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Cessione del contratto e subcontratto, con particolare riferimento ai rapporti tra contraenti originari

Cessione del contratto e subcontratto, con particolare riferimento ai rapporti tra contraenti originari

A differenza del codice del 1865, e degli ordinamenti francese e tedesco, a cessione del contratto è un istituto previsto e disciplinato nel codice civile del 1942 agli artt. 1406 e ss. ed è un negozio mediante il quale cui una parte – titolare di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive non ancora eseguite e quindi detto cedente - può sostituire a sé un terzo, il cessionario,  purché l’altra parte, il ceduto, vi consenta. La successione nei contratti non è un fenomeno di per sé eccezionale: il codice civile permette, in via di principio, la cessione del contratto, ammettendola purché l’altra parte di consenta: a tale principio deroga la sola disciplina legislativa dell’azienda, che si verifica indipendentemente dal consenso del terzo contraente, che può recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento e per giusta causa, ma che si trova vincolato nei confronti di un soggetto diverso dall’originario contraente indipendentemente dal concorso della sua volontà. Tale vicenda, oltre che come atto negoziale complesso, può qualificarsi come vicenda soggettiva del contratto, più specificamente successione a titolo particolare nell’insieme dei rapporti obbligatori nascenti dal contratto stesso o rapporto contrattuale (sostanziandosi pertanto in un c.d. contratto di secondo grado, in quanto incide su una struttura contrattuale preesistente) e può essere oggetto di un negozio, nel qual caso si avrà cessione negoziale o volontaria, o avere titolo nella legge, nel qual caso si avrà cessione legale. Tale fattispecie di successione ex lege ricorre quando è la legge che ritiene certi fatti idonei a trasferire il rapporto contrattuale e riguarda principalmente i contratti di utilizzazione e assicurazione di un bene i quali si trasferiscono automaticamente con l’alienazione del bene stesso, fatta salva una contraria volontà dell’acquirente o dell’assicuratore. Ne consegue che in questo tipo di cessione non è richiesto l’accordo delle parti né l’adesione del contraente ceduto, determinandosi il trasferimento del rapporto al momento del perfezionamento della fattispecie traslativa legale. Il ceduto vedrà acquistare efficacia la cessione con la notifica e in mancanza di un onere particolare in tal senso, con l’avvenuta conoscenza e potrà recedere dal contratto se sussiste una giusta causa nel caso di alienazione o locazione di azienda, tipica fattispecie di cessione legale (art. 2558 cod. civ.).

Con la cessione del contratto le parti realizzano il sub ingresso di un nuovo soggetto nella posizione giuridica, attiva e passiva, di uno dei soggetti originari, dando vita ad una funzione economica importante: quella di eliminare complicate e dispendiose rinnovazioni del contratto. Il rapporto contrattuale viene, sicché, investito nella sua interezza: un terzo estraneo interviene nella qualità di una “parte” unicamente in un contratto a prestazioni corrispettive divenendo al tempo stesso debitore e creditore.

Nonostante l’assenza di espressa previsione normativa c’è chi ritiene possibile anche una cessione parziale del contratto, che non estingue il rapporto, ma si limita ad un suo parziale trasferimento, restando ferma la titolarità del cedente per la quota parte non trasferita, al contrario di altri che ipotizzano solo un eventuale accordo a carattere novativo tra ceduto e cessionario successivamente alla cessione. Controversa è l’ammissibilità della cessione di contratti basati sull’intuitus personae, la cui natura pone problemi di limitazione alla cedibilità, in quanto la valutazione di convenienza dovrà essere fatta dal contraente ceduto, che ben potrà accordarsi in tal senso con il cedente che deve eseguire la prestazione infungibile e con il cessionario.

Che sia totale o parziale, in ogni caso la cessione del credito è una vicenda unitaria (idea del contratto come organismus), in quanto ciò che si trasferisce è il rapporto contrattuale, più precisamente la posizione contrattuale consistente nel complesso di diritto e obblighi scaturenti dal contratto. Invero a tale concezione unitaria, consolidata sia in dottrina che in giurisprudenza, si contrappone quella atomistica, o della scomposizione, secondo la quale l’unico negozio di cessione si articolerebbe in una cessione di crediti contrattuali simultanea ad un accollo esterno di debiti contrattuali, ma tale concezione non corrisponde al significato voluto dalla normativa codicistica che ricomprende nella posizione contrattuale oggetto di cessione non solo crediti e obbligazioni, ma anche tutti i poteri che ineriscono alla titolarità del rapporto, nonché i diritti potestativi, le aspettative e gli strumenti connessi alla qualità di parte contrattuale, e non quindi una mera preventiva adesione ad un accollo liberatorio uno e cumulativo l’altro.

Il riferimento normativo al rapporto a prestazioni non ancora eseguite è stato interpretato in base al rilievo che la realizzazione del rapporto relativamente ad una delle parti porrebbe ad oggetto dell’alienazione solo singoli diritti contrattuali rispetto ai quali risulterebbe estranea la figura e la disciplina della cessione contrattuale e anche alla luce della Relazione al codice (n. 641) che si esprimeva in tal senso. Il codice, all’art. 1406, ha voluto creare tale presupposto per distinguerlo dalla mera cessione di un credito nei confronti di una controparte. Ciò non esclude che non si debba distinguere tra diritto del contraente alla prestazione in sé considerato e l’insieme dei diritti e poteri che gli spettano quale titolare del contratto, ovvero la prestazione contrattuale attiva. Una distinzione va fatta tra contratti ad esecuzione istantanea o differita e contratti ad esecuzione continuata o periodica: nei primi, se uno dei due contraenti ha eseguito la sua prestazione, non potrà più avere luogo una cessione del contratto, al massimo la cessione del suo credito alla controprestazione, occorrerà pertanto che entrambe le prestazioni siano ancora ineseguite; nei secondi la cessione è possibile anche se è iniziata da entrambe le parti l’esecuzione del contratto e resterà tale  fin quando il contratto non si sia sciolto e quindi suscettibile di esecuzione.

Se aspetti rilevanti e pacifici sono che l’istituto della cessione del contratto realizza un vero e proprio fenomeno di successione di un terzo nella posizione contrattuale ceduta e che è necessaria la partecipazione del contraente ceduto ai fini del perfezionamento della cessione, sono tuttora in parte controverse alcune questioni circa la natura giuridica di tale consenso, l’individuazione della causa della cessione del contratto, l’oggetto del negozio di cessione, la forma del contratto ceduto e la posizione giuridica delle parti nella vicenda contrattuale. La giurisprudenza ha chiarito che la cessione del contratto realizza un negozio plurilaterale, che si perfeziona quando il proponente (o i proponenti, nel caso di proposta comune tra cedente e cessionario) ha notizia dell’accettazione dell’ultimo dei due destinatari, assumendo pertanto imprescindibile rilievo al riguardo (pure) il consenso del contraente ceduto, che, così come quello delle altre parti, può essere espresso anche tacitamente (salvo che per il contratto ceduto siano richiesti particolari requisiti di forma, in tal caso da osservarsi anche per la cessione del contratto, e, quindi, anche da parte del ceduto medesimo), pure successivamente (ma sempre che non sia venuto meno) all’accordo tra cedente e cessionario, l’accertamento della cui sussistenza costituisce peraltro indagine di fatto, rimessa al Giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivata.

Taluno ha evidenziato la natura adesiva/autorizzativa del consenso, asserendo la necessità di distinguere l’assenso del contraente ceduto dal negozio autorizzato. Tuttavia, tale impostazione presta il fianco a forti critiche, basta che si consideri il fatto che il contraente ceduto non può divenire parte del negozio di cessione solo con una mera adesione: più correttamente la presenza del consenso (preventivo o progressivo) di tale soggetto serve per la formazione del negozio di cessione, e non si tratta semplicemente di aderire ad un qualcosa di già formato.

Risulta isolata altresì quella dottrina che ravvisa nel consenso del contraente ceduto una mera condizione di efficacia della cessione il consenso qui si pone solo come elemento eventuale e non essenziale, poiché il contratto risulterebbe già perfezionato con l’accordo tra cessionario e cedente. Unico effetto del consenso risulterebbe la liberazione del contraente originario. Ma anche tale impostazione non convince appieno.

Depone a sfavore di tale teoria il tenore letterale della norma di cui all’art. 1408 cod. civ. dal quale è dato desumere come l’effetto liberatorio sia un effetto automatico della cessione tale per cui, perfezionata questa, si presume che il ceduto nulla debba chiedere al cedente. Infatti, l’intendimento del Legislatore sotteso alla fattispecie di cui all’art. 1406 cod. civ. era quello di realizzare la cessione "purché" l’altra parte vi consenta, e non "quando" l’altra parte vi consenta.

