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DIRETTIVA (UE) 2024/825

Consumatore
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DIRETTIVA (UE) 2024/825

 

Introduzione

Con l’entrata in vigore, il 26 marzo 2024, della direttiva (UE) 2024/825[1] vengono introdotte norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e alterano la loro capacità di prendere decisioni d’acquisto consapevoli. Nello specifico la direttiva vuole impedire:

  • Le pratiche associate all’obsolescenza dei beni;
  • Le asserzioni ambientali ingannevoli (cd. greenwashing);
  • Le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali e ambientali dei prodotti.

A questo scopo, la direttiva (UE) 2024/825 ha modificato:

  • La direttiva del 2005/29/CE[2] sulle pratiche commerciali sleali; e
  • La direttiva 2011/83/UE[3] sui diritti dei consumatori.

 

Le modifiche apportate alla Direttiva (UE) 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali

La direttiva 2005/29/CE, che ha armonizzato le leggi degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, è stata modificata agli articoli 6, 7 e all’Allegato I.  

Ai sensi dell’art. 5 par. 2 della direttiva 2005/29/CE, per pratiche commerciali sleali, si intendono quelle pratiche contrarie alle norme di diligenza professionale che falsano o sono idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio. Quest’ultima distingue tra due tipi di pratiche commerciali sleali:

  • Pratiche commerciali ingannevoli (regolate agli articoli 6 e 7, oggetto di modifica della direttiva (UE) 2024/825): pratiche che inducono in errore il consumatore impedendogli, così, di scegliere in modo consapevole ed efficiente; e
  • Pratiche commerciali aggressive (regolate agli articoli 8 e 9): pratiche che limitano considerevolmente la libertà di scelta del consumatore attraverso l’uso di molestie, coercizione, uso della forza fisica e indebito condizionamento.

Le pratiche commerciali ingannevoli si suddividono a loro volta in:

  • Azioni ingannevoli (art.6): pratiche commerciali che contenendo informazioni false o non veritiere, ingannano, o siano idonee a ingannare, il consumatore medio inducendolo a prendere delle decisioni di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso; e
  • Omissioni ingannevoli (art. 7): pratiche commerciali che omettendo informazioni rilevanti, di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, lo inducono ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso.

Infine, all’Allegato I della direttiva 2005/29/CE troviamo l’elenco completo delle pratiche commerciali (sia ingannevoli che aggressive) che sono in ogni caso sleali, senza che sia necessaria una valutazione caso per caso, in deroga alle disposizioni da 5 a 9 di quest’ultima direttiva.

 

La nuova definizione di “asserzione ambientale”

La direttiva (UE) 2024/825 nel modificare la direttiva 2005/29/EC, introduce la nuova definizione di “asserzione ambientale” e di “asserzione ambientale generica”.

Ai sensi dell’art. 2 lett. o) della direttiva 2005/29/EC per “asserzione ambientale” si intende “nel contesto di una comunicazione commerciale, qualsiasi messaggio o rappresentazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o nazionale, in qualsiasi forma, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, quali marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o implica che un dato prodotto, categoria di prodotto, marca o operatore economico ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti, categorie di prodotto, marche o operatori economici oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo”.

Mentre ai sensi dell’art. 2 lett. p) della direttiva 2005/29/EC per “asserzione ambientale generica” si intende “qualsiasi asserzione ambientale formulata per iscritto o in forma orale, anche attraverso media audiovisivi, non inclusa in un marchio di sostenibilità e la cui specificazione non è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo di comunicazione”.

 

​​​​​​​Le modifiche agli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE

Per quanto concerne le modifiche apportate all’art. 6 della direttiva 2005/29/EC, in tema di ‘azioni ingannevoli’, la direttiva (UE) 2024/825 ha aggiunto tra le pratiche commerciali ingannevoli in base ad una valutazione caso per caso:

  • Pratiche che vanno ad ingannare il consumatore in merito alle caratteristiche ambientali e sociali del prodotto o in merito agli aspetti relativi alla circolarità (quali durabilità, riparabilità o riciclabilità) del prodotto;
  • Le asserzioni ambientali relative a prestazioni ambientali future che non siano avvalorate da impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise;
  • Pratiche che pubblicizzino come vantaggi per i consumatori elementi irrilevanti che non derivano dalle caratteristiche del prodotto o dell’impresa.

