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Diritto di pagare il prezzo esposto. Rimedi esperibili in caso di applicazione di un prezzo diverso da quello esposto

Tutela consumatori
Tutela consumatori

Abstract

Il consumatore ha il diritto di pagare il prezzo esposto sullo scaffale o sul cartellino e poco importa se il commerciante non abbia “avuto il tempo di modificare il prezzo” o “abbia riscontrato un errore di stampa o trascrizione”. Qualora corrisponda un prezzo maggiorato, il consumatore ha diritto alla restituzione dell’eccedenza versata e, quindi, al rimborso della differenza di prezzo in contanti, non potendo avvenire con “buoni spesa”.

 

Indice:

1. Pubblicità dei prezzi ed esenzioni

2. Diritto di pagare il prezzo esposto

3. Errore riconoscibile

4. Rimedi

 

1. Pubblicità dei prezzi ed esenzioni

Preliminarmente, occorre chiarire che i commercianti hanno l’obbligo di indicare i prezzi dei prodotti, in modo chiaro, univoco e ben leggibile, mediante l’uso di un cartello o con altre modalità idonee, al fine di consentire al consumatore di conoscerlo e di decidere se acquistarlo o meno.  

Il Codice del consumo, Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, nel recepire la Direttiva 98/6/UE, agli articoli 14-17, al fine di migliorare l’informazione del consumatore e di agevolare il raffronto dei prezzi, prevede che i prodotti offerti dai commercianti ai consumatori devono indicare il prezzo di vendita e quello per unità di misura (esempio €/m, E/l €/kg), fatto salvo per i seguenti prodotti commercializzati:

a) sfusi che possono essere venduti a pezzo o a collo; b) di diversa natura posti in una stessa confezione; c) nei distributori automatici; d) destinati ad essere mescolati per una preparazione e contenuti in un unico imballaggio; e) preconfezionati esentati dall’obbligo di indicazione della quantità netta; f) alimenti precucinati o preparati o da preparare, costituiti da due o più elementi separati, contenuti in un unico imballaggio, che necessitano di lavorazione da parte del consumatore per ottenere l’alimento finito; g) prodotti di fantasia; h) gelati monodose; i) prodotti non alimentari che possono essere venduti unicamente al pezzo o a collo.

Essendo sorti dei dubbi interpretativi circa la modalità di informazione relativa all’indicazione dei prezzi dei prodotti offerti in vendita da parte dei commercianti, per le suindicate lettere a), f) e g), il Ministero dello Sviluppo Economico, con risoluzione n. 96410 del 19/06/2015, ha chiarito che, con riferimento alla lettera:

a) s’intendono prodotti sfusi quelli concernenti le merci a peso netto venduti a pezzo o a collo, rinviando, ai fini della individuazione dei medesimi, alla legge 5 agosto 1981, n. 441 e al  D.M. 21 dicembre 1984, nonché ai criteri interpretativi forniti in proposito dal Ministero dell’industria con circolare n. 3082 del 1 ottobre 1985;

f)  gli alimenti precucinati o preparati o da preparare, sono riferiti a fattispecie diverse, anche se parzialmente coincidenti. Gli alimenti precucinati, che sono stati sottoposti a trattamenti di cucina e non a trattamenti termici volti alla mera conservazione possono essere già pronti per il consumo diretto non necessitando di alcun intervento ulteriore da parte del consumatore; quelli appartenenti alle categorie degli alimenti preparati o da preparare possono, invece, non essere precucinati. Il requisito “contenuti nello stesso imballaggio” si riferisce alle tre fattispecie e comporta una duplice conseguenza: da un lato che non può consentirsi una pluralità di prodotti alimentari posti in vendita in confezioni distinte anche se tendenti alla preparazione del medesimo alimento; dall’altro, la necessità che ciascuna confezione contenga una pluralità di elementi.

