Affido condiviso ex lege 54/2006 e tempi/modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore
L’art. 155 –bis codice civile (pure esso introdotto con la novella n. 54/2006) dispone a propria volta che “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.
La lettura combinata di tali norme ha portato a ritenere pacifico nel nostro ordinamento il principio secondo cui la regola è costituita dall’affidamento condiviso della prole (joint custody) e che l’affidamento esclusivo debba essere disposto ricorrendo determinate circostanze a giustificazione del medesimo, rese palesi dal magistrato con provvedimento motivato.
L’affido condiviso non esaurisce tuttavia la regolamentazione della questione.
Una volta stabilito, infatti, che l’affido sia condiviso (potestà congiunta dei genitori per tutte le decisioni sia di ordinaria amministrazione che di straordinaria, pur ammettendosi anche la potestà separata limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione: art. 155 codice civile, novellato), occorre infatti disciplinare il contenuto concreto dell’affidamento in quanto il Giudice “determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore”.
La legge sull’affidamento condiviso collega, inoltre, la misura dell’assegno di contributo al mantenimento del minore (secondo il principio di proporzionalità) ai “tempi di permanenza (del minore n.d.r.) presso ciascun genitore” (comma 3, lett. 4, art. 155 cod. civ.).
Il coacervo di tali norme, va, a monte, imprescindibilmente collegato al principio di portata ancora più generale, secondo cui tutti i provvedimenti adottati in materia e relativi alla prole vanno assunti “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (art. 155, secondo comma, cod. civ.).
Non sono molte le sentenze che ad oggi siano occupate ex professo delle modalità di distribuzione della frequentazione dei figli tra i genitori nell’ambito dell’affidamento condiviso.
Di recente, la sentenza della Corte di Appello, con sua decisione 21 gennaio 2011 n. 192 ha disposto in materia, fornendo spunto per alcune interessanti riflessioni.
Nel caso specie, il padre aveva impugnato la sentenza di prime cure chiedendo l’esonero dal mantenimento della figlia minore ed il prolungamento del pernottamento di un giorno infrasettimanale presso il medesimo, nella settimana in cui era stabilito che la figlia non passasse con il padre il fine settimana.
Resisteva la madre invocando a giustificazione della permanenza dell’assegno di contributo al mantenimento della figlia, la maggiore capacità reddito/patrimoniale del marito.
La Corte di Appello riforma in parte la sentenza del Tribunale, disponendo che il padre possa vedere la figlia nei termini richiesti, mantenendo (seppur diminuendo) la misura del contributo al mantenimento della stessa.
Soffermandoci in particolare sul punto che concerne le modalità di frequentazione della minore da parte di ciascun genitore, si evince dalla lettura della motivazione, che il Tribunale rigettò il prolungamento della permanenza di un giorno rispetto a quelli già prefissati motivandolo con il pericolo di una eccessiva “frammentarietà” della vita della minore in caso di aumento della frequenza presso il padre.
Tale rischio non viene condiviso dai giudici di seconde cure, ritenendo che “l’interesse del padre e della figlia a conservare un corretto ed opportuno rapporto di frequentazione prevale sull’eventuale disturbo che consegue all’eccessiva frammentarietà” e prendendo atto della circostanza che “il menàge della bambina è già allo stato caratterizzato da una significativa frequenza del “cambio di genitore”, peraltro imposta e determinata dalla stessa condizione di separazione dei coniugi; e non pare che aggiungere un pomeriggio ogni due settimane possa determinare un significativo aggravamento del ritmo di vita quale già ora si mostra esistente. Al contrario l’incontro del venerdì evita al padre di rimanere per quasi cinque giorni consecutivi senza vedere la figlia, il che va a vantaggio di entrambi e non porta certo aggravio per la madre.”
La decisione, per quel che possa evincersi dalla medesima, peraltro parca nei dettagli di fatto, appare ineccepibile.
Di fatto, la minore, affidata ad entrambi i genitori in modo condiviso, trascorrerà con il padre e la madre grosso modo lo stesso numero di giorni, costituendosi quindi una distribuzione paritetica dei tempi di permanenza della figlia presso l’uno e presso l’altro.
