x

x

Servitù telefonica: se vuoi rimuovere la cabina telefonica

Vista sui colori
Ph. Cinzia Falcinelli / Vista sui colori

Abstract:

La servitù telefonica si costituisce con un valido consenso del proprietario espresso per contratto o per testamento (ex articolo 1058 Codice Civile e 1031 co. 2 Codice Civile) o, in mancanza, mediante l’attivazione di una procedura amministrativa la cui autorizzazione prefettizia, ex articolo 46 della Legge 25/06/1865 n. 2359, è subordinata all’esistenza di un interesse nazionale a favorire la diffusione delle infrastrutture di comunicazione. 

In carenza di tali presupposti e/o requisiti, si ravvisa l’inesistenza di alcun diritto della compagnia telefonica di apporre e/o mantenere un’opera in un immobile di proprietà esclusiva che dovrà essere rimossa con conseguente diritto al ripristino dello stato dei luoghi e al diritto al risarcimento del danno (sia che la realizzazione dell’opera sia stata o meno autorizzata). Ciò in quanto, la presenza di una cabina catalyst telefonica, rappresentando un illecito a carattere permanente, non prescrive il diritto al risarcimento che si rinnova di momento in momento. Pertanto, sia in presenza di turbative e/o molestie sul bene sia per l’accertamento dell’inesistenza di diritti di terzi, il proprietario dell’immobile potrà esperire quale azione a tutela un’actio negatoria servitutis ex articolo 949 Codice Civile

 

Indice:

1. Il caso: la cabina catalyst nel magazzino

2. Servitù e modi di costituzione

3. Azioni a tutela: actio negatoria servitutis  

4. Aspetti civilistici del problema: prescrizione del diritto al risarcimento del danno e dies a quo. Diritto all’indennità di occupazione

5. La cabina va rimossa

6. Considerazioni finali  

 

1. Il caso: la cabina catalyst nel magazzino

Tizio è proprietario esclusivo di un immobile (categoria magazzino) di 14 mq ubicato al piano terra di un edificio condominiale all’interno del quale la compagnia telefonica Beta S.p.A., senza consenso e senza corrispondere alcuna indennità di occupazione e/o risarcimento, installava una cabina catalyst larga 34 cm, alta 72 cm e lunga 60 cm. Dopo l’installazione dell’opera la società non eseguiva interventi di manutenzione ordinaria e solo raramente quelli di natura straordinaria.

La presenza dell’armadietto nell’unità immobiliare di proprietà esclusiva rappresentava un peso, limitando le normali facoltà inerenti al diritto di proprietà, non consentendone il libero uso. Invero, Tizio non riusciva a vendere e/o a locare il suddetto immobile/magazzino a causa della presenza dell’anzidetta cabina, patendo danni patrimoniali e non patrimoniali che si sostanziavano nel deprezzamento commerciale dell’immobile, nella diminuzione del suo valore locativo e nella limitazione del pieno godimento del bene.

Inoltre, la rimozione dell’opera e il conseguente ripristino dello “status quo ante” avrebbe comportato un costo smodato a carico del proprietario. Pertanto, questi al fine di far cessare tale abuso, inviava innumerevoli e vane richieste di rimozione e/o spostamento della cabina.

Falliti i tentativi di bonario componimento e redatto verbale negativo di mediazione (condizione di procedibilità), per mancata comparizione di Beta S.p.A., con atto di citazione ex articolo 949 Codice Civile ritualmente notificato, Tizio conveniva in giudizio la società, per ivi sentire

a) accertare e dichiarare l’inesistenza di alcuna servitù a favore della compagnia telefonica, ordinando la cessazione di qualsivoglia molestia e/o turbativa al legittimo esercizio del suo diritto di proprietà;

b) per l’effetto, condannare la stessa alla rimozione della cabina/armadietto e di tutto il materiale di sua proprietà con oneri e spese a carico esclusivo della società convenuta e alla restituitio in integrum;

c) condannarla al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.

In via gradata, in caso di riconoscimento di servitù telefonica in capo a Beta S.p.A., condannarla al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e/o alla corresponsione di un’indennità di asservimento e/o di occupazione, da liquidarsi in via equitativa. In mancanza di accoglimento delle predette domande Tizio chiedeva, altresì, di obbligare la società con oneri e spese a carico della stessa, allo spostamento dell’armadietto di sua proprietà insistente nell’unità immobiliare in altro luogo più idoneo in modo da non pregiudicarne il diritto di proprietà.

