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Una innovativa proposta di riforma per il processo penale

Il Prof. M. Menna propone un’ipotesi per cambiare la giustizia penale
Senza dubbio coraggiosa la strada intrapresa dal Prof. M. Menna [1] il quale, nella sua nuova opera intitolata "Il processo penale senza fasi. Dall’azione astratta alla sentenza di primo grado", Napoli, 2005, interviene autorevolmente nel dibattito in corso sulla riforma del processo penale, che vede correntemente impegnata la Commissione di riforma nominata nel 2004 dal Guardasigilli e presieduta dal Prof. Dalia [2].

La necessità di intervenire sul processo penale con immediatezza e decisività, tristemente testimoniata dalle cifre scoraggianti che ad ogni anno giudiziario riempiono le pagine dei quotidiani, è l’innegabile punto di partenza dal quale qualsiasi proposta di riforma deve prendere le mosse. E l’Autore, proprio constatando le insufficienze e le discrasie dell’attuale impianto, sviluppa una serie di riflessioni che tendono ad assicurare l’efficienza del processo senza dimenticare, anzi addirittura potenziando le garanzie difensive.

Partendo infatti dall’imprescindibilità del dettato costituzionale, che ha scolpito al terzo comma dell’articolo 111 la tanto declamata "parità delle armi", l’Autore immagina un sistema nel quale accusa e difesa debbano essere poste effettivamente sullo stesso piano: consentendo all’indagato di interloquire in maniera piena e diretta sul materiale investigativo e probatorio raccolto dal pubblico ministero in un processo senza azione concreta e dalla dinamica omogenea sebbene scandita in alterni stadi investigativi e probatori fino alla sentenza di primo grado, si scongiurerebbe il rischio di pervenire ad una valutazione preliminare a suo carico quella appunto collegata con l’azione concreta che, per quanto limitata alla sostenibilità dell’accusa in giudizio, verte pur sempre sulla regiudicanda e rischia pertanto di atteggiarsi in misura pregiudizievole per l’ulteriore corso del giudizio.

L’idea così tratteggiata impone quindi l’annullamento della differenza fra la fase investigativa, quella dell’udienza preliminare e quella del dibattimento: in particolare, si sostiene che il pubblico ministero dovrebbe esercitare un’azione penale astratta, a cagione della quale la stessa udienza preliminare perderebbe di significato e, nell’opinione dell’Autore, andrebbe abolita.

E’ agevole sottolineare che il processo di primo grado, per come congegnato, si trasforma completamente rispetto alla struttura attuale.

Alle indagini del pubblico ministero seguirebbe immediatamente e, cioè, senza valutazioni filtro sulla regiudicanda uno stadio in contraddittorio con l’imputato, il quale avrebbe tempestivamente la possibilità di produrre un’eventuale prova d’innocenza e soprattutto attraverso l’accesso al giudice potrebbe fruire di tutti i mezzi di accertamento di cui dispone il pubblico ministero prima dell’unica valutazione sulla regiudicanda che sarebbe associata alla sentenza di primo grado; e ciò con ovvie ricadute sulla celerità dell’accertamento.

Negli stadi investigativi del processo che potrebbero essere più di uno in quanto il primo, cedendo non appena possibile il passo al contraddittorio con l’imputato, non avrebbe ambizioni di completezza l’Autore introduce un nuovo metodo investigativo che viene ricondotto sotto la formula della "dialettizzazione delle investigazioni"; al fine di assicurare la genuinità delle fonti di prova in vista del loro possibile recupero nelle frazioni di giudizio, che potrebbero anch’esse moltiplicarsi in corrispondenza a plurime parentesi investigative, l’Autore propone di affiancare al pubblico ministero investigante un contraddittore qualificato, sempre appartenente all’ordine giudiziario (magari un giudice per le indagini preliminari con funzione diversa da quella giudicante), sul quale incomba il compito di ricercare elementi, oltre che di indirizzare gli accertamenti investigativi nella direzione favorevole alla persona sottoposta alle indagini. Tale costruzione che consente l’intersecarsi di stadi investigativi con frazioni di giudizio (le quali, però, senza interrompersi nella loro sequenza, formalmente potrebbero snodarsi attraverso rinvii ad udienze fisse nell’attesa dello svolgersi concreto delle intermittenti parentesi investigative) passa necessariamente attraverso una riduzione della segretezza investigativa, dall’Autore relegata alle sole ipotesi di vera necessità e sottoposta al vaglio del giudice per le indagini preliminari. Quest’organo, reso edotto dal pubblico ministero sulle sue intenzioni investigative, disporrebbe il compimento direttamente in contraddittorio con l’accusato degli accertamenti per i quali non fosse necessaria in concreto la segretezza (sia pure al fine di tutelare gli sviluppi delle indagini) e quando, pur ravvisando la necessità di far compiere le investigazioni in segreto, stabilisse la possibilità di attendere, anche in tal caso aprirebbe in via prioritaria il giudizio o meglio la frazione di giudizio corrispondente alla parentesi investigativa nel frattempo conclusasi.

Al giudice per le indagini preliminari, naturalmente, bisognerebbe attribuire in copia il fascicolo delle investigazioni. Lo stesso, poi, nel controllare se effettuare in segreto o in contraddittorio con l’accusato gli accertamenti voluti dal pubblico ministero o dal suo contraddittore, potrebbe dettare anche i tempi delle indagini fissando ai protagonisti delle indagini termini per il compimento delle specifiche investigazioni. Si scongiurerebbe, così, il fattore di ritardo temporale connesso alla discrezionalità del pubblico ministero nella scelta dei tempi reali delle investigazioni.

