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La successione del coniuge prima della riforma del 1975: usufrutto more uxorio

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Secondo l’articolo 127 del Codice civile anteriore alla riforma del diritto di famiglia del 1975: "Quando con il coniuge concorrono figli legittimi, soli o con figli naturali, il coniuge ha il diritto all’usufrutto di una quota di eredità. L’usufrutto è della metà dell’eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e di un terzo negli altri casi. […]".

 

 

Pertanto, alla luce del disposto previgente, il coniuge apparteneva alla terza classe dei successibili. Al coniuge superstite veniva così riconosciuto l’usufrutto di metà ovvero di un terzo del patrimonio ereditario, in presenza rispettivamente di uno o più figli.

 

L’opinione prevalente escludeva una titolarità di erede in capo al coniuge superstite poiché piuttosto naturale e logica si configurava invece l’attribuzione della qualità di usufruttuario. In quanto tale lo stesso non succedeva nell’universum jus defuncti ma solamente in un diritto limitato al godimento della quota ereditaria. Si aggiungeva inoltre la temporaneità della qualità di usufruttuario in luogo della durata perpetua caratteristica della titolarità di erede, così come affermato nel brocardo semel heres semper heres.

 

Il diritto reale di usufrutto - sottoposto alla condizione risolutiva della facoltà di commutazione (prevista dall’articolo 93 del testo abrogato, ora articolo 537 comma 3 del Codice civile) da parte dei figli del de cuius – risultava oggetto di una più ampia comunione di diritti eterogenei tra eredi e coniuge superstite. Quest’ultimo veniva così investito di un diritto reale che gli permetteva la partecipazione ad una comunione incidentale di godimento (pertanto sottoposta alle disposizioni sulla comunione ordinaria).

 

La qualità di legatario ex lege di cui lo stesso coniuge era rivestito tuttavia non legittimava lo stesso ad agire relativamente a rapporti di spettanza del de cuis né tantomeno a conseguire le indennità derivanti dal rapporto di lavoro del coniuge premorto.

 

L’articolo 127 come sopra rubricato, se migliorava notevolmente la condizione del coniuge superstite rispetto alla previsione del codice del 1865, tuttavia contrastava anacronisticamente con l’evoluzione sociale della nozione di famiglia.

 

Lasciata alle spalle la figura tradizionale tramandata e codicisticamente protetta della famiglia estesa, si necessitava di una riforma che tenesse conto delle modificazioni intercorse dall’emanazione del codice del 1942. A tutto ciò si aggiungeva l’insufficienza spesso reale di un patrimonio esiguo dal quale l’usufruttuario non poteva derivarne un mantenimento dignitoso.

 

Pressato da istanze di evoluzione sociale, il legislatore ha scelto una definizione dei rapporti successori moglie – marito fondata su una cultura moderna, un orientamento che concretizza le molteplici realtà rendendo operativo il nuovo concetto di famiglia nucleare .

 

Rebus sic stantibus, alla luce della riforma, pur restando inalterata la quota successoria, il coniuge da semplice usufruttuario viene ora finalmente riconosciuto erede.

Secondo l’articolo 127 del Codice civile anteriore alla riforma del diritto di famiglia del 1975: "Quando con il coniuge concorrono figli legittimi, soli o con figli naturali, il coniuge ha il diritto all’usufrutto di una quota di eredità. L’usufrutto è della metà dell’eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e di un terzo negli altri casi. […]".

 

 

Pertanto, alla luce del disposto previgente, il coniuge apparteneva alla terza classe dei successibili. Al coniuge superstite veniva così riconosciuto l’usufrutto di metà ovvero di un terzo del patrimonio ereditario, in presenza rispettivamente di uno o più figli.

 

L’opinione prevalente escludeva una titolarità di erede in capo al coniuge superstite poiché piuttosto naturale e logica si configurava invece l’attribuzione della qualità di usufruttuario. In quanto tale lo stesso non succedeva nell’universum jus defuncti ma solamente in un diritto limitato al godimento della quota ereditaria. Si aggiungeva inoltre la temporaneità della qualità di usufruttuario in luogo della durata perpetua caratteristica della titolarità di erede, così come affermato nel brocardo semel heres semper heres.

 

Il diritto reale di usufrutto - sottoposto alla condizione risolutiva della facoltà di commutazione (prevista dall’articolo 93 del testo abrogato, ora articolo 537 comma 3 del Codice civile) da parte dei figli del de cuius – risultava oggetto di una più ampia comunione di diritti eterogenei tra eredi e coniuge superstite. Quest’ultimo veniva così investito di un diritto reale che gli permetteva la partecipazione ad una comunione incidentale di godimento (pertanto sottoposta alle disposizioni sulla comunione ordinaria).

 

La qualità di legatario ex lege di cui lo stesso coniuge era rivestito tuttavia non legittimava lo stesso ad agire relativamente a rapporti di spettanza del de cuis né tantomeno a conseguire le indennità derivanti dal rapporto di lavoro del coniuge premorto.

 

L’articolo 127 come sopra rubricato, se migliorava notevolmente la condizione del coniuge superstite rispetto alla previsione del codice del 1865, tuttavia contrastava anacronisticamente con l’evoluzione sociale della nozione di famiglia.

 

Lasciata alle spalle la figura tradizionale tramandata e codicisticamente protetta della famiglia estesa, si necessitava di una riforma che tenesse conto delle modificazioni intercorse dall’emanazione del codice del 1942. A tutto ciò si aggiungeva l’insufficienza spesso reale di un patrimonio esiguo dal quale l’usufruttuario non poteva derivarne un mantenimento dignitoso.

 

Pressato da istanze di evoluzione sociale, il legislatore ha scelto una definizione dei rapporti successori moglie – marito fondata su una cultura moderna, un orientamento che concretizza le molteplici realtà rendendo operativo il nuovo concetto di famiglia nucleare .

 

Rebus sic stantibus, alla luce della riforma, pur restando inalterata la quota successoria, il coniuge da semplice usufruttuario viene ora finalmente riconosciuto erede.