Beta S.p.A. costituendosi in giudizio, nel chiedere il rigetto della domanda, eccepiva l’inammissibilità della domanda per carenza dei presupposti e la prescrizione del diritto al risarcimento del danno preteso per decorso del termine quinquennale in caso di fatto illecito. La società affermava altresì:

a) di essere legittimata all’installazione della rete di comunicazione per la prestazione di servizi di telefonia sul territorio nazionale essendo titolare di una licenza individuale rilasciata dalla Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in virtù del D.M. 25/11/1997 del Ministero delle Comunicazioni;

b) di essere legittimata “alla costruzione di infrastrutture e di linee dorsali e costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere” ai sensi dell’articolo 8 co. 2 del Capitolato degli oneri e degli obblighi di cui alla predetta licenza;

c) l’inopponibilità del proprietario o condomino all’appoggio di antenne, di sostegni nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto nell’immobile di proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini e al passaggio nell’immobile del personale dell’esercente il servizio per installazione, riparazione e manutenzione degli impianti nonché l’insussistenza al diritto di alcuna indennità. 

A supporto di quanto asserito, la società sosteneva di essere in possesso di autorizzazione firmata da Tizio e che le modeste dimensioni dell’armadietto non impedivano e/o non limitavano il potere di godimento sull’immobile da parte del proprietario. 

 

2. Servitù e modi di costituzione

Prima di esaminare il caso prospettato occorre chiarire la nozione e le caratteristiche della servitù disciplinata dagli articoli 1027 e ss. Codice Civile.

La servitù (o servitù prediale) rappresenta un diritto di godimento su cosa altrui consistente nel peso imposto su un fondo (c.d. servente) per l’utilità di un altro fondo (c.d. dominante) appartenente ad un diverso proprietario.

Il contenuto non è predeterminato ma vi è ampia autonomia purché nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa. Inoltre, per “fondo” devono intendersi tutti gli immobili sia rustici sia urbani. 

Elementi caratterizzanti sono:

a) l’utilità per il fondo dominante (non esigenze di carattere personale ma un vantaggio riconducibile alla situazione e destinazione obiettiva del fondo);  

b) l’esistenza di un peso gravante sul fondo servente (ovvero la compressione del diritto di proprietà deve gravare sul fondo “servente” a vantaggio di quello “dominante”);

c) l’appartenenza dei fondi a proprietari diversi.

Per essere efficace e, quindi, opponibile a tutti gli acquirenti successivi del fondo servente la servitù deve essere trascritta nei pubblici registri immobiliari.

Le servitù possono essere istituite, ex articolo 1031 Codice Civile, coattivamente (anche senza il consenso del proprietario per soddisfare un’esigenza di carattere pubblica o generale) o volontariamente (per volontà di una delle parti).

La servitù coattiva (c.d. legale) si costituisce con un apposito atto costitutivo di natura negoziale, giudiziale o amministrativa. Si realizza, quindi, in forza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria (sentenza) o atto amministrativo della pubblica amministrazione con cui vengono regolate modalità concrete dell’esercizio del diritto. In questi casi, la legge riconosce al proprietario del fondo servente una giusta indennità compensativa della perdita di valore del fondo. Vi rientrano le servitù di passaggio, di acquedotto, di elettrodotto ecc.

La servitù volontaria, invece, ai sensi dell’articolo 1058 Codice Civile può essere costituita per contratto (stipulato dai proprietari dei due fondi mediante atto scritto trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari) o testamento, oltre che nei modi di cui all’articolo 1031 co. 2 Codice Civile ovvero per usucapione (cioè possesso continuato ed ininterrotto per un periodo determinato. Non avviene per le servitù non apparenti ossia non visibili e permanenti al loro esercizio) o per destinazione del buon padre di famiglia (allorquando due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario e questi ha lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Quindi, sono oggettivamente subordinati o al servizio l’uno all’altro).

Non è valida la semplice scrittura privata, peraltro sottoscritta da una sola delle parti, non recante la puntuale indicazione dei vincoli e degli elementi essenziali del diritto reale (come nel caso in esame).

La servitù si estingue per:

  1. contratto
  2. confusione (quando la titolarità di fondo dominante e servente convergono in una sola persona),
  3. prescrizione (quando non se ne usa per venti anni e il termine decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitarla. Se invece si tratta di negativa o di servitù per cui non è necessario il fatto dell’uomo, il termine decorre dal giorno in cui si è verificato il fatto che ne ha impedito l’esercizio),
  4. rinuncia (quando il proprietario del fondo servente se ne libera rinunziando alla proprietà a favore del proprietario del fondo dominante);
  5. espropriazione (per pubblica utilità del fondo servente).  

