Riconoscimento al padre libero professionista dell’indennità di maternità

Nota a Tribunale di Alessandria, Sentenza 27 maggio 2010, n.226
[Per gentile concessione di www.avvocatidifamiglia.net]

Trib. Alessandria, in persona del Giudice Unico per le controversie da trattarsi con rito del lavoro – Dott.ssa Francesca Lippi – Spetta al padre libero professionista, in alternativa ed in sostituzione della madre, il riconoscimento dell’indennità di maternità prevista dall’art. 70 del Decreto Legislativo 151/2001

Il Tribunale di Alessandria (Sezione Lavoro, Giudice dott.ssa Lippi, sentenza 27/05/2010) con la recentissima suindicata decisione ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale già tracciato da altri giudici di merito (Tribunale Termini Imerese, 2-4 novembre 2009 n. 1290 in Guida al Diritto, 6 marzo 2010, n. 10, pag. 72 e seguenti; Tribunale di Firenze, 20 giugno 2008, in commento su http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/011450.aspx) secondo cui al padre libero professionista (nella specie, avvocato) spetta, in alternativa ed in sostituzione della madre, l’indennità di maternità prevista dall’art. 70 del D. Lgs. 151/2001.

La vicenda, sorta nel 2004, prese inizio dalla richiesta della madre, anch’essa avvocato, di ottenere l’indennità di maternità a seguito della recente nascita del figlio, istanza che peraltro venne respinta dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense per un asserito scollamento di date a fini contributivi e retributivi.

Nel marzo 2008 il padre del piccolo, come accennato anch’egli avvocato, reiterò l’istanza diretta al riconoscimento dell’indennità in sostituzione della moglie, ma anche questa volta la Cassa respingeva l’istanza sia in sede di Giunta Esecutiva che in sede di reclamo.

Nell’aprile 2009, il padre adiva quindi con ricorso il Tribunale di Alessandria, in funzione del Giudice del Lavoro, al fine di ottenere giustizia in forza del coacervo di norme (interne e comunitarie) e principi espressi anche dalla Corte Costituzionale, posti a tutela della genitorialità e della centralità del minore.

Il Giudice piemontese ha accolto la tesi del ricorrente ed è quindi pervenuto al riconoscimento dell’indennità al padre, in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata della sentenza della Corte Costituzionale 11-14 ottobre 2005 n. 385 (di cui un estratto può leggersi in Guida al Diritto, cit., pag. 75 e per esteso in http://www.altalex.com/index.php?idstr=93&idnot=9958) che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto, nella parte in cui non prevedono che al padre spetti di percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima.

Compito non agevole quello del Tribunale di Alessandria, almeno prima facie, a fronte del fatto che la suindicata decisione a livello costituzionale era stata emessa in fattispecie ristretta di minori adottati o di affidamento preadottivo (nei primi tre mesi dall’ingresso della famiglia) e che la dichiarazione in parte qua di illegittimità, concludeva ritenendo “comunque riservato al legislatore il compito di apportare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela”.

Il Giudice alessandrino supera, peraltro, entrambe le questioni, ritenendo che il riconoscimento di parità espresso dalla Corte Costituzionale nella medesima sentenza 385/2005 debba estendersi anche al parto naturale (in via paritaria rispetto alle fattispecie di cui sopra) e che la pronuncia stessa abbia portata precettiva, dovendo ritenersi il principio ivi espresso possa e debba orientare sia l’azione del legislatore che l’attività interpretativa del giudice.

Nella motivazione della sentenza in commento, la richiamata decisione della Corte Costituzionale, viene quindi calata in un contesto normativo di progressione normativa interna volta a garantire l’esigenza primaria ed insopprimibile di assicurare alla madre ed al bambino una speciale protezione, via via concretatasi nelle leggi 30/12/1971 n. 1204 (tutela della lavoratrice madre), 29/12/1987 n. 548 (istituzione dell’indennità di maternità per le lavoratrici autonome) e 11 dicembre 1990 n. 379 (istituzione dell’indennità di maternità per le libere professioniste).

Contesto plasmato in sé di parità sotto ogni profilo possa essere considerato, ove parto naturale, adozione, affidamento sono ritenute tutte situazioni meritevoli di tutela in considerazione della necessità che i genitori soddisfino le esigenze primarie del bambino, ove non avrebbe alcuna ragione di essere la distinzione tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo, ove infine fuori di ogni luogo apparirebbe la separazione di regime normativo tra la posizione materna e quella paterna (ovviamente, sempre in alternativa tra di loro), dovendosi ritenere i medesimi i principi costituzionali che consacrano la tutela della famiglia.