 

Dibattuta anche la natura della causa negotii del contratto de quo: il negozio di cessione del contratto è un negozio di alienazione che si caratterizza per il suo oggetto prescindendo da una determinata causa, e la disciplina che trova applicazione riguarda la circolazione del rapporto contrattuale, la sua vicenda negoziale traslativa, il suo oggetto appunto. La disciplina che si applica in relazione alla causa, non avendo il contratto una causa propria, sia pure generica, né una causa variabile (nonostante i tentativi da parte di alcuni di ravvisare tali tipi di cause) dipenderà dalla causa di volta in volta rinvenibile nel contratto di cessione, ovvero la causa che giustifica l’operazione (es. vendita, donazione, transazione, ecc.), la funzione in pratica cui concretamente mira la complessa operazione economica circa l’assetto degli interessi reciproci. Alcuni parlano di causa triplice, data dalla sommatoria, in base ai rapporti tra le parti del contratto, di causa traslativa del contratto tra cedente e cessionario, causa del contratto ceduto tra ceduto e cessionario, causa solutoria tra cedente e ceduto. La cessione del contratto è essa stessa un contratto e, a prescindere dalla natura del contratto ceduto, può essere stipulata a titolo oneroso (in tal caso il corrispettivo convenuto per la sua conclusione assume rilievo autonomo rispetto al corrispettivo previsto per il contratto ceduto) o gratuito: la causa può essere onerosa (es. cessione della vendita o permuta) se viene stabilito un corrispettivo a carico del cessionario e a favore del cedente o gratuita (es. nella cessione della donazione) se la cessione è vantaggiosa e il cedente vuole beneficare il cessionario.

L’oggetto della cessione è stato oggetto di dibattito in quanto, prevedendo espressamente l’art. 1406 cod. civ. la cedibilità dei contratti con prestazioni corrispettive, non è stata di facile soluzione l’ammissibilità della cessione di eventuali contratti di schema diverso o atipico o se tale tipicità è vincolante. Nel caso del contratto unilaterale (eseguito ex uno latere), mentre la dottrina atomistica non ha difficoltà ad ammettere tale forma di cessione, la teoria unitaria ne esclude la cedibilità. La stessa Cassazione, in passato ondivoca sul tema, ha in seguito affermato che, nonostante la testuale formulazione codicistica, anche tale contratto e i contratti ad effetti reali sarebbero suscettibili di essere ceduti a norma e con gli effetti di cui agli artt. 1406 cod. civ. Seppure la prevalente dottrina propende per l’ammissione di cessioni "atipiche", in sede di legittimità non vi è tuttora un orientamento dominante sull’altro, essendovi sentenze a favore dell’una o dell’altra ricostruzione in pari proporzione. Il consenso del contraente ceduto, costituendo elemento essenziale del negozio di cessione del contratto, il quale richiede la necessaria partecipazione del cedente, del cessionario e del ceduto, e che può essere anche successivo all’accordo tra cedente e cessionario purché nel momento di tale adesione non sia venuto meno l’accordo originario al quale essa vuole aggiungersi per perfezionare il contratto comporta che la cessione deve avere per oggetto la complessiva posizione attiva e passiva del contraente ceduto e non è, quindi, più possibile dopo che, essendo state adempiute le prestazioni di una delle parti, il contraente ceduto sia rimasto solo creditore e solo debitore dell’altro.

La cessione non richiede una forma determinata, essa dipenderà dalla natura dei diritti trasferiti (ad es. se beni immobili), dallo schema contrattuale che viene ceduto o dalla causa della cessione (ad es. donazione), in base alla regola generale della forma per relationem. Indicazioni in merito pervengono anche dalla Corte, secondo la quale ogni negozio preparatorio o modificativo (negozio di secondo grado) di altro negozio, per il quale è imposta una forma, deve seguire la forma di quest’ultimo per essere valido. Tuttavia alcuni ritengono che ciò sia derogabile nelle cessioni attuate con spirito di liberalità. Anche il consenso del ceduto non è soggetto a vincoli di forma, potendo anche essere tacito o per facta concludentia; tuttavia dovrà essere provato da chi intende avvalersi della cessione e risultare da atto scritto se il contratto di cessione pretende tale forma.  

La questione relativa all’efficacia della cessione del contratto nei confronti dei terzi diversi dal contraente ceduto rientra nel problema generale dell’opponibilità del contratto ai terzi aventi causa e ai creditori.

Dottrina e giurisprudenza individuano nella vicenda della cessione tre soggetti, considerando tale contratto plurilaterale, nello specifico trilaterale (per alcuni più propriamente negozio pluritaterale): cedente, cessionario e ceduto, che si sostanzia e si conclude con la fusione delle dichiarazioni di volontà e degli interessi e con l’incontro delle volontà del cedente, del cessionario e del contraente ceduto e nel quale il consenso del contraente ceduto rappresenta l’elemento costitutivo della cessione e non mera adesione all’accordo già intervenuto tra cedente e cessionario. Consenso, tuttavia, che non necessariamente deve essere parte del contratto di cessione, bensì può essere reso partecipando al negozio oppure autorizzando altri a compierlo in nome e nell’interesse dello stesso autorizzato, autorizzazione che può essere preventiva, sotto forma di clausola inserita nel contratto (si parlerà in tal caso di clausole all’ordine che libererà il ceduto per effetto della sola girata) o anche successiva, prendendo il nome di approvazione. Tale posizione trova il conforto della Cassazione e si basa sul disposto degli artt. 1406 e 1407 cod. civ.

Un altro orientamento, per alcuni preferibile ma minoritario, considera la cessione un contratto bilaterale che si conclude tra cedente e cessionario costituendo il consenso del ceduto una mera condicio iuris, elemento per così dire esterno che subordina l’efficacia alla liberazione dai debiti del cedente, e combinandosi la cessione di crediti con l’accollo di debiti pur nella unitarietà del contratto. Di conseguenza la mancata adesione del ceduto manterrebbe in vita il rapporto come cessione di crediti da un lato e accollo interno di debiti dall’altro.

Il rapporto tra cedente e cessionario (art. 1410 cod. civ.) corrisponde al rapporto alienante-alienatario che scaturisce dal contratto di cessione, quale contratto che trasferisce una posizione contrattuale dal primo al secondo. In virtù del principio consensualistico (art. 1376 cod. civ.), la posizione giuridica del primo si trasferisce per effetto di tale consenso, integrato con quello del ceduto, il quale può anche limitarsi ad approvare la cessione stipulata tra cedente e cessionario senza assumere nessun impegno derivante da tale contratto. Se l’adesione del contraente ceduto è stata data preventivamente, il contratto acquista efficacia al momento del perfezionarsi dell’accordo tra cedente e cessionario, trasferendosi la posizione contrattuale immediatamente, con l’onere per le parti di portare a conoscenza del contraente ceduto l’avvenuta cessione per renderla opponibile a quest’ultimo. Trattandosi di contratto trilaterale il perfezionamento coinciderà con la conoscenza da parte del contraente proponente (che può anche essere il cessionario) dell’ultima accettazione. Fino a questo momento la proposta è revocabile, anche se parte della dottrina ritiene che se cedente e cessionario raggiungono un accordo notificandolo poi al ceduto, tale proposta diventa irrevocabile. E’ possibile l’inserimento di obbligazioni aggiuntive con oggetto diverso da quello del contratto ceduto, purché non alterino il sinallagma di questo e non siano con essi configgenti.

La legge impone al cedente la garanzia della validità del contratto trasferito/ceduto (nomen verum), ampliandosi maggiormente la portata di tale impegno se la cessione è a titolo oneroso (nel caso di cessione a titolo gratuito di un contratto tale garanzia è limitata alle ipotesi di evizione a carico del donante ex art. 797 cod. civ., da distinguersi dalla cessione di un contratto a titolo gratuito, di cui si nega ammissibilità): egli sarà inadempiente ogniqualvolta il cessionario non acquisirà la posizione contrattuale o acquisirà una posizione  contrattuale che non corrisponderà in tutto o parte a quella promessa. Risulta invece irrilevante che il cedente fosse o meno a conoscenza di eventuali cause di invalidità o che addirittura tale invalidità sia a lui imputabile. La garanzia di validità del contratto acquista pertanto il significato di garanzia contro tutte le cause giuridiche che precludono o compromettono l’operatività del vincolo e il cedente risponderà se il contratto se il contratto è nullo, inesistente, annullabile o inefficace. Garantire la validità del contratto non equivale tuttavia a garantirne automaticamente anche l’adempimento (nomen bonum): tale garanzia può essere eventualmente prevista con autonoma pattuizione e perciò su base volontaria e in tale caso si applicheranno le norme sulla fidejussione (art. 1410 cod. civ.) e quindi il cedente risponderà verso il cessionario in via solidale con il contraente ceduto (nei limiti dell’art. 1944, comma 1, cod. civ.) con esclusione della responsabilità per i danni. In mancanza di scrittura la garanzia può essere provata in ogni modo, anche per presunzioni (ad es. pressioni insistenti da parte del cedente affinché il ceduto adempia l’obbligazione).

Rispetto al cessionario il ceduto conserva la sua posizione contrattuale, mutando infatti la titolarità del rapporto, non il suo contenuto e il ceduto può esercitare nei suoi confronti non solo i diritti di credito, ma tutti i poteri inerenti alla sua posizione contrattuale. Saranno opponibili al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto ex art. 1409 cod. civ., compresa quella di inadempimento, precludendosi le sole eccezioni fondate su altri rapporti col cedente (ad esempio non si potrà opporre in compensazione da parte del compratore ceduto al venditore cessionario che gli chiede il prezzo il credito vantato da lui verso il cedente), limite la cui ratio va rinvenuta nell’esigenza che il contratto, una volta verificatosi il consenso del ceduto, possa circolare come bene autonomo senza ostacoli, peraltro legati a vicende estranee al rapporto stesso.  Se la dottrina è unanime nell’estendere la medesima legittimazione anche al cessionario, vi sono contrasti in ordine all’estensione dei poteri esercitabili con riguardo ad entrambi i soggetti. La tesi prevalente ritiene che le parti – ceduto e cessionario – possano legittimamente ricorrere all’actio nullitatis, nonché a tutte le azioni  ed eccezioni inerenti la posizione contrattuale ceduta, relative sia al sinallagma funzionale che a quello genetico. Altra impostazione sostiene invece che le parti non potrebbero ricorrere alle azioni e alle eccezioni legate alla fase genetica del rapporto in quanto entrate a titolo definitivo nel patrimonio del cedente e pertanto staccate da esso.

