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Analisi dei caratteri comuni e differenziali dei reati di associazione sovversiva, associazione per finalità di eversione o di terrorismo (anche internazionale), cospirazione politica mediante associazione e banda armata, ed in particolare sulla configurabilità del concorso tra i suddetti reati.

I reati associativi che si rinvengono nell’ambito dei reati contro la personalità dello Stato, proprio per la loro collocazione sistematica, costituiscono il referente normativo immediato a livello di evoluzione cronologica, ma anche storica, del codice penale. Per essi si pone, perciò, un problema di verifica di legittimità costituzionale che altri reati associativi (per es. quelli contro l’ordine pubblico) invece non richiedono; qui l’esigenza di verificare la compatibilità con i principi costituzionali, nasce essenzialmente dal fatto che la stessa categoria dei reati contro la personalità dello Stato è oggetto di forti critiche da parte della dottrina, e la stessa giurisprudenza si è più volte posta il problema di operare una verifica costituzionale dell’intera categoria dei reati contro la personalità dello Stato.

Non a caso il primo di questi reati associativi, quello ex art. 270 c.p. (associazione sovversiva) è stato al centro di un forte dibattito che ha investito un po’ tutto il fenomeno associativo criminale, posto che gli artt. 2 e 18 Cost., invece, promuovono e garantiscono l’associazionismo e lo considerano una delle manifestazioni più idonee ad arricchire la personalità del singolo nell’ambito del contesto sociale. Il problema perciò è quello di individuare il limite tra ciò che è promosso e garantito e ciò che, invece, è vietato.

Evidentemente nessun dubbio si è posto, né può porsi, per es. con riferimento alla piena giustificazione dell’incriminazione dell’associazione per delinquere di tipo comune ed ancor più per quella di stampo mafioso.

Invece, quelle associazioni che si prefiggono la diffusione, per esempio, di programmi di carattere istigatorio, apologetico di certe ideologie, anche contrastanti con quelle dell’attuale sistema governativo e democratico, non potrebbero a rigore considerarsi suscettibili di incriminazione posto che il principio democratico della possibilità di mutamento di regime – purché attuato con strumenti democratici – è la base della democrazia stessa.

Il problema, allora, evidentemente si è posto proprio con riferimento all’art. 270 c.p. considerato anche e soprattutto l’obiettivo cui mirava il legislatore dell’epoca, costituito dall’intenzione di considerare vietate dalla legge quelle organizzazioni di carattere associativo che avessero una matrice anarchica o che professassero ideologie politiche contrastanti con quelle allora vigenti.

Da qui l’esigenza di verificare la legittimità costituzionale di questa fattispecie. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha salvato entro certi limiti la portata della norma ribadendone la conformità al dettato costituzionale ritenendo che ciò che rileva è il sistema di lotta preso in considerazione dalla norma come programma criminale, un sistema di lotta politica incentrato principalmente sulla violenza, che è lo strumento utilizzato sia a livello programmatico che attuativo per cercare di rovesciare il sistema di governo e politico del Paese.

Pertanto, secondo lo schema delineato dalla Consulta, un sistema di lotta politica realizzato attraverso organismi associativi che si prefiggono l’attuazione di un programma ideologico contrastante con quello governativo, può considerarsi lecito solo se ed in quanto l’attività rimanga a livello propagandistico e non sia attuata con mezzi violenti. In questi termini può considerarsi ancora valida la ratio dell’incriminazione, ed entro questi limiti l’art. 270 c.p. può considerarsi norma ancora "utile".

Tale norma, per lo più disapplicata dai giudici subito dopo l’introduzione della Costituzione, è stata "rispolverata" soprattutto a partire dagli anni ’70, per contrastare l’emersione del fenomeno del terrorismo. È stata così utilizzata in un’ottica diversa, con la consapevolezza che la stessa portata dell’art. 270 c.p. si presentava riduttiva ed inidonea a realizzare il fine di prevenzione di contrasto del fenomeno terrorismo. Proprio per tale motivo nel 1979 il Governo varò la legislazione in tema di terrorismo che, invero, si rivelò più di carattere simbolico che pratico, in quanto poco adatta a combattere il fenomeno terroristico.

Tale legislazione, infatti, puntava in particolare su due punti: da un lato un ampliamento delle previsioni incriminatici laddove emergeva una lacuna legislativa, e dall’altro – laddove tale lacuna non emergesse – l’esigenza di applicare comunque un regime sanzionatorio ben più severo di quello precedentemente ipotizzato dal codice.

Sotto altro aspetto si prese in considerazione una normativa premiale volta a garantire l’impunità ai soggetti che si dissociassero da queste organizzazioni criminali, impedendo l’ulteriore svolgimento dell’attività criminosa o comportando la disgregazione dell’organizzazione criminale, e prevedendo delle circostanze attenuanti particolarmente penetranti a favore di quanti collaborassero con le autorità per individuare gli organizzatori delle associazioni.

In quest’ottica nuova è nato poi l’art. 270 bis c.p. che è stato recentemente modificato all’indomani dell’11.9.2001 a causa dell’emergenza terroristica internazionale.

L’art. 270 bis c.p. sembra essere la riedizione dell’art. 270 c.p. epurato dalle "scorie" del regime fascista, secondo parte della dottrina, infatti, l’art. 270 bis c.p. costituirebbe una sorta di interpretazione autentica dell’art. 270 c.p., un’interpretazione aggiornata.

In effetti confrontando le due norme, si vede bene come il riferimento alla volontà di sovvertire violentemente l’ordine economico e sociale, o l’ordinamento politico e giuridico del Paese di cui all’art. 270 bis c.p. sia da intendersi nel senso di sovvertire mediante ricorso alla violenza.

L’art. 270 bis c.p. è allora un’inutile duplicazione dell’art. 270 c.p.?

Nella relazione al progetto introduttivo di queste misure antiterroristiche emerge come l’intento del legislatore sia stato non quello di abrogare l’art. 270 c.p. ma di giustapporre ad esso l’art. 270 bis c.p., che anzi doveva servire a colmare le lacune dell’ordinamento, stante la formulazione piuttosto riduttiva dell’art. 270 c.p..

L’attività sovversiva rivolta contro l’ordinamento democratico sembrava in grado di ricomprendere ogni tipo di programma esecutivo fondato sulla violenza e diretto a sovvertire, appunto, l’ordine democratico del Paese nel suo significato più generale e non limitato al settore economico, sociale o politico.

Nelle ipotesi prese in considerazione dalle due norme si dovrà trattare di fenomeni associativi dotati di una certa organizzazione di persone e di mezzi, nonché di un programma che assume i connotati della criminosità essenzialmente per la previsione del ricorso alla violenza. Entrambi i reati sono formali e permanenti (in virtù della presenza dell’assetto organizzativo deputato alla realizzazione del programma di lotta violenta finalizzata al sovvertimento dell’assetto ordinamentale costituzionale dello Stato), e reati di pericolo. Pericolo astratto o concreto? È questo uno dei problemi più rilevanti nel diritto penale nell’ambito dell’incriminazione dei fenomeni associativi.

