Tribunale di Alessandria: riconoscimento al padre libero professionista dell’indennità di maternità al posto della madre

[Per gentile concessione di www.avvocatidifamiglia.net]

IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA

IN PERSONA DEL GIUDICE UNICO per le controversie da trattarsi col rito del lavoro

Dottoressa Francesca Luppi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 591/09 R.G.

promossa da:

Tizio rappresentato e difeso dall’avv.to Gabriella Contiero elettivamente domiciliato in Novi Ligure via San Giovanni Bosco n. 3

RICORRENTE

CONTRO

CASSA NAZIONALE DI ASSISTENZA E PREVIDENZA FORENSE con sede in Roma, in persona del Vice Presidente Vicario Avv.to Paolo Rosa, rappresentata e difesa dall’avv.to Agostino Pacchiana Parravicini ed elettivamente domiciliata in Ovada via Piave n. 21 presso lo studio dell’avv.to Silvia Ferrari, per procura in atti

RESISTENTE

avente ad oggetto: pagamento dell’indennità di maternità

assegnata in discussione all’udienza del 6.02.2008 sulle seguenti conclusioni di merito

per la parte ricorrente:

“voglia il Tribunale riconoscere al ricorrente libero professionista iscritto alla Cassa di Previdenza Avvocati in alternativa ed in sostituzione della madre il diritto alla indennità di maternità-paternità prevista dalla normativa a tutela delle famiglie di lavoratori secondo la lettura coerente con i principi costituzionali di cui alla sentenza n. 385 del 14.10.2005 della Corte Costituzionale con la conseguente condanna della Cassa di Previdenza alla corresponsione di quanto dovuto”

Per la parte resistente:

“Respingersi il ricorso avversario in quanto infondato in fatto e in diritto; in subordine dichiararsi che non spetta al ricorrente il cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria e per il solo caso in cui il Giudice ritenga di dover emettere sentenza di condanna ridursi l’importo ex adverso richiesto escludendo il cumulo tra rivalutazione e interessi”

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’art. 70 D.lgs 151/2001 prevede che alle libere professioniste iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa.

L’articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, unitamente all’art. 72, nella parte in cui non prevede il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima (Corte Costituzionale 11-14 ottobre 2005 n. 385).

Non è in contestazione il fatto che il ricorrente sia iscritto all’Albo del foro di Genova dal 1.1.1999 né il fatto che in data 24.9.2004 tempestivamente abbia chiesto la liquidazione in suo favore dell’indennità.

La questione giuridica da affrontare riguarda il riconoscimento della indennità anche al padre sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del T.U. 151/2001.

Obietta la Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense che la sentenza n. 385/2005 della Corte Costituzionale si riferisce esclusivamente ai casi di adozione o affido e non al parto naturale e che il dlgs n. 151/2001 ha testualmente riconosciuto il diritto all’indennità esclusivamente al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente. Inoltre evidenzia che nella sentenza n. 385/2005 è precisato che “nel rispetto di principi sanciti da questa Corte rimane dunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre una adeguata tutela”. Da quest’ultimo passaggio ricava che la pronuncia abbia natura additiva in principio e quindi non abbia natura precettiva, implicando la necessità di un successivo intervento legislativo che la renda applicabile.

In primo luogo si deve evidenziare che l’esigenza di assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione consacrata negli artt. 31 e 37 della Costituzione ha determinato un progressivo ampliamento alla fattispecie tutelate, al culmine del quale può essere collocata la legge n. 379 del 1990, la quale sancisce il diritto delle libere professioniste ad una indennità in caso di maternità, di adozione, di affidamento preadottivo e di aborto. I passaggi legislativi fondamentali di questo processo sono stati: la legge 30 dicembre 1971 n. 1024 (tutela della lavoratrice madre), la legge 29 dicembre 1987 n .548 (indennità di maternità delle lavoratrici autonome) e, infine la legge 11 dicembre 1990 n. 379 (indennità di maternità per le libere professioniste). Con la legge n. 1204/1971 è prevista, tra l’altro, l’astensione dal lavoro della lavoratrice dipendente nei due mesi antecendenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi la nascita del bambino, quale diretta conseguenza del divieto imposto dalla normativa al datore di lavoro di adibire la stessa al lavoro nel periodo indicato; durante l’astensione obbligatoria la lavoratrice ha diritto ad una indennità pari all’ottanta per cento della retribuzione.

