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Il reato inconsistente

Nel sistema penalistico per la concezione formale è reato il fatto che l’ordinamento giuridico definisce come tale. Di contro, la concezione sostanziale postula che la nozione di reato debba essere ricercata al di fuori dell’ordinamento giuridico.

Le teorie moderne, proprie dello Stato di diritto, sono ancorate al modello formale. Lo Stato di diritto, articolato sulla separazione dei poteri, riserva al legislatore quella che è la definizione di reato e la sua disciplina (il c.d. principio di legalità). Lo Stato di diritto è, però, anche uno Stato democratico, che deve indirizzare l’esercizio della sovranità, quando questa viene attribuita dalla Costituzione a soggetti diversi dal popolo. Allora anche negli ordinamenti occidentali, che aderiscono al modello formale, si avverte l’esigenza di porre vincoli sostanziali al legislatore nel ricostruire la nozione di reato. Dalla combinazione della nozione formale con i vincoli posti dalle fonti superiori scaturisce il modello formale-sostanziale, laddove il principio di legalità sostanziale è un elemento della concezione formale-sostanziale del reato. Caratteristica del modello formale è, dunque, il principio di legalità, nella sua duplice accezione di legalità formale (nullum crimen sine lege poenalis) e legalità sostanziale (nullum crimen sine stricta lege poenalis).

La formulazione del codice penale (art. 1) costituisce la tradizionale esplicazione del principio di legalità, sia formale che sostanziale, assegnando priorità al dato astratto (secondo lo schema norma-fatto-effetto); la formulazione della Costituzione (art. 25) assegna priorità al dato concreto, qualificando il fatto non dal punto di vista legale (come reato), ma da quello reale (come fatto commesso), agganciandolo alla dimensione temporale.

La fattispecie di reato, astrattamente prevista dal legislatore (legalità formale), deve infatti essere delineata con precisione sufficiente ad individuare il comportamento che, in concreto, potrà essere penalmente sanzionato (legalità sostanziale). Tanto la legalità in senso formale, quanto la legalità in senso sostanziale assolvono anche ad una funzione meno evidente, di realizzare l’uguaglianza e l’imparzialità.

Limitando l’arbitrio del potere esecutivo e circoscrivendo la discrezionalità del giudice, esse presuppongono una legge penale uguale per tutti e di imparziale applicazione, perché avente ad oggetto fattispecie astratte la cui applicazione deve avvenire con carattere di generalità.Il principio fondamentale in base al quale stabilire quando un fatto costituisce reato è quello di legalità con il suo corollario di tipicità, che riguarda il rapporto tra precetto, fatto e sanzione. In termini generali tale principio si collega al principio di causalità normativa, per il quale a un dato fatto consegue un effetto giuridico, sulla base di un procedimento di qualificazione del fatto operato dalla norma. In materia penale opera in senso rigido, non permettendo che esistano figure di illecito non tipizzate dall’ordinamento. Il principio di tipicità interessa in primo luogo la fattispecie astratta, cioè il fatto previsto dalla norma o, se si preferisce, la figura legale del fatto.

Nel linguaggio comune la tipicità si collega all’idea di uno schema ideale o astratto, a cui corrispondono, o possono corrispondere, con assoluta identificazione o con maggiore o minore approssimazione, situazioni concrete; ma nel diritto penale il collegamento della tipicità con la legalità è un dato necessario. Non possono darsi, pertanto, reati innominati, ma eventualmente solo reati sussidiari. La tipizzazione di un illecito si articola di solito sue due piani: azione ed evento. Il disvalore d’azione e quello di evento insieme connotano il disvalore integrale del fatto, e il principio di tipicità non può che abbracciare entrambi.