Si dice che per essere in linea con i principi costituzionali l’incriminazione di queste fattispecie non può prescindere dall’effettiva presenza di un pericolo concreto creato da questi organismi associativi, il pericolo perciò non potrà essere astratto poiché deve accertarsi l’idoneità in concreto di questa compagine organizzativa a tradurre il programma prefigurato, in atto, tale idoneità costituisce quel profilo che è di pericolo concreto.

Tale accertamento andrà misurato attraverso il criterio prognostico-probabilistico che nel caso specifico va fatto alla luce della strutture dell’associazione che deve essere concretamente idonea in termini statistico-probabilistici a realizzare il programma criminale (che è criminale non tanto in sé, quanto per il mezzo che utilizza e cioè la violenza).

Nell’art. 270 bis c.p. la rubrica della norma sembrava richiedere che queste organizzazioni associative facessero uso della violenza terroristica per la destabilizzazione dell’ordine democratico; tuttavia c’è uno scollamento fra la rubrica ed il testo della norma la quale non riporta più il profilo del terrorismo, ma parla del compimento di atti di violenza per la destabilizzazione dell’ordine democratico. È solo in virtù delle recenti modifiche (post 11 settembre 2001) che ricompare accanto alla finalità di eversione dell’ordinamento costituzionale anche la finalità di terrorismo, come per dire che nella pregressa configurazione dell’art. 270 bis c.p. l’uso della violenza terroristica non fosse necessario, bastava la previsione del ricorso alla violenza per la destabilizzazione dell’ordine costituzionale perché potesse ritenersi integrato il programma criminale dell’organizzazione. La nuova formulazione dell’art. 270 bis c.p. prende in considerazione entrambe le finalità, quella di terrorismo (anche internazionale) e quella di destabilizzazione dell’ordine costituzionale. Ciò induce ad affermare che oggi il discorso del sovvertimento dell’ordine costituzionale è cosa diversa dal terrorismo – non solo nazionale ma anche internazionale – ci si è resi conto che se è vero che la destabilizzazione dell’ordine democratico e costituzionale richiede una struttura associativa particolarmente attrezzata, l’attività terroristica può essere realizzata anche attraverso i singoli, cioè senza la necessità di una struttura organizzativa particolarmente attrezzata senza il necessario supporto di una base organizzativa di carattere associativo, anche se certamente presenta maggiore pericolosità quando venga realizzata attraverso una compagine associativa che abbia una solida struttura organizzativa. Non a caso nell’ambito dei soggetti che figurano come soggetti esponenziali di condotte tipizzate: gli organizzatori, i promotori, i capi ecc. ecc. il nuovo 270 bis c.p. presenta anche la figura dei finanziatori (intesi latu sensu) e cioè coloro che sono chiamati a finanziare in modo diretto o indiretto queste compagini associative deputate a spargere il terrore in ambito nazionale o internazionale. Il riferimento all’uso della violenza che compare sia nell’art. 270 c.p. che nel 270 bis c.p. secondo la vecchia formulazione dell’art. 270 bis c.p. non necessariamente doveva essere una violenza di carattere terroristico. Questo aspetto si coglie poi in tutta la legislazione dell’emergenza dove pure erano emerse delle discrasie di carattere letterale, perché sembrava che tutta la legislazione degli anni ’80 postulasse l’immanenza dei due aspetti (terrorismo ed eversione) che si ritenevano l’uno imprescindibilmente legato all’altro, solo quando poi si corresse il tiro anche a livello letterale ed invece della congiunzione "e" si usò la disgiunzione "o" ("terrorismo od eversione" in luogo di "terrorismo ed eversione"), si capì che sono due fenomeni – quelli del terrorismo e dell’eversione – che possono non coesistere ed essere realizzati indipendentemente l’uno dall’altro. Il nuovo art. 270 bis c.p. fa ben cogliere questo profilo quando parla di terrorismo nazionale ed internazionale scindendo il concetto di terrorismo da quello di eversione, e chiarendo che il primo può avere dimensione interna ed esterna, mentre l’eversione (e cioè il sovvertimento dell’ordine costituzionale e democratico) è invece solo interna poiché ha un ambito esclusivamente nazionale.

Il problema che si pone a livello differenziale tra l’art. 270 c.p. e l’art. 270 bis c.p. anche alla luce della nuova formulazione è ancora aperto perché effettivamente l’art. 270 bis c.p. sembra un doppione dell’art. 270 c.p. e nonostante ciò il legislatore ha mantenuto in vita il 270 c.p. Secondo l’originaria formulazione di entrambe le norme, gli aspetti differenziali riguardano: il fatto che l’art. 270 bis c.p. prevede la possibilità di costituire queste organizzazioni criminali anche al di fuori del territorio dello Stato, mentre l’art. 270 c.p. riguarda solo quelle a livello nazionale, inoltre l’art. 270 bis c.p. a differenza del 270 c.p. prevede un notevole inasprimento delle pene. Quando si tratta di un’organizzazione che sorge e si radica nel territorio dello Stato è difficile stabilire quale delle due norme trovi applicazione o se trovino applicazioni entrambe.

In linea di massima l’art. 270 bis c.p. si pone come norma speciale – ex art. 15 c.p. – rispetto all’art. 270 c.p.; il problema oggi si pone soprattutto con riferimento alla c.d. violenza terroristica, quando alla luce della riformulazione dell’art. 270 bis c.p. si è fatti riferimento al compimento di atti di violenza per finalità di terrorismo ovvero di eversione dell’ordine costituzionale.

Il profilo differenziale dell’art. 270 c.p. rispetto all’art. 270 bis c.p. emerge chiaramente: un conto è la violenza, un altro è la violenza terroristica, l’aver previsto in termini specifici il ricorso alla violenza per finalità di terrorismo amplia la sfera di applicazione dell’art. 270 bis c.p. rispetto all’art. 270 c.p. e pone un profilo di differenziazione tra le due figure, perché il 270 bis c.p. ha una portata più ampia del 270 c.p.

A differenza della destabilizzazione dell’ordine costituzionale, che può avvenire anche pacificamente, il terrorismo non può prescindere dagli atti di violenza, perché sia che si tratti di violenza sia che si tratti di minaccia, comunque il terrorismo si fonda su una strategia di violenza che presenta una tale estensione ed una tale efferatezza da incutere timore su una collettività indeterminata di soggetti; un timore che nasce dal fatto che il programma terroristico non è rivolto direttamente verso soggetti determinati, può cogliere chiunque, al contempo proprio l’efferatezza e l’estensione di questo programma di violenza genera terrorismo quando la collettività si rende conto dell’incapacità degli organi dello Stato di poter far fronte al fenomeno terroristico. Oggi con la nuova formulazione dell’art. 270 bis c.p. quegli aspetti differenziali che in passato stentavano ad emergere rispetto all’art. 270 c.p., sono invece chiaramente percepibili, soprattutto quando il compimento di atti di violenza ha una matrice terroristica ben definita ed il programma è rivolto all’instaurazione di un regime di terrore mediante l’uso della violenza.

