Corte Costituzionale: legittime le azioni revocatorie di Bondi per Parmalat
Romano VACCARELLA, Giuseppe TESAURO, Redattori
Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, promossi con ordinanze del 18 novembre e del 27 dicembre 2005 dal Tribunale ordinario di Parma nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e H.S.B.C. Bank p.l.c., stessa Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ed altre, iscritte al n. 1 e al n. 53 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 2 e 8, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di costituzione di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, H.S.B.C. Bank p.l.c., Cassa di risparmio di Savona s.p.a., Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., Banca Toscana s.p.a., Banca popolare italiana Società Cooperativa, Bipop Carire s.p.a., Credito siciliano s.p.a., Commerzbank AG, Unicredit Banca d’Impresa s.p.a. e Unicredito Italiano s.p.a., nonché gli atti di intervento di Parmalat s.p.a., Sanpaolo-IMI s.p.a., UBS Limited e del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi nell’udienza pubblica del 4 aprile 2006 i Giudici relatori Romano Vaccarella e Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Giuseppe de’ Vergottini, Alberto Maffei Alberti, Umberto Trancanella e Giuseppe Lombardi per Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e per Parmalat s.p.a., Andrea Pisaneschi, Enrico Castellani e Marcello Clarich per H.S.B.C. Bank p.l.c., Giorgio Villani per Cassa di risparmio di Savona s.p.a., Lorenzo Stanghellini e Duccio Zanchi per Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., Lorenzo Stanghellini per Banca Toscana s.p.a., Piero Schlesinger e Francesco Carbonetti per Bipop Carire s.p.a., Natalino Irti e Andrea Mora per Credito siciliano s.p.a., Francesco Cerasi per la Commerzbank AG, Cristiana Maccagno Benessia e Mario Sanino per la Sanpaolo-IMI s.p.a., Piero Schlesinger e Andrea Mora per la UBS Limited e l’avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Il Tribunale ordinario di Parma, con ordinanza del 18 novembre 2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto-legge 28 febbraio 2005, n. 22 (Interventi urgenti nel settore agroalimentare), convertito, con modificazioni, nella legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui stabilisce che le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), possono essere proposte anche in costanza di un programma di ristrutturazione dell’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria.
1.1.− L’ordinanza di rimessione premette che la Parmalat s.p.a., in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, adiva il Tribunale ordinario di Parma, esponendo che la società, con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre 2003, era stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003 e del d.lgs. n. 270 del 1999; e che il medesimo Tribunale, con sentenza del 27 dicembre 2003, aveva dichiarato lo stato di insolvenza della società attrice, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. ed a quasi tutte le altre società riconducibili alla famiglia Tanzi − comprese quelle operanti nel settore turistico −, alla holding Coloniale s.p.a. e ad una trentina di concessionarie di distribuzione di prodotti Parmalat.
L’istante deduceva che il “gruppo” Parmalat aveva intrattenuto un rapporto continuativo con H.S.B.C. Bank p.l.c. (infra: HSBC), la quale aveva prestato in suo favore un’ampia gamma di servizi bancari e finanziari, e chiedeva che il Tribunale dichiarasse inefficaci, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), le rimesse in conto corrente (per l’importo di euro 542.714,84), i pagamenti a titolo di interessi e commissioni effettuati mediante addebito sul predetto conto (per un importo di euro 90.753,91), i pagamenti a titolo di rimborso per capitale ed interessi dei finanziamenti (per l’importo di euro 1.653.109,04) eseguiti in favore della convenuta nel cosiddetto “periodo sospetto”.
