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Sull’esercizio del diritto di voto dei senatori a vita

Bologna
Ph. Anna Romualdi / Bologna

 

 

Oggetto di dibattito è stato il voto di fiducia concesso da tutti i senatori a vita attualmente in carica al governo Prodi in occasione della votazione dello scorso 19 Magggio. Molteplici sono state le chiavi di lettura di tale espressione di volontà. Pare che la parte maggioritaria dei commentatori abbia apprezzato tale scelta, ritenendola saggia e rispettosa della sovranità popolare. Al contrario l’autore di questo intervento si spinge a criticare tale scelta teorizzando un maggiore distacco dei senatori a vita dalla realtà politica del momento.

 

 

E’ necessaria una breve premessa intorno alla figura dei Senatori a vita.

 

Senatori a vita si diviene ex lege nel caso di Presidenti della Repubblica che abbiano concluso il loro mandato oppure per nomina nel caso di coloro che abbiano illustrato la patria per altissimi meriti (articolo 56 Costituzione). E’ necessario chiedersi quale sia stato il motivo che spinse i padri fondatori della nostra carta costituzionale a concepire questo tipo di figura ed affidargli un ruolo di tale importanza istituzionale nel nostro ordinamento.

 

E’ opinione di chi scrive che la ratio dell’esistenza dei senatori a vita sia quella di attribuire il laticlavio a quei soggetti che da un lato hanno  ricoperto la più alta carica istituzionale assurgendo così ad una dignità politica assoluta, e dall’altro consentire a coloro che abbiano conseguito particolari meriti nei campi della letteratura, della filosofia, della poesia, della scienza, della musica, della politica, dell’imprenditoria, dello spettacolo, di concorrere all’indirizzo politico del paese sedendo sugli scranni di palazzo Madama. Non deve essere interpretato come un premio dato a chi è stato particolarmente meritevole. Piuttosto come la volontà dello Stato di avvalersi nell’attività di formazione delle leggi di soggetti particolarmente insigni il cui pensare, sentire, capire, abbia rango istituzionale per il solo promanare da tali stessi soggetti. Ne sia riprova il nome e la caratura dei senatori a vita di nomina presidenziale. Figure che di certo non avrebbero avuto bisogno della nomina a senatore a vita per accrescere il loro spessore. Da Toscanini a Trilussa, da Montale a Edoardo De Filippo, da Bobbio a Gianni Agnelli.

 

Il Senatore a vita, nell’espletamento delle proprie funzioni istituzionali e dunque anche in occasione dell’espressione del voto di fiducia al governo dovrebbe esprimere la propria preferenza in base a convincimenti personali. Al proprio sentire, alla propria inclinazione politica. Francamente pare molto riduttivo uniformarsi al voto della maggioranza, se pur risicata, per il solo fatto di sedere a palazzo Madama non per volontà degli elettori ma delle stesse istituzioni. Il rango e la levatura dei senatori a vita impongono scelte autonome, trascendenti dall’espressione politica della volontà popolare del momento, che per definizione è sì sovrana ma (oggi) in modo decisamente temperato.

 

E se tale volontà andasse a collidere con quella di una risicata maggioranza tanto da pregiudicarne la fiducia, ci troveremmo di fronte ad una peculiarità del nostro ordinamento e come tale dovremmo semplicemente accettarla. Difficilmente comprensibile è per chi scrive la scelta di coloro che, come in questo caso, di fatto siedono a palazzo Madama solo per rafforzare l’esiguità della maggioranza. Svolgendo un ragionamento molto semplice è possibile sviluppare un paragone. E’ come se un sovrano si contornasse di consiglieri e al momento di prendere una decisione esprimesse la propria idea. Se in quel momento i consiglieri appoggiassero l’idea del sovrano senza esternare la propria, solo per rispetto dell’autorità interlocutrice, essi non avrebbero ben svolto il proprio compito.

 

Non ritengo saggia la scelta dei senatori a vita di votare la fiducia al governo solo per uniformarsi alla volontà popolare. Forse che gli altri 315 senatori non sono espressione della volontà popolare?