 

3. Azione a tutela: actio negatoria servitutis

In caso di abuso, come in quello descritto, è possibile tutelarsi azionando ex articolo 949 Codice Civile una negatoria servitutis secondo cui “il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno”.

La Cassazione Civile, Sez. III, con sentenza n. 27564 del 31/12/2014, esprimendosi in tal senso ha precisato che “la actio negatoria servitutis può essere diretta sia all’accertamento dell’inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione di turbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un’opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell’opera stessa”.

L’installazione di una cabina catalyst telefonica nell’unità immobiliare di proprietà esclusiva comporta una lesione e una molestia al libero esercizio dei diritti del proprietario, in quanto la società ha facoltà in qualunque tempo di accedere alla sua proprietà. Per tali motivi, in caso di consenso, occorre stipulare un contratto costitutivo della servitù indicante precisi vincoli ed elementi essenziali e non indicazioni generiche.

Mancando elementi essenziali e/o accordi specifici, l’autorizzazione è da considerarsi nulla.

Il Decreto Legislativo 259/2003 prevede che “il proprietario o il condominio non può opporsi all’appoggio di antenne, sostegni, passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto nell’immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o condomini”

Tuttavia, poiché nel caso de quo né il proprietario né i condomini hanno richiesto la fornitura di servizi della compagnia telefonica (difatti, non è mai stato oggetto di delibera condominiale né avrebbe potuto esserci insistendo la cabina in una proprietà privata), per l’imposizione della servitù, ai sensi dell’articolo 234 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, occorreva una domanda, corredata dal progetto degli impianti e del piano descrittivo dei luoghi diretta al prefetto, il quale inviava gli atti al genio civile che, sentite le parti esprimeva il suo parere in merito e stabiliva l’indennità da pagarsi, quando  dovuta, al proprietario, in base all’effettiva diminuzione del valore del fondo all’onere che ad esso si imponeva ed al contenuto della servitù, determinando le modalità di esercizio dopo essersi accertato del pagamento o del deposito della indennità.

L’articolo 92 co. 3 Decreto Legislativo 259/2003 sancisce che “la domanda, corredata del progetto descrittivo dei luoghi, è diretta all’autorità competente che, ove ne ricorrano le condizioni impone la servitù richiesta e determina l’indennità dovuta ai sensi dell’articolo 44 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327”.

Ciò vuol dire che, in mancanza di autorizzazione, al fine di costituire una regolare servitù telefonica, la società convenuta avrebbe dovuto inviare la domanda, il progetto degli impianti e il piano descrittivo dei luoghi al prefetto, il quale a sua volta avrebbe dovuto trasmettere gli atti al genio civile. La compagnia telefonica per questioni di interesse nazionale per favorire un’adeguata diffusione delle infrastrutture di telecomunicazioni, pertanto, avrebbe dovuto osservare l’iter summenzionato. Procedura che nel caso di specie non ha eseguito.

La presunta autorizzazione firmata, prodotta in semplice copia e/o fotocopia non autenticata e/o non conforme all’originale, ai sensi dell’articolo 2719 Codice Civile, essendo priva di ogni e qualsiasi rilevanza ed efficacia giuridica e probatoria, non poteva essere utilizzata ai fini della costituzione di una servitù volontaria. Ciò in quanto in caso di consenso, occorreva stipulare un contratto costitutivo della servitù indicante precisi vincoli ed elementi essenziali e non indicazioni generiche che rendevano il documento nullo.

L’armadietto, quindi, non poteva ritenersi legittimamente installato in carenza della richiesta di attivazione del servizio da parte dei condomini e/o di una delibera condominiale.

In ogni caso il condominio non avrebbe potuto approvare l’installazione in quanto lesiva dell’esclusivo diritto di godimento dell’unità immobiliare di proprietà di Tizio.

Non sussistevano né atti amministrativi né contratti validi diretti a conferire un diritto personale volto a legittimare l’utilizzo del fondo né la domanda di costituzione di servitù. Invero, in carenza di titoli legittimanti e della prova di valida autorizzazione e/o contratto e/o di provvedimento amministrativo che costituisce servitù e richieste da parte dei condomini e di utilità del servizio di telefonia, l’imposizione di fatto di una servitù di telefonia costituisce un’attività lesiva del diritto di proprietà e, in quanto tale, il peso (l’armadietto) dev’essere rimosso e il danno per l’indebita compressione del diritto di proprietà dev’essere risarcito. A nulla valendo l’assunto, non provato, della legittima dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera.

