x

x

La tutela individuale delle situazioni soggettive del condomino con riferimento ai beni comuni, specie con riferimento all’impugnativa delle delibere condominiali a lui sfavorevoli

Occorre in primo luogo illustrare gli aspetti inerenti la tutela del comunista o del condomino con riferimento ai beni comuni: con riferimento alla comunione abbiamo una con titolarità di un diritto dominicale, nel condominio invece abbiamo la proprietà esclusiva in aggiunta alla comunione. Il discorso passa attraverso a diversa struttura in ordine all’assetto organizzativo: nel condominio è evidente l’influenza della dottrina maggioritaria, sul legislatore del ’42, che teorizzava la figura del c.d. ente di gestione.

Dottrina e giurisprudenza di massima riconoscono il profilo organizzativo e gestorio del condominio configurandolo come un c.d. ente di gestione, cioè un soggetto giuridico (senza soggettività) con poteri gestori con riferimento alla cosa comune, è infatti prevista la dotazione di alcuni organi (assemblea, amministratore); dato imprescindibile è la nomina di un amministratore unitamente all’adozione di un regolamento condominiale, ma altro organo fondamentale è l’assemblea dei condomini. 

In tema di comunione pur trovando riferimenti all’assemblea, al regolamento ed all’amministratore non c’è coesistenza di diritti dominicali bensì contitolarità di essi. Il problema nell’ambito della c.d. comunione di godimento si basa sulla diarchia tra il godimento e la gestione dei beni comuni: nell’ambito degli stessi diritti di comunione si valuta sia l’aspetto individualistico della utilizzazione e del godimento sia l’aspetto organizzativo/gestorio. 

Accogliendo il primo aspetto il diritto dei consociati sarebbe prevalente rispetto all’aspetto gestorio. La composizione tra le due teorie (l’una che considera prevalente l’aspetto organizzativo l’altra quello gestorio) si rinviene nel concetto di quota, che va inteso non come pars rei di una intera res (quota reale) ma come quota in senso partecipativo, il diritto dominicale, infatti, si fa riferimento all’intero bene ma nell’ambito di questa contitolarità rileva l’utilizzo ed il godimento che investe l’intero bene (o tutti i beni) trovando un limite nel pari diritto degli altri contitolari (c.d. solidarietà di godimento). La quota segna la misura di partecipazione ai diritti ed agli obblighi nonché alla gestione della cosa comune. Mentre il godimento (diritti e obblighi) è improntato ad un modello individualistico, la gestione è improntata al modello collettivistico, perciò nel primo vale il principio del consenso nella secondo quello maggioritario. 

Il problema della tutela individuale di ciascun partecipante è particolarmente sentito, occorre consentire a ciascun contitolare di poter agire sui beni in comunione, sarà l’amministratore a poter attivare gli strumenti previsti per tutelare il bene dagli attacchi dei terzi, ed egli sarà altresì chiamato a provvedere in ordine alla tutela ed alla preservazione del bene, da ciò deriva che con riferimento alle controversie passive l’amministratore è ex se legittimato ad agire come garante della tutela e preservazione del bene.

Con riferimento alla legittimazione attiva dobbiamo, invece, distinguere l’ambito della ordinaria amministrazione per cui è legittimato, dall’ambito della straordinaria amministrazione dove occorre invece procedere di volta in volta alla convocazione dell’assemblea che provvederà a conferirgli apposito mandato (consentendogli eventualmente anche la nomina di un difensore). Giurisprudenza recente afferma che è necessaria coerenza tra la legittimazione attiva e passiva e pertanto si dovrebbe adottare la stessa soluzione in entrambi i casi; ergo sia nella legittimazione attiva che in quella passiva occorrerebbe vedere se si rientra nella ordinaria o straordinaria amministrazione. 

Il problema della tutela individuale varia a seconda che si tratti di comunione o condominio: con riferimento alla comunione non si può non riconoscere una legittimazione individuale a tutela del bene comune; nel condominio, invece, con riferimento alla posizione del singolo condomino è chiaro che rispetto al bene esclusivo la tutela apprestata dall’ordinamento giuridico è quella di solito prevista per i diritti dominicali. In questo caso il pericolo maggiore è rappresentato dagli abusi che possono essere perpetrati dai condomini o dal condominio; sarà possibile attivare i propri poteri dominicali anche nei confronti del terzo estraneo. 