 

Mentre, per quanto concerne le modifiche apportate all’art. 7 della direttiva 2005/29/CE, in tema di ‘omissioni ingannevoli’, la direttiva (UE) 2024/825 ha imposto agli operatori economici, che forniscano servizi di raffronto fra prodotti, di comunicare al consumatore le informazioni relative al metodo di raffronto, ai prodotti raffrontati e ai fornitori di tali prodotti, nonché alle misure predisposte per tenere aggiornate tali informazioni.

 

​​​​​​​​​​​​​​Le modifiche all’Allegato I della direttiva 2005/29/CE

L’Allegato I della direttiva 2005/29/EC, contenente l’elenco delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali (cd. ‘lista nera’), è stato modificato dalla direttiva (UE) 2024/825.

Quest’ultima ha esteso tale elenco includendovi le pratiche concernenti:

  • Esibizione di un marchio di sostenibilità[4] che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche: è necessario che il marchio soddisfi requisiti minimi di trasparenza e credibilità; pertanto, è necessario un controllo obiettivo della conformità del marchio ai requisiti del sistema di certificazione.
  • Formulazione di un’asserzione ambientale generica in assenza di un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali[5] pertinenti all’asserzione. Esempi di asserzioni ambientali generiche sono: ‘rispettoso dell’ambiente’; ‘amico della natura’; ‘ecologico’.
  • Formulazione di un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico;
  • Formulazione di un’asserzione che sostiene, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra: tali asserzioni danno la falsa impressione ai consumatori che il consumo di tale prodotto non abbia alcun impatto ambientale.
  • Presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico: come quando, ad esempio, l’operatore economico pubblicizzi un prodotto sostenendo che non contenga una determinata sostanza chimica laddove tale sostanza è già vietata per legge in tutta l’Ue per i prodotti di quella categoria.

Per quanto concerne beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali, le pratiche in ogni caso sleali si concretizzano nel:

  • Non informare il consumatore del fatto che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso del contenuto digitale o dei servizi digitali;
  • Presentare come necessario un aggiornamento del software che si limita a migliorare alcune caratteristiche di funzionalità;

Per quanto concerne, invece, le pratiche associate all’obsolescenza precoce o all’obsolescenza precoce programmata[6] si considerano in ogni caso sleali quelle che consistono nel:

  • Dare qualsiasi comunicazione commerciale relativa a un bene contenente una caratteristica introdotta per limitarne la durabilità, nonostante le informazioni sulla caratteristica e sui suoi effetti sulla durabilità del bene siano a disposizione dell’operatore economico;
  • Asserire falsamente che, in condizioni d’uso normali, il bene presenta una determinata durabilità in termini di tempo o intensità d’uso.
  • Presentare il bene come riparabile quando non lo è.
  • Indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del bene prima di quanto sarebbe necessario per motivi tecnici.
  • Non informare che la funzionalità di un bene sarà compromessa dall’utilizzo di materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale, o asserire falsamente che tale compromissione si verificherà.

 

Le modifiche apportate alla Direttiva (UE) 2011/83 sui diritti dei consumatori

Allo scopo di assicurare ai consumatori informazioni precontrattuali, chiare e comprensibili, sulla durabilità[7] riparabilità e disponibilità di aggiornamenti dei prodotti, la direttiva 2024/825, nel modificare la direttiva 2011/83/Ue, ha introdotto:

  • L’obbligo per i professionisti di avvisare i consumatori dell’esistenza della garanzia commerciale di durabilità[8], quando quest’ultima abbia una durata superiore ai due anni e venga offerta senza costi aggiuntivi per il bene nel suo complesso, mediante etichetta armonizzata esposta in modo visibile. L’etichetta armonizzata dovrà, inoltre, contenere un promemoria circa l’esistenza della garanzia legale di conformità, ricordando, così, ai consumatori che essi beneficiano anche di quest’ultima;
  • L’obbligo per i professionisti di fornire un promemoria generale ai consumatori circa l’esistenza della garanzia legale di conformità applicabile a tutti i beni, indicandone gli elementi principali, tra cui la durata minima di due anni, mediante avviso armonizzato. L’avviso armonizzato deve essere esposto in modo visibile (es.: tramite un cartellone affisso su una parete del negozio);
  • L’obbligo per i professionisti di fornire ai consumatori informazioni relative all’esistenza e alle condizioni di servizi postvendita (es.: servizi di riparazione), quando previsti;
  • L’obbligo per i professionisti di fornire l’indice di riparabilità del bene[9], quando stabilito a livello Ue. Qualora tale indice non sia stabilito a livello Ue, i professionisti devono fornire le altre informazioni attinenti alla riparazione messe a disposizione dal produttore.