Deve ammettersi la possibilità che il contraente ceduto sia parte del contratto di cessione quando assume nei confronti del cessionario l’impegno traslativo e deve rispondere del suo inadempimento. Qualora, invece, il ceduto si limita ad acconsentire al contratto di cessione stipulato tra cedente e cessionario, egli resta terzo rispetto a tale contratto: il contratto produrrà effetti anche nei confronti del ceduto, ma in virtù di un atto autorizzativo distinto rispetto al negozio autorizzato. La posizione di terzo del contraente ceduto è ancora più evidente quando l’autorizzazione viene data in via generica, rendendo il contratto cedibile. Quando il ceduto è parte necessaria del contratto, eventuali giudizi relativi alla validità ed efficacia del contratto comportano la sussistenza di un litisconsorzio necessario comprendente la parte ceduta, che dovrà necessariamente partecipare al giudizio assieme a cessionario e cedente.

Quanto ai rapporti tra contraenti originari (disciplinati dall’art. 1408 cod. civ.), con l’uscita del cedente dal rapporto, il ceduto non è più obbligato nei confronti del cedente e non può allo stesso tempo pretendere da questi l’adempimento dei crediti contrattuali. Trattasi di un effetto naturale della cessione che, tuttavia, può essere evitato dal ceduto nel caso in cui dichiari di non liberarlo, con la conseguenza di poter poi agire nei suoi confronti in caso di inadempimento del cessionario: disciplina esattamente inversa a quella della espromissione e dell’accollo, laddove la regola non è la liberazione, ma la solidarietà. Secondo la dottrina, qualora il ceduto non liberi il cedente, questi non risponde solidalmente, né si configura un caso di beneficio di escussione, ma soltanto una responsabilità subordinata a quella del cessionario, secondo lo schema del beneficium ordinis. Quando il contraente ceduto dichiari di non voler liberare il cedente delle obbligazioni già assunte in forza del contratto da cedere questa dichiarazione viene in sostanza a limitare gli effetti di una piena cessione del contratto ed ha quale effetto quello di assicurare al contraente ceduto ogni azione contro il cedente qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. In questa ipotesi il contraente ceduto deve dare notizia al cedente dell’eventuale successivo inadempimento del cessionario entro quindici giorni da quello in cui l’inadempimento si è verificato. In caso contrario egli (ceduto) dovrà risarcire al cedente il danno conseguente. Secondo la prevalente opinione, il cedente che non viene liberato non assume comunque né la qualità di coobbligato solidale rispetto al cessionario né quella di fidejussore con beneficio di escussione. Si tratta di una fattispecie autonoma di responsabilità, la cui insorgenza è condizionata dal preventivo inadempimento del cessionario. La dottrina prevalente qualifica questa comunicazione come un obbligo dalla cui inosservanza deriverebbe una obbligazione risarcitoria. Alcuni preferiscono qualificare la fattispecie in chiave di onere mentre altri hanno ipotizzato che si tratterebbe di un’applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cessione: in realtà, stante le esigenze di tutela degli eventuali danni derivanti dalla omessa comunicazione, è preferibile la classificazione della comunicazione come obbligo. C’è anche chi sottolinea come non si possa parlare di obbligazione solidale, presupponendo quest’ultima la presenza di più soggetti coobbligati pari gradu, cosa che non ha modo di riscontrarsi nell’ipotesi in esame, nella quale il creditore può rivolgersi al cedente solo "qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte". In tal senso rileva che non risulta praticabile neppure il ricorso allo schema della fidejussione, poiché il fidejussore è tenuto al pagamento di una somma di danaro, mentre il cedente non liberato rimane vincolato all’esecuzione dell’originario obbligo, qualunque natura esso possieda.

La responsabilità del cedente può persistere solo nell’ipotesi in cui il ceduto dichiara di non liberarlo: solo in tal caso – con riserva espressa a che la liberazione non avvenga - essa sarà sussidiaria, nel senso che il ceduto potrà richiedergli il pagamento solo se il cessionario è inadempiente, operando la regola della delegazione accettata (combinato dell’art. 1408 cod. civ., comma 2, con il 1268 cod. civ.). Tuttavia la legge impone a carico del ceduto l’obbligo di dare avviso al cedente dell’inadempimento si verifica. La violazione di tale obbligo non comporta la perdita del credito verso il cedente, ma l’obbligo di risarcirgli il danno conseguente al ritardo di tale avviso.

Ordinariamente perfezionamento ed efficacia della cessione coincidono: se Tizio cede a Caio, con il consenso di Sempronio, il contratto di somministrazione in corso tra esso Tizio e Sempronio, la cessione può dirsi ad un tempo perfetta ed efficace nel momento in cui il consenso di queste tre parti si può dire raggiunto. Una discrasia temporale tra perfezionamento ed efficacia si può porre invece quando l’assenso alla cessione sia stato prestato preventivamente da uno dei contraenti. E’ chiaro infatti che, qualora l’altro contraente, avvalendosi del diritto di operare la cessione preventivamente autorizzata, stipulasse un accordo con un soggetto ulteriore allo scopo di cedergli la posizione contrattuale, il contraente ceduto potrebbe ben trovarsi in una situazione di fatto in cui, pur essendo stata perfezionata la cessione, egli non ne fosse a conoscenza. Da questo punto di vista è decisivo il rinvio all’art. 1407 cod. civ., ai sensi del quale il momento della produzione degli effetti viene individuato nella notificazione ovvero nella accettazione della cessione stessa. Elementari esigenze di certezza impongono di mettere a conoscenza del contraente ceduto l’intervenuto perfezionamento della cessione e, conseguentemente, l’uscita dallo scenario contrattuale di costui. Si badi bene al tenore letterale della norma: non viene del tutto esclusa l’efficacia della cessione, bensì viene esclusa l’efficacia nei soli confronti del contraente ceduto.

Quanto all’efficacia della cessione rispetto alla parte ceduta, la legge richiama gli stessi principi validi per la cessione del credito, ovvero la regola della notificazione al ceduto (che secondo l’opinion prevalente non occorre sia eseguita dall’ufficiale giudiziario) o della sua accettazione (l’accettazione della sostituzione non ha nulla a che vedere con il necessario consenso del ceduto per la perfezione del negozio trilaterale di cessione, manifestato in via preventiva, trattandosi piuttosto di atto ricognitivo/dichiarazione di scienza o per alcuni atto di riconoscimento del vincolo) e tale regola va considerata applicabile in caso di conflitto tra più acquirenti del medesimo contratto, dovendosi sottolineare che l’opponibilità della cessione del contratto concerne propriamente la posizione attiva del rapporto, cioè il credito. Nel momento in cui la cessione diviene efficace verso il contraente ceduto, il cedente è liberato dalle obbligazioni che il contratto gli imponeva verso il contraente ceduto senza che sia necessaria un’espressa dichiarazione di liberazione del cedente, giacché, ai sensi dell’art. 1408 cod. civ. consentire la cessione importa… liberazione del proprio contraente.

Il contraente ceduto conserva tra gli altri poteri, nei confronti del terzo cessionario, quello di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, da valutarsi con riguardo al nuovo soggetto subentrato nella posizione contrattuale del cedente con assunzione dei relativi obblighi, e di conseguenza senza che il successivo fallimento di quest’ultimo, ormai estraneo al rapporto, possa comportare limiti ai poteri del curatore ex art. 72 L. Fall.

In materia di locazioni, in caso di cessione — senza il consenso del locatore — del contratto di locazione insieme all’azienda, dal coordinamento del disposto dell’art. 36 della legge n. 392 del 1978 con i principi in tema di cessione del contratto discende che il conduttore cedente risponde solidalmente verso il locatore ceduto (salva diversa volontà delle parti) delle obbligazioni non adempiute dal cedente. Ciò vale anche nelle ipotesi di cessioni intermedie, dovendosi escludere che sussista responsabilità sussidiaria o subordinata e quindi che il secondo cessionario non possa essere chiamato a rispondere dei danni verificatisi nel periodo precedente a quello della sua locazione. Pertanto, rispetto all’ordinaria cessione di contratto (che si contraddistingue per la sua struttura negoziale trilaterale), deve ritenersi che la cessione del contratto di locazione non contempla tra i propri elementi costitutivi il consenso del ceduto, mentre l’eventuale dissenso del locatore fondato su gravi motivi integra un elemento estraneo al negozio, siccome funzionale alla sospensione temporanea della cessione e — per il caso di accertamento giurisdizionale o di riconoscimento spontaneo da parte del cedente della fondatezza dell’opposizione — al venir meno degli effetti della medesima cessione (ed eventualmente alla risoluzione del rapporto di locazione).