La collocazione della minore presso l’abitazione della madre, è destinata quindi ad assumere nel suddetto contesto una valenza più anagrafica, che sostanziale, ed entrambi i genitori, in pari modo saranno onerati delle varie incombenze conseguenti alla gestione della figlia (qui non è dato di conoscerne l’età, ma si presume che in ciascuna abitazione vi sia uno spazio dedicato alla stessa e che sia il padre che la madre siano in grado di provvedere al suo accompagnamento/ripresa a/da scuola e/dalle consuete attività ludico-sportive tipiche dei bambini).
Una situazione ideale, dunque, che dovrebbe essere presa a modello educativo-morale in tutti i casi di rottura della coppia genitoriale, i quali “responsabili in senso oggettivo” (come insinua la Corte di Firenze) della separazione sono chiamati a compensare i perduti benefici dell’unicità della casa familiare (quale centro di interessi del minore, vicinanza alla scuola, alle amicizie e quant’altro) con la realizzazione di due centri di appoggio, uno presso la madre ed un presso il padre, equivalenti nella loro capacità di accoglienza, comodità, prossimità alle varie attività frequentate dal minore.
Vi è da chiedersi, tuttavia, se tale situazione ideale possa giustificarne l’applicazione giudiziaria di un collocamento paritetico in termini di tempo dei figli presso ciascun genitore, in ogni e qualunque circostanza e soprattutto se sempre sia corrispondente all’interesse del minore.
Purtroppo, nello stato attuale, la risposta è destinata di fatto ad essere negativa, per ragioni contingenti, in quanto lo sdoppiamento della coppia comporta di norma un impoverimento complessivo delle sostanze economiche della medesima a cagione della duplicazione dei costi conseguenti alla sua rottura e per l’assenza di una politica di welfare che aiuti la famiglia, in senso generale, unita o disfatta che sia.
L’affido condiviso, in questo contesto, rischia quindi di rimanere concetto ideale sulla carta, ma vieppiù inapplicato nella vita di tutti i giorni e nelle aule di giustizia.
Sovente si legge che nulla sarebbe mutato rispetto al passato ed il disporsi l’affido ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso uno soltanto, altro non sarebbe che un vestito nuovo su un corpo vecchio (la regola dell’affido esclusivo ante riforma).
Del resto, che il problema sia al fondo di carattere economico (e non morale-educativo, legato al benessere del minore) è assai agevole arguirlo dal fatto che alla richiesta di modifica della frequentazione del minore è quasi sempre accompagnata la richiesta di mutamento della parte economica, anche quando l’incidenza della frequentazione è tanto minima da non poter giustificare un apprezzabile miglioramento/deterioramento delle spese gravanti su uno l’altro genitore.
Sotto altro profilo, rischia di rimanere così delusa anche la finalità della legge sull’affidamento condiviso di indurre a ragione i sempre più numerosi genitori litiganti in nome del diritto del minore ad un quieto e sano vivere: i genitori continuano a litigare, anche sulle modalità di frequentazione dei figli, anche per un giorno al mese o due, anche per somme di modestissima entità.
La nuova legge doveva, in altri termini, portare buon senso, valorizzare le capacità di dialogo e di assunzione comune delle decisioni riguardanti i figli, valorizzare l’autodeterminazione congiunta dei genitori nell’interesse morale e materiale della prole.
E’ un processo di lunga portata e forse i cinque anni ormai trascorsi dal febbraio 2006 non sono sufficienti, osservando a ben vedere che la regola dell’affido condiviso spesso e volentieri è già violata in costanza di convivenza e la rottura della coppia non fa che aggravarne l’implementazione.
La collocazione del minore, pur nell’ambito dell’affidamento condiviso, diventa quindi serio argomento, da trattare con estrema delicatezza, che richiede capacità giuridiche e doti pratiche per pervenire a soluzioni di minor impatto possibile sui bambini, per non rischiare di avere un minore dimezzato, diviso tra i genitori anziché tra loro condiviso.
