riguardo risulta assorbente la corretta tesi,
sostenuta dal giudice della prima fase, circa l’applicabilità del rito sommario ex L. 92/2012 anche ai
rapporti di pubblico impiego contrattualizzati;
dal punto di vista della ricostruzione testuale del sistema normativo si evidenziano intanto i seguenti
punti:
-il comma 7 dell’art. 1 legge 92/2012, stabilisce che, per quanto non espressamente previsto, “le
disposizioni della legge” valgono per il pubblico impiego quali meri criteri direttivi; il comma 8 indica
le future modalità di attuazione di tale funzione-quadro della nuova legge;
-l’art. 51 comma 2 decreto lgs. 165/2001 richiama, con rinvio pacificamente formale e mobile, l’intera
legge 300/70 e quindi anche l’art. 18 della stessa;
-i commi da 37 a 40 della legge 92/2012 modificano la legge 604/1966 e dettano nuova disciplina dei
requisiti formali e di altri profili del licenziamento;
-il comma 41 detta una regola che integra la disciplina dell’art. 7 legge 300/1970 in relazione al
licenziamento disciplinare;
-il comma 42 sostituisce, con un nuovo testo, l’art. 18 legge 300/1970;
-il comma 46 statuisce per via indiretta l’applicabilità del (nuovo) art. 18 l. 300/70 in casi di
licenziamento senza la prescritta forma;
-il comma 47 stabilisce che il nuovo rito si applica a tutte le ipotesi di licenziamento previste dall’art.
18 legge 300/1970;
-il comma 67 prevede che il nuovo rito si applichi a tutte le controversie instaurate dopo l’entrata in
vigore della legge.
Ciò posto, il collegio reputa che :
• il nuovo testo dell’art. 18 legge 300/70, introdotto dal comma 42, si applichi direttamente ed
immediatamente al pubblico impiego;
• se anche ciò non fosse, il ‘rito Fornero’ si applicherebbe comunque, di per sé, al
licenziamento nel pubblico impiego
Si osserva infatti quanto segue:
(questione sub lettera ‘a’)
Anche le modifiche dell’art. 18 S.L. contenute nella legge 92/2012, si applicano immediatamente al
pubblico impiego.
Il problema interpretativo nasce certamente dal fatto che l'art. 1, comma 7 della citata legge, stabilisce
che le disposizioni della stessa , per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono meri
principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti; e che il successivo
comma 8 stabilisce che il Ministro della funzione pubblica, sentite le parti sindacali, definisce anche
mediante “iniziative normative”, le modalità e i tempi per l’armonizzazione della disciplina relativa ai
dipendenti della PA. Inoltre,certamente, la legge 92/2012 non prevede norme esplicitamente
contenenti testuali menzioni del ‘pubblico impiego’ o formulate espressamente ad hoc per i
licenziamenti del nel pubblico impiego.
Tuttavia, un richiamo ‘espresso’, a una indagine di maggior approfondimento concettuale, può
rinvenirsi nella stessa esplicita modifica dell’art. 18, poiché l’articolo 18 era norma che -per effetto
del combinato disposto dell’art. 51 decreto lgs 165/2001- disciplinava direttamente il pubblico impiego.
O, altrimenti, può dirsi che il comma 42-art. 1 Legge 92/2012, modificando l’art. 18, ha modificato
direttamente lo statuto del pubblico impiego e che quindi la riserva dei commi 7 e 8 -generale, a
fronte della specialità del comma 42-, vale solo in relazione ai punti in cui la legge stessa modifica o
innova norme non già in vigore per lo stesso (in particolare al compendio delle innovazioni inerenti i
contratti, la mobilità etc.).
Del resto, accedendo alla tesi che vuole il nuovo art. 18 legge 300/1970 non applicabile al pubblico
impiego, si violerebbe l’art. 51 comma 2 decreto lgs 165/2001, secondo il quale tale settore è
disciplinato dalla legge 300/1970 come via via modificata.
Per superare tale ostacolo, la tesi qui respinta dovrebbe postulare una abrogazione tacita parziale
dell’art. 51 comma 2 citato, con espunzione dalla norma del richiamo alle modifiche del solo art. 18,
fermo restando il rinvio mobile alle altre parti dello Statuto dei lavoratori.
