Decreto Trasparenza: l’atteso chiarimento è poco chiaro!
Abstract:
Sono ormai diffusi strumenti da cui il datore può trarre informazioni rilevanti per orientare scelte strategiche e organizzative, con evidenti ricadute su diritti e libertà dei lavoratori. Sull’impiego di tali strumenti, la normativa si sta evolvendo e la volontà del legislatore nazionale è di aderire a quanto previsto in ambito europeo, attuando una lodevole azione di coordinamento tra le diverse leggi già applicabili. L’intento non era certo di complicare il quadro normativo, ma le novità in materia di trasparenza informativa richiedono un doveroso chiarimento applicativo.
Indice
Decreto trasparenza: gli obblighi del datore di lavoro rispetto al contesto “tecnologico” aziendale
Decreto trasparenza: e dal punto di vista operativo?
Decreto trasparenza: i sistemi di monitoraggio automatizzato
Decreto trasparenza: la metrica di misurazione dei sistemi automatizzati
Sono finalmente giunti, dall’INL[1] e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali[2], i tanto agognati chiarimenti sull’applicazione pratica delle nuove modifiche introdotte dal Decreto Trasparenza al D. Lgs 26 maggio 1997 n.152.
Dalla lettura delle note, tuttavia, emerge un quadro meno esaustivo rispetto quello che ci si sarebbe aspettati e anzi, sorgono diversi dubbi di carattere interpretativo relativi a concetti espressi - forse - in maniera a dir poco approssimativa.
Giova premettere che l’introduzione del c.d. Decreto Trasparenza[3], emanato in attuazione della Direttiva (EU) 2019/1152 con l’obiettivo di aumentare trasparenza e prevedibilità nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, ha già dalla sua emanazione sollevato diverse criticità in ordine alle modalità operative per la sua applicazione.
Ovviamente, la volontà del legislatore italiano non era certo quella di complicare il quadro normativo, ma di aderire all’invito presente nella Direttiva (vedasi al riguardo il Considerando 25[4]) anche nel solco dell’art. 88 del GDPR[5].
Pertanto, con una lodevole azione di coordinamento tra le diverse leggi già applicabili, è stata modificata la normativa di riferimento in materia di trasparenza informativa (il D. Lgs 26 maggio 1997, n. 152) introducendo, tra le diverse novità, l’art. 1-bis[6]. Norma su cui, peraltro, da più parti si auspicava un doveroso chiarimento.
Decreto trasparenza: gli obblighi del datore di lavoro rispetto al contesto “tecnologico” aziendale
In ordine a tali strumenti, da cui il datore possa trarre informazioni rilevanti attinenti alla prestazione e che, dunque, possono incidere sulle scelte organizzative, seppur con evidenti ricadute su diritti e libertà dei lavoratori, egli è chiamato a rendere specifiche notizie, analiticamente previste dalla stessa normativa modificata, ovvero:
- gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l'utilizzo dei sistemi di cui al comma 1;
- gli scopi e le finalità dei sistemi di cui al comma 1 (n.d.r. decisionali o di monitoraggio automatizzati);
- la logica ed il funzionamento dei sistemi di cui al comma 1;
- le categorie di dati e i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi di cui al comma 1, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni;
- le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, gli eventuali processi di correzione e il responsabile del sistema di gestione della qualità;
- il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza dei sistemi di cui al comma 1 e le metriche utilizzate per misurare tali parametri, nonché gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse.[7]
Decreto trasparenza: e dal punto di vista operativo?
Non ci si soffermerà sulla nota dell’INL che poco aggiunge alle questioni di natura interpretativa, fornendo solo qualche spunto di carattere tecnico e comunque parziale, dato l’esplicito rinvio - al suo interno - ad un successivo e ulteriore intervento chiarificatore.
La nota del Ministero, invece, si presta a qualche doverosa osservazione circa il concetto di “sistema automatizzato decisionale o di monitoraggio”.
Tale Circolare (certamente più interessante sotto il profilo interpretativo, rispetto quella dell’INL), se dapprima fornisce elementi utili a inquadrare il concetto di “sistema decisionale automatizzato” - certamente più di quanto avesse fatto la formulazione usata dalla norma - , dall’altra fa sorgere qualche dubbio sulla definizione di “sistema di “monitoraggio automatizzato” precisando che: “Discorso a parte merita, invece, la previsione sub b), riguardante «le indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori». Anche in questa ipotesi il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il lavoratore dell’utilizzo di tali sistemi automatizzati, quali – a puro titolo di esempio: tablet, dispositivi digitali e wearables, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking, etc.”
Ora, ci si chiede, come mai debba considerarsi tout court un tablet o un dispositivo digitale come sistemi di monitoraggio.
Ovvero, come mai si è intervenuti in una nota di natura interpretativa elencando una serie di strumenti hardware e non invece il criterio, o i criteri, di funzionamento che identifica un sistema automatizzato decisionale o di monitoraggio, quindi permeato da logiche algoritmiche.
Non si comprende, infatti, come nella nota del Ministero si consideri lo strumento in sé anziché la sua funzione.
Il rischio di una così “leggera” indicazione potrebbe essere quella di assimilare, senza alcuna pertinenza o criterio, qualsiasi tablet aziendale ad un “sistema di monitoraggio automatizzato” quando in realtà così non è o – almeno - così non è, sempre.
Decreto trasparenza: i sistemi di monitoraggio automatizzato
Al riguardo, e per dare sostegno al dubbio che qui si solleva, deve ragionarsi su cosa si intenda per “sistema di monitoraggio automatizzato”.