 

 

 

 

Oggetto di dibattito è stato il voto di fiducia concesso da tutti i senatori a vita attualmente in carica al governo Prodi in occasione della votazione dello scorso 19 Magggio. Molteplici sono state le chiavi di lettura di tale espressione di volontà. Pare che la parte maggioritaria dei commentatori abbia apprezzato tale scelta, ritenendola saggia e rispettosa della sovranità popolare. Al contrario l’autore di questo intervento si spinge a criticare tale scelta teorizzando un maggiore distacco dei senatori a vita dalla realtà politica del momento.

 

 

E’ necessaria una breve premessa intorno alla figura dei Senatori a vita.

 

Senatori a vita si diviene ex lege nel caso di Presidenti della Repubblica che abbiano concluso il loro mandato oppure per nomina nel caso di coloro che abbiano illustrato la patria per altissimi meriti (articolo 56 Costituzione). E’ necessario chiedersi quale sia stato il motivo che spinse i padri fondatori della nostra carta costituzionale a concepire questo tipo di figura ed affidargli un ruolo di tale importanza istituzionale nel nostro ordinamento.

 

E’ opinione di chi scrive che la ratio dell’esistenza dei senatori a vita sia quella di attribuire il laticlavio a quei soggetti che da un lato hanno  ricoperto la più alta carica istituzionale assurgendo così ad una dignità politica assoluta, e dall’altro consentire a coloro che abbiano conseguito particolari meriti nei campi della letteratura, della filosofia, della poesia, della scienza, della musica, della politica, dell’imprenditoria, dello spettacolo, di concorrere all’indirizzo politico del paese sedendo sugli scranni di palazzo Madama. Non deve essere interpretato come un premio dato a chi è stato particolarmente meritevole. Piuttosto come la volontà dello Stato di avvalersi nell’attività di formazione delle leggi di soggetti particolarmente insigni il cui pensare, sentire, capire, abbia rango istituzionale per il solo promanare da tali stessi soggetti. Ne sia riprova il nome e la caratura dei senatori a vita di nomina presidenziale. Figure che di certo non avrebbero avuto bisogno della nomina a senatore a vita per accrescere il loro spessore. Da Toscanini a Trilussa, da Montale a Edoardo De Filippo, da Bobbio a Gianni Agnelli.

 

Il Senatore a vita, nell’espletamento delle proprie funzioni istituzionali e dunque anche in occasione dell’espressione del voto di fiducia al governo dovrebbe esprimere la propria preferenza in base a convincimenti personali. Al proprio sentire, alla propria inclinazione politica. Francamente pare molto riduttivo uniformarsi al voto della maggioranza, se pur risicata, per il solo fatto di sedere a palazzo Madama non per volontà degli elettori ma delle stesse istituzioni. Il rango e la levatura dei senatori a vita impongono scelte autonome, trascendenti dall’espressione politica della volontà popolare del momento, che per definizione è sì sovrana ma (oggi) in modo decisamente temperato.

 

E se tale volontà andasse a collidere con quella di una risicata maggioranza tanto da pregiudicarne la fiducia, ci troveremmo di fronte ad una peculiarità del nostro ordinamento e come tale dovremmo semplicemente accettarla. Difficilmente comprensibile è per chi scrive la scelta di coloro che, come in questo caso, di fatto siedono a palazzo Madama solo per rafforzare l’esiguità della maggioranza. Svolgendo un ragionamento molto semplice è possibile sviluppare un paragone. E’ come se un sovrano si contornasse di consiglieri e al momento di prendere una decisione esprimesse la propria idea. Se in quel momento i consiglieri appoggiassero l’idea del sovrano senza esternare la propria, solo per rispetto dell’autorità interlocutrice, essi non avrebbero ben svolto il proprio compito.

 

Non ritengo saggia la scelta dei senatori a vita di votare la fiducia al governo solo per uniformarsi alla volontà popolare. Forse che gli altri 315 senatori non sono espressione della volontà popolare?