Il reato è anzitutto «illecito di lesione», ragion per cui il principio di tipicità si collega al principio di offensività, in termini di lesività: se nell’ordinamento penale vige il principio di tipicità, la lesività non può che essere interna al fatto tipico. Ciò pone il problema dell’eventuale scarto tra il grado di offesa astrattamente fissato dal legislatore e quello concretamente verificatosi. In tal senso e nello scarto logico tra tipicità e offesa si può giungere a parlare di tipicità apparente.Il principio di tipicità opera quindi non solo nel delimitare l’area dei fatti punibili, ma anche l’area dell’incriminazione, cioè a che stadio il fatto può costituire reato. Tuttavia, nell’operare in tal senso il legislatore è vincolato ad altri principi, quali quelli di materialità, necessità (o necessarietà) ed offensività. Il principio di materialità impone che il fatto di reato si estrinsechi nel mondo materiale, non essendo sufficiente, al riguardo, che esso consista in un mero stato soggettivo di volizione. Il principio di materialità trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 25 della Carta nella quale l’uso della locuzione "fatto commesso" lascia chiaramente intendere l’esclusione dall’area del penalmente rilevante di quei fatti che, esaurendosi nella sfera psichica dell’autore, non trovano una concreta estrinsecazione nella realtà esterna. Il fatto di reato, in armonia con l’enunciato principio di materialità, deve necessariamente consistere di un elemento oggettivo (materiale) distinto dall’elemento psicologico. Quanto all’elemento oggettivo, esso coinvolge necessariamente la condotta, nonchè, ove richiesto, l’evento ed il nesso di causalità tra condotta ed evento.

Sotto il profilo definitorio la condotta penalmente rilevante è quella conforme al fatto tipico descritto dalla norma penale. Il principio di necessità (o necessarietà), che concepisce lo strumento penale come extrema ratio, della quale servirsi solo ove strettamente necessario, ed è intimamente collegato al principio di determinatezza, di cui favorisce la realizzazione, individuando non aree di comportamenti, ma singole porzioni, che il legislatore può descrivere più precisamente e con maggior grado di aderenza al reale. Infine, il principio di offensività impone di subordinare la punibilità alla lesione (nocumento effettivo) o messa in pericolo del bene giuridico protetto (nocumento potenziale).

L’ancoraggio normativo è rinvenibile in più riferimenti costituzionali, ma trova la sua base giuridica nell’art. 49, comma 2, cod. pen. che dispone che la punibilità è esclusa quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso (c.d. reato impossibile, che si realizza allorquando la condotta dell’agente è inidonea appunto, per le sue concrete modalità realizzative, a ledere o porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice o la stessa resta improduttiva di effetti a causa dell’inesistenza dell’oggetto contro cui era diretta l’azione lesiva o pericolosa).

Al primo comma della stessa norma si rinviene il c.d. reato putativo, che si realizza quando il suo autore ritiene costituire reato, ma che al contrario, è pienamente lecito: tale errore può verificarsi sulla norma o su un elemento materiale del fatto o, per la giurisprudenza, anche quando si ignora in concreto una causa di non punibilità.In linea teorica e generalista si potrebbe argomentare che, laddove la soglia di offensività sia minima e al di sotto dei parametri cui la legge subordina la soglia di punibilità, si realizza la figura del reato “inconsistente”.

Da parte di taluni si è parlato anche di “evanescenza” quale indetermintatezza ed inidoneità a tracciare con certezza la linea di demarcazione tra condotte penalmente rilevanti e condotte prive di disvalore penale. Il reato inconsistente, invero, non è semplicemente il reato inoffensivo rispetto al bene giuridico, bensì un reato la cui carente di capacità di offesa si avverte ancor prima, sul piano delle categorie scientifiche. Tale argomentazione consentirebbe di superare quella parte di dottrina che sostiene che se il fatto non è offensivo non è nemmeno tipico richiedendosi che il fatto, oltre ad essere tipico, deve essere offensivo (offensività che rappresenta quel quid pluris rispetto al fatto). Si potrebbe ipotizzare che l’inconsitenza sia un precipitato logico ed astratto dell’evanescenza (la coltivazione di stupefacenti domestica potrebbe configurarsi come reato inconstistente in concreto, in quanto pur non mutando, nell’obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie di reato di cui al d.P.R. 1990/309 e d.l. 2005/72, la legge attribuisce ad essa una minore valenza offensiva; mentre il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen. e la pornografia di cui agli artt. 600 ter e quater cod. pen. come reati inconstistenti in astratto quindi assimilabili a reati evanescenti pur nella loro tipicità ed antigiuridicità.