Ulteriore elemento differenziale che emerge dalla riformulazione dell’art. 270 bis. c.p. è la previsione di una nuova condotta criminosa tipizzata: quella del finanziatore. Il finanziatore, in realtà, non figura nel disposto dell’art. 270 c.p. così come non figurava nella precedente formulazione dell’art. 270 bis c.p., è emerso proprio nella nuova versione del predetto articolo. Alla luce della riformulazione dell’art. 270 bis c.p. si riesce ad elidere quel profilo di incongruenza che emergeva dalla rubrica della norma (associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico) con il contenuto della norma stessa che, invece, prendeva in considerazione solo l’eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. Adesso, poiché il compimento di atti di violenza è previsto sia con riferimento alla realizzazione della finalità di terrorismo che con riferimento alla finalità di eversione dell’ordine costituzionale, il testo della norma si armonizza con la sua rubrica. Alla luce del vecchio testo dell’art. 270 bis c.p. e del suo raffronto con il 270 c.p. emergeva anche un dato che era oggetto di viva contestazione dottrina e giurisprudenza nel raffrontare queste due norme e nel cercare di individuare quali fossero gli elementi differenziali, ad un certo punto sono giunte ad affermare che mentre l’art. 270 c.p. prendeva in considerazione una tipologia di associazione che fosse deputata ad attività di istigazione e di propaganda alla destabilizzazione dell’ordine democratico. L’art. 270 bis c.p., invece, doveva considerarsi un reato di portata più specifica in quanto il riferimento all’uso degli atti di violenza per la destabilizzazione dell’ordine democratico lascia – si diceva – ipotizzare un’evoluzione dello stesso fenomeno associativo dalla fase della propaganda e della istigazione al sovvertimento dell’ordine democratico ad un fase già attuativa attraverso un uso concreto degli atti di violenza.

Si affermava che l’una fattispecie, l’art. 270 c.p. deve considerarsi inglobata nell’art. 270 bis c.p. che si atteggia perciò come una sorta di reato progressivo, poiché dalla fase di mera apologia ed istigazione si entra nella fase dell’inizio dell’attuazione del programma criminale attraverso l’effettivo uso di quella violenza che è solo esaltata come strumento di lotta ma poi non è in concreto usata.

Tale tesi, seppur molto suggestiva dava adito a non poche censure di legittimità costituzionale dell’art. 270 c.p. poiché la stessa Corte Cost. più volte aveva detto – di fronte alle censure di legittimità costituzionale dei reati di propaganda e di istigazione criminale – che per poter ritenere prevalente l’esigenza di procedere all’incriminazione rispetto alla libertà fondamentale di manifestare il pensiero, l’attività di propaganda ed istigazione doveva presentare specifici connotati in grado di assicurare che vi fosse un effettivo e concreto pericolo che i soggetti istigati, in via diretta o indiretta recepissero tale attività istigatoria e propagandistica, qualora, invece, l’istigazione e la propaganda non fossero manifestazione attivizzanti, dovevano ritenersi costituzionalmente lecite in quanto espressione della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. Tale tesi pur se brillantemente sostenuta in dottrina non ha trovato, in verità, accoglimento.

Con riferimento al problema dell’operatività e del propendere per l’applicabilità di una sola norma ovvero di entrambe, trovava accoglimento la tesi secondo cui dovesse applicarsi l’art. 270 bis c.p. in quanto norma speciale ex art. 15 c.p. rispetto all’art. 270 c.p., non solo perché si tratta di una norma che consente la possibilità di costituire questa organizzazione anche all’estero, ma anche perché tutto il regime sanzionatorio – che in realtà ha una funzione particolarmente simbolica per il contrasto con l’emergenza terroristica – secondo la Cassazione, lascia ipotizzare questo rapporto di specialità.

In realtà questo rapporto è inesistente, secondo l’originaria formulazione dell’art. 270 bis c.p. era chiaro che in passato tale norma fosse solo un’inutile duplicazione dell’art. 270 c.p., mentre oggi trova una sua ragion d’essere sia perché estende l’incriminazione anche al terrorismo internazionale, sia perché ricomprende nell’ambito delle condotte tipizzate anche quella del finanziatore.

Oggi può veramente dirsi che l’art. 270 bis c.p. sia norma speciale che pertanto esclude l’applicazione dell’art. 270 c.p.

Passando agli artt. 305 e 306 c.p. (cospirazione politica mediante associazione e banda armata), dobbiamo dire che la cospirazione politica mediante associazione costituisce uno stadio eversivo diverso dalla più riduttiva portata della banda armata. Sembra quasi che il legislatore abbia riprodotto, seppure in scala specifica, la differenza fra l’accordo per commettere un reato ed in termini di concorso eventuale di persone nel reato, e l’associazione criminale volta alla realizzazione di uno o più reati, con la differenza che il legislatore qui opera in deroga alla disciplina dell’art. 15 c.p., perchè incrimina la cospirazione politica mediante accordo anche se dall’accordo non scaturisce la realizzazione neanche a livello di tentativo del reato programmato.

È una deroga alla non punibilità del mero accordo per realizzare un certo reato che si pone per un’esigenza di anticipazione della soglia di imputazione in considerazione degli interessi particolarmente rilevanti che il legislatore vuole tutelare. È uno di quei reati di pericolo dove il legislatore incrimina il pericolo del pericolo, in sostanza è l’accordo per commettere un determinato reato che di per sé esprime un’idea di pericolosità, che, tuttavia, investe il momento ideativi e programmatico e che normalmente da questo momento si passi a quello esecutivo che costituisce uno stadio più avanzato di pericolo per il bene/interesse tutelato.

L’incriminazione della cospirazione politica mediante associazione è, invece, un passo avanti, un livello più evoluto di pericolo che in questo caso l’accordo si stabilizza e si traduce in assetto organizzativo stabile da parte di tutti i soggetti che vi abbiano partecipato, assicurandone una struttura oggettiva e soggettiva in grado di realizzare quel programma criminale che consiste nella realizzazione di uno o più reati contro la personalità interna o internazionale dello Stato.

Sotto il profilo del rapporto tra questa norma e gli artt. 270 e 270 bis c.p. anche nella cospirazione politica mediante associazione si richiede un’organizzazione anche se rudimentale che, comunque, la presenza di un gruppo minimo di soggetti fissati in tre o più che segna il profilo organizzativo minimale sotto il profilo soggettivo di queste associazioni. Si richiedono, altresì, strutture e mezzi che siano idonei alla realizzazione di reati contro la personalità dello Stato, qui a differenza degli artt. 270 e 270 bis c.p. il disegno criminoso è però identificativo a priori perché volto alla realizzazione di uno di quei reati contro la personalità dello Stato.