Dalla lettura del combinato disposto degli articoli 90 e 91 del Decreto Legislativo 259/2003 risulta chiaro che, solo in seguito alla dichiarazione di pubblica utilità e/o alla espropriazione mediante decreto del Ministero dello sviluppo e/o procedura di esproprio ove ricorrano motivi di pubblico interesse, il proprietario o il condominio debba sopportare il passaggio di cavi, fili ed ogni altra installazione su una proprietà privata, occorrente a soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini senza possibilità di opporsi. È evidente che, in assenza di un decreto ministeriale dichiarante la pubblica utilità e/o di un’espropriazione dell’unità immobiliare, come nel caso in esame, non debba applicarsi l’articolo 91, bensì più propriamente l’articolo 92 “servitù” disciplinante appunto i casi non rientranti nel sopracitato articolo.

In mancanza di un provvedimento di pubblica utilità dell’opera deve riconoscersi, pertanto, la facoltà e il diritto del proprietario ad ottenere la rimozione dell’armadietto lesivo del diritto di proprietà.

 

4. Aspetti civilistici del problema: prescrizione del diritto al risarcimento e dies a quo. Diritto all’indennità di occupazione

L’articolo 2043 Codice Civile rubricato “Risarcimento per fatto illecito” sancisce che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Detto ciò, l’articolo 2935 Codice Civile dispone che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Ma se, come nel caso che ci occupa, è ancora installata la cabina e permane l’abuso qual è il dies a quo?

Ebbene, poiché l’illeceità della condotta perdura e Beta S.p.A. mantiene l’impianto senza il consenso del proprietario e/o provvedimento amministrativo, non può parlarsi di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Ciò in quanto, l’installazione dell’impianto costituisce un illecito a carattere permanente che perdura fino a quando non viene rimosso o cessi il suo esercizio. Invero, a fronte di tale illecito, “sia che la realizzazione dell’opera non sia stata autorizzata, sia che sia stata autorizzata, il privato può chiedere, oltre al risarcimento dei danni a partire da cinque anni prima della domanda, anche la rimozione dell’opera e la "restitutio in integrum"(in tal senso si è espressa la Cass. SS. UU. n. 2724 del 14/03/1991).

L’illiceità del comportamento lesivo, difatti, non si esaurisce nel primo atto, ma perdura nel tempo sino a quando permane la situazione illegittima posta in essere e nella quale si concretizza una ininterrotta violazione dell’altrui interesse.

Il diritto al risarcimento del danno sorge con l’inizio del fatto illecito generatore del danno e con questo persiste nel tempo, rinnovandosi di momento in momento, con la conseguenza che la prescrizione, ai sensi dell’articolo 2935 Codice Civile, ha inizio da ciascun giorno rispetto al fatto già verificatosi ed al corrispondente diritto al risarcimento (in tal senso si è espressa la Cass. Civ., con sentenza del 20/11/1993 n. 11474). Risarcimento a cui si ha diritto sia che la realizzazione dell’opera non sia stata autorizzata sia che sia stata autorizzata.   

La presenza dell’armadietto di Beta S.p.A. è foriera di grave pregiudizio per Tizio, arrecando un danno emergente ed un lucro cessante sia per il deprezzamento commerciale dell’immobile sia per la diminuzione del suo valore locativo e per la limitazione del pieno godimento del bene. Inoltre, a causa della cabina catalyst e di tutti i cavi ad esso collegati, è divenuto oltremodo impossibile eseguire lavori di manutenzione, innovazione e/o ristrutturazione dell’immobile, perché richiederebbe la loro rimozione. Pregiudizi che normalmente una servitù non dovrebbe cagionare.

L’articolo 237 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 e il Decreto Legislativo 259/2003 prevedono che “il proprietario ha sempre la facoltà di fare sul suo fondo (nel caso di specie immobile) qualunque innovazione, ancorché importi la rimozione o il diverso collocamento degli impianti, dei fili e dei cavi” (in tal senso altresì Tribunale di Lecce, Sez. civile, sentenza n. 271 del 22/01/2013).

Per quanto concerne, invece, l’indennità di occupazione, l’articolo 234 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 e l’articolo 92 co. 3 D.lgs. 259/2003 sanciscono chiaramente che l’autorità competente “stabilisce l’indennità da pagarsi al proprietario, in base all’effettiva diminuzione del valore del fondo all’onere che ad esso si impone ed al contenuto della servitù, determinando le modalità di esercizio dopo essersi accertato del pagamento o del deposito della indennità” e che l’indennità dovuta è “determinata ai sensi dell’articolo 44 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327”. Non solo, l’articolo 236 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 statuisce la possibilità di richiedere l’indennità di occupazione anche dopo la costituzione della servitù, qualora sia richiesta dal proprietario. Pertanto, in forza di detta normativa Tizio chiedeva di percepire l’indennità di occupazione per l’installazione dell’armadietto che non era mai stata corrisposta.