In caso di affitto di azienda con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda é esercitata, non può ritenersi che, se gli aspetti della cessione di azienda prevalgano su quelli tipici della locazione immobiliare, l’intero contratto debba essere assoggettato all’art. 1408 cod. civ. anziché all’art. 36 della legge n. 392 del 1978; deve invece affermarsi, ai sensi della norma da ultimo citata, che, qualora la locazione immobiliare sia parte (pur minima) di un’azienda, il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione dell’azienda, ma, in compenso, può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo. Tale principio vale solo per quanto concerne il corrispettivo della locazione immobiliare, che é l’unico aspetto che interessa il locatore dell’immobile, e non per quanto concerne la parte del canone di affitto dell’azienda che si riferisce al godimento degli altri beni e diritti che compongono l’azienda.

Giova evidenziare le significative differenze con alcuni istituti che potrebbero in parte sembrare simili. In primis con il subcontratto. In linea generale per subcontratto si intende quel contratto mediante il quale una parte reimpiega la posizione che gli deriva da un contratto in corso (contratto base) nei confronti di un terzo. Tale schema riproduce lo stesso tipo di operazione economica del contratto base, ma la parte assume col terzo il ruolo inverso a quello che egli ha in tale contratto: in pratica un soggetto, che riveste la qualità di parte in una stipulazione i cui effetti possono dirsi attuali (per lo più si tratta di contratti che danno luogo a rapporti di durata), utilizza questa sua posizione riproducendone una analoga, derivata, seppure di ruolo inverso replicando la stipulazione della stessa figura contrattuale con un altro soggetto. Il subcontratto (o contratto derivato) corrisponde ad una figura generale che non rinviene nel codice civile una disciplina specifica, essendo previste singole figure  o sottospecie in quali in particolare la sublocazione di cui all’art. 1594 cod. civ. (con disciplina specifica nella L. 392/1978); il subappalto di cui all’art. 1656 cod. civ.; la subenfiteusi di cui all’art. 968 cod. civ. (con divieto); il subaffitto di cui all’art. 1624 cod. civ. e il submandato di cui all’art. 1717 cod. civ.; il sub deposito e il subtrasporto (anche se in questi ultimi tre casi l’ammissione non è esplicita, bensì si desume) per cui il locatario che subloca l’immobile diventa locatore, l’appaltatore che subappalta l’opera diviene committente, ecc. Si discute sull’unitarietà di tale fattispecie, che ha come elemento comune e caratterizzante il mantenimento del rapporto contrattuale di base tra le parti originarie che non si estingue. Vi sono stati tentativi di qualificarlo come contratto a favore di terzo, ma tale direzione non risponde alla disciplina del subcontratto, dove non vi è acquisto del diritto da parte del terzo nei confronti del contraente principale. Si può affermare più propriamente che il subcontratto costituisce un’autonoma figura di dipendenza di un contratto rispetto ad un altro (una sorta di rapporto di subderivazione), caratterizzata dal reimpiego della posizione contrattuale derivante da un rapporto in corso di esecuzione. Il subcontratto non può di conseguenza sopravvivere al contratto base, qualora che esso viene a scadenza o risulta invalidato o risolto, essendo presente tale rapporto di derivazione./subordinazione, ben diversa dal fenomeno della successione tipico della cessione dle contratto.

La differenza tra cessione del contratto e subcontratto risiede nel fatto che in quest’ultimo, come si è detto, pur prevedendo una forma di cooperazione nel vincolo principale, non opera il trasferimento della posizione contrattuale da un soggetto ad un altro: al contratto base si aggiunge un nuovo contratto che ha per oggetto posizioni giuridiche derivanti dal primo. Inoltre nel subcontratto gli elementi oggettivi possono anche variare rispetto a quelli del contratto-base. Ad esempio possono variare i termini di consegna delle opere, i prezzi unitari delle lavorazioni, le penali per il ritardo, ecc. Piuttosto, l’aspetto controverso riguarda i rapporti tra i due contratti, mancando un solido ancoraggio normativo che permetta di fissare alcune regole valevoli in generale, il che ha portato la dottrina a spiegare la figura del subcontratto o considerandolo accessorio rispetto al contratto base o riducendolo ad altre figure negoziali o, in ultimo, configurandolo quale sorta di collegamento negoziale, il che va confutato, in quanto quest’ultimo si sostanzia in un fenomeno di interdipendenza funzionale tra più contratti, tutti necessari per realizzare un programma unitario. Nel subcontratto avviene un “reimpiego” dalla posizione contrattuale derivante dal contratto base, nel senso che il titolare della posizione passiva nel contratto base assume la posizione attiva nei confronti del subcontraente. Elemento comune tra il subcontratto e la fattispecie negoziale della cessione di contratto è il necessario consenso del creditore della prestazione nel primo caso o del ceduto nel secondo; tuttavia, in caso di subcontratto il consenso ha rilevanza esterna, nel senso che ha solo la funzione di evitare che il comportamento del debitore costituisca inadempimento.

In questo fenomeno l’applicazione dell’art. 1408 si applicherà non già al cedente e ceduto del contratto base ma al cessionario del contratto base che diventa ceduto del nuovo contratto, e all’originario cedente, in qualità di contraenti originari.

Dal codice civile l’unica norma di carattere generale che si ricava in materia di subcontratto è l’azione diretta che spetta al creditore della prestazione nel contratto base nei confronti del titolare della posizione passiva nel subcontratto. Infatti, il locatore ha azione diretta contro il subconduttore per ottenere il pagamento del prezzo della sublocazione e per costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione (art. 1595 cod. civ.); anche nel mandato il mandante può agire direttamente contro la persona sostituita dal mandatario (art. 1717, comma 4, cod. civ.). Il fondamento di questa azione diretta sta nella circostanza che è il subcontraente ad eseguire la prestazione nell’interesse del mandante ed è il subconduttore che si sostituisce al conduttore originario nel godimento del bene di proprietà del locatore. Il caso della rialienazione di un bene non rientra nella fattispecie del subcontratto; in questa ipotesi il compratore conclude un altro contratto di compravendita avente ad oggetto il medesimo bene; alcuni hanno ritenuto che al primo venditore potrebbe spettare azione diretta contro il subacquirente per ottenere il pagamento del prezzo almeno nei limiti in cui sia inadempiente l’acquirente originario. Ma si è obiettato che la compravendita è un contratto ad effetti reali immediati, per cui il trasferimento avviene al momento della manifestazione del consenso e la seconda alienazione è un autonomo atto dispositivo del diritto rispetto alla precedente.

Ulteriori distinzioni vanno fatte tra cessione del credito e cessione del contratto che sono istituti non assimilabili cosicché, anche a fronte di un differente regime normativo, non è ravvisabile alcuna violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Ed invero, così come chiarito dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 95 del 10 marzo 2006, “il diritto di credito costituisce un bene, come tale idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei suoi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto (assunta come tertium comparationis) presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, in capo ad entrambe le parti di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive, e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente”. La cessione del credito è una vicenda che tocca dal lato attivo singoli rapporti obbligatori, nascenti da un contratto o da altri atti o fatti, ed è bilaterale, mentre la cessione del contratto, determinando il trasferimento di tutti i rapporti, sia di credito che di debito ad esso relativi, rappresenta una vicenda globale, è trilaterale e coincide con lo stesso oggetto del contratto.

Sulla base di queste considerazioni risulta opportuno ricordare che per superare la rigida alternativa codicistica tra cessione del credito e cessione del contratto, un’autorevole dottrina ha prospettato  la configurabilità  di una figura, per così dire, intermedia, consistente della posizione contrattuale attiva: sarebbe cioè possibile che la parte  di un contratto sinallagmatico, dopo aver eseguito la prestazione cui è tenuta, ceda poi ad un terzo la sua posizione contrattuale, comprendente solo situazioni soggettive attive, trasferimento che sarebbe efficace senza la necessità del consenso del ceduto, per il quale cambierebbe solo il destinatario degli obblighi contrattuali.

 

La cessione del contratto non va confusa neanche con la novazione, la quale comporta l’estinzione del rapporto contrattuale e la costituzione di un nuovo rapporto con un diverso soggetto o con un diverso contenuto, mentre la cessione si è visto come presupponga al contrario la permanenza del rapporto, che si trasferisce dal cedente al cessionario, pur nella possibilità secondo parte della dottrina, e ora anche della giurisprudenza, di modificare comunque anche il contenuto, essendo compatibili con l’intento dei contraenti eventuali modifiche se si mantiene fermo il rapporto originario e non si stravolga l’identità del rapporto originario. Altra parte della dottrina insiste invece nel senso dell’immodificabilità, rilevando che la giurisprudenza ritiene che il presupposto della cessione del contratto sia che il complesso giuridico oggetto della cessione resti immutato, in quanto il contenuto sostanziale della contrattazione è rappresentato dalla sostituzione di uno dei soggetti del rapporto con un terzo, che subentri per intero nella titolarità dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Essa va tenuta distinta anche dalla electio amici nel contratto per sé, in quello della nomina del terzo o persona da nominare, vicenda nella quale la persona nominata acquista direttamente la posizione scaturente dal contratto con effetto retroattivo al momento della stipulazione, mentre la cessione del contratto comporta un acquisto derivativo della posizione già costituitasi in capo al cedente. Inoltre sono assenti, in caso di riserva di nomina, le reciproche garanzie dovute tra ceduto e cedente e tra questi e il cessionario ed è anche esclusa in radice la possibilità di un sub ingresso (vicenda circolatoria) perché la produzione di effetti – eccetto il potere di nomina che nasce immediatamente – è bloccata nelle more della designazione in quanto la sostituzione opera ex tunc. E gli stessi rilievi valgono per distinguerla dalla cessione dell’opzione e della proposta, qualora