Per quanto concerne, invece, beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali i professionisti avranno l’obbligo di:

  • Fornire ai consumatori un promemoria circa l’esistenza della garanzia legale di conformità per il contenuto digitale e i servizi digitali; e
  • Informare i consumatori del periodo minimo nel quale il produttore o fornitore si impegna a fornire aggiornamenti del software.

Infine, entro il 27 settembre 2025, la Commissione europea, attraverso l’adozione di atti delegati, dovrà specificare il formato e il contenuto sia dell’avviso armonizzato che dell’etichetta armonizzata.

 

Trasposizione ed entrata in vigore

La direttiva (UE) 2024/825, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue il 6 marzo 2024, entrerà in vigore il 26 marzo 2024. Gli Stati membri dovranno recepirla nei vari ordinamenti nazionali entro il 27 marzo 2026, ma le disposizioni saranno applicabili solo dal 27 settembre 2026.

Inoltre, entro il 27 settembre 2031, la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione concernente l’applicazione di tale direttiva, con particolare attenzione all’efficacia dell’etichetta armonizzata e dell’avviso armonizzato.

 

[1] Direttiva 2024/825/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2024 che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione.

[2] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[3] Direttiva 2011/83/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.

[4] Ai sensi dell’art. 2, lett. q) della direttiva 2005/29/CE: «“marchio di sostenibilità”: qualsiasi marchio di fiducia, marchio di qualità o equivalente, pubblico o privato, avente carattere volontario, che mira a distinguere e promuovere un prodotto, un processo o un’impresa con riferimento alle sue caratteristiche ambientali o sociali oppure a entrambe, esclusi i marchi obbligatori richiesti a norma del diritto dell’Unione o nazionale».

[5] Ai sensi dell’art. 2, lett. s) della direttiva 2005/29/CE: «“eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali”: prestazioni ambientali conformi al regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio (*), a un sistema nazionale o regionale di assegnazione di marchi di qualità ecologica di tipo I in conformità della norma EN ISO 14024, ufficialmente riconosciuto negli Stati membri, oppure conformi alle migliori prestazioni ambientali ai sensi delle altre disposizioni applicabili del diritto dell’Unione».

[6] Ai sensi del considerando n. 16 della direttiva 2024/825/Ue per obsolescenza precoce e obsolescenza precoce programmata si intende: «politica commerciale che comporta la pianificazione o la progettazione deliberata di un prodotto con una durata di vita limitata, affinché giunga prematuramente ad obsolescenza o smetta di funzionare dopo un determinato periodo o dopo un’intensità d’uso predeterminata».

[7] Ai sensi dell’art.2, punto 13, della direttiva 2019/771/Ue: «“durabilità”: la capacità dei beni di mantenere le loro funzioni e prestazioni richieste attraverso un uso nomale».

[8] Ai sensi dell’art.2, punto 14 bis, della direttiva 2011/83/Ue: «“garanzia commerciale di durabilità”: una garanzia commerciale di durabilità del produttore di cui all’articolo 17 della direttiva (UE) 2019/771, in base alla quale il produttore è responsabile direttamente nei confronti del consumatore per la riparazione o la sostituzione dei beni nell’arco di tutto il periodo di durata della garanzia commerciale di durabilità in conformità dell’articolo 14 della direttiva (UE) 2019/771, qualora i beni non mantengano la propria durabilità».

[9] Ai sensi dell’art. 2, punto 14 quinquies, della direttiva 2011/83/Ue: «“indice di riparabilità”: l’indice che esprime l’idoneità di un bene ad essere riparato sulla base di requisiti armonizzati stabiliti a livello dell’Unione».