Con riferimento ai beni comuni c’è legittimazione concorrente? O piuttosto sostitutiva in caso di inerzia? O ancora conflittuale? Gioca a tal proposito un ruolo fondamentale la disciplina giuridica contenuta nel regolamento di condominio o di comunione poiché stabilisce le modalità dell’uso delle cose comuni, le regole sulla ripartizione delle spese e così via. Il regolamento ha anche un ruolo ulteriore (oltre la natura/ruolo normativa/o) si parla di regolamento improprio poichè necessario il consenso di tutti i contitolari per l’imposizione di servitù o di altre limitazioni al diritto del singolo. 

Come detto occorre contemperare il diritto del singolo condomino con quello degli altri, se con le delibere assembleari si incide negativamente sul diritto esclusivo del singolo condomino questi avrà il diritto di impugnativa (lo stesso può dirsi con riferimento alle innovazioni). 

Si coglie un aspetto rilevante e dinamico: il legislatore è intervenuto con una serie di innovazioni legislative proiettata in chiave dinamica, incidendo pesantemente su alcuni aspetti (per es. l’eliminazione del quorum in tema di risparmio energetico che richiede ora la maggioranza semplice). Il problema della staticità dei diritti dominicali perciò è ormai superato configurandosi in chiave dinamica, cioè come arricchimento della personalità di chi ha un diritto di godimento in condominio; attraverso istituti statici come la comunione o il condominio si realizza quella funzione sociale del diritto di proprietà, se è vero che gli interessi collettivi si contrappongono alla comunione ed al condominio si tende ad accrescere anche gli interessi individuali dove comunione e condominio hanno la funzione di garantire la massima estensione di quegli aspetti afferenti alla tutela degli interessi individuali anche a discapito degli interessi collettivi.

Sotto questa diversa prospettiva (di carattere dominicale e personalistico insieme) il problema della tutela individuale si arricchisce rispetto alla tutela delle cose comuni, anche il condominio deve essere luogo per l’arricchimento delle potenzialità personali di ciascuno. 

Si è avuto perciò un capovolgimento dell’ottica tradizionale, si possono individuare ora tre tipi di beni: A) beni essenziali; B) beni utilizzati per fini comuni; C) beni finalizzati al miglior godimento dei beni comuni. 

Nell’ambito della disciplina generale vediamo come la tutela dei diritti individuali che "convivono" con quelli collettivi si atteggia in termini più marcati. Si pone il problema di vedere se già il regolamento di condominio prevede clausole poste a favore del singolo condomino in danno dei beni comuni (es. costituzione di servitù oneri reali, obbligazioni propter rem a favore di un condomino) per ciò solo la tutela individuale può essere opposta al condominio; la tutela de qua deve essere contenuta in un atto, in un regolamento di condominio o nella legge. A parte questi profili il problema riguarda la tutela dei diritti/interessi condominiali o comunitari, di norma saranno gli organi all’uopo previsti a gestire gli aspetti attinenti alla salvaguardia ed alla tutela dei beni comuni. Qui c’è una con titolarità di diritti dominicali, occorre avere riguardo alla tutela individuale ed alla sua connessione/scissione rispetto alla tutela condominiale. 

La giurisprudenza in materia di comunione ha più volte sostenuto che il comunista che ritenga di dover agire a tutela dei beni comuni (laddove non l’abbia fatto l’amministratore) possa farlo, configurandosi una sorta di mandato tacito da parte dell’assemblea; si tende però ad irrigimentare queste iniziative individuali limitandole ai soli casi di urgenza e qualora non sia possibile attivare i normali strumenti di tutela. Con riferimento al condominio se è vero che la tutela spetta agli organi condominiali, nei casi di urgenza si ritiene legittimato anche il singolo condomino (nei limiti del rimborso delle spese sostenute) così come nel caso della comunione. La giurisprudenza ha ritenuto che anche il singolo contitolare, in caso di inerzia dell’assemblea possa attivare quegli strumenti di natura dominicale a tutela dei beni comuni per es. nei confronti di un terzo estraneo; il contitolare agisce per tutelare anche un diritto proprio, ed in ciò si rinviene la legittimazione ad agire. Il problema investe anche il discorso attinente gli aspetti negativi: se la comunione è convenuta in giudizio il singolo può costituirsi per far valere il suo diritto alla tutela del bene comune. 

Con riferimento ai diritti in condominio si afferma parimenti che sebbene esistano organi comuni precipuamente deputati alla tutela dei beni comuni non può, tuttavia, negarsi che anche i singoli debbano ritenersi legittimati ad agire. Con riferimento alle controversie meramente risarcitorie il problema è diverso: se è vero che il condominio non è soggetto con personalità giuridica è pur vero che è un ente collettivo di gestione, centro di imputazione di diritti perciò il condominio con il suo patrimonio (o cassa comune) risponderà delle obbligazioni contratte (il problema atterrà poi ai criteri di ripartizione) si configura perciò come un’obbligazione risarcitoria facente capo all’ente condominio che deve tenere conto ai fini della ripartizione dell’eventuale dissenso di qualche condomino.