Già qui compare un dato differenziale che vale a connotare la cospirazione mediante associazione rispetto all’associazione sovversiva ed alla associazione con finalità di terrorismo ed eversione, perché sono meno di tre persone, questa fattispecie non può ritenersi integrata; perciò assume rilevanza un numero minimo di persone che, invece, nell’art. 270 c.p. e nel 270 bis c.p. non c’è, perciò si ritiene che ex art. 270 c.p. siano sufficienti anche solo due perché la fattispecie associativa possa dirsi integrata.

Dati differenziali di questa norma incriminatrice rispetto agli artt. 270 e 270 bis c.p. sono: 1) programma definito; 2) numero minimo di persone. Sotto il profilo organizzativo della struttura organizzativa oggettiva e della tipologia delle condotte che di solito il legislatore effettua con riferimento a queste figure associative, più o meno il raffronto è in termini di unitarietà.

Siamo in presenza di un dolo che è sia generico (consapevolezza di far parte di un organismo associativo) nonché il dolo specifico (attinente al programma criminoso che l’associazione predefinita); è un reato di pericolo dove il discorso della verifica del pericolo sembra essere più sfumato rispetto a quello degli artt. 270 e 270 bis c.p. Negli artt. 270 e 270 bis c.p. il programma assume connotati criminosi non tanto per il fine che si vuole perseguire, quanto piuttosto per il mezzo che si intende utilizzare e cioè la violenza. Nella cospirazione politica mediante associazione, invece, è il programma criminoso che di per sé assume connotati criminali, perché si tratta di associazioni che mirano a realizzare reati contro la personalità dello Stato, ovviamente neanche qui può dirsi di essere in presenza di un reato di pericolo presunto, occorrerà comunque anche qui per verificare che questa struttura organizzativa presenta connotati che consentono di affermare a livello prognostico- probabilistico che sia idonea a realizzare programmi criminali.

Il problema della differenziazione fra queste due figure e quella della banda armata il legislatore non se l’era posto. La stessa formulazione dell’art. 306 c.p. sembra quasi prescindere dall’esigenza di una struttura organizzativa presenta connotati che consentono di affermare a livello prognostico-probabilistico che sia idonea a realizzare programmi criminali. Il problema della differenziazione fra queste due figure e quella della banda armata il legislatore non se l’era posto. La stessa formulazione dell’art. 306 c.p. sembra quasi prescindere dall’esigenza di una struttura organizzativa a base associativa per l’esistenza di una banda armata, all’inizio si dubitava che questa norma potesse veramente avere una pratica applicazione nel nostro sistema positivo poiché era frutto di un’interpretazione con cui si mettevano fuori legge quelle associazioni che presentavano connotazioni militari o paramilitari, è stata una norma che per lungo tempo non ha trovato applicazione, fino a quando non è emerso il fenomeno terroristico. Inizialmente si riteneva che si trattasse di organismi associativi di tipo militare con una struttura gerarchica ben definita, un’organizzazione verticistica fondata sull’obbedienza assoluta, ma soprattutto era necessaria la disponibilità di un armamento.

La giurisprudenza fin dall’inizio ritenne sufficiente che questo organismo associativo avesse una dotazione di armi a disposizione di tutti gli associati, non occorrendo che ciascun componente della banda armata avesse a disposizione armi per svolgere la propria attività. L’armamento dell’organizzazione connotava e distingueva questa compagine associativa da quella della cospirazione politica mediante associazione.

La giurisprudenza ha affermato che fra la cospirazione politica mediante associazione e la banda armata potesse ipotizzarsi un rapporto di genere a specie, in quanto la disponibilità dell’armamento era elemento specializzante della banda armata rispetto alla cospirazione politica mediante associazione. Peraltro si affermò un altro orientamento giurisprudenziale secondo cui era possibile che dalla cospirazione politica potesse giungersi alla banda armata, ipotizzando perciò una sorta di progressione criminosa dove la cospirazione politica mediante associazione costituisce il reato di passaggio per giungere alla più grave fattispecie della banda armata.

Il problema che si pose fu, allora, quello del rapporto fra queste gli artt. 305 e 306 c.p. e gli artt. 270 e 270 bis c.p.. Tale problema si pose perché l’emergenza terroristica era un’emergenza in cui erano presenti organizzazioni di carattere associativo che per un verso avevano le caratteristiche dell’associazione sovversiva e per altro quelle dell’associazione per finalità di terrorismo ed eversione, dato che il programma di base era costituito da ribaltamento dell’assetto costituzionale dello Stato attraverso organizzazioni di stampo militare dotate di armi.

Pertanto, messi "fuori gioco" gli artt. 305 c.p. e 270 c.p. il vero problema fu come regolarsi nei rapporto tra l’art. 270 bis c.p. e l’art. 306 c.p..

Le opzioni che si prospettarono furono molteplici: la giurisprudenza – che si presentò sul punto più rigida ed orientata a pronunciare sentenze emblematiche, espressione della volontà dello Stato di debellare tale fenomeno – optò per il concorso di reati, affermando che ricorrevano sia l’art. 270 c.p. che l’art. 306 c.p. quando si avessero organizzazioni criminali con il fine di destabilizzare l’ordine costituzionale attraverso l’uso della violenza, rafforzata dalla possibilità di utilizzare un armamento ed attraverso la realizzazione di reati contro la personalità dello Stato. Solo in questi termini, secondo tale orientamento, potevano ritenersi compresenti gli elementi dell’art. 270 bis c.p. e dell’art. 306 c.p.

A fronte di questo orientamento rigoroso se ne affermarono altri, si affermò che confrontando gli elementi costitutivi dell’una e dell’altra fattispecie il rapporto tra gli artt. 270 bis c.p. e 306 c.p. doveva essere attratto nell’ottica dell’art. 15 c.p. e, pertanto, ritenere il 306 c.p. norma specializzante rispetto all’art. 270 bis c.p., dove l’elemento specializzante dell’art. 306 era costituito dalla messa a disposizione dell’armamento a favore dei partecipanti all’associazione, (dato mancante invece nell’art. 270 bis c.p.) e dalla realizzazione di uno o più reati contro la personalità dello Stato (l’art. 270 bis c.p., invece, prendeva in considerazione un programma generico di destabilizzazione dell’ordine costituzionale).

Contro tale tesi è stato proposto un orientamento che ammetteva il concorso tra l’art. 270 bis c.p. e l’art. 306 c.p. ma in termini di connessione tra reato mezzo e reato fine. All’interno di questo orientamento erano state elaborate due tesi che pur condividendo l’idea della connessione teleologica tra i due reati si presentavano divise; la prima riteneva l’art. 270 bis c.p. il cosiddetto reato mezzo per la realizzazione del reato di cui all’art. 306 c.p.. Viceversa, l’altra tesi (più coerente con i principi) riteneva che la banda armata fosse il reato mezzo ed il 270 bis c.p. il reato fine, poiché l’art. 306 c.p. presuppone che la banda armata si costituisce per realizzare uno dei reati contro la personalità dello Stato, uno dei quali è proprio l’art. 270 bis c.p.. Secondo questa impostazione, pertanto, non si configurerebbe un rapporto di specialità (con applicazione della sola norma sulla banda armata), bensì di concorso di reati sub specie della connessione teleologica fra l’uno e l’altro reato, dove più verosimilmente l’art. 306 c.p. è reato mezzo rispetto all’art. 270 bis c.p.