HSBC, nel costituirsi davanti al giudice a quo, deduceva l’infondatezza della domanda, sostenendo che un’interpretazione dell’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003 conforme agli artt. 3 e 41 Cost. comporta che l’azione revocatoria sia proponibile soltanto nella fase di cessione dei beni aziendali, che, eventualmente, si apre nel caso di insuccesso della fase di risanamento. In linea gradata, la convenuta eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
L’ordinanza di rimessione precisa, inoltre, che HSBC chiedeva che tutte le norme contenute nel decreto-legge n. 347 del 2003, o almeno il solo art. 6, fossero dichiarate incompatibili con gli artt. 87 e 88, terzo comma, o con gli artt. 3, 10 e 82 del Trattato CE.
1.1.1.− Quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata, il rimettente afferma che questa è insita «nella proposizione dell’azione revocatoria» fallimentare anche «in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione», ammissibile proprio in virtù della norma impugnata.
1.1.2.− Relativamente alla non manifesta infondatezza, il Tribunale deduce che, allo scopo di accertare l’eventuale violazione del principio di eguaglianza, il quale impedisce di realizzare una diversità di trattamento tra soggetti che versano in situazioni identiche o affini, occorre individuare gli interessi sottesi alle norme poste in comparazione: una differente tutela di interessi omogenei rispetto a quelli oggetto di un’altra disposizione, in mancanza di una esigenza giustificatrice della diversità delle discipline, vulnera l’art. 3 Cost., così come nel caso in cui gli interessi sottesi alle disposizioni in comparazione non siano omogenei e, tuttavia, per le due fattispecie sia posta una identica disciplina, che non tenga conto della diversità delle situazioni.
Secondo il rimettente, nella fattispecie in esame devono essere messi in comparazione gli artt. 6 e 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003 (che riguardano la procedura di amministrazione straordinaria cosiddetta “accelerata”, introdotta da detto decreto-legge) e gli artt. 49 e 78 del d.lgs. n. 270 del 1999 (che disciplina la procedura di amministrazione straordinaria “ordinaria”).
Le procedure, come risulta dall’art. 1 del decreto-legge n. 347 del 2003 e dall’art. 2 del d.lgs. n. 270 del 1999, si differenziano per quanto attiene alle «fasi di ingresso» ed ai requisiti dimensionali concernenti il numero dei dipendenti e l’entità dei debiti, elementi la cui diversità non è sufficiente a far ritenere ragionevole la diversità delle discipline in comparazione.
Infatti, nei casi in cui è applicabile il decreto-legge n. 347 del 2003 lo è anche il d.lgs. n. 270 del 1999 e la scelta tra le due discipline è attribuita all’imprenditore insolvente, in quanto detto decreto-legge riserva a quest’ultimo l’iniziativa per l’apertura della procedura, nell’intento di salvaguardare e perseguire con immediatezza quello stesso programma di ristrutturazione economica e finanziaria al quale il d.lgs. n. 270 del 1999 dà ingresso soltanto all’esito della fase di valutazione dell’esistenza di «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali».
La circostanza che il decreto-legge n. 347 del 2003 richiami il d.lgs. n. 270 del 1999 rende palese che il primo ha soltanto stabilito un’opzione ulteriore per l’imprenditore insolvente, il cui mancato esercizio non ne preclude l’assoggettamento all’amministrazione straordinaria, mirando il decreto-legge a realizzare, sia pure attraverso una differente modalità, l’identica finalità della «ristrutturazione economica e finanziaria prevista e disciplinata dall’art. 27, comma 2, lettera b)» (art. 1 del decreto-legge citato). In altri termini, le innovazioni introdotte dal decreto-legge n. 347 del 2003 tendono a garantire una maggiore celerità alla fase di ammissione dell’impresa alla procedura, senza alterarne i caratteri, comuni a quelli della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999, il quale detta la disciplina generale di riferimento, cui è fatto rinvio.
1.1.3.− Secondo il rimettente, in entrambe le procedure in comparazione è stabilita l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, ma in presenza di differenti presupposti.