La tutela dei beni comuni avviene in via preventiva attraverso l’ordinaria/straordinaria amministrazione; con riferimento al criterio maggioritario l’attivazione della tutela è costituita dalla impugnativa delle delibere assembleari, la cui legittimazione è riconosciuta solo ai condomini dissenzienti e/o assenti. Ma si tratta di annullabilità o nullità? In realtà non c’è una determinazione dei confini tra queste due patologie, è stata la giurisprudenza a stabilire i casi in cui le delibere assembleari sono nulle o annullabili, con la differenza che per quelle annullabili si pone il problema della decadenza, laddove invece per quelle affette da nullità si pone un problema di prescrizione. La giurisprudenza ha tracciato la differenza tra nullità ed annullabilità traendola dalla dogmatica propria del negozio giuridico, e già sotto questo aspetto però si pongono dei problemi (peraltro sul punto è lo stesso legislatore ad essere poco chiaro) secondo le Sezioni Unite occorre verificare la ratio sottesa alla impugnativa delle delibere assembleari, per cui se il legislatore non parla espressamente di nullità nell’ambito delle delibere assembleari (a prescindere dalla configurazione giuridica che si vuole dare a questo atto) allora deve ritenersi che si sia di fronte ad un’ipotesi di annullabilità ed è una regola che trova fondamento nel fatto che il legislatore si è preoccupato di garantire la certezza dei rapporti e la celerità dello svolgimento dell’attività nell’ambito del condominio, tutelando questi aspetti da impugnative sine die quali sarebbero quelle configurabili in caso di nullità. Sotto il profilo strutturale la delibera deve essere integra in tutti i suoi elementi costitutivi (diversamente avremmo nullità) non deve essere contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico al buon costume (integrante illiceità) mentre con riferimento ai vizi formali e procedimentali o relativi al contrasto con il principio di partecipazione democratica alle delibere (mancata o ritardata comunicazione) non è necessario ipotizzare una nullità radicale perciò è giusto applicare la regola dell’annullabilità e della relativa decadenza anche al fine di evitare abusi di impugnative sine die.

Occorre in primo luogo illustrare gli aspetti inerenti la tutela del comunista o del condomino con riferimento ai beni comuni: con riferimento alla comunione abbiamo una con titolarità di un diritto dominicale, nel condominio invece abbiamo la proprietà esclusiva in aggiunta alla comunione. Il discorso passa attraverso a diversa struttura in ordine all’assetto organizzativo: nel condominio è evidente l’influenza della dottrina maggioritaria, sul legislatore del ’42, che teorizzava la figura del c.d. ente di gestione.

Dottrina e giurisprudenza di massima riconoscono il profilo organizzativo e gestorio del condominio configurandolo come un c.d. ente di gestione, cioè un soggetto giuridico (senza soggettività) con poteri gestori con riferimento alla cosa comune, è infatti prevista la dotazione di alcuni organi (assemblea, amministratore); dato imprescindibile è la nomina di un amministratore unitamente all’adozione di un regolamento condominiale, ma altro organo fondamentale è l’assemblea dei condomini. 

In tema di comunione pur trovando riferimenti all’assemblea, al regolamento ed all’amministratore non c’è coesistenza di diritti dominicali bensì contitolarità di essi. Il problema nell’ambito della c.d. comunione di godimento si basa sulla diarchia tra il godimento e la gestione dei beni comuni: nell’ambito degli stessi diritti di comunione si valuta sia l’aspetto individualistico della utilizzazione e del godimento sia l’aspetto organizzativo/gestorio. 

Accogliendo il primo aspetto il diritto dei consociati sarebbe prevalente rispetto all’aspetto gestorio. La composizione tra le due teorie (l’una che considera prevalente l’aspetto organizzativo l’altra quello gestorio) si rinviene nel concetto di quota, che va inteso non come pars rei di una intera res (quota reale) ma come quota in senso partecipativo, il diritto dominicale, infatti, si fa riferimento all’intero bene ma nell’ambito di questa contitolarità rileva l’utilizzo ed il godimento che investe l’intero bene (o tutti i beni) trovando un limite nel pari diritto degli altri contitolari (c.d. solidarietà di godimento). La quota segna la misura di partecipazione ai diritti ed agli obblighi nonché alla gestione della cosa comune. Mentre il godimento (diritti e obblighi) è improntato ad un modello individualistico, la gestione è improntata al modello collettivistico, perciò nel primo vale il principio del consenso nella secondo quello maggioritario. 