 

5. La cabina va rimossa

Il Giudice adito pronunciandosi sul caso ha affermato che le servitù volontarie possono essere costituite esclusivamente, ex articolo 1058 Codice Civile, per contratto o per testamento, oltre che nei modi di cui all’articolo 1031 co. 2 Codice Civile, escludendo che la scrittura privata possa costituire valido atto di acquisto della servitù non avendo la stessa natura contrattuale e non recando la puntuale indicazione dei vincoli e degli elementi essenziali del diritto reale

Quindi, in carenza della necessità e/o della richiesta del proprietario o dei condomini dello stabile, deve applicarsi l’articolo 233 D.P.R. 156/1973 secondo cui le servitù occorrenti al passaggio con appoggio dei fili, dei cavi e degli impianti connessi alle opere sul suolo, nel sottosuolo o sull’area soprastante, sono imposte, in mancanza del consenso del proprietario ed anche se costituite su beni demaniali, con decreto del prefetto, ai sensi dell’articolo 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359. Conseguentemente, in assenza di consenso del proprietario dell’immobile, occorre attivare una procedura amministrativa, la cui autorizzazione prefettizia è subordinata all’esistenza di un interesse nazionale a favorire la diffusione delle infrastrutture di telecomunicazione.

Alla luce di quanto esposto, nel caso de quo, mancando il consenso e/o il provvedimento amministrativo, rilevata una turbativa al diritto di proprietà di Tizio, il Tribunale di Napoli con sentenza n. 984/2021 ha dichiarato l’inesistenza di alcun diritto di Beta S.p.A. di apporre e mantenere la cabina in oggetto sull’immobile condannandola all’immediata rimozione, a sua cura e spese, dell’opera e di tutto il materiale ivi contenuto nonché al ripristino dello stato dei luoghi.

Avendo la domanda ad oggetto, altresì, la richiesta risarcitoria relativa ad un illecito a carattere permanente, il Giudice ha affermato il principio secondo cui si considera sussistente e non prescritto il diritto al risarcimento, che sorge con l’inizio del fatto illecito generatore del danno e con questo persiste nel tempo, rinnovandosi di momento in momento relativamente agli ultimi cinque anni antecedenti alla proposizione della domanda.

Tutte le ulteriori domande proposte, invece, sono state assorbite in quanto proposte in via gradata per il caso di mancato accoglimento della negatoria servitutis.

 

6. Conclusioni

Illustrata la fattispecie, ai fini della legittima costituzione della servitù telefonica, è necessario un valido consenso del proprietario espresso per contratto o per testamento (ex articolo 1058 Codice Civile e 1031 co. 2 Codice Civile) o, in mancanza, occorre attivare una procedura amministrativa la cui autorizzazione prefettizia, ex articolo 46 della Legge 25/06/1865 n. 2359, è subordinata all’esistenza di un interesse nazionale a favorire la diffusione delle infrastrutture di comunicazione. 

In assenza degli anzidetti presupposti e/o requisiti, si ravvisa l’inesistenza di alcun diritto della compagnia telefonica di apporre e mantenere una cabina/armadietto in un immobile di proprietà esclusiva.

In ordine alla domanda risarcitoria e all’eccezione di prescrizione, invece, la presenza di un’opera rappresentando un illecito a carattere permanente, non prescrive il diritto al risarcimento che si rinnova di momento in momento.

Per concludere, si evidenzia che per ottenere la rimozione della cabina catalyst e di tutto il materiale ivi contenuto, con conseguente ripristino dello stato dei luoghi e domanda di risarcimento danni, occorre esperire un’actio negatoria servitutis secondo l’articolo 949 Codice Civile. Azione che può essere edotta sia in presenza di turbative o molestie sul bene sia per l’accertamento dell’inesistenza di diritti di terzi.      

Letture consigliate:

Cass. SS. UU., sentenza n. 2724 del 14/03/1991

Cass. Civ., sentenza del 20/11/1993 n. 11474

Tribunale di Lecce, Sez. civile, sentenza n. 271 del 22/01/2013

Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 27564 del 31/12/2014

Articolo 91 e 92 D.lgs. 259/2003

Articolo 233, 234 e 237 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156

Articolo 46 della Legge 25/06/1865 n. 2359

Artt. 1027, 1031, 1058 e 949, 2043 e 2395 Codice Civile