La decisione si inserisce, come accennato, in un filone giurisprudenziale favorevole alla completa parificazione di situazioni e posizioni, che hanno inteso condividere, con portata immediatamente precettiva, il principio della centralità della tutela del minore nell’ambito della più ampia tutela della famiglia espresso dalla Corte Costituzionale con la più volte richiamata sentenza n. 385/2005.

Nella motivazione di quest’ultima, emessa in rapporto agli artt. 3, 29 secondo comma, 30 primo comma e 31 Cost.) si sancisce l’illegittimità degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. 151/2001, ritenendoli letteralmente un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore, apparendo discriminatoria l’assenza di tutela che si realizza nel momento in cui, in presenza di un’identica situazione e di un medesimo evento, alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece, in capo ad altri che si trovano nelle medesime condizioni.

Per conchiudere in commento alla sentenza alessandrina, essa si fa a respingere anche la domanda subordinata proposta dalla Cassa Forense di dichiarare non spettante il cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria; il giudice ha infatti ritenuto la Cassa Forense ente trasformato in fondazione ex D.Lgs n. 509/1994 non destinatario di finanziamenti pubblici, per cui non trova applicazione invocazione la norma di cui all’art. 16, VI comma della Legge 412/1991 (secondo cui “ .. l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti al titolare della prestazione a titolo di risarcimento del maggior danno cagionatogli dalla diminuzione di valore del suo credito”’) invocata dalla convenuta.

Nel suo più ampio contesto, la decisione del giudice piemontese, avvalla altre precedenti ed in apertura ricordate, a far data dalla giustamente definita pionieristica sentenza del Tribunale fiorentino, che si distingue per la dovizia di argomentazioni e approfondimenti in materia.

In particolare, il giudice di Firenze, richiama ad ulteriore sostegno della assoluta parità di posizioni tra padre e madre liberi professionisti con riguardo alla spettanza (sempre in alternativa tra loro) della indennità di cui trattasi, il dettame della normativa comunitaria (Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 contenente l’“Accordo quadro sul congedo parentale” recepita dal nostro ordinamento dalla Legge 53/200 e dal successivo D. Lgs. 151/2001) il cui fine era proprio quello di porre sulla stessa linea di meritevolezza le posizioni paterna e materna nella cura del nascituro.

In questo ambito, il giudice fiorentino richiama anche precedente sentenza della Corte Costituzionale, 179/1993 (anch’essa leggibile in estratto in Guida al Diritto, cit. pag. 75) che giustifica ontologicamente la predetta parità genitoriale, in forza del prevalente interesse del bambino, dovendosi superare – precisa la Corte - la rigida concezione della diversità dei ruoli dei due genitori ed invece incoraggiare e favorire la reciproca integrazione di ciascuno di essi alla cura ed allo sviluppo fisico e psichico del loro figlio.

Viene naturale, a questo punto, il richiamo alla più recente Legge 08/02/2006 n. 54 sull’affido condiviso, che ha sancito con portata legislativa il diritto del figlio minore alla bigenitorialità, da valersi in ogni momento e circostanza della vita, sia in costanza di rapporto (coniugale o di fatto) che nella successiva fase di crisi, senza distinzioni di sorta, in un clima di prioritaria parità di ruoli rispetto al minore, derogabile solo laddove vi sia un suo contrario interesse come tale riconosciuto dal giudice.

Per quanto i principi di cui si è fatta portatrice la legge sull’affido condiviso non siano stati espressamente menzionati nella citata giurisprudenza, essi senza dubbio rafforzano ulteriormente il contesto normativo già invocato dalla giurisprudenza di merito appena ricordata, che, ad avviso di chi scrive, ha correttamente suffragato un’interpretazione costituzionalmente orientata della sentenza 385/2005 della Corte Costituzionale.

Sotto questo profilo, il Tribunale di Firenze cit. definisce soluzione obbligata quella di verificare anzitutto se sia consentita un’interpretazione (estensiva o riduttiva) conforme a Costituzione delle norme da applicare, prima di sollevare questione di legittimità, negando che nella specie debba eccepirsi dubbio in tal senso.

Di avviso opposto, vale tuttavia segnalare, la altrettanto recente decisione della Corte di Appello di Venezia (sezione Lavoro, 28/05/2009, in http://www.avvocatidifamiglia.net) che invece ha sollevato questione di costituzionalità in merito all’art. 70 del D.Lgs. 151/2001 con particolare riferimento alla diversa situazione tra lavoratrice autonoma e lavoratrice subordinata, essendo imposto solo a quest’ultima il dovere di astensione dal lavoro, ciò incidendo sul regime di estensione dei diritti al lavoratore autonomo padre, potendo la lavoratrice autonoma continuare a prestare la propria attività.