Cessione del contratto e subcontratto, con particolare riferimento ai rapporti tra contraenti originari

A differenza del codice del 1865, e degli ordinamenti francese e tedesco, a cessione del contratto è un istituto previsto e disciplinato nel codice civile del 1942 agli artt. 1406 e ss. ed è un negozio mediante il quale cui una parte – titolare di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive non ancora eseguite e quindi detto cedente - può sostituire a sé un terzo, il cessionario,  purché l’altra parte, il ceduto, vi consenta. La successione nei contratti non è un fenomeno di per sé eccezionale: il codice civile permette, in via di principio, la cessione del contratto, ammettendola purché l’altra parte di consenta: a tale principio deroga la sola disciplina legislativa dell’azienda, che si verifica indipendentemente dal consenso del terzo contraente, che può recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento e per giusta causa, ma che si trova vincolato nei confronti di un soggetto diverso dall’originario contraente indipendentemente dal concorso della sua volontà. Tale vicenda, oltre che come atto negoziale complesso, può qualificarsi come vicenda soggettiva del contratto, più specificamente successione a titolo particolare nell’insieme dei rapporti obbligatori nascenti dal contratto stesso o rapporto contrattuale (sostanziandosi pertanto in un c.d. contratto di secondo grado, in quanto incide su una struttura contrattuale preesistente) e può essere oggetto di un negozio, nel qual caso si avrà cessione negoziale o volontaria, o avere titolo nella legge, nel qual caso si avrà cessione legale. Tale fattispecie di successione ex lege ricorre quando è la legge che ritiene certi fatti idonei a trasferire il rapporto contrattuale e riguarda principalmente i contratti di utilizzazione e assicurazione di un bene i quali si trasferiscono automaticamente con l’alienazione del bene stesso, fatta salva una contraria volontà dell’acquirente o dell’assicuratore. Ne consegue che in questo tipo di cessione non è richiesto l’accordo delle parti né l’adesione del contraente ceduto, determinandosi il trasferimento del rapporto al momento del perfezionamento della fattispecie traslativa legale. Il ceduto vedrà acquistare efficacia la cessione con la notifica e in mancanza di un onere particolare in tal senso, con l’avvenuta conoscenza e potrà recedere dal contratto se sussiste una giusta causa nel caso di alienazione o locazione di azienda, tipica fattispecie di cessione legale (art. 2558 cod. civ.).

Con la cessione del contratto le parti realizzano il sub ingresso di un nuovo soggetto nella posizione giuridica, attiva e passiva, di uno dei soggetti originari, dando vita ad una funzione economica importante: quella di eliminare complicate e dispendiose rinnovazioni del contratto. Il rapporto contrattuale viene, sicché, investito nella sua interezza: un terzo estraneo interviene nella qualità di una “parte” unicamente in un contratto a prestazioni corrispettive divenendo al tempo stesso debitore e creditore.

Nonostante l’assenza di espressa previsione normativa c’è chi ritiene possibile anche una cessione parziale del contratto, che non estingue il rapporto, ma si limita ad un suo parziale trasferimento, restando ferma la titolarità del cedente per la quota parte non trasferita, al contrario di altri che ipotizzano solo un eventuale accordo a carattere novativo tra ceduto e cessionario successivamente alla cessione. Controversa è l’ammissibilità della cessione di contratti basati sull’intuitus personae, la cui natura pone problemi di limitazione alla cedibilità, in quanto la valutazione di convenienza dovrà essere fatta dal contraente ceduto, che ben potrà accordarsi in tal senso con il cedente che deve eseguire la prestazione infungibile e con il cessionario.

Che sia totale o parziale, in ogni caso la cessione del credito è una vicenda unitaria (idea del contratto come organismus), in quanto ciò che si trasferisce è il rapporto contrattuale, più precisamente la posizione contrattuale consistente nel complesso di diritto e obblighi scaturenti dal contratto. Invero a tale concezione unitaria, consolidata sia in dottrina che in giurisprudenza, si contrappone quella atomistica, o della scomposizione, secondo la quale l’unico negozio di cessione si articolerebbe in una cessione di crediti contrattuali simultanea ad un accollo esterno di debiti contrattuali, ma tale concezione non corrisponde al significato voluto dalla normativa codicistica che ricomprende nella posizione contrattuale oggetto di cessione non solo crediti e obbligazioni, ma anche tutti i poteri che ineriscono alla titolarità del rapporto, nonché i diritti potestativi, le aspettative e gli strumenti connessi alla qualità di parte contrattuale, e non quindi una mera preventiva adesione ad un accollo liberatorio uno e cumulativo l’altro.

Il riferimento normativo al rapporto a prestazioni non ancora eseguite è stato interpretato in base al rilievo che la realizzazione del rapporto relativamente ad una delle parti porrebbe ad oggetto dell’alienazione solo singoli diritti contrattuali rispetto ai quali risulterebbe estranea la figura e la disciplina della cessione contrattuale e anche alla luce della Relazione al codice (n. 641) che si esprimeva in tal senso. Il codice, all’art. 1406, ha voluto creare tale presupposto per distinguerlo dalla mera cessione di un credito nei confronti di una controparte. Ciò non esclude che non si debba distinguere tra diritto del contraente alla prestazione in sé considerato e l’insieme dei diritti e poteri che gli spettano quale titolare del contratto, ovvero la prestazione contrattuale attiva. Una distinzione va fatta tra contratti ad esecuzione istantanea o differita e contratti ad esecuzione continuata o periodica: nei primi, se uno dei due contraenti ha eseguito la sua prestazione, non potrà più avere luogo una cessione del contratto, al massimo la cessione del suo credito alla controprestazione, occorrerà pertanto che entrambe le prestazioni siano ancora ineseguite; nei secondi la cessione è possibile anche se è iniziata da entrambe le parti l’esecuzione del contratto e resterà tale  fin quando il contratto non si sia sciolto e quindi suscettibile di esecuzione.

Se aspetti rilevanti e pacifici sono che l’istituto della cessione del contratto realizza un vero e proprio fenomeno di successione di un terzo nella posizione contrattuale ceduta e che è necessaria la partecipazione del contraente ceduto ai fini del perfezionamento della cessione, sono tuttora in parte controverse alcune questioni circa la natura giuridica di tale consenso, l’individuazione della causa della cessione del contratto, l’oggetto del negozio di cessione, la forma del contratto ceduto e la posizione giuridica delle parti nella vicenda contrattuale. La giurisprudenza ha chiarito che la cessione del contratto realizza un negozio plurilaterale, che si perfeziona quando il proponente (o i proponenti, nel caso di proposta comune tra cedente e cessionario) ha notizia dell’accettazione dell’ultimo dei due destinatari, assumendo pertanto imprescindibile rilievo al riguardo (pure) il consenso del contraente ceduto, che, così come quello delle altre parti, può essere espresso anche tacitamente (salvo che per il contratto ceduto siano richiesti particolari requisiti di forma, in tal caso da osservarsi anche per la cessione del contratto, e, quindi, anche da parte del ceduto medesimo), pure successivamente (ma sempre che non sia venuto meno) all’accordo tra cedente e cessionario, l’accertamento della cui sussistenza costituisce peraltro indagine di fatto, rimessa al Giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivata.

Taluno ha evidenziato la natura adesiva/autorizzativa del consenso, asserendo la necessità di distinguere l’assenso del contraente ceduto dal negozio autorizzato. Tuttavia, tale impostazione presta il fianco a forti critiche, basta che si consideri il fatto che il contraente ceduto non può divenire parte del negozio di cessione solo con una mera adesione: più correttamente la presenza del consenso (preventivo o progressivo) di tale soggetto serve per la formazione del negozio di cessione, e non si tratta semplicemente di aderire ad un qualcosa di già formato.

Risulta isolata altresì quella dottrina che ravvisa nel consenso del contraente ceduto una mera condizione di efficacia della cessione il consenso qui si pone solo come elemento eventuale e non essenziale, poiché il contratto risulterebbe già perfezionato con l’accordo tra cessionario e cedente. Unico effetto del consenso risulterebbe la liberazione del contraente originario. Ma anche tale impostazione non convince appieno.

Depone a sfavore di tale teoria il tenore letterale della norma di cui all’art. 1408 cod. civ. dal quale è dato desumere come l’effetto liberatorio sia un effetto automatico della cessione tale per cui, perfezionata questa, si presume che il ceduto nulla debba chiedere al cedente. Infatti, l’intendimento del Legislatore sotteso alla fattispecie di cui all’art. 1406 cod. civ. era quello di realizzare la cessione "purché" l’altra parte vi consenta, e non "quando" l’altra parte vi consenta.