g) i prodotti di fantasia sono considerati quelli in cui l’apporto della “fantasia” deve essere tale da conferire loro una esclusività che li rende non confrontabili né sostituibili con altro prodotto, con riferimento alle motivazioni di acquisto del consumatore medio, e da rendere pertanto non significativa l’indicazione del prezzo unitario. La sostituibilità del prodotto va riferita ad un criterio funzionale e cioè alla idoneità di prodotti diversi a soddisfare lo stesso tipo di bisogno e va intesa quindi non soltanto tra i prodotti della stessa specie, ma ampliata a prodotti simili, ossia dello stesso genere, che possano presentare caratteri oggettivi di sostituibilità per il consumatore. I criteri della confrontabilità e della sostituibilità dei prodotti nel senso suindicato riguardano la loro presentazione e la loro composizione, nei casi in cui l’elemento qualitativo-compositivo consente di attribuire al prodotto un richiamo che fa prescindere la domanda dello stesso dal suo elemento qualitativo, o i due elementi nei casi di compresenza (…). La circolare del Ministero dell’industria del 19 marzo 1986, n. 3101 precisa che rientrano nella nozione di prodotti di fantasia “cioccolatini, praline e uova”, nonché devono “… essere ricondotte alla nozione di prodotti di fantasia in genere tutte le piccole confezioni dolciarie o snaks (sticks, bustine e contenitori tascabili di caramelle di vario tipo e chewing-gum, torroncini, figure di zucchero, merendine, snacks dolci e salati (…) ricomprese entro il limite massimo di 80 grammi”.

In merito alle modalità di esposizione del prezzo e le sanzioni da irrogare in caso di sua omissione, il codice del consumo richiama il Decreto Legislativo 31/03/1998 n. 114, aggiornato al Decreto Legislativo 26/03/2010 n. 59, come modificato dal Decreto Legislativo 6/08/2012 n. 147.  

Più precisamente, l’articolo 14 prevede che “i prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all’ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell’esercizio o su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque collocati, devono indicare, in modo chiaro e ben leggibile, il prezzo di vendita al pubblico, mediante l’uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo. Quando sono esposti insieme prodotti identici dello stesso valore è sufficiente l’uso di un unico cartello. Negli esercizi di vendita e nei reparti di tali esercizi organizzati con il sistema di vendita del libero servizio l’obbligo dell’indicazione del prezzo deve essere osservato in ogni caso per tutte le merci comunque esposte al pubblico. I prodotti sui quali il prezzo di vendita al dettaglio si trovi già impresso in maniera chiara e con caratteri ben leggibili, in modo che risulti facilmente visibile al pubblico, sono esclusi dall’applicazione del comma 2”.

L’articolo 15, con riferimento alle vendite promozionali (ove l’esercente dettagliante offre condizioni favorevoli, reali ed effettive, di acquisto dei propri prodotti), prevede che lo sconto o il ribasso effettuato dev’essere espresso in percentuale sul prezzo normale di vendita che dev’essere comunque esposto.

Eccezioni alla normativa sono indicate nella circolare ministeriale (Ministero dell’industria commercio e artigianato) n. 3467/C del 28 maggio 1999.

La circolare ministeriale, ai fini della corretta informazione del consumatore e prevenzione della criminalità, prevede che, nel caso di prodotti d’arte e di antiquariato nonché di oreficeria, l’obbligo di pubblicità del prezzo può ritenersi rispettato anche tramite l’utilizzo, sul singolo prodotto, di un cartellino visibile dall’interno dell’esercizio e non dall’esterno.

Altre eccezioni si ravvisano per giornali e riviste ove il prezzo è indicato sulla copertina.

Bar, ristoranti e pubblici esercizi, invece, devono tenere i prezzi esposti in luogo ben visibile al pubblico (ex articolo 180 del Regio Decreto 6 maggio 1940 n. 635).

Nonostante la normativa sia chiara, capita di ritrovarsi innanzi a commercianti che “confidando” nella poca chiarezza del menù e/o listino approfittano dei consumatori.

Difatti, sarà capitato a chiunque al bar o al ristorante, almeno una volta, di seguire le proposte del cameriere senza poter consultare alcun listino prezzi e di ritrovarsi a pagare un conto salato. Oppure di aver pagato un sovrapprezzo per “servizio” al tavolo senza che però tale maggiorazione sia stata indicata. Molti commercianti “giocano” così sulla poca chiarezza danneggiando gli avventori che, invece, hanno il diritto di conoscere i prezzi delle singole voci del menù e di eventuali sovrapprezzi dovuti per servizi al tavolo.

Al fine di scongiurare abusi e/o pratiche scorrette, pertanto, i commercianti devono esporre un cartello con i prezzi, in posizione ben visibile, all’interno del locale e, in caso di sovrapprezzo per servizio al tavolo, fornire tale informazione.

La pronuncia della Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 16/02/2005 n. 3115 ha sancito che l’obbligo di esporre il prezzo di vendita al pubblico si considera violato nel caso in cui venga indicato su un cartellino collocato sotto l’oggetto esposto in vendita, in quanto non consente la diretta visibilità del prezzo che la norma intende garantire.