Le successive leggi 548/1987 e 379/1990 prevedono entrambe, rispettivamente per le lavoratrici autonome e per le libere professioniste, una indennità in caso di maternità (comprendente i due mesi precedenti la data presunta del parto ed i tre mesi successivi alla nascita del bambino) o in caso di adozione, affidamento preadottivo, di aborto spontaneo o terapeutico.

Entrambe le leggi indicate non contengono alcun riferimento ad un obbligo in base al quale, durante i periodi precedenti e successivo al parto considerati, le lavoratrici autonome e le libere professioniste si debbano astenere da ogni attività a tutela della propria salute e di quella del bambino, limitandosi a prevedere un’indennità “per i periodi di gravidanza a puerperio”.

Neppure nei lavori parlamentari preparatori della legge n. 379/90 vi è alcun accenno ad una astensione dal lavoro delle libere professioniste nei periodi di gravidanza e puerperio in cui è prevista l’indennità di maternità.

Ciò consente di ritenere che l’indennità abbia natura di sostegno economico in un momento particolarmente delicato del nucleo familiare, e che per la sua corresponsione non sia richiesta né l’astensione dal lavoro né la diminuzione del reddito.

Il parto naturale, l’adozione, l’affidamento sono situazioni riconosciute meritevoli di tutela in considerazione della necessità che i genitori soddisfino le esigenze primarie del bambino.

L’evoluzione legislativa, di cui si sono sopra evidenziati i passaggi, non consente di discriminare in termini di tutela il lavoro autonomo da quello subordinato.

Nella pronuncia n. 385/2005 della Consulta si sottolinea la centralità della tutela del minore e l’attuazione della stessa attraverso la presenza delle figure genitoriali che assicurano il soddisfacimento dei bisogni fisiologici e delle esigenze affettive e relazionali alle quali è collegato lo sviluppo della personalità.

È evidente perciò che non hanno ragione di essere le distinzioni tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo né tra adozione e parto naturale.

Il legislatore e la giurisprudenza costituzionale hanno esteso la tutela prevista per la maternità e paternità biologica alla maternità e paternità adottiva e i principi costituzionali che consacrano i diritti della famiglia non possono che essere i medesimi.

Quanto alla difesa svolta dalla parte resistente in ordine alla necessità di un intervento del legislatore si osserva che le pronunce additive di principio contengono un principio di diritto che può orientare sia l’azione del legislatore che l’attività interpretativa del giudice.

Nel caso di specie il Giudicante ritiene di condividere l’orientamento di altri giudici di merito che hanno aderito ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle sopracitate norme.

In quest’ottica il diritto del ricorrente deve essere pacificamente riconosciuto.

Atteso che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense uno degli enti trasformati dal D.lgs n. 509(94 in fondazioni in quanto non destinatari di finanziamenti pubblici non appare applicabile la norma di cui all’art. 16 VI c. L. n, 412/1991. Infatti tale norma trova giustificazione nella misura in cui assolve ad esigenze di finanza pubblica, esigenze che non riguardano la fondazione Cassa Nazionale Previdenza Avvocati, in quanto si tratta di un ente privato non destinatario di finanziamenti pubblici.

In conteggio operato dalla parte ricorrente, supportato dalla documentazione sul reddito del ricorrente, non è stato contestato ed è immune da vizi.

Ne consegue la condanna della Cassa alla corresponsione della somma di € 4.937,33 oltre accessori di legge.

Il pagamento delle spese segue la soccombenza.

p.q.m.

visti gli artt. 429, 281 sexies cpc

accoglie il ricorso e per l’effetto condanna la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense a corrispondere al ricorrente la somma di € 4.937,33 oltre interessi e rivalutazione.

Condanna la parte resistente a rimborsare le spese del presente giudizio che si liquidano in € 1.300 di cui 900 per onorari, oltre accessori di legge.

Alessandria, 27 maggio 2010.