Nel caso del falso grossolano – innocuo – inutile di cui agli artt. 476 e ss. Cod. pen. si configurerebbe invece un reato impossibile per inidoneità dell’azione: quindi nei reati cd. formali non opera questa categoria, perchè sono già reati costruiti con leggi sociali, e l’incriminazione non si fonda sulla "consistenza" come opportuno ricondurle alle categorie scientifiche. In questo contesto opererà l’art. 49 cod. pen. Di contro, nei reati naturali, se la dimensione fisica del fatto è minima - in astratto o in concreto - si ha reato inconsistente. Ad esempio le molestie sessuali (di cui al 609 bis cod. pen.) potrebbero anche configurarsi come reato "inconsistente", come l’appropriazione di cose di minimo valore economico (ad es. furto dell’acino d’uva).

E’ probabile in conclusione che vero il punctum pruriens delle fattispecie e quaestio in esame, è rappresentato dall’identificazione del parametro di riferimento cui agganciare la valutazione di "minima offensività” del fatto tipico. Tali parametro dovrà essere necessariamente riferito ad un tertium comparationis che permetta di accertare se l’offesa sia, nei vari casi di specie, veramente minimale. In altre parole, se la "minima offensività” del fatto tipico può essere validamente misurata sulla scorta di tali indici, è pur tuttavia necessario che tale processo valutativo si riferisca ad un quid che consenta di accertare la reale dimensione offensiva della condotta posta in essere.

Nel sistema penalistico per la concezione formale è reato il fatto che l’ordinamento giuridico definisce come tale. Di contro, la concezione sostanziale postula che la nozione di reato debba essere ricercata al di fuori dell’ordinamento giuridico.

Le teorie moderne, proprie dello Stato di diritto, sono ancorate al modello formale. Lo Stato di diritto, articolato sulla separazione dei poteri, riserva al legislatore quella che è la definizione di reato e la sua disciplina (il c.d. principio di legalità). Lo Stato di diritto è, però, anche uno Stato democratico, che deve indirizzare l’esercizio della sovranità, quando questa viene attribuita dalla Costituzione a soggetti diversi dal popolo. Allora anche negli ordinamenti occidentali, che aderiscono al modello formale, si avverte l’esigenza di porre vincoli sostanziali al legislatore nel ricostruire la nozione di reato. Dalla combinazione della nozione formale con i vincoli posti dalle fonti superiori scaturisce il modello formale-sostanziale, laddove il principio di legalità sostanziale è un elemento della concezione formale-sostanziale del reato. Caratteristica del modello formale è, dunque, il principio di legalità, nella sua duplice accezione di legalità formale (nullum crimen sine lege poenalis) e legalità sostanziale (nullum crimen sine stricta lege poenalis).

La formulazione del codice penale (art. 1) costituisce la tradizionale esplicazione del principio di legalità, sia formale che sostanziale, assegnando priorità al dato astratto (secondo lo schema norma-fatto-effetto); la formulazione della Costituzione (art. 25) assegna priorità al dato concreto, qualificando il fatto non dal punto di vista legale (come reato), ma da quello reale (come fatto commesso), agganciandolo alla dimensione temporale.

La fattispecie di reato, astrattamente prevista dal legislatore (legalità formale), deve infatti essere delineata con precisione sufficiente ad individuare il comportamento che, in concreto, potrà essere penalmente sanzionato (legalità sostanziale). Tanto la legalità in senso formale, quanto la legalità in senso sostanziale assolvono anche ad una funzione meno evidente, di realizzare l’uguaglianza e l’imparzialità.