Il Tribunale ricorda che, a seguito di alcuni arresti della Corte di cassazione, il legislatore ha modificato la disciplina dell’azione revocatoria nelle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi stabilita dal decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grande imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95, escludendone la esperibilità nel corso della fase di risanamento dell’impresa e stabilendo che può essere proposta «soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali» (art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999). Si tratta di una regola coerente con la ratio dell’azione, che, secondo la concezione indennitaria, mira a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore, ovvero, secondo la configurazione antindennitaria, tende a distribuire le perdite all’interno di una platea di creditori più ampia rispetto a quella che comprende soltanto i soggetti che sono tali al tempo dell’apertura della procedura.
Ad avviso del rimettente, questa duplice finalità, recuperatoria e redistributiva, non è conciliabile con una procedura strumentale alla conservazione dell’impresa, nella quale, in pendenza del risanamento, mancano un patrimonio e perdite da ripartire tra i creditori.
La norma impugnata ha irragionevolmente esteso l’ambito di applicabilità dell’azione revocatoria fallimentare, interrompendo «immotivatamente quel legame di continuità […] tra finalità concretamente perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi», con conseguente non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma impugnata. Il d.lgs. n. 270 del 1999 aveva, infatti, realizzato un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti dal dissesto dell’impresa, escludendo la proponibilità dell’azione nella fase di ristrutturazione, in quanto il sacrificio patrimoniale dei terzi è giustificato soltanto dal fine della ripartizione fra tutti i creditori del patrimonio del debitore insolvente, a tutela della par condicio creditorum.
L’ammissibilità dell’azione nella fase di risanamento dell’impresa ha «ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art. 49» del d.lgs. n. 270 del 1999, in violazione del canone di ragionevolezza, poiché le azioni disciplinate dai succitati artt. 6 e 49 riguardano procedure analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo.
D’altronde, osserva l’ordinanza di rimessione, secondo la Corte costituzionale l’azione in esame introduce una deroga al principio generale della stabilità dei diritti, allo scopo di tutelare le ragioni del concorso tra i creditori e di contemperare l’interesse dei creditori di recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantità di beni, in vista dell’esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell’attività economica ed alla stabilità dei diritti (sentenza n. 379 del 2000).
Secondo il rimettente, l’irragionevolezza della norma sarebbe confortata dalla circostanza che la scelta per l’amministrazione straordinaria “accelerata” è sostanzialmente rimessa all’imprenditore insolvente, il quale potrebbe privilegiarla proprio per giovarsi di un eterofinanziamento, insito nell’esercizio delle azioni revocatorie e precluso nella amministrazione straordinaria “ordinaria”.
La previsione (contenuta nel comma 1 della norma impugnata), quale condizione dell’azione, che essa deve tradursi in «un vantaggio per i creditori» è pleonastica e non permette di escludere l’irragionevolezza della norma, in quanto l’interesse dei creditori costituisce l’unico ed esclusivo bene giuridico alla cui tutela detta azione è preordinata.
1.1.4.− Secondo il rimettente, ad escludere la fondatezza della questione non giova sostenere che l’azione in esame è incompatibile con la ristrutturazione ex art. 27, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 270 del 1999 e con la finalità di prosecuzione e risanamento dell’impresa, nel caso in cui del risanamento benefici l’imprenditore insolvente, mentre è compatibile con la cessione dell’attività d’impresa, anche mediante patto di concordato, ad un soggetto terzo (l’assuntore o una diversa società).
Il Tribunale non condivide questa configurazione, osservando che la norma impugnata prevede in linea generale la proponibilità dell’azione revocatoria anche qualora sia stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente dalla circostanza che questo sia realizzato secondo le modalità ordinarie (art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante concordato, che costituisce uno degli strumenti del programma di ristrutturazione (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge citato).