 

Dibattuta anche la natura della causa negotii del contratto de quo: il negozio di cessione del contratto è un negozio di alienazione che si caratterizza per il suo oggetto prescindendo da una determinata causa, e la disciplina che trova applicazione riguarda la circolazione del rapporto contrattuale, la sua vicenda negoziale traslativa, il suo oggetto appunto. La disciplina che si applica in relazione alla causa, non avendo il contratto una causa propria, sia pure generica, né una causa variabile (nonostante i tentativi da parte di alcuni di ravvisare tali tipi di cause) dipenderà dalla causa di volta in volta rinvenibile nel contratto di cessione, ovvero la causa che giustifica l’operazione (es. vendita, donazione, transazione, ecc.), la funzione in pratica cui concretamente mira la complessa operazione economica circa l’assetto degli interessi reciproci. Alcuni parlano di causa triplice, data dalla sommatoria, in base ai rapporti tra le parti del contratto, di causa traslativa del contratto tra cedente e cessionario, causa del contratto ceduto tra ceduto e cessionario, causa solutoria tra cedente e ceduto. La cessione del contratto è essa stessa un contratto e, a prescindere dalla natura del contratto ceduto, può essere stipulata a titolo oneroso (in tal caso il corrispettivo convenuto per la sua conclusione assume rilievo autonomo rispetto al corrispettivo previsto per il contratto ceduto) o gratuito: la causa può essere onerosa (es. cessione della vendita o permuta) se viene stabilito un corrispettivo a carico del cessionario e a favore del cedente o gratuita (es. nella cessione della donazione) se la cessione è vantaggiosa e il cedente vuole beneficare il cessionario.

L’oggetto della cessione è stato oggetto di dibattito in quanto, prevedendo espressamente l’art. 1406 cod. civ. la cedibilità dei contratti con prestazioni corrispettive, non è stata di facile soluzione l’ammissibilità della cessione di eventuali contratti di schema diverso o atipico o se tale tipicità è vincolante. Nel caso del contratto unilaterale (eseguito ex uno latere), mentre la dottrina atomistica non ha difficoltà ad ammettere tale forma di cessione, la teoria unitaria ne esclude la cedibilità. La stessa Cassazione, in passato ondivoca sul tema, ha in seguito affermato che, nonostante la testuale formulazione codicistica, anche tale contratto e i contratti ad effetti reali sarebbero suscettibili di essere ceduti a norma e con gli effetti di cui agli artt. 1406 cod. civ. Seppure la prevalente dottrina propende per l’ammissione di cessioni "atipiche", in sede di legittimità non vi è tuttora un orientamento dominante sull’altro, essendovi sentenze a favore dell’una o dell’altra ricostruzione in pari proporzione. Il consenso del contraente ceduto, costituendo elemento essenziale del negozio di cessione del contratto, il quale richiede la necessaria partecipazione del cedente, del cessionario e del ceduto, e che può essere anche successivo all’accordo tra cedente e cessionario purché nel momento di tale adesione non sia venuto meno l’accordo originario al quale essa vuole aggiungersi per perfezionare il contratto comporta che la cessione deve avere per oggetto la complessiva posizione attiva e passiva del contraente ceduto e non è, quindi, più possibile dopo che, essendo state adempiute le prestazioni di una delle parti, il contraente ceduto sia rimasto solo creditore e solo debitore dell’altro.

La cessione non richiede una forma determinata, essa dipenderà dalla natura dei diritti trasferiti (ad es. se beni immobili), dallo schema contrattuale che viene ceduto o dalla causa della cessione (ad es. donazione), in base alla regola generale della forma per relationem. Indicazioni in merito pervengono anche dalla Corte, secondo la quale ogni negozio preparatorio o modificativo (negozio di secondo grado) di altro negozio, per il quale è imposta una forma, deve seguire la forma di quest’ultimo per essere valido. Tuttavia alcuni ritengono che ciò sia derogabile nelle cessioni attuate con spirito di liberalità. Anche il consenso del ceduto non è soggetto a vincoli di forma, potendo anche essere tacito o per facta concludentia; tuttavia dovrà essere provato da chi intende avvalersi della cessione e risultare da atto scritto se il contratto di cessione pretende tale forma.  

La questione relativa all’efficacia della cessione del contratto nei confronti dei terzi diversi dal contraente ceduto rientra nel problema generale dell’opponibilità del contratto ai terzi aventi causa e ai creditori.

Dottrina e giurisprudenza individuano nella vicenda della cessione tre soggetti, considerando tale contratto plurilaterale, nello specifico trilaterale (per alcuni più propriamente negozio pluritaterale): cedente, cessionario e ceduto, che si sostanzia e si conclude con la fusione delle dichiarazioni di volontà e degli interessi e con l’incontro delle volontà del cedente, del cessionario e del contraente ceduto e nel quale il consenso del contraente ceduto rappresenta l’elemento costitutivo della cessione e non mera adesione all’accordo già intervenuto tra cedente e cessionario. Consenso, tuttavia, che non necessariamente deve essere parte del contratto di cessione, bensì può essere reso partecipando al negozio oppure autorizzando altri a compierlo in nome e nell’interesse dello stesso autorizzato, autorizzazione che può essere preventiva, sotto forma di clausola inserita nel contratto (si parlerà in tal caso di clausole all’ordine che libererà il ceduto per effetto della sola girata) o anche successiva, prendendo il nome di approvazione. Tale posizione trova il conforto della Cassazione e si basa sul disposto degli artt. 1406 e 1407 cod. civ.

Un altro orientamento, per alcuni preferibile ma minoritario, considera la cessione un contratto bilaterale che si conclude tra cedente e cessionario costituendo il consenso del ceduto una mera condicio iuris, elemento per così dire esterno che subordina l’efficacia alla liberazione dai debiti del cedente, e combinandosi la cessione di crediti con l’accollo di debiti pur nella unitarietà del contratto. Di conseguenza la mancata adesione del ceduto manterrebbe in vita il rapporto come cessione di crediti da un lato e accollo interno di debiti dall’altro.

Il rapporto tra cedente e cessionario (art. 1410 cod. civ.) corrisponde al rapporto alienante-alienatario che scaturisce dal contratto di cessione, quale contratto che trasferisce una posizione contrattuale dal primo al secondo. In virtù del principio consensualistico (art. 1376 cod. civ.), la posizione giuridica del primo si trasferisce per effetto di tale consenso, integrato con quello del ceduto, il quale può anche limitarsi ad approvare la cessione stipulata tra cedente e cessionario senza assumere nessun impegno derivante da tale contratto. Se l’adesione del contraente ceduto è stata data preventivamente, il contratto acquista efficacia al momento del perfezionarsi dell’accordo tra cedente e cessionario, trasferendosi la posizione contrattuale immediatamente, con l’onere per le parti di portare a conoscenza del contraente ceduto l’avvenuta cessione per renderla opponibile a quest’ultimo. Trattandosi di contratto trilaterale il perfezionamento coinciderà con la conoscenza da parte del contraente proponente (che può anche essere il cessionario) dell’ultima accettazione. Fino a questo momento la proposta è revocabile, anche se parte della dottrina ritiene che se cedente e cessionario raggiungono un accordo notificandolo poi al ceduto, tale proposta diventa irrevocabile. E’ possibile l’inserimento di obbligazioni aggiuntive con oggetto diverso da quello del contratto ceduto, purché non alterino il sinallagma di questo e non siano con essi configgenti.

La legge impone al cedente la garanzia della validità del contratto trasferito/ceduto (nomen verum), ampliandosi maggiormente la portata di tale impegno se la cessione è a titolo oneroso (nel caso di cessione a titolo gratuito di un contratto tale garanzia è limitata alle ipotesi di evizione a carico del donante ex art. 797 cod. civ., da distinguersi dalla cessione di un contratto a titolo gratuito, di cui si nega ammissibilità): egli sarà inadempiente ogniqualvolta il cessionario non acquisirà la posizione contrattuale o acquisirà una posizione  contrattuale che non corrisponderà in tutto o parte a quella promessa. Risulta invece irrilevante che il cedente fosse o meno a conoscenza di eventuali cause di invalidità o che addirittura tale invalidità sia a lui imputabile. La garanzia di validità del contratto acquista pertanto il significato di garanzia contro tutte le cause giuridiche che precludono o compromettono l’operatività del vincolo e il cedente risponderà se il contratto se il contratto è nullo, inesistente, annullabile o inefficace. Garantire la validità del contratto non equivale tuttavia a garantirne automaticamente anche l’adempimento (nomen bonum): tale garanzia può essere eventualmente prevista con autonoma pattuizione e perciò su base volontaria e in tale caso si applicheranno le norme sulla fidejussione (art. 1410 cod. civ.) e quindi il cedente risponderà verso il cessionario in via solidale con il contraente ceduto (nei limiti dell’art. 1944, comma 1, cod. civ.) con esclusione della responsabilità per i danni. In mancanza di scrittura la garanzia può essere provata in ogni modo, anche per presunzioni (ad es. pressioni insistenti da parte del cedente affinché il ceduto adempia l’obbligazione).

Rispetto al cessionario il ceduto conserva la sua posizione contrattuale, mutando infatti la titolarità del rapporto, non il suo contenuto e il ceduto può esercitare nei suoi confronti non solo i diritti di credito, ma tutti i poteri inerenti alla sua posizione contrattuale. Saranno opponibili al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto ex art. 1409 cod. civ., compresa quella di inadempimento, precludendosi le sole eccezioni fondate su altri rapporti col cedente (ad esempio non si potrà opporre in compensazione da parte del compratore ceduto al venditore cessionario che gli chiede il prezzo il credito vantato da lui verso il cedente), limite la cui ratio va rinvenuta nell’esigenza che il contratto, una volta verificatosi il consenso del ceduto, possa circolare come bene autonomo senza ostacoli, peraltro legati a vicende estranee al rapporto stesso.  Se la dottrina è unanime nell’estendere la medesima legittimazione anche al cessionario, vi sono contrasti in ordine all’estensione dei poteri esercitabili con riguardo ad entrambi i soggetti. La tesi prevalente ritiene che le parti – ceduto e cessionario – possano legittimamente ricorrere all’actio nullitatis, nonché a tutte le azioni  ed eccezioni inerenti la posizione contrattuale ceduta, relative sia al sinallagma funzionale che a quello genetico. Altra impostazione sostiene invece che le parti non potrebbero ricorrere alle azioni e alle eccezioni legate alla fase genetica del rapporto in quanto entrate a titolo definitivo nel patrimonio del cedente e pertanto staccate da esso.