I reati associativi che si rinvengono nell’ambito dei reati contro la personalità dello Stato, proprio per la loro collocazione sistematica, costituiscono il referente normativo immediato a livello di evoluzione cronologica, ma anche storica, del codice penale. Per essi si pone, perciò, un problema di verifica di legittimità costituzionale che altri reati associativi (per es. quelli contro l’ordine pubblico) invece non richiedono; qui l’esigenza di verificare la compatibilità con i principi costituzionali, nasce essenzialmente dal fatto che la stessa categoria dei reati contro la personalità dello Stato è oggetto di forti critiche da parte della dottrina, e la stessa giurisprudenza si è più volte posta il problema di operare una verifica costituzionale dell’intera categoria dei reati contro la personalità dello Stato.

Non a caso il primo di questi reati associativi, quello ex art. 270 c.p. (associazione sovversiva) è stato al centro di un forte dibattito che ha investito un po’ tutto il fenomeno associativo criminale, posto che gli artt. 2 e 18 Cost., invece, promuovono e garantiscono l’associazionismo e lo considerano una delle manifestazioni più idonee ad arricchire la personalità del singolo nell’ambito del contesto sociale. Il problema perciò è quello di individuare il limite tra ciò che è promosso e garantito e ciò che, invece, è vietato.

Evidentemente nessun dubbio si è posto, né può porsi, per es. con riferimento alla piena giustificazione dell’incriminazione dell’associazione per delinquere di tipo comune ed ancor più per quella di stampo mafioso.

Invece, quelle associazioni che si prefiggono la diffusione, per esempio, di programmi di carattere istigatorio, apologetico di certe ideologie, anche contrastanti con quelle dell’attuale sistema governativo e democratico, non potrebbero a rigore considerarsi suscettibili di incriminazione posto che il principio democratico della possibilità di mutamento di regime – purché attuato con strumenti democratici – è la base della democrazia stessa.

Il problema, allora, evidentemente si è posto proprio con riferimento all’art. 270 c.p. considerato anche e soprattutto l’obiettivo cui mirava il legislatore dell’epoca, costituito dall’intenzione di considerare vietate dalla legge quelle organizzazioni di carattere associativo che avessero una matrice anarchica o che professassero ideologie politiche contrastanti con quelle allora vigenti.

Da qui l’esigenza di verificare la legittimità costituzionale di questa fattispecie. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha salvato entro certi limiti la portata della norma ribadendone la conformità al dettato costituzionale ritenendo che ciò che rileva è il sistema di lotta preso in considerazione dalla norma come programma criminale, un sistema di lotta politica incentrato principalmente sulla violenza, che è lo strumento utilizzato sia a livello programmatico che attuativo per cercare di rovesciare il sistema di governo e politico del Paese.

Pertanto, secondo lo schema delineato dalla Consulta, un sistema di lotta politica realizzato attraverso organismi associativi che si prefiggono l’attuazione di un programma ideologico contrastante con quello governativo, può considerarsi lecito solo se ed in quanto l’attività rimanga a livello propagandistico e non sia attuata con mezzi violenti. In questi termini può considerarsi ancora valida la ratio dell’incriminazione, ed entro questi limiti l’art. 270 c.p. può considerarsi norma ancora "utile".

Tale norma, per lo più disapplicata dai giudici subito dopo l’introduzione della Costituzione, è stata "rispolverata" soprattutto a partire dagli anni ’70, per contrastare l’emersione del fenomeno del terrorismo. È stata così utilizzata in un’ottica diversa, con la consapevolezza che la stessa portata dell’art. 270 c.p. si presentava riduttiva ed inidonea a realizzare il fine di prevenzione di contrasto del fenomeno terrorismo. Proprio per tale motivo nel 1979 il Governo varò la legislazione in tema di terrorismo che, invero, si rivelò più di carattere simbolico che pratico, in quanto poco adatta a combattere il fenomeno terroristico.

Tale legislazione, infatti, puntava in particolare su due punti: da un lato un ampliamento delle previsioni incriminatici laddove emergeva una lacuna legislativa, e dall’altro – laddove tale lacuna non emergesse – l’esigenza di applicare comunque un regime sanzionatorio ben più severo di quello precedentemente ipotizzato dal codice.

Sotto altro aspetto si prese in considerazione una normativa premiale volta a garantire l’impunità ai soggetti che si dissociassero da queste organizzazioni criminali, impedendo l’ulteriore svolgimento dell’attività criminosa o comportando la disgregazione dell’organizzazione criminale, e prevedendo delle circostanze attenuanti particolarmente penetranti a favore di quanti collaborassero con le autorità per individuare gli organizzatori delle associazioni.

In quest’ottica nuova è nato poi l’art. 270 bis c.p. che è stato recentemente modificato all’indomani dell’11.9.2001 a causa dell’emergenza terroristica internazionale.

L’art. 270 bis c.p. sembra essere la riedizione dell’art. 270 c.p. epurato dalle "scorie" del regime fascista, secondo parte della dottrina, infatti, l’art. 270 bis c.p. costituirebbe una sorta di interpretazione autentica dell’art. 270 c.p., un’interpretazione aggiornata.

In effetti confrontando le due norme, si vede bene come il riferimento alla volontà di sovvertire violentemente l’ordine economico e sociale, o l’ordinamento politico e giuridico del Paese di cui all’art. 270 bis c.p. sia da intendersi nel senso di sovvertire mediante ricorso alla violenza.

L’art. 270 bis c.p. è allora un’inutile duplicazione dell’art. 270 c.p.?

Nella relazione al progetto introduttivo di queste misure antiterroristiche emerge come l’intento del legislatore sia stato non quello di abrogare l’art. 270 c.p. ma di giustapporre ad esso l’art. 270 bis c.p., che anzi doveva servire a colmare le lacune dell’ordinamento, stante la formulazione piuttosto riduttiva dell’art. 270 c.p..

L’attività sovversiva rivolta contro l’ordinamento democratico sembrava in grado di ricomprendere ogni tipo di programma esecutivo fondato sulla violenza e diretto a sovvertire, appunto, l’ordine democratico del Paese nel suo significato più generale e non limitato al settore economico, sociale o politico.

Nelle ipotesi prese in considerazione dalle due norme si dovrà trattare di fenomeni associativi dotati di una certa organizzazione di persone e di mezzi, nonché di un programma che assume i connotati della criminosità essenzialmente per la previsione del ricorso alla violenza. Entrambi i reati sono formali e permanenti (in virtù della presenza dell’assetto organizzativo deputato alla realizzazione del programma di lotta violenta finalizzata al sovvertimento dell’assetto ordinamentale costituzionale dello Stato), e reati di pericolo. Pericolo astratto o concreto? È questo uno dei problemi più rilevanti nel diritto penale nell’ambito dell’incriminazione dei fenomeni associativi.