 

2. Diritto di pagare il prezzo esposto

Nonostante la normativa appaia chiara in materia, sarà capitato a tutti di pagare per un prodotto un prezzo più alto rispetto a quello indicato sul cartellino e/o sullo scaffale, avallando scuse e/o errori del negoziante (quali errori di stampa o di trascrizione).

Come comportarsi in questi casi? Pagare il prezzo diverso imposto, rinunciare al prodotto o pretendere di pagare il prezzo esposto?

Ebbene, in base al combinato disposto dell’articolo 14 Decreto Legislativo 31/03/1998 n. 114 e dell’articolo 1336 Codice Civile, il consumatore ha il diritto di pagare il prezzo esposto sullo scaffale e/o indicato sul cartellino. Ciò vuol dire che il prezzo esposto deve essere lo stesso battuto alla cassa.

La pubblicità del prezzo è una proposta valida a tutti gli effetti e, ai sensi dell’articolo 1336 Codice Civile: quando l’offerta al pubblico contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta (nel caso di specie il prezzo) vale come proposta e, quindi, il contratto si perfeziona con l’accettazione dell’altra parte.

Difatti, ai sensi dell’articolo 1326 Codice Civile, il contratto si ritiene concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Pertanto, il contratto di vendita si perfeziona nel momento in cui l’acquirente, una volta conosciuto il prezzo, esprime la volontà di procedere all’acquisto. Quindi, dovrà considerarsi illegittima la richiesta del commerciante di far pagare un prezzo diverso e più alto rispetto a quello esposto e conosciuto dal compratore.

Pertanto, qualora giunti alla cassa il negoziante imponga di far pagare un prezzo maggiore da quello indicato, il consumatore ha il diritto di pagare il prezzo esposto sullo scaffale e/o sul cartellino e poco importa che il commerciante non abbia “avuto il tempo di modificare il prezzo” o “abbia riscontrato un errore di stampa o trascrizione”.

Non solo, il Codice del consumo e il Decreto Legislativo 02/08/2007 n. 145 precisano che la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta. In caso contrario, la pubblicità, qualora contenga informazioni non rispondenti al vero o induca in errore il consumatore medio, deve considerarsi ingannevole, configurandosi una pratica commerciale scorretta.

L’articolo 22 del Decreto Legislativo 31/03/1998 n. 114 e s.m.i. prevede che chiunque viola le disposizioni di cui all’articolo 14, ovvero per mancata esposizione dei prezzi, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 1000 (€ 516,46) a L. 6000 (€ 3.098,74) e l’autorità competente è il sindaco del comune nel quale hanno avuto luogo le violazioni.

 

3. Errore riconoscibile

L’unica eccezione si ravvisa nel c.d. “errore riconoscibile”. A norma dell’articolo 1431 Codice Civile, si considera tale quello che in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, avrebbe potuto rilevare una persona di normale diligenza. Ciò vale anche per le vendite online.

L’errore riconoscibile si ravvisa quando il prezzo indicato sul cartellino è nettamente inferiore al prezzo di mercato, tanto da dover far sorgere nel consumatore medio il dubbio che si tratta di un errore. Ad esempio, un capo di abbigliamento di un noto marchio del valore di € 1.000,00, venduto a € 10,00 deve far sorgere il dubbio che si tratti di un errore. La riconoscibilità dell’errore, quindi, è valutata caso per caso in base a parametri oggettivi.

 

4. Rimedi

Qualora il consumatore corrisponda un prezzo maggiore rispetto a quello indicato sul cartellino o sulla confezione ha diritto al rimborso della differenza di prezzo in contanti (non potendo avvenire con “buoni spesa” da utilizzare per l’acquisto di altri prodotti), mediante la restituzione dell’eccedenza versata. Richiesta che può essere inoltrata a mezzo raccomandata a/r.

Qualora il commerciante si rifiuti di far pagare il prezzo esposto è possibile rivolgersi all’autorità giudiziaria (presumibilmente, il Giudice di Pace) e segnalare le pratiche commerciali scorrette all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Letture consigliate:

Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 articoli 14-17

Decreto Legislativo 31/03/1998 n. 114, aggiornato al Decreto Legislativo 26/03/2010 n. 59, come modificato dal Decreto Legislativo 06/08/2012 n. 147

Circolare Ministero dell’industria commercio e artigianato n. 3467 / C del 28 maggio 1999

Risoluzione Ministero dello Sviluppo Economico n. 96410 del 19/06/2015

Decreto Legislativo 02/08/2007 n. 145

Regio Decreto 6 maggio 1940 n. 635 articolo 180

Articoli 1326, 1336 e 1431 Codice Civile

Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 16/02/2005 n. 3115