Deve ammettersi la possibilità che il contraente ceduto sia parte del contratto di cessione quando assume nei confronti del cessionario l’impegno traslativo e deve rispondere del suo inadempimento. Qualora, invece, il ceduto si limita ad acconsentire al contratto di cessione stipulato tra cedente e cessionario, egli resta terzo rispetto a tale contratto: il contratto produrrà effetti anche nei confronti del ceduto, ma in virtù di un atto autorizzativo distinto rispetto al negozio autorizzato. La posizione di terzo del contraente ceduto è ancora più evidente quando l’autorizzazione viene data in via generica, rendendo il contratto cedibile. Quando il ceduto è parte necessaria del contratto, eventuali giudizi relativi alla validità ed efficacia del contratto comportano la sussistenza di un litisconsorzio necessario comprendente la parte ceduta, che dovrà necessariamente partecipare al giudizio assieme a cessionario e cedente.

Quanto ai rapporti tra contraenti originari (disciplinati dall’art. 1408 cod. civ.), con l’uscita del cedente dal rapporto, il ceduto non è più obbligato nei confronti del cedente e non può allo stesso tempo pretendere da questi l’adempimento dei crediti contrattuali. Trattasi di un effetto naturale della cessione che, tuttavia, può essere evitato dal ceduto nel caso in cui dichiari di non liberarlo, con la conseguenza di poter poi agire nei suoi confronti in caso di inadempimento del cessionario: disciplina esattamente inversa a quella della espromissione e dell’accollo, laddove la regola non è la liberazione, ma la solidarietà. Secondo la dottrina, qualora il ceduto non liberi il cedente, questi non risponde solidalmente, né si configura un caso di beneficio di escussione, ma soltanto una responsabilità subordinata a quella del cessionario, secondo lo schema del beneficium ordinis. Quando il contraente ceduto dichiari di non voler liberare il cedente delle obbligazioni già assunte in forza del contratto da cedere questa dichiarazione viene in sostanza a limitare gli effetti di una piena cessione del contratto ed ha quale effetto quello di assicurare al contraente ceduto ogni azione contro il cedente qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. In questa ipotesi il contraente ceduto deve dare notizia al cedente dell’eventuale successivo inadempimento del cessionario entro quindici giorni da quello in cui l’inadempimento si è verificato. In caso contrario egli (ceduto) dovrà risarcire al cedente il danno conseguente. Secondo la prevalente opinione, il cedente che non viene liberato non assume comunque né la qualità di coobbligato solidale rispetto al cessionario né quella di fidejussore con beneficio di escussione. Si tratta di una fattispecie autonoma di responsabilità, la cui insorgenza è condizionata dal preventivo inadempimento del cessionario. La dottrina prevalente qualifica questa comunicazione come un obbligo dalla cui inosservanza deriverebbe una obbligazione risarcitoria. Alcuni preferiscono qualificare la fattispecie in chiave di onere mentre altri hanno ipotizzato che si tratterebbe di un’applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cessione: in realtà, stante le esigenze di tutela degli eventuali danni derivanti dalla omessa comunicazione, è preferibile la classificazione della comunicazione come obbligo. C’è anche chi sottolinea come non si possa parlare di obbligazione solidale, presupponendo quest’ultima la presenza di più soggetti coobbligati pari gradu, cosa che non ha modo di riscontrarsi nell’ipotesi in esame, nella quale il creditore può rivolgersi al cedente solo "qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte". In tal senso rileva che non risulta praticabile neppure il ricorso allo schema della fidejussione, poiché il fidejussore è tenuto al pagamento di una somma di danaro, mentre il cedente non liberato rimane vincolato all’esecuzione dell’originario obbligo, qualunque natura esso possieda.

La responsabilità del cedente può persistere solo nell’ipotesi in cui il ceduto dichiara di non liberarlo: solo in tal caso – con riserva espressa a che la liberazione non avvenga - essa sarà sussidiaria, nel senso che il ceduto potrà richiedergli il pagamento solo se il cessionario è inadempiente, operando la regola della delegazione accettata (combinato dell’art. 1408 cod. civ., comma 2, con il 1268 cod. civ.). Tuttavia la legge impone a carico del ceduto l’obbligo di dare avviso al cedente dell’inadempimento si verifica. La violazione di tale obbligo non comporta la perdita del credito verso il cedente, ma l’obbligo di risarcirgli il danno conseguente al ritardo di tale avviso.

Ordinariamente perfezionamento ed efficacia della cessione coincidono: se Tizio cede a Caio, con il consenso di Sempronio, il contratto di somministrazione in corso tra esso Tizio e Sempronio, la cessione può dirsi ad un tempo perfetta ed efficace nel momento in cui il consenso di queste tre parti si può dire raggiunto. Una discrasia temporale tra perfezionamento ed efficacia si può porre invece quando l’assenso alla cessione sia stato prestato preventivamente da uno dei contraenti. E’ chiaro infatti che, qualora l’altro contraente, avvalendosi del diritto di operare la cessione preventivamente autorizzata, stipulasse un accordo con un soggetto ulteriore allo scopo di cedergli la posizione contrattuale, il contraente ceduto potrebbe ben trovarsi in una situazione di fatto in cui, pur essendo stata perfezionata la cessione, egli non ne fosse a conoscenza. Da questo punto di vista è decisivo il rinvio all’art. 1407 cod. civ., ai sensi del quale il momento della produzione degli effetti viene individuato nella notificazione ovvero nella accettazione della cessione stessa. Elementari esigenze di certezza impongono di mettere a conoscenza del contraente ceduto l’intervenuto perfezionamento della cessione e, conseguentemente, l’uscita dallo scenario contrattuale di costui. Si badi bene al tenore letterale della norma: non viene del tutto esclusa l’efficacia della cessione, bensì viene esclusa l’efficacia nei soli confronti del contraente ceduto.

Quanto all’efficacia della cessione rispetto alla parte ceduta, la legge richiama gli stessi principi validi per la cessione del credito, ovvero la regola della notificazione al ceduto (che secondo l’opinion prevalente non occorre sia eseguita dall’ufficiale giudiziario) o della sua accettazione (l’accettazione della sostituzione non ha nulla a che vedere con il necessario consenso del ceduto per la perfezione del negozio trilaterale di cessione, manifestato in via preventiva, trattandosi piuttosto di atto ricognitivo/dichiarazione di scienza o per alcuni atto di riconoscimento del vincolo) e tale regola va considerata applicabile in caso di conflitto tra più acquirenti del medesimo contratto, dovendosi sottolineare che l’opponibilità della cessione del contratto concerne propriamente la posizione attiva del rapporto, cioè il credito. Nel momento in cui la cessione diviene efficace verso il contraente ceduto, il cedente è liberato dalle obbligazioni che il contratto gli imponeva verso il contraente ceduto senza che sia necessaria un’espressa dichiarazione di liberazione del cedente, giacché, ai sensi dell’art. 1408 cod. civ. consentire la cessione importa… liberazione del proprio contraente.

Il contraente ceduto conserva tra gli altri poteri, nei confronti del terzo cessionario, quello di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, da valutarsi con riguardo al nuovo soggetto subentrato nella posizione contrattuale del cedente con assunzione dei relativi obblighi, e di conseguenza senza che il successivo fallimento di quest’ultimo, ormai estraneo al rapporto, possa comportare limiti ai poteri del curatore ex art. 72 L. Fall.

In materia di locazioni, in caso di cessione — senza il consenso del locatore — del contratto di locazione insieme all’azienda, dal coordinamento del disposto dell’art. 36 della legge n. 392 del 1978 con i principi in tema di cessione del contratto discende che il conduttore cedente risponde solidalmente verso il locatore ceduto (salva diversa volontà delle parti) delle obbligazioni non adempiute dal cedente. Ciò vale anche nelle ipotesi di cessioni intermedie, dovendosi escludere che sussista responsabilità sussidiaria o subordinata e quindi che il secondo cessionario non possa essere chiamato a rispondere dei danni verificatisi nel periodo precedente a quello della sua locazione. Pertanto, rispetto all’ordinaria cessione di contratto (che si contraddistingue per la sua struttura negoziale trilaterale), deve ritenersi che la cessione del contratto di locazione non contempla tra i propri elementi costitutivi il consenso del ceduto, mentre l’eventuale dissenso del locatore fondato su gravi motivi integra un elemento estraneo al negozio, siccome funzionale alla sospensione temporanea della cessione e — per il caso di accertamento giurisdizionale o di riconoscimento spontaneo da parte del cedente della fondatezza dell’opposizione — al venir meno degli effetti della medesima cessione (ed eventualmente alla risoluzione del rapporto di locazione).