L’ordinanza di rimessione conclude nel senso che «le censure di illegittimità si incentrano sulla disciplina generale della procedura» disciplinata dal decreto-legge n. 347 del 2003, «nell’ambito della quale l’epilogo naturale del processo di risanamento è costituito dal ritorno dell’imprenditore all’ordi
Romano VACCARELLA, Giuseppe TESAURO, Redattori
Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, promossi con ordinanze del 18 novembre e del 27 dicembre 2005 dal Tribunale ordinario di Parma nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e H.S.B.C. Bank p.l.c., stessa Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ed altre, iscritte al n. 1 e al n. 53 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 2 e 8, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di costituzione di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, H.S.B.C. Bank p.l.c., Cassa di risparmio di Savona s.p.a., Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., Banca Toscana s.p.a., Banca popolare italiana Società Cooperativa, Bipop Carire s.p.a., Credito siciliano s.p.a., Commerzbank AG, Unicredit Banca d’Impresa s.p.a. e Unicredito Italiano s.p.a., nonché gli atti di intervento di Parmalat s.p.a., Sanpaolo-IMI s.p.a., UBS Limited e del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi nell’udienza pubblica del 4 aprile 2006 i Giudici relatori Romano Vaccarella e Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Giuseppe de’ Vergottini, Alberto Maffei Alberti, Umberto Trancanella e Giuseppe Lombardi per Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e per Parmalat s.p.a., Andrea Pisaneschi, Enrico Castellani e Marcello Clarich per H.S.B.C. Bank p.l.c., Giorgio Villani per Cassa di risparmio di Savona s.p.a., Lorenzo Stanghellini e Duccio Zanchi per Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., Lorenzo Stanghellini per Banca Toscana s.p.a., Piero Schlesinger e Francesco Carbonetti per Bipop Carire s.p.a., Natalino Irti e Andrea Mora per Credito siciliano s.p.a., Francesco Cerasi per la Commerzbank AG, Cristiana Maccagno Benessia e Mario Sanino per la Sanpaolo-IMI s.p.a., Piero Schlesinger e Andrea Mora per la UBS Limited e l’avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Il Tribunale ordinario di Parma, con ordinanza del 18 novembre 2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto-legge 28 febbraio 2005, n. 22 (Interventi urgenti nel settore agroalimentare), convertito, con modificazioni, nella legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui stabilisce che le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), possono essere proposte anche in costanza di un programma di ristrutturazione dell’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria.
1.1.− L’ordinanza di rimessione premette che la Parmalat s.p.a., in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, adiva il Tribunale ordinario di Parma, esponendo che la società, con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre 2003, era stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003 e del d.lgs. n. 270 del 1999; e che il medesimo Tribunale, con sentenza del 27 dicembre 2003, aveva dichiarato lo stato di insolvenza della società attrice, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. ed a quasi tutte le altre società riconducibili alla famiglia Tanzi − comprese quelle operanti nel settore turistico −, alla holding Coloniale s.p.a. e ad una trentina di concessionarie di distribuzione di prodotti Parmalat.
L’istante deduceva che il “gruppo” Parmalat aveva intrattenuto un rapporto continuativo con H.S.B.C. Bank p.l.c. (infra: HSBC), la quale aveva prestato in suo favore un’ampia gamma di servizi bancari e finanziari, e chiedeva che il Tribunale dichiarasse inefficaci, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), le rimesse in conto corrente (per l’importo di euro 542.714,84), i pagamenti a titolo di interessi e commissioni effettuati mediante addebito sul predetto conto (per un importo di euro 90.753,91), i pagamenti a titolo di rimborso per capitale ed interessi dei finanziamenti (per l’importo di euro 1.653.109,04) eseguiti in favore della convenuta nel cosiddetto “periodo sospetto”.
HSBC, nel costituirsi davanti al giudice a quo, deduceva l’infondatezza della domanda, sostenendo che un’interpretazione dell’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003 conforme agli artt. 3 e 41 Cost. comporta che l’azione revocatoria sia proponibile soltanto nella fase di cessione dei beni aziendali, che, eventualmente, si apre nel caso di insuccesso della fase di risanamento. In linea gradata, la convenuta eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
L’ordinanza di rimessione precisa, inoltre, che HSBC chiedeva che tutte le norme contenute nel decreto-legge n. 347 del 2003, o almeno il solo art. 6, fossero dichiarate incompatibili con gli artt. 87 e 88, terzo comma, o con gli artt. 3, 10 e 82 del Trattato CE.