Si dice che per essere in linea con i principi costituzionali l’incriminazione di queste fattispecie non può prescindere dall’effettiva presenza di un pericolo concreto creato da questi organismi associativi, il pericolo perciò non potrà essere astratto poiché deve accertarsi l’idoneità in concreto di questa compagine organizzativa a tradurre il programma prefigurato, in atto, tale idoneità costituisce quel profilo che è di pericolo concreto.

Tale accertamento andrà misurato attraverso il criterio prognostico-probabilistico che nel caso specifico va fatto alla luce della strutture dell’associazione che deve essere concretamente idonea in termini statistico-probabilistici a realizzare il programma criminale (che è criminale non tanto in sé, quanto per il mezzo che utilizza e cioè la violenza).

Nell’art. 270 bis c.p. la rubrica della norma sembrava richiedere che queste organizzazioni associative facessero uso della violenza terroristica per la destabilizzazione dell’ordine democratico; tuttavia c’è uno scollamento fra la rubrica ed il testo della norma la quale non riporta più il profilo del terrorismo, ma parla del compimento di atti di violenza per la destabilizzazione dell’ordine democratico. È solo in virtù delle recenti modifiche (post 11 settembre 2001) che ricompare accanto alla finalità di eversione dell’ordinamento costituzionale anche la finalità di terrorismo, come per dire che nella pregressa configurazione dell’art. 270 bis c.p. l’uso della violenza terroristica non fosse necessario, bastava la previsione del ricorso alla violenza per la destabilizzazione dell’ordine costituzionale perché potesse ritenersi integrato il programma criminale dell’organizzazione. La nuova formulazione dell’art. 270 bis c.p. prende in considerazione entrambe le finalità, quella di terrorismo (anche internazionale) e quella di destabilizzazione dell’ordine costituzionale. Ciò induce ad affermare che oggi il discorso del sovvertimento dell’ordine costituzionale è cosa diversa dal terrorismo – non solo nazionale ma anche internazionale – ci si è resi conto che se è vero che la destabilizzazione dell’ordine democratico e costituzionale richiede una struttura associativa particolarmente attrezzata, l’attività terroristica può essere realizzata anche attraverso i singoli, cioè senza la necessità di una struttura organizzativa particolarmente attrezzata senza il necessario supporto di una base organizzativa di carattere associativo, anche se certamente presenta maggiore pericolosità quando venga realizzata attraverso una compagine associativa che abbia una solida struttura organizzativa. Non a caso nell’ambito dei soggetti che figurano come soggetti esponenziali di condotte tipizzate: gli organizzatori, i promotori, i capi ecc. ecc. il nuovo 270 bis c.p. presenta anche la figura dei finanziatori (intesi latu sensu) e cioè coloro che sono chiamati a finanziare in modo diretto o indiretto queste compagini associative deputate a spargere il terrore in ambito nazionale o internazionale. Il riferimento all’uso della violenza che compare sia nell’art. 270 c.p. che nel 270 bis c.p. secondo la vecchia formulazione dell’art. 270 bis c.p. non necessariamente doveva essere una violenza di carattere terroristico. Questo aspetto si coglie poi in tutta la legislazione dell’emergenza dove pure erano emerse delle discrasie di carattere letterale, perché sembrava che tutta la legislazione degli anni ’80 postulasse l’immanenza dei due aspetti (terrorismo ed eversione) che si ritenevano l’uno imprescindibilmente legato all’altro, solo quando poi si corresse il tiro anche a livello letterale ed invece della congiunzione "e" si usò la disgiunzione "o" ("terrorismo od eversione" in luogo di "terrorismo ed eversione"), si capì che sono due fenomeni – quelli del terrorismo e dell’eversione – che possono non coesistere ed essere realizzati indipendentemente l’uno dall’altro. Il nuovo art. 270 bis c.p. fa ben cogliere questo profilo quando parla di terrorismo nazionale ed internazionale scindendo il concetto di terrorismo da quello di eversione, e chiarendo che il primo può avere dimensione interna ed esterna, mentre l’eversione (e cioè il sovvertimento dell’ordine costituzionale e democratico) è invece solo interna poiché ha un ambito esclusivamente nazionale.

Il problema che si pone a livello differenziale tra l’art. 270 c.p. e l’art. 270 bis c.p. anche alla luce della nuova formulazione è ancora aperto perché effettivamente l’art. 270 bis c.p. sembra un doppione dell’art. 270 c.p. e nonostante ciò il legislatore ha mantenuto in vita il 270 c.p. Secondo l’originaria formulazione di entrambe le norme, gli aspetti differenziali riguardano: il fatto che l’art. 270 bis c.p. prevede la possibilità di costituire queste organizzazioni criminali anche al di fuori del territorio dello Stato, mentre l’art. 270 c.p. riguarda solo quelle a livello nazionale, inoltre l’art. 270 bis c.p. a differenza del 270 c.p. prevede un notevole inasprimento delle pene. Quando si tratta di un’organizzazione che sorge e si radica nel territorio dello Stato è difficile stabilire quale delle due norme trovi applicazione o se trovino applicazioni entrambe.

In linea di massima l’art. 270 bis c.p. si pone come norma speciale – ex art. 15 c.p. – rispetto all’art. 270 c.p.; il problema oggi si pone soprattutto con riferimento alla c.d. violenza terroristica, quando alla luce della riformulazione dell’art. 270 bis c.p. si è fatti riferimento al compimento di atti di violenza per finalità di terrorismo ovvero di eversione dell’ordine costituzionale.

Il profilo differenziale dell’art. 270 c.p. rispetto all’art. 270 bis c.p. emerge chiaramente: un conto è la violenza, un altro è la violenza terroristica, l’aver previsto in termini specifici il ricorso alla violenza per finalità di terrorismo amplia la sfera di applicazione dell’art. 270 bis c.p. rispetto all’art. 270 c.p. e pone un profilo di differenziazione tra le due figure, perché il 270 bis c.p. ha una portata più ampia del 270 c.p.

A differenza della destabilizzazione dell’ordine costituzionale, che può avvenire anche pacificamente, il terrorismo non può prescindere dagli atti di violenza, perché sia che si tratti di violenza sia che si tratti di minaccia, comunque il terrorismo si fonda su una strategia di violenza che presenta una tale estensione ed una tale efferatezza da incutere timore su una collettività indeterminata di soggetti; un timore che nasce dal fatto che il programma terroristico non è rivolto direttamente verso soggetti determinati, può cogliere chiunque, al contempo proprio l’efferatezza e l’estensione di questo programma di violenza genera terrorismo quando la collettività si rende conto dell’incapacità degli organi dello Stato di poter far fronte al fenomeno terroristico. Oggi con la nuova formulazione dell’art. 270 bis c.p. quegli aspetti differenziali che in passato stentavano ad emergere rispetto all’art. 270 c.p., sono invece chiaramente percepibili, soprattutto quando il compimento di atti di violenza ha una matrice terroristica ben definita ed il programma è rivolto all’instaurazione di un regime di terrore mediante l’uso della violenza.