Tale abrogazione non ha appigli testuali nè può farsi derivare da ragioni sostanziali o sistematiche,
poiché nessun argomento depone per la sussistenza di apprezzabili motivi per sottrarre la disciplina del
pubblico impiego (sin qui comune a quella dell’impiego privati) alla modifica dell’art. 18 almeno con
riferimento ai licenziamenti disciplinari, settore che esula da profili riguardanti finalità di mobilità o di
politica del mercato del lavoro.
(questione sub lettera ‘b’)
Se poi la riforma sostanziale dell’art. 18 legge 300/1970 non si applicasse al pubblico impiego, allora
sopravviverebbe, per il pubblico impiego stesso, l’art. 18 nel testo previgente: quindi, sulla base del
comma 67 dell’art. 1 legge 92/2012, ove la controversia sul licenziamento sia instaurata sotto la
vigenza temporale della nuova legge, ed essendo indifferente se il licenziamento sia antecedente, si
applicherebbe comunque il nuovo rito semplificato ferma l’applicazione del vecchio regime
sostanziale.
Nessun elemento testuale impone infatti di postulare un legame necessario tra il ‘rito’ Fornero ed il
nuovo articolo 18 previsto dalla legge 92/2012; un tale legame, invece, come desumibile dal comma
47, sussiste solo tra l’art. 18 “e successive modifiche” da un lato ed il nuovo rito dall’altro; nella
espressione ‘art. 18…e successive modificazioni” va ricompreso anche l’art. 18 previgente alla legge
92/2012 che, secondo la tesi del reclamante, continuerebbe ad applicarsi al pubblico impiego sino a
nuova normativa di dettaglio.
Non può farsi leva, in senso contrario, sul richiamo effettuato dalla legge 92/2012 non semplicemente
“all’art. 18”, ma all’art. 18 “e successive modifiche”. Ciò in quanto:
-sul piano puramente testuale/semantico, la congiunzione “e” è idonea ad indicare non necessariamente
un concetto unico e inscindibile formato dall’unione tra le espressioni “art. 18” e “successive
modificazoni” (unitarietà che avrebbe potuto essere meglio indicata da formule del tipo “come
successivamente modificato”), bensì due diversi e distinti spazi di operatività della norma e cioè sia
l’art. 18 originario che l’art. 18 integrato da modifiche; tale ultima interpretazione semantica, peraltro
rafforzata dalla collocazione tra due virgole delle parole “e successive modificazioni”, appare
necessitata sul piano logico-sistematico ove si dovesse ritenere che, accanto al nuovo art. 18,
sopravviva per il pubblico impiego il vecchio art. 18, posto che, a separare i riti, si cadrebbe in una
ingiustificabile ed incomprensibile disparità di trattamento;
-inoltre, se anche non si condividesse quanto appena detto , anche l’art. 51 decreto lgs. 165/2001 ha
realizzato una “modifica” dell’articolo 18, non certamente incidendo sul contenuto diretto di tale fonte
normativa di cognizione, ma estendendo, per diretta statuizione normativa, il suo campo di
applicazione al pubblico impiego. Per “modifica” normativa, infatti, non deve qui intendersi, in senso
puramente formalistico e privo di orientamento verso la ratio, la diretta modifica della fonte di
cognizione, ma anche la modifica per altra via dell’ordinamento oggettivo generale che comporti
variazione del suo contenuto o del suo ambito di applicazione.
Un necessario collegamento tra nuovo art. 18 e nuovo rito, non può poi desumersi da profili logici o
sostanziali, poiché, al contrario, appare evidente che il ‘rito Fornero’ incentra la sua ratio esclusiva sul
legame tra celerità del processo e diritto alla reintegra: ragione per la quale tale rito appare
ricollegabile ad ogni ipotesi di tutela reale del lavoratore licenziato.
Del resto, non pare si dubiti, ad esempio, della applicabilità del ‘rito Fornero’ anche ai licenziamenti
intimati prima della legge 92/2012, e quindi disciplinati dal previgente art. 18, ove la causa sia
successiva alla sua entrata in vigore.
Come già sopra osservato, infine, l’applicazione del rito in sé non sarebbe inibita dalle riserve di cui ai
commi 7 e 8 dell’art. 1 legge 92/2012 , poiché il diretto riferimento del comma 47 all’art. 18 vale quale
disciplina diretta del pubblico impiego ed è quindi specifico rispetto alla generale riserva di non
immediata applicabilità.
In sintesi, dunque il ricorrente avrebbe potuto esperire il rito in esame e ciò comporta l’assenza di
periculum nel tempo necessario per far valere il diritto; tempo che i commi 48 ss. dell’art. 1 L. 92/2012
indicano secondo brevissime, rapide, inderogabili cadenze.