Limitando l’arbitrio del potere esecutivo e circoscrivendo la discrezionalità del giudice, esse presuppongono una legge penale uguale per tutti e di imparziale applicazione, perché avente ad oggetto fattispecie astratte la cui applicazione deve avvenire con carattere di generalità.Il principio fondamentale in base al quale stabilire quando un fatto costituisce reato è quello di legalità con il suo corollario di tipicità, che riguarda il rapporto tra precetto, fatto e sanzione. In termini generali tale principio si collega al principio di causalità normativa, per il quale a un dato fatto consegue un effetto giuridico, sulla base di un procedimento di qualificazione del fatto operato dalla norma. In materia penale opera in senso rigido, non permettendo che esistano figure di illecito non tipizzate dall’ordinamento. Il principio di tipicità interessa in primo luogo la fattispecie astratta, cioè il fatto previsto dalla norma o, se si preferisce, la figura legale del fatto.

Nel linguaggio comune la tipicità si collega all’idea di uno schema ideale o astratto, a cui corrispondono, o possono corrispondere, con assoluta identificazione o con maggiore o minore approssimazione, situazioni concrete; ma nel diritto penale il collegamento della tipicità con la legalità è un dato necessario. Non possono darsi, pertanto, reati innominati, ma eventualmente solo reati sussidiari. La tipizzazione di un illecito si articola di solito sue due piani: azione ed evento. Il disvalore d’azione e quello di evento insieme connotano il disvalore integrale del fatto, e il principio di tipicità non può che abbracciare entrambi.

Il reato è anzitutto «illecito di lesione», ragion per cui il principio di tipicità si collega al principio di offensività, in termini di lesività: se nell’ordinamento penale vige il principio di tipicità, la lesività non può che essere interna al fatto tipico. Ciò pone il problema dell’eventuale scarto tra il grado di offesa astrattamente fissato dal legislatore e quello concretamente verificatosi. In tal senso e nello scarto logico tra tipicità e offesa si può giungere a parlare di tipicità apparente.Il principio di tipicità opera quindi non solo nel delimitare l’area dei fatti punibili, ma anche l’area dell’incriminazione, cioè a che stadio il fatto può costituire reato. Tuttavia, nell’operare in tal senso il legislatore è vincolato ad altri principi, quali quelli di materialità, necessità (o necessarietà) ed offensività. Il principio di materialità impone che il fatto di reato si estrinsechi nel mondo materiale, non essendo sufficiente, al riguardo, che esso consista in un mero stato soggettivo di volizione. Il principio di materialità trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 25 della Carta nella quale l’uso della locuzione "fatto commesso" lascia chiaramente intendere l’esclusione dall’area del penalmente rilevante di quei fatti che, esaurendosi nella sfera psichica dell’autore, non trovano una concreta estrinsecazione nella realtà esterna. Il fatto di reato, in armonia con l’enunciato principio di materialità, deve necessariamente consistere di un elemento oggettivo (materiale) distinto dall’elemento psicologico. Quanto all’elemento oggettivo, esso coinvolge necessariamente la condotta, nonchè, ove richiesto, l’evento ed il nesso di causalità tra condotta ed evento.

Sotto il profilo definitorio la condotta penalmente rilevante è quella conforme al fatto tipico descritto dalla norma penale. Il principio di necessità (o necessarietà), che concepisce lo strumento penale come extrema ratio, della quale servirsi solo ove strettamente necessario, ed è intimamente collegato al principio di determinatezza, di cui favorisce la realizzazione, individuando non aree di comportamenti, ma singole porzioni, che il legislatore può descrivere più precisamente e con maggior grado di aderenza al reale. Infine, il principio di offensività impone di subordinare la punibilità alla lesione (nocumento effettivo) o messa in pericolo del bene giuridico protetto (nocumento potenziale).

