x

x

Dieci oscillazioni e… il pendolo suona per “il no”

Referendum 2020
Ph. Anuar Arebi / Referendum 2020

Proseguiamo il nostro focus riguardante il Referendum di domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020 relativo al “taglio dei parlamentari”.

Ricordiamo il quesito proposto dal Referendum: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?»

Analizzeremo, dunque, le ragioni del NO e quelle del SI, attraverso brevi commenti di illustri personalità italiane del mondo giuridico, civile e politico.

Oggi concludiamo il nostro breve excursus con il parere di Lara Trucco, Professoressa ordinaria di diritto costituzionale, Università degli Studi di Genova.

 

Si ripropongono qui i dieci principali aspetti su cui si sta concentrando il dibattito in vista del voto dei prossimi 20 e 21 settembre sul referendum concernente il “taglio” del numero dei deputati da 630 a 400 e di quello dei senatori da 315 a 200, ponendo con la necessaria sintesi a confronto le ragioni “del sì” e quelle “del no”. Eccoli:

1. il quesito referendario - i sostenitori “del sì” ritengono che sia puntuale e chiaro – i fautori “del no” rilevano come, in realtà, la riforma incida sull’intero testo della Costituzione con conseguenze perlopiù imperscrutabili;

2. il testo di legge costituzionale ha raccolto il larghissimo suffragio del Parlamento – se il consenso ricevuto fosse stato “ampio” abbastanza, non si sarebbe potuto fare luogo al referendum in questione (ex art. 138 Cost.);

3. i parlamentari costano troppo – il costo di un caffè;

4. ci allineeremmo con gli altri Stati europei se guardiamo il numero complessivo di parlamentari – se guardiamo il rapporto con il numero di abitanti finiremmo agli ultimi posti della classifica (Cipro con 56 parlamentari è la più bassa come cifra “assoluta” ma, invece, tra le prime in rapporto al suo milione di abitanti);

5. non diminuirebbe la rappresentatività del Parlamento – è nelle cose che se il numero dei parlamentari viene ridotto ci sono meno persone che ci rappresentano, segnatamente, si passerebbe da un deputato ogni 96 mila abitanti ad uno ogni 151 mila abitanti, e da un senatore ogni 191 mila abitanti ad uno ogni 302 mila abitanti;

6. ormai sarebbe inutile un Parlamento ampio dato l’aumento delle occasioni di partecipazione politica, rese possibili, dal rinnovato panorama istituzionale (spec. rappresentanza “multilivello”) e tecnologico (spec. sviluppo delle telecomunicazioni ed avvento del digitale) – si tratta di enti che hanno competenze diverse rispetto al Parlamento e che lungi dall’assumere una valenza surrogatoria o compensativa dovrebbero semmai aggiungersi ed arricchire il quadro attuale;

7. i territori sarebbero comunque rappresentati – intere zone geografiche non avrebbero più alcuna rappresentanza (ad esempio, all’imperiese non si vedrebbe attribuito più alcun seggio); inoltre sarebbero soprattutto le forze politiche maggiori a trovare spazio in Parlamento, a scapito delle minoranze;

8. la speranza è che il sistema di elezione saprà compensare la riduzione della rappresentatività dell’organo parlamentare – il testo base della proposta di legge elettorale deve ancora essere votato e comunque sinora tutte le proposte presentate paiono andare in diversa direzione;

9. la riduzione del numero di parlamentari favorisce la loro conoscibilità e la qualità della rappresentanza politica – il “taglio”, specie nella perdurante vigenza delle liste bloccate, agevolerebbe la controllabilità di deputati e senatori da parte delle segreterie e dei leader di partito rendendo ancora più improbabile un reclutamento (anche) su base meritocratica (e non per cooptazione) degli stessi parlamentari;

10. meno parlamentari garantiscono una maggiore efficienza e la funzionalità dell’organo – non è detto che se si è in pochi (specie in contesti conflittuali) le decisioni vengano prese più facilmente; anzi, la riduzione del numero di parlamentari rischia (specie al Senato) di generare rallentamenti e disfunzioni dei lavori; senza poi dire che sull’efficienza dei lavori del Parlamento incidono soprattutto i regolamenti parlamentari.

Ancora, si afferma che se vincesse “il sì” si andrebbe avanti nelle riforme, mentre in caso contrario resterebbe tutto com’è.

A ciò pare possibile replicare che al di là della possibilità di ritenere che sia meglio non fare alcuna riforma piuttosto che una riforma della Costituzione mal fatta, non è dato di escludersi che se vince “il no” non possa procedersi comunque ad ulteriori riforme, così come non è detto che se dovesse vincere “il sì” si andrebbe certamente avanti (anzi, le proposte di riforma in campo paiono andare in senso contrario, facendo trapelare l’idea di una sorta di “autosufficienza” del “taglio” a migliorare le cose.

Di qui, dunque e conclusivamente, le principali ragioni che a nostro avviso portano il pendolo a suonare per “il no”.