Il problema della tutela individuale di ciascun partecipante è particolarmente sentito, occorre consentire a ciascun contitolare di poter agire sui beni in comunione, sarà l’amministratore a poter attivare gli strumenti previsti per tutelare il bene dagli attacchi dei terzi, ed egli sarà altresì chiamato a provvedere in ordine alla tutela ed alla preservazione del bene, da ciò deriva che con riferimento alle controversie passive l’amministratore è ex se legittimato ad agire come garante della tutela e preservazione del bene.

Con riferimento alla legittimazione attiva dobbiamo, invece, distinguere l’ambito della ordinaria amministrazione per cui è legittimato, dall’ambito della straordinaria amministrazione dove occorre invece procedere di volta in volta alla convocazione dell’assemblea che provvederà a conferirgli apposito mandato (consentendogli eventualmente anche la nomina di un difensore). Giurisprudenza recente afferma che è necessaria coerenza tra la legittimazione attiva e passiva e pertanto si dovrebbe adottare la stessa soluzione in entrambi i casi; ergo sia nella legittimazione attiva che in quella passiva occorrerebbe vedere se si rientra nella ordinaria o straordinaria amministrazione. 

Il problema della tutela individuale varia a seconda che si tratti di comunione o condominio: con riferimento alla comunione non si può non riconoscere una legittimazione individuale a tutela del bene comune; nel condominio, invece, con riferimento alla posizione del singolo condomino è chiaro che rispetto al bene esclusivo la tutela apprestata dall’ordinamento giuridico è quella di solito prevista per i diritti dominicali. In questo caso il pericolo maggiore è rappresentato dagli abusi che possono essere perpetrati dai condomini o dal condominio; sarà possibile attivare i propri poteri dominicali anche nei confronti del terzo estraneo. 

Con riferimento ai beni comuni c’è legittimazione concorrente? O piuttosto sostitutiva in caso di inerzia? O ancora conflittuale? Gioca a tal proposito un ruolo fondamentale la disciplina giuridica contenuta nel regolamento di condominio o di comunione poiché stabilisce le modalità dell’uso delle cose comuni, le regole sulla ripartizione delle spese e così via. Il regolamento ha anche un ruolo ulteriore (oltre la natura/ruolo normativa/o) si parla di regolamento improprio poichè necessario il consenso di tutti i contitolari per l’imposizione di servitù o di altre limitazioni al diritto del singolo. 

Come detto occorre contemperare il diritto del singolo condomino con quello degli altri, se con le delibere assembleari si incide negativamente sul diritto esclusivo del singolo condomino questi avrà il diritto di impugnativa (lo stesso può dirsi con riferimento alle innovazioni). 

Si coglie un aspetto rilevante e dinamico: il legislatore è intervenuto con una serie di innovazioni legislative proiettata in chiave dinamica, incidendo pesantemente su alcuni aspetti (per es. l’eliminazione del quorum in tema di risparmio energetico che richiede ora la maggioranza semplice). Il problema della staticità dei diritti dominicali perciò è ormai superato configurandosi in chiave dinamica, cioè come arricchimento della personalità di chi ha un diritto di godimento in condominio; attraverso istituti statici come la comunione o il condominio si realizza quella funzione sociale del diritto di proprietà, se è vero che gli interessi collettivi si contrappongono alla comunione ed al condominio si tende ad accrescere anche gli interessi individuali dove comunione e condominio hanno la funzione di garantire la massima estensione di quegli aspetti afferenti alla tutela degli interessi individuali anche a discapito degli interessi collettivi.

Sotto questa diversa prospettiva (di carattere dominicale e personalistico insieme) il problema della tutela individuale si arricchisce rispetto alla tutela delle cose comuni, anche il condominio deve essere luogo per l’arricchimento delle potenzialità personali di ciascuno. 

Si è avuto perciò un capovolgimento dell’ottica tradizionale, si possono individuare ora tre tipi di beni: A) beni essenziali; B) beni utilizzati per fini comuni; C) beni finalizzati al miglior godimento dei beni comuni. 