Il Giudice

Dottoressa Francesca Lippi

[Per gentile concessione di www.avvocatidifamiglia.net]

IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA

IN PERSONA DEL GIUDICE UNICO per le controversie da trattarsi col rito del lavoro

Dottoressa Francesca Luppi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 591/09 R.G.

promossa da:

Tizio rappresentato e difeso dall’avv.to Gabriella Contiero elettivamente domiciliato in Novi Ligure via San Giovanni Bosco n. 3

RICORRENTE

CONTRO

CASSA NAZIONALE DI ASSISTENZA E PREVIDENZA FORENSE con sede in Roma, in persona del Vice Presidente Vicario Avv.to Paolo Rosa, rappresentata e difesa dall’avv.to Agostino Pacchiana Parravicini ed elettivamente domiciliata in Ovada via Piave n. 21 presso lo studio dell’avv.to Silvia Ferrari, per procura in atti

RESISTENTE

avente ad oggetto: pagamento dell’indennità di maternità

assegnata in discussione all’udienza del 6.02.2008 sulle seguenti conclusioni di merito

per la parte ricorrente:

“voglia il Tribunale riconoscere al ricorrente libero professionista iscritto alla Cassa di Previdenza Avvocati in alternativa ed in sostituzione della madre il diritto alla indennità di maternità-paternità prevista dalla normativa a tutela delle famiglie di lavoratori secondo la lettura coerente con i principi costituzionali di cui alla sentenza n. 385 del 14.10.2005 della Corte Costituzionale con la conseguente condanna della Cassa di Previdenza alla corresponsione di quanto dovuto”

Per la parte resistente:

“Respingersi il ricorso avversario in quanto infondato in fatto e in diritto; in subordine dichiararsi che non spetta al ricorrente il cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria e per il solo caso in cui il Giudice ritenga di dover emettere sentenza di condanna ridursi l’importo ex adverso richiesto escludendo il cumulo tra rivalutazione e interessi”

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’art. 70 D.lgs 151/2001 prevede che alle libere professioniste iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa.

L’articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, unitamente all’art. 72, nella parte in cui non prevede il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima (Corte Costituzionale 11-14 ottobre 2005 n. 385).

Non è in contestazione il fatto che il ricorrente sia iscritto all’Albo del foro di Genova dal 1.1.1999 né il fatto che in data 24.9.2004 tempestivamente abbia chiesto la liquidazione in suo favore dell’indennità.

La questione giuridica da affrontare riguarda il riconoscimento della indennità anche al padre sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del T.U. 151/2001.

Obietta la Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense che la sentenza n. 385/2005 della Corte Costituzionale si riferisce esclusivamente ai casi di adozione o affido e non al parto naturale e che il dlgs n. 151/2001 ha testualmente riconosciuto il diritto all’indennità esclusivamente al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente. Inoltre evidenzia che nella sentenza n. 385/2005 è precisato che “nel rispetto di principi sanciti da questa Corte rimane dunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre una adeguata tutela”. Da quest’ultimo passaggio ricava che la pronuncia abbia natura additiva in principio e quindi non abbia natura precettiva, implicando la necessità di un successivo intervento legislativo che la renda applicabile.

In primo luogo si deve evidenziare che l’esigenza di assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione consacrata negli artt. 31 e 37 della Costituzione ha determinato un progressivo ampliamento alla fattispecie tutelate, al culmine del quale può essere collocata la legge n. 379 del 1990, la quale sancisce il diritto delle libere professioniste ad una indennità in caso di maternità, di adozione, di affidamento preadottivo e di aborto. I passaggi legislativi fondamentali di questo processo sono stati: la legge 30 dicembre 1971 n. 1024 (tutela della lavoratrice madre), la legge 29 dicembre 1987 n .548 (indennità di maternità delle lavoratrici autonome) e, infine la legge 11 dicembre 1990 n. 379 (indennità di maternità per le libere professioniste). Con la legge n. 1204/1971 è prevista, tra l’altro, l’astensione dal lavoro della lavoratrice dipendente nei due mesi antecendenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi la nascita del bambino, quale diretta conseguenza del divieto imposto dalla normativa al datore di lavoro di adibire la stessa al lavoro nel periodo indicato; durante l’astensione obbligatoria la lavoratrice ha diritto ad una indennità pari all’ottanta per cento della retribuzione.