La parola sull’indennità genitoriale è passata quindi nuovamente al vaglio della Corte Costituzionale e se ne attende con indubbio interesse l’esito.

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Trib. Alessandria, in persona del Giudice Unico per le controversie da trattarsi con rito del lavoro – Dott.ssa Francesca Lippi – Spetta al padre libero professionista, in alternativa ed in sostituzione della madre, il riconoscimento dell’indennità di maternità prevista dall’art. 70 del Decreto Legislativo 151/2001

Il Tribunale di Alessandria (Sezione Lavoro, Giudice dott.ssa Lippi, sentenza 27/05/2010) con la recentissima suindicata decisione ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale già tracciato da altri giudici di merito (Tribunale Termini Imerese, 2-4 novembre 2009 n. 1290 in Guida al Diritto, 6 marzo 2010, n. 10, pag. 72 e seguenti; Tribunale di Firenze, 20 giugno 2008, in commento su http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/011450.aspx) secondo cui al padre libero professionista (nella specie, avvocato) spetta, in alternativa ed in sostituzione della madre, l’indennità di maternità prevista dall’art. 70 del D. Lgs. 151/2001.

La vicenda, sorta nel 2004, prese inizio dalla richiesta della madre, anch’essa avvocato, di ottenere l’indennità di maternità a seguito della recente nascita del figlio, istanza che peraltro venne respinta dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense per un asserito scollamento di date a fini contributivi e retributivi.

Nel marzo 2008 il padre del piccolo, come accennato anch’egli avvocato, reiterò l’istanza diretta al riconoscimento dell’indennità in sostituzione della moglie, ma anche questa volta la Cassa respingeva l’istanza sia in sede di Giunta Esecutiva che in sede di reclamo.

Nell’aprile 2009, il padre adiva quindi con ricorso il Tribunale di Alessandria, in funzione del Giudice del Lavoro, al fine di ottenere giustizia in forza del coacervo di norme (interne e comunitarie) e principi espressi anche dalla Corte Costituzionale, posti a tutela della genitorialità e della centralità del minore.

Il Giudice piemontese ha accolto la tesi del ricorrente ed è quindi pervenuto al riconoscimento dell’indennità al padre, in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata della sentenza della Corte Costituzionale 11-14 ottobre 2005 n. 385 (di cui un estratto può leggersi in Guida al Diritto, cit., pag. 75 e per esteso in http://www.altalex.com/index.php?idstr=93&idnot=9958) che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto, nella parte in cui non prevedono che al padre spetti di percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima.

Compito non agevole quello del Tribunale di Alessandria, almeno prima facie, a fronte del fatto che la suindicata decisione a livello costituzionale era stata emessa in fattispecie ristretta di minori adottati o di affidamento preadottivo (nei primi tre mesi dall’ingresso della famiglia) e che la dichiarazione in parte qua di illegittimità, concludeva ritenendo “comunque riservato al legislatore il compito di apportare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela”.

Il Giudice alessandrino supera, peraltro, entrambe le questioni, ritenendo che il riconoscimento di parità espresso dalla Corte Costituzionale nella medesima sentenza 385/2005 debba estendersi anche al parto naturale (in via paritaria rispetto alle fattispecie di cui sopra) e che la pronuncia stessa abbia portata precettiva, dovendo ritenersi il principio ivi espresso possa e debba orientare sia l’azione del legislatore che l’attività interpretativa del giudice.

Nella motivazione della sentenza in commento, la richiamata decisione della Corte Costituzionale, viene quindi calata in un contesto normativo di progressione normativa interna volta a garantire l’esigenza primaria ed insopprimibile di assicurare alla madre ed al bambino una speciale protezione, via via concretatasi nelle leggi 30/12/1971 n. 1204 (tutela della lavoratrice madre), 29/12/1987 n. 548 (istituzione dell’indennità di maternità per le lavoratrici autonome) e 11 dicembre 1990 n. 379 (istituzione dell’indennità di maternità per le libere professioniste).

Contesto plasmato in sé di parità sotto ogni profilo possa essere considerato, ove parto naturale, adozione, affidamento sono ritenute tutte situazioni meritevoli di tutela in considerazione della necessità che i genitori soddisfino le esigenze primarie del bambino, ove non avrebbe alcuna ragione di essere la distinzione tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo, ove infine fuori di ogni luogo apparirebbe la separazione di regime normativo tra la posizione materna e quella paterna (ovviamente, sempre in alternativa tra di loro), dovendosi ritenere i medesimi i principi costituzionali che consacrano la tutela della famiglia.

La decisione si inserisce, come accennato, in un filone giurisprudenziale favorevole alla completa parificazione di situazioni e posizioni, che hanno inteso condividere, con portata immediatamente precettiva, il principio della centralità della tutela del minore nell’ambito della più ampia tutela della famiglia espresso dalla Corte Costituzionale con la più volte richiamata sentenza n. 385/2005.