Deve premettersi che se sul concetto di “sistema decisionale automatizzato” o automated decision-making la nota ministeriale, seppur fomenti ulteriori dubbi - di cui però ci occuperemo secondariamente -, nel suo inquadramento non pare discostarsi dalla definizione già abbracciata dalla normativa europea, in ambito data protection, e dalle relative Linee Guida[8], sul concetto di monitoraggio deve farsi invece qualche opportuna riflessione.
Nella Circolare, infatti, pare farsi semplicemente una maldestra sintesi di un passaggio del Parere 2/2017 sul trattamento dei dati sul posto di lavoro adottato l'8 giugno 2017 (WP29, ora EDPB) che al punto 5) descrive diversi scenari e strumenti tecnici di monitoraggio dei lavoratori derivanti dall’impiego di diverse tecnologie, che forse per comodità espositiva (si spera!) si sintetizzano nella nota ministeriale con il termine “tablet”, tralasciando, se proprio di device (hardware) deve parlarsi, di includere, magari con una esplicita menzione, gli smartphone (sia nelle declinazioni d’uso del BYOD, CYOD, COPE, COBO ecc.) e i laptop.
Pertanto, un primo dubbio sorge, con evidenti effetti in ambito interpretativo, sul perché tra gli esempi si sia menzionato solo il tablet e non anche altri device aziendali.
Ora, però, seppur accettabile la leggerezza della Circolare (parla di tablet ma “a titolo di esempio”) non si comprende perché si faccia un’espressa menzione di più tipi di hardware ma non si forniscono ulteriori criteri interpretativi per perimetrare invece i “sistemi di monitoraggio” sotto il profilo del software magari ampliando il concetto già espresso dall’art. 1-bis.
Forse si rimanda implicitamente alla normativa europea summenzionata e ai documenti d’ausilio interpretativo, ma perché non richiamarla in toto piuttosto che fornire un quadro non esaustivo e addirittura fuorviante che rimandi erroneamente al concetto di hardware, considerato in maniera onnicomprensiva e senza un rigore metodologico, piuttosto che al concetto di software?
E pensare che sarebbe bastato valorizzare con qualche ulteriore chiarimento il secondo passaggio della Circolare, dove si precisa che: “Si deve ritenere che l’obbligo informativo introdotto dal citato articolo 1-bis del D. lgs. n. 152/1997 trovi applicazione anche in relazione all’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati integrati negli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, allorquando presentino le caratteristiche tecniche e le funzioni descritte in precedenza.”
In tal modo, anche solo fornendo qualche criterio interpretativo alle “caratteristiche tecniche e le funzioni(...)”, limitando al meglio la finalità del sistema e quindi la logica del software, si sarebbe potuta agevolare l’applicazione della norma a quei contesti ad alto tasso tecnologico - sempre più frequenti, per esempio, in ambito HR- dove l’uso di sistemi di monitoraggio dei lavoratori sono rinvenibili nelle funzioni del software, più che nell’uso di un tipo di hardware.
Decreto trasparenza: la metrica di misurazione dei sistemi automatizzati
Un ultimo dubbio, riguardo la nota ministeriale, sorge in relazione alla definizione di “sistema” parzialmente o totalmente automatizzato, per cui la nota si limita a dire che: “si può ritenere che per sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati si intendono quegli strumenti che, attraverso l’attività di raccolta dati ed elaborazione degli stessi effettuata tramite algoritmo, intelligenza artificiale, ecc., siano in grado di generare decisioni automatizzate. Nell’ipotesi descritta, l’obbligo dell’informativa sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio”.
Cosa deve intendersi per “meramente accessorio”; potrebbe voler dire che anche la fase di semplice consultazione dei dati di output sia da considerarsi come fase del processo? Quale metrica deve utilizzarsi per misurare quel “meramente accessorio”? E rispetto a quale elemento misurare il carattere di accessorietà? Forse in relazione alla decisione?
Per sistema di monitoraggio, e per come pare desumersi dalla Circolare, la norma deve quindi riferirsi ai sistemi anche parzialmente automatizzati?[9] Oppure con quel “meramente accessorio” deve riferirsi a quei processi “interamente automatizzati” dove l’intervento umano è minimizzato o quasi inconferente?
Certamente, nel caso in esame, una linea interpretativa è legata al concetto di funzione e finalità dell’intero processo/sistema, sia esso di monitoraggio o decisionale, con l’uso di un criterio/regola che possa, in base allo scopo, definire il perimetro dello stesso, per poi poterlo suddividere in fasi e verificare l’effettiva incidenza del fattore umano ove esistente.
Ma non è così semplice.
Ciò potrebbe comportare qualche questione controversa, sempre con riguardo all’ambito di applicazione della norma, generando anomalie proprio sul perimetro del processo/sistema da considerarsi come “decisionale o di monitoraggio” dove maglie così larghe potrebbero determinare un danno ai diritti e alle libertà dei lavoratori, poiché non adeguatamente informati e quindi tutelati.
Pertanto, seppur ricevuto qualche chiarimento, questo non appare soddisfacente, poiché si continua a lasciare in capo ai datori di lavoro l’arduo compito di valutare caso per caso e tramite un alto livello di competenza tecnica il sistema automatizzato (che, come detto, non è tanto l’hardware, ma la funzione e la logica alla base dello scopo da perseguire).
Il vero problema è che tale valutazione - rimessa in capo ai datori di lavoro - viene demandata dal legislatore in assenza di puntuali criteri interpretativi oggettivi e con margini di discrezionalità eccessivi, con il rischio concreto che lavoratori in situazioni analoghe vengano tutelati in maniera sensibilmente diversa.