Va poi aggiunto che comunque, nemmeno in materia di licenziamento, il periculum è in re ipsa e va
invece allegato e dimostrato. Sul punto, sono ineccepibili le osservazioni del primo giudice circa
l’assenza di specifiche allegazioni e dimostrazioni sulla effettiva incapacità di sostentamento in
relazione alle condizioni familiari, abitative, allo svolgimento di altra attività e simili, alla effettiva
disponibilità di somme che non debbano tradursi in evidenze fiscali (è stata, invero, prodotta la sola
dichiarazione dei redditi).
Per completezza, non appare comunque inutile, anche sotto il profilo del fumus, rilevare la
infondatezza del ricorso.
Infatti, se anche la censura relativa al mancato rispetto dei termini di cui all’art. 55 bis decr.lgs.
165/2001 dovesse ritenersi fondata (tenuto conto che, anche facendo correttamente decorrere il
termine di decadenza dalla sola comunicazione della sentenza penale, sembrerebbe tempestiva la sola
contestazione dell’addebito, ma non anche il decreto di licenziamento, intervenuto dopo i 120 giorni
dalla riapertura del procedimento), la conseguenza di ciò non sarebbe la reintegra ma il mero
indennizzo sostitutivo.
Come detto, si reputa che il nuovo testo dell’art. 18 legge 300/1970 sia applicabile direttamente al
pubblico impiego contrattualizzato.
È pacifico che il licenziamento in esame sia stato disposto dopo l’entrata in vigore di tale nuovo testo
dell’art. 18.
Il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 55 bis decreto lgs. 165/2001 non è espressamente previsto
nella casistica di patologie previste dal novellato art. 18 quale fonte di reintegra piuttosto che di mero
indennizzo.
Le possibili cause di reintegra, automatica o discrezionale, sono elencate infatti, in modo tassativo,
nei commi 1 , 4, 7 del nuovo art. 18 e la violazione dei termini procedimentali non è ivi contemplata.
La conclusione sarebbe la stessa se si ritenesse l’elencazione dei casi di reintegra come non tassativa e,
in altre parole, si ritenesse che il nuovo art. 18 contenga due parallele elencazioni di pari valore.
In questo caso, bisognerebbe prendere atto della assenza del caso in esame in entrambe le elencazioni e
ricercare, mediante attività interpretativa, la disciplina che gli si applica.
Il comma 6 del nuovo art. 18 prevede che la violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge
300/1970 non determini la reintegra ma sole conseguenze economiche.
A tale ipotesi deve parificarsi quella, analoga ed anzi di identica natura, di violazione delle forme e
scansioni procedimentali previste per il licenziamento nel pubblico impiego.
Ove poi si volesse argomentare, direttamente, dall’analisi dell’art. 51 bis, la “decadenza” dalla potestà
disciplinare , ivi prevista, già sul piano tecnico-dogmatico non determina un caso di nullità del
recesso (che può derivare solo da difetti strutturali della fattispecie, da carenza di potere in astratto, o
da illiceità), né integra alcuno dei casi di nullità speciale prevista dal comma 1, i quali presuppongono
che la legge preveda espressamente una tale nullità.
Ne deriva che l’ordine di reintegra richiesto, anche ove fondata la censura sul procedimento, non
potrebbe essere accolto.
Non pare invece davvero necessario diffondersi sulla manifesta infondatezza delle censure relative alla
assenza di giusta causa o alla mancanza di proporzionalità del licenziamento, poiché, ad avviso del
Collegio, è di immediata e non controvertibile evidenza la assoluta e definitiva inidoneità del
ricorrente, condannato (se anche ex art. 444 c.p.p.) per reati di pedopornografia, a prestare servizio
quale collaboratore scolastico e cioè quale soggetto incaricato di cooperare ad attività di cura e custodia
materiale, nonché di promozione educativa, di minorenni.
Le spese della presente fase seguono la soccombenza in assenza di giustificato motivo e sono liquidate
in favore dell’Avvocatura, antistatario ex lege, come da parametri oggi in
vigore.
p.q.m.
rigetta il reclamo ;
condanna XXX alla refusione delle spese della presente fase in favore della Avvocatura distrettuale
dello Stato di Perugia, liquidandole in euro 1200,00 per compenso professionale.
Si comunichi.
Deliberato in Perugia nella camera di consiglio del 15.1.2013
Il presidente estensore
Andrea Claudiani