Nella motivazione di quest’ultima, emessa in rapporto agli artt. 3, 29 secondo comma, 30 primo comma e 31 Cost.) si sancisce l’illegittimità degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. 151/2001, ritenendoli letteralmente un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore, apparendo discriminatoria l’assenza di tutela che si realizza nel momento in cui, in presenza di un’identica situazione e di un medesimo evento, alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece, in capo ad altri che si trovano nelle medesime condizioni.

Per conchiudere in commento alla sentenza alessandrina, essa si fa a respingere anche la domanda subordinata proposta dalla Cassa Forense di dichiarare non spettante il cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria; il giudice ha infatti ritenuto la Cassa Forense ente trasformato in fondazione ex D.Lgs n. 509/1994 non destinatario di finanziamenti pubblici, per cui non trova applicazione invocazione la norma di cui all’art. 16, VI comma della Legge 412/1991 (secondo cui “ .. l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti al titolare della prestazione a titolo di risarcimento del maggior danno cagionatogli dalla diminuzione di valore del suo credito”’) invocata dalla convenuta.

Nel suo più ampio contesto, la decisione del giudice piemontese, avvalla altre precedenti ed in apertura ricordate, a far data dalla giustamente definita pionieristica sentenza del Tribunale fiorentino, che si distingue per la dovizia di argomentazioni e approfondimenti in materia.

In particolare, il giudice di Firenze, richiama ad ulteriore sostegno della assoluta parità di posizioni tra padre e madre liberi professionisti con riguardo alla spettanza (sempre in alternativa tra loro) della indennità di cui trattasi, il dettame della normativa comunitaria (Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 contenente l’“Accordo quadro sul congedo parentale” recepita dal nostro ordinamento dalla Legge 53/200 e dal successivo D. Lgs. 151/2001) il cui fine era proprio quello di porre sulla stessa linea di meritevolezza le posizioni paterna e materna nella cura del nascituro.

In questo ambito, il giudice fiorentino richiama anche precedente sentenza della Corte Costituzionale, 179/1993 (anch’essa leggibile in estratto in Guida al Diritto, cit. pag. 75) che giustifica ontologicamente la predetta parità genitoriale, in forza del prevalente interesse del bambino, dovendosi superare – precisa la Corte - la rigida concezione della diversità dei ruoli dei due genitori ed invece incoraggiare e favorire la reciproca integrazione di ciascuno di essi alla cura ed allo sviluppo fisico e psichico del loro figlio.

Viene naturale, a questo punto, il richiamo alla più recente Legge 08/02/2006 n. 54 sull’affido condiviso, che ha sancito con portata legislativa il diritto del figlio minore alla bigenitorialità, da valersi in ogni momento e circostanza della vita, sia in costanza di rapporto (coniugale o di fatto) che nella successiva fase di crisi, senza distinzioni di sorta, in un clima di prioritaria parità di ruoli rispetto al minore, derogabile solo laddove vi sia un suo contrario interesse come tale riconosciuto dal giudice.

Per quanto i principi di cui si è fatta portatrice la legge sull’affido condiviso non siano stati espressamente menzionati nella citata giurisprudenza, essi senza dubbio rafforzano ulteriormente il contesto normativo già invocato dalla giurisprudenza di merito appena ricordata, che, ad avviso di chi scrive, ha correttamente suffragato un’interpretazione costituzionalmente orientata della sentenza 385/2005 della Corte Costituzionale.

Sotto questo profilo, il Tribunale di Firenze cit. definisce soluzione obbligata quella di verificare anzitutto se sia consentita un’interpretazione (estensiva o riduttiva) conforme a Costituzione delle norme da applicare, prima di sollevare questione di legittimità, negando che nella specie debba eccepirsi dubbio in tal senso.

Di avviso opposto, vale tuttavia segnalare, la altrettanto recente decisione della Corte di Appello di Venezia (sezione Lavoro, 28/05/2009, in http://www.avvocatidifamiglia.net) che invece ha sollevato questione di costituzionalità in merito all’art. 70 del D.Lgs. 151/2001 con particolare riferimento alla diversa situazione tra lavoratrice autonoma e lavoratrice subordinata, essendo imposto solo a quest’ultima il dovere di astensione dal lavoro, ciò incidendo sul regime di estensione dei diritti al lavoratore autonomo padre, potendo la lavoratrice autonoma continuare a prestare la propria attività.

La parola sull’indennità genitoriale è passata quindi nuovamente al vaglio della Corte Costituzionale e se ne attende con indubbio interesse l’esito.