1.1.1.− Quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata, il rimettente afferma che questa è insita «nella proposizione dell’azione revocatoria» fallimentare anche «in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione», ammissibile proprio in virtù della norma impugnata.
1.1.2.− Relativamente alla non manifesta infondatezza, il Tribunale deduce che, allo scopo di accertare l’eventuale violazione del principio di eguaglianza, il quale impedisce di realizzare una diversità di trattamento tra soggetti che versano in situazioni identiche o affini, occorre individuare gli interessi sottesi alle norme poste in comparazione: una differente tutela di interessi omogenei rispetto a quelli oggetto di un’altra disposizione, in mancanza di una esigenza giustificatrice della diversità delle discipline, vulnera l’art. 3 Cost., così come nel caso in cui gli interessi sottesi alle disposizioni in comparazione non siano omogenei e, tuttavia, per le due fattispecie sia posta una identica disciplina, che non tenga conto della diversità delle situazioni.
Secondo il rimettente, nella fattispecie in esame devono essere messi in comparazione gli artt. 6 e 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003 (che riguardano la procedura di amministrazione straordinaria cosiddetta “accelerata”, introdotta da detto decreto-legge) e gli artt. 49 e 78 del d.lgs. n. 270 del 1999 (che disciplina la procedura di amministrazione straordinaria “ordinaria”).
Le procedure, come risulta dall’art. 1 del decreto-legge n. 347 del 2003 e dall’art. 2 del d.lgs. n. 270 del 1999, si differenziano per quanto attiene alle «fasi di ingresso» ed ai requisiti dimensionali concernenti il numero dei dipendenti e l’entità dei debiti, elementi la cui diversità non è sufficiente a far ritenere ragionevole la diversità delle discipline in comparazione.
Infatti, nei casi in cui è applicabile il decreto-legge n. 347 del 2003 lo è anche il d.lgs. n. 270 del 1999 e la scelta tra le due discipline è attribuita all’imprenditore insolvente, in quanto detto decreto-legge riserva a quest’ultimo l’iniziativa per l’apertura della procedura, nell’intento di salvaguardare e perseguire con immediatezza quello stesso programma di ristrutturazione economica e finanziaria al quale il d.lgs. n. 270 del 1999 dà ingresso soltanto all’esito della fase di valutazione dell’esistenza di «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali».
La circostanza che il decreto-legge n. 347 del 2003 richiami il d.lgs. n. 270 del 1999 rende palese che il primo ha soltanto stabilito un’opzione ulteriore per l’imprenditore insolvente, il cui mancato esercizio non ne preclude l’assoggettamento all’amministrazione straordinaria, mirando il decreto-legge a realizzare, sia pure attraverso una differente modalità, l’identica finalità della «ristrutturazione economica e finanziaria prevista e disciplinata dall’art. 27, comma 2, lettera b)» (art. 1 del decreto-legge citato). In altri termini, le innovazioni introdotte dal decreto-legge n. 347 del 2003 tendono a garantire una maggiore celerità alla fase di ammissione dell’impresa alla procedura, senza alterarne i caratteri, comuni a quelli della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999, il quale detta la disciplina generale di riferimento, cui è fatto rinvio.
1.1.3.− Secondo il rimettente, in entrambe le procedure in comparazione è stabilita l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, ma in presenza di differenti presupposti.