Nell’ambito della disciplina generale vediamo come la tutela dei diritti individuali che "convivono" con quelli collettivi si atteggia in termini più marcati. Si pone il problema di vedere se già il regolamento di condominio prevede clausole poste a favore del singolo condomino in danno dei beni comuni (es. costituzione di servitù oneri reali, obbligazioni propter rem a favore di un condomino) per ciò solo la tutela individuale può essere opposta al condominio; la tutela de qua deve essere contenuta in un atto, in un regolamento di condominio o nella legge. A parte questi profili il problema riguarda la tutela dei diritti/interessi condominiali o comunitari, di norma saranno gli organi all’uopo previsti a gestire gli aspetti attinenti alla salvaguardia ed alla tutela dei beni comuni. Qui c’è una con titolarità di diritti dominicali, occorre avere riguardo alla tutela individuale ed alla sua connessione/scissione rispetto alla tutela condominiale. 

La giurisprudenza in materia di comunione ha più volte sostenuto che il comunista che ritenga di dover agire a tutela dei beni comuni (laddove non l’abbia fatto l’amministratore) possa farlo, configurandosi una sorta di mandato tacito da parte dell’assemblea; si tende però ad irrigimentare queste iniziative individuali limitandole ai soli casi di urgenza e qualora non sia possibile attivare i normali strumenti di tutela. Con riferimento al condominio se è vero che la tutela spetta agli organi condominiali, nei casi di urgenza si ritiene legittimato anche il singolo condomino (nei limiti del rimborso delle spese sostenute) così come nel caso della comunione. La giurisprudenza ha ritenuto che anche il singolo contitolare, in caso di inerzia dell’assemblea possa attivare quegli strumenti di natura dominicale a tutela dei beni comuni per es. nei confronti di un terzo estraneo; il contitolare agisce per tutelare anche un diritto proprio, ed in ciò si rinviene la legittimazione ad agire. Il problema investe anche il discorso attinente gli aspetti negativi: se la comunione è convenuta in giudizio il singolo può costituirsi per far valere il suo diritto alla tutela del bene comune. 

Con riferimento ai diritti in condominio si afferma parimenti che sebbene esistano organi comuni precipuamente deputati alla tutela dei beni comuni non può, tuttavia, negarsi che anche i singoli debbano ritenersi legittimati ad agire. Con riferimento alle controversie meramente risarcitorie il problema è diverso: se è vero che il condominio non è soggetto con personalità giuridica è pur vero che è un ente collettivo di gestione, centro di imputazione di diritti perciò il condominio con il suo patrimonio (o cassa comune) risponderà delle obbligazioni contratte (il problema atterrà poi ai criteri di ripartizione) si configura perciò come un’obbligazione risarcitoria facente capo all’ente condominio che deve tenere conto ai fini della ripartizione dell’eventuale dissenso di qualche condomino.

La tutela dei beni comuni avviene in via preventiva attraverso l’ordinaria/straordinaria amministrazione; con riferimento al criterio maggioritario l’attivazione della tutela è costituita dalla impugnativa delle delibere assembleari, la cui legittimazione è riconosciuta solo ai condomini dissenzienti e/o assenti. Ma si tratta di annullabilità o nullità? In realtà non c’è una determinazione dei confini tra queste due patologie, è stata la giurisprudenza a stabilire i casi in cui le delibere assembleari sono nulle o annullabili, con la differenza che per quelle annullabili si pone il problema della decadenza, laddove invece per quelle affette da nullità si pone un problema di prescrizione. La giurisprudenza ha tracciato la differenza tra nullità ed annullabilità traendola dalla dogmatica propria del negozio giuridico, e già sotto questo aspetto però si pongono dei problemi (peraltro sul punto è lo stesso legislatore ad essere poco chiaro) secondo le Sezioni Unite occorre verificare la ratio sottesa alla impugnativa delle delibere assembleari, per cui se il legislatore non parla espressamente di nullità nell’ambito delle delibere assembleari (a prescindere dalla configurazione giuridica che si vuole dare a questo atto) allora deve ritenersi che si sia di fronte ad un’ipotesi di annullabilità ed è una regola che trova fondamento nel fatto che il legislatore si è preoccupato di garantire la certezza dei rapporti e la celerità dello svolgimento dell’attività nell’ambito del condominio, tutelando questi aspetti da impugnative sine die quali sarebbero quelle configurabili in caso di nullità. Sotto il profilo strutturale la delibera deve essere integra in tutti i suoi elementi costitutivi (diversamente avremmo nullità) non deve essere contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico al buon costume (integrante illiceità) mentre con riferimento ai vizi formali e procedimentali o relativi al contrasto con il principio di partecipazione democratica alle delibere (mancata o ritardata comunicazione) non è necessario ipotizzare una nullità radicale perciò è giusto applicare la regola dell’annullabilità e della relativa decadenza anche al fine di evitare abusi di impugnative sine die.