L’ancoraggio normativo è rinvenibile in più riferimenti costituzionali, ma trova la sua base giuridica nell’art. 49, comma 2, cod. pen. che dispone che la punibilità è esclusa quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso (c.d. reato impossibile, che si realizza allorquando la condotta dell’agente è inidonea appunto, per le sue concrete modalità realizzative, a ledere o porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice o la stessa resta improduttiva di effetti a causa dell’inesistenza dell’oggetto contro cui era diretta l’azione lesiva o pericolosa).

Al primo comma della stessa norma si rinviene il c.d. reato putativo, che si realizza quando il suo autore ritiene costituire reato, ma che al contrario, è pienamente lecito: tale errore può verificarsi sulla norma o su un elemento materiale del fatto o, per la giurisprudenza, anche quando si ignora in concreto una causa di non punibilità.In linea teorica e generalista si potrebbe argomentare che, laddove la soglia di offensività sia minima e al di sotto dei parametri cui la legge subordina la soglia di punibilità, si realizza la figura del reato “inconsistente”.

Da parte di taluni si è parlato anche di “evanescenza” quale indetermintatezza ed inidoneità a tracciare con certezza la linea di demarcazione tra condotte penalmente rilevanti e condotte prive di disvalore penale. Il reato inconsistente, invero, non è semplicemente il reato inoffensivo rispetto al bene giuridico, bensì un reato la cui carente di capacità di offesa si avverte ancor prima, sul piano delle categorie scientifiche. Tale argomentazione consentirebbe di superare quella parte di dottrina che sostiene che se il fatto non è offensivo non è nemmeno tipico richiedendosi che il fatto, oltre ad essere tipico, deve essere offensivo (offensività che rappresenta quel quid pluris rispetto al fatto). Si potrebbe ipotizzare che l’inconsitenza sia un precipitato logico ed astratto dell’evanescenza (la coltivazione di stupefacenti domestica potrebbe configurarsi come reato inconstistente in concreto, in quanto pur non mutando, nell’obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie di reato di cui al d.P.R. 1990/309 e d.l. 2005/72, la legge attribuisce ad essa una minore valenza offensiva; mentre il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen. e la pornografia di cui agli artt. 600 ter e quater cod. pen. come reati inconstistenti in astratto quindi assimilabili a reati evanescenti pur nella loro tipicità ed antigiuridicità.

Nel caso del falso grossolano – innocuo – inutile di cui agli artt. 476 e ss. Cod. pen. si configurerebbe invece un reato impossibile per inidoneità dell’azione: quindi nei reati cd. formali non opera questa categoria, perchè sono già reati costruiti con leggi sociali, e l’incriminazione non si fonda sulla "consistenza" come opportuno ricondurle alle categorie scientifiche. In questo contesto opererà l’art. 49 cod. pen. Di contro, nei reati naturali, se la dimensione fisica del fatto è minima - in astratto o in concreto - si ha reato inconsistente. Ad esempio le molestie sessuali (di cui al 609 bis cod. pen.) potrebbero anche configurarsi come reato "inconsistente", come l’appropriazione di cose di minimo valore economico (ad es. furto dell’acino d’uva).

E’ probabile in conclusione che vero il punctum pruriens delle fattispecie e quaestio in esame, è rappresentato dall’identificazione del parametro di riferimento cui agganciare la valutazione di "minima offensività” del fatto tipico. Tali parametro dovrà essere necessariamente riferito ad un tertium comparationis che permetta di accertare se l’offesa sia, nei vari casi di specie, veramente minimale. In altre parole, se la "minima offensività” del fatto tipico può essere validamente misurata sulla scorta di tali indici, è pur tuttavia necessario che tale processo valutativo si riferisca ad un quid che consenta di accertare la reale dimensione offensiva della condotta posta in essere.