Ulteriore elemento differenziale che emerge dalla riformulazione dell’art. 270 bis. c.p. è la previsione di una nuova condotta criminosa tipizzata: quella del finanziatore. Il finanziatore, in realtà, non figura nel disposto dell’art. 270 c.p. così come non figurava nella precedente formulazione dell’art. 270 bis c.p., è emerso proprio nella nuova versione del predetto articolo. Alla luce della riformulazione dell’art. 270 bis c.p. si riesce ad elidere quel profilo di incongruenza che emergeva dalla rubrica della norma (associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico) con il contenuto della norma stessa che, invece, prendeva in considerazione solo l’eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. Adesso, poiché il compimento di atti di violenza è previsto sia con riferimento alla realizzazione della finalità di terrorismo che con riferimento alla finalità di eversione dell’ordine costituzionale, il testo della norma si armonizza con la sua rubrica. Alla luce del vecchio testo dell’art. 270 bis c.p. e del suo raffronto con il 270 c.p. emergeva anche un dato che era oggetto di viva contestazione dottrina e giurisprudenza nel raffrontare queste due norme e nel cercare di individuare quali fossero gli elementi differenziali, ad un certo punto sono giunte ad affermare che mentre l’art. 270 c.p. prendeva in considerazione una tipologia di associazione che fosse deputata ad attività di istigazione e di propaganda alla destabilizzazione dell’ordine democratico. L’art. 270 bis c.p., invece, doveva considerarsi un reato di portata più specifica in quanto il riferimento all’uso degli atti di violenza per la destabilizzazione dell’ordine democratico lascia – si diceva – ipotizzare un’evoluzione dello stesso fenomeno associativo dalla fase della propaganda e della istigazione al sovvertimento dell’ordine democratico ad un fase già attuativa attraverso un uso concreto degli atti di violenza.

Si affermava che l’una fattispecie, l’art. 270 c.p. deve considerarsi inglobata nell’art. 270 bis c.p. che si atteggia perciò come una sorta di reato progressivo, poiché dalla fase di mera apologia ed istigazione si entra nella fase dell’inizio dell’attuazione del programma criminale attraverso l’effettivo uso di quella violenza che è solo esaltata come strumento di lotta ma poi non è in concreto usata.

Tale tesi, seppur molto suggestiva dava adito a non poche censure di legittimità costituzionale dell’art. 270 c.p. poiché la stessa Corte Cost. più volte aveva detto – di fronte alle censure di legittimità costituzionale dei reati di propaganda e di istigazione criminale – che per poter ritenere prevalente l’esigenza di procedere all’incriminazione rispetto alla libertà fondamentale di manifestare il pensiero, l’attività di propaganda ed istigazione doveva presentare specifici connotati in grado di assicurare che vi fosse un effettivo e concreto pericolo che i soggetti istigati, in via diretta o indiretta recepissero tale attività istigatoria e propagandistica, qualora, invece, l’istigazione e la propaganda non fossero manifestazione attivizzanti, dovevano ritenersi costituzionalmente lecite in quanto espressione della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. Tale tesi pur se brillantemente sostenuta in dottrina non ha trovato, in verità, accoglimento.

Con riferimento al problema dell’operatività e del propendere per l’applicabilità di una sola norma ovvero di entrambe, trovava accoglimento la tesi secondo cui dovesse applicarsi l’art. 270 bis c.p. in quanto norma speciale ex art. 15 c.p. rispetto all’art. 270 c.p., non solo perché si tratta di una norma che consente la possibilità di costituire questa organizzazione anche all’estero, ma anche perché tutto il regime sanzionatorio – che in realtà ha una funzione particolarmente simbolica per il contrasto con l’emergenza terroristica – secondo la Cassazione, lascia ipotizzare questo rapporto di specialità.

In realtà questo rapporto è inesistente, secondo l’originaria formulazione dell’art. 270 bis c.p. era chiaro che in passato tale norma fosse solo un’inutile duplicazione dell’art. 270 c.p., mentre oggi trova una sua ragion d’essere sia perché estende l’incriminazione anche al terrorismo internazionale, sia perché ricomprende nell’ambito delle condotte tipizzate anche quella del finanziatore.

Oggi può veramente dirsi che l’art. 270 bis c.p. sia norma speciale che pertanto esclude l’applicazione dell’art. 270 c.p.

Passando agli artt. 305 e 306 c.p. (cospirazione politica mediante associazione e banda armata), dobbiamo dire che la cospirazione politica mediante associazione costituisce uno stadio eversivo diverso dalla più riduttiva portata della banda armata. Sembra quasi che il legislatore abbia riprodotto, seppure in scala specifica, la differenza fra l’accordo per commettere un reato ed in termini di concorso eventuale di persone nel reato, e l’associazione criminale volta alla realizzazione di uno o più reati, con la differenza che il legislatore qui opera in deroga alla disciplina dell’art. 15 c.p., perchè incrimina la cospirazione politica mediante accordo anche se dall’accordo non scaturisce la realizzazione neanche a livello di tentativo del reato programmato.

È una deroga alla non punibilità del mero accordo per realizzare un certo reato che si pone per un’esigenza di anticipazione della soglia di imputazione in considerazione degli interessi particolarmente rilevanti che il legislatore vuole tutelare. È uno di quei reati di pericolo dove il legislatore incrimina il pericolo del pericolo, in sostanza è l’accordo per commettere un determinato reato che di per sé esprime un’idea di pericolosità, che, tuttavia, investe il momento ideativi e programmatico e che normalmente da questo momento si passi a quello esecutivo che costituisce uno stadio più avanzato di pericolo per il bene/interesse tutelato.

L’incriminazione della cospirazione politica mediante associazione è, invece, un passo avanti, un livello più evoluto di pericolo che in questo caso l’accordo si stabilizza e si traduce in assetto organizzativo stabile da parte di tutti i soggetti che vi abbiano partecipato, assicurandone una struttura oggettiva e soggettiva in grado di realizzare quel programma criminale che consiste nella realizzazione di uno o più reati contro la personalità interna o internazionale dello Stato.

Sotto il profilo del rapporto tra questa norma e gli artt. 270 e 270 bis c.p. anche nella cospirazione politica mediante associazione si richiede un’organizzazione anche se rudimentale che, comunque, la presenza di un gruppo minimo di soggetti fissati in tre o più che segna il profilo organizzativo minimale sotto il profilo soggettivo di queste associazioni. Si richiedono, altresì, strutture e mezzi che siano idonei alla realizzazione di reati contro la personalità dello Stato, qui a differenza degli artt. 270 e 270 bis c.p. il disegno criminoso è però identificativo a priori perché volto alla realizzazione di uno di quei reati contro la personalità dello Stato.

Già qui compare un dato differenziale che vale a connotare la cospirazione mediante associazione rispetto all’associazione sovversiva ed alla associazione con finalità di terrorismo ed eversione, perché sono meno di tre persone, questa fattispecie non può ritenersi integrata; perciò assume rilevanza un numero minimo di persone che, invece, nell’art. 270 c.p. e nel 270 bis c.p. non c’è, perciò si ritiene che ex art. 270 c.p. siano sufficienti anche solo due perché la fattispecie associativa possa dirsi integrata.