Le successive leggi 548/1987 e 379/1990 prevedono entrambe, rispettivamente per le lavoratrici autonome e per le libere professioniste, una indennità in caso di maternità (comprendente i due mesi precedenti la data presunta del parto ed i tre mesi successivi alla nascita del bambino) o in caso di adozione, affidamento preadottivo, di aborto spontaneo o terapeutico.

Entrambe le leggi indicate non contengono alcun riferimento ad un obbligo in base al quale, durante i periodi precedenti e successivo al parto considerati, le lavoratrici autonome e le libere professioniste si debbano astenere da ogni attività a tutela della propria salute e di quella del bambino, limitandosi a prevedere un’indennità “per i periodi di gravidanza a puerperio”.

Neppure nei lavori parlamentari preparatori della legge n. 379/90 vi è alcun accenno ad una astensione dal lavoro delle libere professioniste nei periodi di gravidanza e puerperio in cui è prevista l’indennità di maternità.

Ciò consente di ritenere che l’indennità abbia natura di sostegno economico in un momento particolarmente delicato del nucleo familiare, e che per la sua corresponsione non sia richiesta né l’astensione dal lavoro né la diminuzione del reddito.

Il parto naturale, l’adozione, l’affidamento sono situazioni riconosciute meritevoli di tutela in considerazione della necessità che i genitori soddisfino le esigenze primarie del bambino.

L’evoluzione legislativa, di cui si sono sopra evidenziati i passaggi, non consente di discriminare in termini di tutela il lavoro autonomo da quello subordinato.

Nella pronuncia n. 385/2005 della Consulta si sottolinea la centralità della tutela del minore e l’attuazione della stessa attraverso la presenza delle figure genitoriali che assicurano il soddisfacimento dei bisogni fisiologici e delle esigenze affettive e relazionali alle quali è collegato lo sviluppo della personalità.

È evidente perciò che non hanno ragione di essere le distinzioni tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo né tra adozione e parto naturale.

Il legislatore e la giurisprudenza costituzionale hanno esteso la tutela prevista per la maternità e paternità biologica alla maternità e paternità adottiva e i principi costituzionali che consacrano i diritti della famiglia non possono che essere i medesimi.

Quanto alla difesa svolta dalla parte resistente in ordine alla necessità di un intervento del legislatore si osserva che le pronunce additive di principio contengono un principio di diritto che può orientare sia l’azione del legislatore che l’attività interpretativa del giudice.

Nel caso di specie il Giudicante ritiene di condividere l’orientamento di altri giudici di merito che hanno aderito ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle sopracitate norme.

In quest’ottica il diritto del ricorrente deve essere pacificamente riconosciuto.

Atteso che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense uno degli enti trasformati dal D.lgs n. 509(94 in fondazioni in quanto non destinatari di finanziamenti pubblici non appare applicabile la norma di cui all’art. 16 VI c. L. n, 412/1991. Infatti tale norma trova giustificazione nella misura in cui assolve ad esigenze di finanza pubblica, esigenze che non riguardano la fondazione Cassa Nazionale Previdenza Avvocati, in quanto si tratta di un ente privato non destinatario di finanziamenti pubblici.

In conteggio operato dalla parte ricorrente, supportato dalla documentazione sul reddito del ricorrente, non è stato contestato ed è immune da vizi.

Ne consegue la condanna della Cassa alla corresponsione della somma di € 4.937,33 oltre accessori di legge.

Il pagamento delle spese segue la soccombenza.

p.q.m.

visti gli artt. 429, 281 sexies cpc

accoglie il ricorso e per l’effetto condanna la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense a corrispondere al ricorrente la somma di € 4.937,33 oltre interessi e rivalutazione.

Condanna la parte resistente a rimborsare le spese del presente giudizio che si liquidano in € 1.300 di cui 900 per onorari, oltre accessori di legge.

Alessandria, 27 maggio 2010.

Il Giudice

Dottoressa Francesca Lippi