L’art. 155 –bis codice civile (pure esso introdotto con la novella n. 54/2006) dispone a propria volta che “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.
La lettura combinata di tali norme ha portato a ritenere pacifico nel nostro ordinamento il principio secondo cui la regola è costituita dall’affidamento condiviso della prole (joint custody) e che l’affidamento esclusivo debba essere disposto ricorrendo determinate circostanze a giustificazione del medesimo, rese palesi dal magistrato con provvedimento motivato.
L’affido condiviso non esaurisce tuttavia la regolamentazione della questione.
Una volta stabilito, infatti, che l’affido sia condiviso (potestà congiunta dei genitori per tutte le decisioni sia di ordinaria amministrazione che di straordinaria, pur ammettendosi anche la potestà separata limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione: art. 155 codice civile, novellato), occorre infatti disciplinare il contenuto concreto dell’affidamento in quanto il Giudice “determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore”.
La legge sull’affidamento condiviso collega, inoltre, la misura dell’assegno di contributo al mantenimento del minore (secondo il principio di proporzionalità) ai “tempi di permanenza (del minore n.d.r.) presso ciascun genitore” (comma 3, lett. 4, art. 155 cod. civ.).
Il coacervo di tali norme, va, a monte, imprescindibilmente collegato al principio di portata ancora più generale, secondo cui tutti i provvedimenti adottati in materia e relativi alla prole vanno assunti “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (art. 155, secondo comma, cod. civ.).
Non sono molte le sentenze che ad oggi siano occupate ex professo delle modalità di distribuzione della frequentazione dei figli tra i genitori nell’ambito dell’affidamento condiviso.
Di recente, la sentenza della Corte di Appello, con sua decisione 21 gennaio 2011 n. 192 ha disposto in materia, fornendo spunto per alcune interessanti riflessioni.
Nel caso specie, il padre aveva impugnato la sentenza di prime cure chiedendo l’esonero dal mantenimento della figlia minore ed il prolungamento del pernottamento di un giorno infrasettimanale presso il medesimo, nella settimana in cui era stabilito che la figlia non passasse con il padre il fine settimana.
Resisteva la madre invocando a giustificazione della permanenza dell’assegno di contributo al mantenimento della figlia, la maggiore capacità reddito/patrimoniale del marito.
La Corte di Appello riforma in parte la sentenza del Tribunale, disponendo che il padre possa vedere la figlia nei termini richiesti, mantenendo (seppur diminuendo) la misura del contributo al mantenimento della stessa.
Soffermandoci in particolare sul punto che concerne le modalità di frequentazione della minore da parte di ciascun genitore, si evince dalla lettura della motivazione, che il Tribunale rigettò il prolungamento della permanenza di un giorno rispetto a quelli già prefissati motivandolo con il pericolo di una eccessiva “frammentarietà” della vita della minore in caso di aumento della frequenza presso il padre.
Tale rischio non viene condiviso dai giudici di seconde cure, ritenendo che “l’interesse del padre e della figlia a conservare un corretto ed opportuno rapporto di frequentazione prevale sull’eventuale disturbo che consegue all’eccessiva frammentarietà” e prendendo atto della circostanza che “il menàge della bambina è già allo stato caratterizzato da una significativa frequenza del “cambio di genitore”, peraltro imposta e determinata dalla stessa condizione di separazione dei coniugi; e non pare che aggiungere un pomeriggio ogni due settimane possa determinare un significativo aggravamento del ritmo di vita quale già ora si mostra esistente. Al contrario l’incontro del venerdì evita al padre di rimanere per quasi cinque giorni consecutivi senza vedere la figlia, il che va a vantaggio di entrambi e non porta certo aggravio per la madre.”
La decisione, per quel che possa evincersi dalla medesima, peraltro parca nei dettagli di fatto, appare ineccepibile.
Di fatto, la minore, affidata ad entrambi i genitori in modo condiviso, trascorrerà con il padre e la madre grosso modo lo stesso numero di giorni, costituendosi quindi una distribuzione paritetica dei tempi di permanenza della figlia presso l’uno e presso l’altro.