In caso di affitto di azienda con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda é esercitata, non può ritenersi che, se gli aspetti della cessione di azienda prevalgano su quelli tipici della locazione immobiliare, l’intero contratto debba essere assoggettato all’art. 1408 cod. civ. anziché all’art. 36 della legge n. 392 del 1978; deve invece affermarsi, ai sensi della norma da ultimo citata, che, qualora la locazione immobiliare sia parte (pur minima) di un’azienda, il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione dell’azienda, ma, in compenso, può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo. Tale principio vale solo per quanto concerne il corrispettivo della locazione immobiliare, che é l’unico aspetto che interessa il locatore dell’immobile, e non per quanto concerne la parte del canone di affitto dell’azienda che si riferisce al godimento degli altri beni e diritti che compongono l’azienda.

Giova evidenziare le significative differenze con alcuni istituti che potrebbero in parte sembrare simili. In primis con il subcontratto. In linea generale per subcontratto si intende quel contratto mediante il quale una parte reimpiega la posizione che gli deriva da un contratto in corso (contratto base) nei confronti di un terzo. Tale schema riproduce lo stesso tipo di operazione economica del contratto base, ma la parte assume col terzo il ruolo inverso a quello che egli ha in tale contratto: in pratica un soggetto, che riveste la qualità di parte in una stipulazione i cui effetti possono dirsi attuali (per lo più si tratta di contratti che danno luogo a rapporti di durata), utilizza questa sua posizione riproducendone una analoga, derivata, seppure di ruolo inverso replicando la stipulazione della stessa figura contrattuale con un altro soggetto. Il subcontratto (o contratto derivato) corrisponde ad una figura generale che non rinviene nel codice civile una disciplina specifica, essendo previste singole figure  o sottospecie in quali in particolare la sublocazione di cui all’art. 1594 cod. civ. (con disciplina specifica nella L. 392/1978); il subappalto di cui all’art. 1656 cod. civ.; la subenfiteusi di cui all’art. 968 cod. civ. (con divieto); il subaffitto di cui all’art. 1624 cod. civ. e il submandato di cui all’art. 1717 cod. civ.; il sub deposito e il subtrasporto (anche se in questi ultimi tre casi l’ammissione non è esplicita, bensì si desume) per cui il locatario che subloca l’immobile diventa locatore, l’appaltatore che subappalta l’opera diviene committente, ecc. Si discute sull’unitarietà di tale fattispecie, che ha come elemento comune e caratterizzante il mantenimento del rapporto contrattuale di base tra le parti originarie che non si estingue. Vi sono stati tentativi di qualificarlo come contratto a favore di terzo, ma tale direzione non risponde alla disciplina del subcontratto, dove non vi è acquisto del diritto da parte del terzo nei confronti del contraente principale. Si può affermare più propriamente che il subcontratto costituisce un’autonoma figura di dipendenza di un contratto rispetto ad un altro (una sorta di rapporto di subderivazione), caratterizzata dal reimpiego della posizione contrattuale derivante da un rapporto in corso di esecuzione. Il subcontratto non può di conseguenza sopravvivere al contratto base, qualora che esso viene a scadenza o risulta invalidato o risolto, essendo presente tale rapporto di derivazione./subordinazione, ben diversa dal fenomeno della successione tipico della cessione dle contratto.

La differenza tra cessione del contratto e subcontratto risiede nel fatto che in quest’ultimo, come si è detto, pur prevedendo una forma di cooperazione nel vincolo principale, non opera il trasferimento della posizione contrattuale da un soggetto ad un altro: al contratto base si aggiunge un nuovo contratto che ha per oggetto posizioni giuridiche derivanti dal primo. Inoltre nel subcontratto gli elementi oggettivi possono anche variare rispetto a quelli del contratto-base. Ad esempio possono variare i termini di consegna delle opere, i prezzi unitari delle lavorazioni, le penali per il ritardo, ecc. Piuttosto, l’aspetto controverso riguarda i rapporti tra i due contratti, mancando un solido ancoraggio normativo che permetta di fissare alcune regole valevoli in generale, il che ha portato la dottrina a spiegare la figura del subcontratto o considerandolo accessorio rispetto al contratto base o riducendolo ad altre figure negoziali o, in ultimo, configurandolo quale sorta di collegamento negoziale, il che va confutato, in quanto quest’ultimo si sostanzia in un fenomeno di interdipendenza funzionale tra più contratti, tutti necessari per realizzare un programma unitario. Nel subcontratto avviene un “reimpiego” dalla posizione contrattuale derivante dal contratto base, nel senso che il titolare della posizione passiva nel contratto base assume la posizione attiva nei confronti del subcontraente. Elemento comune tra il subcontratto e la fattispecie negoziale della cessione di contratto è il necessario consenso del creditore della prestazione nel primo caso o del ceduto nel secondo; tuttavia, in caso di subcontratto il consenso ha rilevanza esterna, nel senso che ha solo la funzione di evitare che il comportamento del debitore costituisca inadempimento.

In questo fenomeno l’applicazione dell’art. 1408 si applicherà non già al cedente e ceduto del contratto base ma al cessionario del contratto base che diventa ceduto del nuovo contratto, e all’originario cedente, in qualità di contraenti originari.

Dal codice civile l’unica norma di carattere generale che si ricava in materia di subcontratto è l’azione diretta che spetta al creditore della prestazione nel contratto base nei confronti del titolare della posizione passiva nel subcontratto. Infatti, il locatore ha azione diretta contro il subconduttore per ottenere il pagamento del prezzo della sublocazione e per costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione (art. 1595 cod. civ.); anche nel mandato il mandante può agire direttamente contro la persona sostituita dal mandatario (art. 1717, comma 4, cod. civ.). Il fondamento di questa azione diretta sta nella circostanza che è il subcontraente ad eseguire la prestazione nell’interesse del mandante ed è il subconduttore che si sostituisce al conduttore originario nel godimento del bene di proprietà del locatore. Il caso della rialienazione di un bene non rientra nella fattispecie del subcontratto; in questa ipotesi il compratore conclude un altro contratto di compravendita avente ad oggetto il medesimo bene; alcuni hanno ritenuto che al primo venditore potrebbe spettare azione diretta contro il subacquirente per ottenere il pagamento del prezzo almeno nei limiti in cui sia inadempiente l’acquirente originario. Ma si è obiettato che la compravendita è un contratto ad effetti reali immediati, per cui il trasferimento avviene al momento della manifestazione del consenso e la seconda alienazione è un autonomo atto dispositivo del diritto rispetto alla precedente.

Ulteriori distinzioni vanno fatte tra cessione del credito e cessione del contratto che sono istituti non assimilabili cosicché, anche a fronte di un differente regime normativo, non è ravvisabile alcuna violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Ed invero, così come chiarito dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 95 del 10 marzo 2006, “il diritto di credito costituisce un bene, come tale idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei suoi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto (assunta come tertium comparationis) presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, in capo ad entrambe le parti di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive, e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente”. La cessione del credito è una vicenda che tocca dal lato attivo singoli rapporti obbligatori, nascenti da un contratto o da altri atti o fatti, ed è bilaterale, mentre la cessione del contratto, determinando il trasferimento di tutti i rapporti, sia di credito che di debito ad esso relativi, rappresenta una vicenda globale, è trilaterale e coincide con lo stesso oggetto del contratto.

Sulla base di queste considerazioni risulta opportuno ricordare che per superare la rigida alternativa codicistica tra cessione del credito e cessione del contratto, un’autorevole dottrina ha prospettato  la configurabilità  di una figura, per così dire, intermedia, consistente della posizione contrattuale attiva: sarebbe cioè possibile che la parte  di un contratto sinallagmatico, dopo aver eseguito la prestazione cui è tenuta, ceda poi ad un terzo la sua posizione contrattuale, comprendente solo situazioni soggettive attive, trasferimento che sarebbe efficace senza la necessità del consenso del ceduto, per il quale cambierebbe solo il destinatario degli obblighi contrattuali.

 

La cessione del contratto non va confusa neanche con la novazione, la quale comporta l’estinzione del rapporto contrattuale e la costituzione di un nuovo rapporto con un diverso soggetto o con un diverso contenuto, mentre la cessione si è visto come presupponga al contrario la permanenza del rapporto, che si trasferisce dal cedente al cessionario, pur nella possibilità secondo parte della dottrina, e ora anche della giurisprudenza, di modificare comunque anche il contenuto, essendo compatibili con l’intento dei contraenti eventuali modifiche se si mantiene fermo il rapporto originario e non si stravolga l’identità del rapporto originario. Altra parte della dottrina insiste invece nel senso dell’immodificabilità, rilevando che la giurisprudenza ritiene che il presupposto della cessione del contratto sia che il complesso giuridico oggetto della cessione resti immutato, in quanto il contenuto sostanziale della contrattazione è rappresentato dalla sostituzione di uno dei soggetti del rapporto con un terzo, che subentri per intero nella titolarità dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Essa va tenuta distinta anche dalla electio amici nel contratto per sé, in quello della nomina del terzo o persona da nominare, vicenda nella quale la persona nominata acquista direttamente la posizione scaturente dal contratto con effetto retroattivo al momento della stipulazione, mentre la cessione del contratto comporta un acquisto derivativo della posizione già costituitasi in capo al cedente. Inoltre sono assenti, in caso di riserva di nomina, le reciproche garanzie dovute tra ceduto e cedente e tra questi e il cessionario ed è anche esclusa in radice la possibilità di un sub ingresso (vicenda circolatoria) perché la produzione di effetti – eccetto il potere di nomina che nasce immediatamente – è bloccata nelle more della designazione in quanto la sostituzione opera ex tunc. E gli stessi rilievi valgono per distinguerla dalla cessione dell’opzione e della proposta, qualora