Dati differenziali di questa norma incriminatrice rispetto agli artt. 270 e 270 bis c.p. sono: 1) programma definito; 2) numero minimo di persone. Sotto il profilo organizzativo della struttura organizzativa oggettiva e della tipologia delle condotte che di solito il legislatore effettua con riferimento a queste figure associative, più o meno il raffronto è in termini di unitarietà.

Siamo in presenza di un dolo che è sia generico (consapevolezza di far parte di un organismo associativo) nonché il dolo specifico (attinente al programma criminoso che l’associazione predefinita); è un reato di pericolo dove il discorso della verifica del pericolo sembra essere più sfumato rispetto a quello degli artt. 270 e 270 bis c.p. Negli artt. 270 e 270 bis c.p. il programma assume connotati criminosi non tanto per il fine che si vuole perseguire, quanto piuttosto per il mezzo che si intende utilizzare e cioè la violenza. Nella cospirazione politica mediante associazione, invece, è il programma criminoso che di per sé assume connotati criminali, perché si tratta di associazioni che mirano a realizzare reati contro la personalità dello Stato, ovviamente neanche qui può dirsi di essere in presenza di un reato di pericolo presunto, occorrerà comunque anche qui per verificare che questa struttura organizzativa presenta connotati che consentono di affermare a livello prognostico- probabilistico che sia idonea a realizzare programmi criminali.

Il problema della differenziazione fra queste due figure e quella della banda armata il legislatore non se l’era posto. La stessa formulazione dell’art. 306 c.p. sembra quasi prescindere dall’esigenza di una struttura organizzativa presenta connotati che consentono di affermare a livello prognostico-probabilistico che sia idonea a realizzare programmi criminali. Il problema della differenziazione fra queste due figure e quella della banda armata il legislatore non se l’era posto. La stessa formulazione dell’art. 306 c.p. sembra quasi prescindere dall’esigenza di una struttura organizzativa a base associativa per l’esistenza di una banda armata, all’inizio si dubitava che questa norma potesse veramente avere una pratica applicazione nel nostro sistema positivo poiché era frutto di un’interpretazione con cui si mettevano fuori legge quelle associazioni che presentavano connotazioni militari o paramilitari, è stata una norma che per lungo tempo non ha trovato applicazione, fino a quando non è emerso il fenomeno terroristico. Inizialmente si riteneva che si trattasse di organismi associativi di tipo militare con una struttura gerarchica ben definita, un’organizzazione verticistica fondata sull’obbedienza assoluta, ma soprattutto era necessaria la disponibilità di un armamento.

La giurisprudenza fin dall’inizio ritenne sufficiente che questo organismo associativo avesse una dotazione di armi a disposizione di tutti gli associati, non occorrendo che ciascun componente della banda armata avesse a disposizione armi per svolgere la propria attività. L’armamento dell’organizzazione connotava e distingueva questa compagine associativa da quella della cospirazione politica mediante associazione.

La giurisprudenza ha affermato che fra la cospirazione politica mediante associazione e la banda armata potesse ipotizzarsi un rapporto di genere a specie, in quanto la disponibilità dell’armamento era elemento specializzante della banda armata rispetto alla cospirazione politica mediante associazione. Peraltro si affermò un altro orientamento giurisprudenziale secondo cui era possibile che dalla cospirazione politica potesse giungersi alla banda armata, ipotizzando perciò una sorta di progressione criminosa dove la cospirazione politica mediante associazione costituisce il reato di passaggio per giungere alla più grave fattispecie della banda armata.

Il problema che si pose fu, allora, quello del rapporto fra queste gli artt. 305 e 306 c.p. e gli artt. 270 e 270 bis c.p.. Tale problema si pose perché l’emergenza terroristica era un’emergenza in cui erano presenti organizzazioni di carattere associativo che per un verso avevano le caratteristiche dell’associazione sovversiva e per altro quelle dell’associazione per finalità di terrorismo ed eversione, dato che il programma di base era costituito da ribaltamento dell’assetto costituzionale dello Stato attraverso organizzazioni di stampo militare dotate di armi.

Pertanto, messi "fuori gioco" gli artt. 305 c.p. e 270 c.p. il vero problema fu come regolarsi nei rapporto tra l’art. 270 bis c.p. e l’art. 306 c.p..

Le opzioni che si prospettarono furono molteplici: la giurisprudenza – che si presentò sul punto più rigida ed orientata a pronunciare sentenze emblematiche, espressione della volontà dello Stato di debellare tale fenomeno – optò per il concorso di reati, affermando che ricorrevano sia l’art. 270 c.p. che l’art. 306 c.p. quando si avessero organizzazioni criminali con il fine di destabilizzare l’ordine costituzionale attraverso l’uso della violenza, rafforzata dalla possibilità di utilizzare un armamento ed attraverso la realizzazione di reati contro la personalità dello Stato. Solo in questi termini, secondo tale orientamento, potevano ritenersi compresenti gli elementi dell’art. 270 bis c.p. e dell’art. 306 c.p.

A fronte di questo orientamento rigoroso se ne affermarono altri, si affermò che confrontando gli elementi costitutivi dell’una e dell’altra fattispecie il rapporto tra gli artt. 270 bis c.p. e 306 c.p. doveva essere attratto nell’ottica dell’art. 15 c.p. e, pertanto, ritenere il 306 c.p. norma specializzante rispetto all’art. 270 bis c.p., dove l’elemento specializzante dell’art. 306 era costituito dalla messa a disposizione dell’armamento a favore dei partecipanti all’associazione, (dato mancante invece nell’art. 270 bis c.p.) e dalla realizzazione di uno o più reati contro la personalità dello Stato (l’art. 270 bis c.p., invece, prendeva in considerazione un programma generico di destabilizzazione dell’ordine costituzionale).

Contro tale tesi è stato proposto un orientamento che ammetteva il concorso tra l’art. 270 bis c.p. e l’art. 306 c.p. ma in termini di connessione tra reato mezzo e reato fine. All’interno di questo orientamento erano state elaborate due tesi che pur condividendo l’idea della connessione teleologica tra i due reati si presentavano divise; la prima riteneva l’art. 270 bis c.p. il cosiddetto reato mezzo per la realizzazione del reato di cui all’art. 306 c.p.. Viceversa, l’altra tesi (più coerente con i principi) riteneva che la banda armata fosse il reato mezzo ed il 270 bis c.p. il reato fine, poiché l’art. 306 c.p. presuppone che la banda armata si costituisce per realizzare uno dei reati contro la personalità dello Stato, uno dei quali è proprio l’art. 270 bis c.p.. Secondo questa impostazione, pertanto, non si configurerebbe un rapporto di specialità (con applicazione della sola norma sulla banda armata), bensì di concorso di reati sub specie della connessione teleologica fra l’uno e l’altro reato, dove più verosimilmente l’art. 306 c.p. è reato mezzo rispetto all’art. 270 bis c.p.