La collocazione della minore presso l’abitazione della madre, è destinata quindi ad assumere nel suddetto contesto una valenza più anagrafica, che sostanziale, ed entrambi i genitori, in pari modo saranno onerati delle varie incombenze conseguenti alla gestione della figlia (qui non è dato di conoscerne l’età, ma si presume che in ciascuna abitazione vi sia uno spazio dedicato alla stessa e che sia il padre che la madre siano in grado di provvedere al suo accompagnamento/ripresa a/da scuola e/dalle consuete attività ludico-sportive tipiche dei bambini).
Una situazione ideale, dunque, che dovrebbe essere presa a modello educativo-morale in tutti i casi di rottura della coppia genitoriale, i quali “responsabili in senso oggettivo” (come insinua la Corte di Firenze) della separazione sono chiamati a compensare i perduti benefici dell’unicità della casa familiare (quale centro di interessi del minore, vicinanza alla scuola, alle amicizie e quant’altro) con la realizzazione di due centri di appoggio, uno presso la madre ed un presso il padre, equivalenti nella loro capacità di accoglienza, comodità, prossimità alle varie attività frequentate dal minore.
Vi è da chiedersi, tuttavia, se tale situazione ideale possa giustificarne l’applicazione giudiziaria di un collocamento paritetico in termini di tempo dei figli presso ciascun genitore, in ogni e qualunque circostanza e soprattutto se sempre sia corrispondente all’interesse del minore.
Purtroppo, nello stato attuale, la risposta è destinata di fatto ad essere negativa, per ragioni contingenti, in quanto lo sdoppiamento della coppia comporta di norma un impoverimento complessivo delle sostanze economiche della medesima a cagione della duplicazione dei costi conseguenti alla sua rottura e per l’assenza di una politica di welfare che aiuti la famiglia, in senso generale, unita o disfatta che sia.
L’affido condiviso, in questo contesto, rischia quindi di rimanere concetto ideale sulla carta, ma vieppiù inapplicato nella vita di tutti i giorni e nelle aule di giustizia.
Sovente si legge che nulla sarebbe mutato rispetto al passato ed il disporsi l’affido ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso uno soltanto, altro non sarebbe che un vestito nuovo su un corpo vecchio (la regola dell’affido esclusivo ante riforma).
Del resto, che il problema sia al fondo di carattere economico (e non morale-educativo, legato al benessere del minore) è assai agevole arguirlo dal fatto che alla richiesta di modifica della frequentazione del minore è quasi sempre accompagnata la richiesta di mutamento della parte economica, anche quando l’incidenza della frequentazione è tanto minima da non poter giustificare un apprezzabile miglioramento/deterioramento delle spese gravanti su uno l’altro genitore.
Sotto altro profilo, rischia di rimanere così delusa anche la finalità della legge sull’affidamento condiviso di indurre a ragione i sempre più numerosi genitori litiganti in nome del diritto del minore ad un quieto e sano vivere: i genitori continuano a litigare, anche sulle modalità di frequentazione dei figli, anche per un giorno al mese o due, anche per somme di modestissima entità.
La nuova legge doveva, in altri termini, portare buon senso, valorizzare le capacità di dialogo e di assunzione comune delle decisioni riguardanti i figli, valorizzare l’autodeterminazione congiunta dei genitori nell’interesse morale e materiale della prole.
E’ un processo di lunga portata e forse i cinque anni ormai trascorsi dal febbraio 2006 non sono sufficienti, osservando a ben vedere che la regola dell’affido condiviso spesso e volentieri è già violata in costanza di convivenza e la rottura della coppia non fa che aggravarne l’implementazione.
La collocazione del minore, pur nell’ambito dell’affidamento condiviso, diventa quindi serio argomento, da trattare con estrema delicatezza, che richiede capacità giuridiche e doti pratiche per pervenire a soluzioni di minor impatto possibile sui bambini, per non rischiare di avere un minore dimezzato, diviso tra i genitori anziché tra loro condiviso.