Il Tribunale ricorda che, a seguito di alcuni arresti della Corte di cassazione, il legislatore ha modificato la disciplina dell’azione revocatoria nelle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi stabilita dal decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grande imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95, escludendone la esperibilità nel corso della fase di risanamento dell’impresa e stabilendo che può essere proposta «soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali» (art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999). Si tratta di una regola coerente con la ratio dell’azione, che, secondo la concezione indennitaria, mira a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore, ovvero, secondo la configurazione antindennitaria, tende a distribuire le perdite all’interno di una platea di creditori più ampia rispetto a quella che comprende soltanto i soggetti che sono tali al tempo dell’apertura della procedura.
Ad avviso del rimettente, questa duplice finalità, recuperatoria e redistributiva, non è conciliabile con una procedura strumentale alla conservazione dell’impresa, nella quale, in pendenza del risanamento, mancano un patrimonio e perdite da ripartire tra i creditori.
La norma impugnata ha irragionevolmente esteso l’ambito di applicabilità dell’azione revocatoria fallimentare, interrompendo «immotivatamente quel legame di continuità […] tra finalità concretamente perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi», con conseguente non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma impugnata. Il d.lgs. n. 270 del 1999 aveva, infatti, realizzato un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti dal dissesto dell’impresa, escludendo la proponibilità dell’azione nella fase di ristrutturazione, in quanto il sacrificio patrimoniale dei terzi è giustificato soltanto dal fine della ripartizione fra tutti i creditori del patrimonio del debitore insolvente, a tutela della par condicio creditorum.
L’ammissibilità dell’azione nella fase di risanamento dell’impresa ha «ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art. 49» del d.lgs. n. 270 del 1999, in violazione del canone di ragionevolezza, poiché le azioni disciplinate dai succitati artt. 6 e 49 riguardano procedure analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo.
D’altronde, osserva l’ordinanza di rimessione, secondo la Corte costituzionale l’azione in esame introduce una deroga al principio generale della stabilità dei diritti, allo scopo di tutelare le ragioni del concorso tra i creditori e di contemperare l’interesse dei creditori di recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantità di beni, in vista dell’esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell’attività economica ed alla stabilità dei diritti (sentenza n. 379 del 2000).
Secondo il rimettente, l’irragionevolezza della norma sarebbe confortata dalla circostanza che la scelta per l’amministrazione straordinaria “accelerata” è sostanzialmente rimessa all’imprenditore insolvente, il quale potrebbe privilegiarla proprio per giovarsi di un eterofinanziamento, insito nell’esercizio delle azioni revocatorie e precluso nella amministrazione straordinaria “ordinaria”.
La previsione (contenuta nel comma 1 della norma impugnata), quale condizione dell’azione, che essa deve tradursi in «un vantaggio per i creditori» è pleonastica e non permette di escludere l’irragionevolezza della norma, in quanto l’interesse dei creditori costituisce l’unico ed esclusivo bene giuridico alla cui tutela detta azione è preordinata.
1.1.4.− Secondo il rimettente, ad escludere la fondatezza della questione non giova sostenere che l’azione in esame è incompatibile con la ristrutturazione ex art. 27, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 270 del 1999 e con la finalità di prosecuzione e risanamento dell’impresa, nel caso in cui del risanamento benefici l’imprenditore insolvente, mentre è compatibile con la cessione dell’attività d’impresa, anche mediante patto di concordato, ad un soggetto terzo (l’assuntore o una diversa società).
Il Tribunale non condivide questa configurazione, osservando che la norma impugnata prevede in linea generale la proponibilità dell’azione revocatoria anche qualora sia stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente dalla circostanza che questo sia realizzato secondo le modalità ordinarie (art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante concordato, che costituisce uno degli strumenti del programma di ristrutturazione (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge citato).
L’ordinanza di rimessione conclude nel senso che «le censure di illegittimità si incentrano sulla disciplina generale della procedura» disciplinata dal decreto-legge n. 347 del 2003, «nell’ambito della quale l’epilogo naturale del processo di risanamento è costituito dal ritorno dell’imprenditore all’ordi