Simile vantaggio funzionale si assocerebbe agli altri di abolizione dell’udienza preliminare, di esclusione dell’azione concreta (oggi spesso esercitata a notevole distanza di tempo dalla chiusura effettiva delle indagini), di eliminazione delle formalità di cui all’art. 415-bis Cpp e di rimozione della ripetizione degli atti all’interno delle tre fasi del processo oggi conosciute.

L’introduzione di un contraddittore del pubblico ministero in sede investigativa, poi, oltre a garantire una maggiore genuinità degli atti recuperati in giudizio (in rapporto al quale continuerebbe ad operare il sistema del doppio fascicolo) avrebbe l’altro vantaggio di assicurare la terzietà del giudice per le indagini preliminari nell’applicazione delle misure cautelari che non avverrebbe più sui soli atti del pubblico ministero.

Il dibattito è aperto: scenari nuovi ed inesplorati si aprono a seguito di queste acute riflessioni, con riferimento alla perdurante utilità del giudizio di appello, alla funzione e alla natura del giudizio di cassazione, alla fase esecutiva, ma soprattutto al nuovo ruolo che una siffatta riforma tratteggia per i soggetti dell’ordine giudiziario. E’ anche per questi motivi che, come si diceva in apertura, la scelta dell’Autore di operare una proposta tranchant risulta estremamente coraggiosa e denota impegno, coerenza sistematica ed attenzione alle ricadute concrete dell’elaborazione scientifica.

Diceva J. W. Goethe: "Le idee ispirate dal coraggio sono come le pedine negli scacchi, possono essere mangiate ma anche dare avvio ad un gioco vincente". E se oggi appare davvero manifesta la volontà del legislatore di trascinare il processo penale fuori dalle secche nelle quali si è impantanato, gli spunti offerti da quest’opera passata in veloce rassegna, che andranno di qui a poco integrati e sistematicizzati, sembrano davvero idonei ad intraprendere un proficuo cammino riformatore.



[1] Il professore Mariano Menna è ordinario di Procedura Penale presso la Seconda Università degli Studi di Napoli. L’opera in rassegna, patrocinata dal Dipartimento di discipline giuspubblicistiche italiane, europee e comparate della Seconda Università degli Studi di Napoli, dalla Provincia di Caserta e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere, è stata presentata ad una folta cornice di studiosi e studenti in un convegno in Caserta del 21 marzo 2005.

[2] La Commissione di studio, composta in misura mista da magistrati, avvocati e professori universitari, avrebbe dovuto concludere i suoi lavori entro il 31 dicembre 2004, ma con decreto ministeriale del 3 gennaio 2005 se ne è stabilita una proroga al 30 giugno 2005. Le ragioni della proroga sono efficacemente espresse nella parte introduttiva del suddetto decreto, atteso che "la particolare complessità della materia, non consente di perseguire l’obiettivo istituzionale attraverso l’utilizzazione di personale dell’Amministrazione, attesa la necessità di impiego di professionalità ed esperienze diverse e che, quindi, appare indispensabile avvalersi del contributo di persone particolarmente esperte nella materia".

Senza dubbio coraggiosa la strada intrapresa dal Prof. M. Menna [1] il quale, nella sua nuova opera intitolata "Il processo penale senza fasi. Dall’azione astratta alla sentenza di primo grado", Napoli, 2005, interviene autorevolmente nel dibattito in corso sulla riforma del processo penale, che vede correntemente impegnata la Commissione di riforma nominata nel 2004 dal Guardasigilli e presieduta dal Prof. Dalia [2].

La necessità di intervenire sul processo penale con immediatezza e decisività, tristemente testimoniata dalle cifre scoraggianti che ad ogni anno giudiziario riempiono le pagine dei quotidiani, è l’innegabile punto di partenza dal quale qualsiasi proposta di riforma deve prendere le mosse. E l’Autore, proprio constatando le insufficienze e le discrasie dell’attuale impianto, sviluppa una serie di riflessioni che tendono ad assicurare l’efficienza del processo senza dimenticare, anzi addirittura potenziando le garanzie difensive.

Partendo infatti dall’imprescindibilità del dettato costituzionale, che ha scolpito al terzo comma dell’articolo 111 la tanto declamata "parità delle armi", l’Autore immagina un sistema nel quale accusa e difesa debbano essere poste effettivamente sullo stesso piano: consentendo all’indagato di interloquire in maniera piena e diretta sul materiale investigativo e probatorio raccolto dal pubblico ministero in un processo senza azione concreta e dalla dinamica omogenea sebbene scandita in alterni stadi investigativi e probatori fino alla sentenza di primo grado, si scongiurerebbe il rischio di pervenire ad una valutazione preliminare a suo carico quella appunto collegata con l’azione concreta che, per quanto limitata alla sostenibilità dell’accusa in giudizio, verte pur sempre sulla regiudicanda e rischia pertanto di atteggiarsi in misura pregiudizievole per l’ulteriore corso del giudizio.

L’idea così tratteggiata impone quindi l’annullamento della differenza fra la fase investigativa, quella dell’udienza preliminare e quella del dibattimento: in particolare, si sostiene che il pubblico ministero dovrebbe esercitare un’azione penale astratta, a cagione della quale la stessa udienza preliminare perderebbe di significato e, nell’opinione dell’Autore, andrebbe abolita.

E’ agevole sottolineare che il processo di primo grado, per come congegnato, si trasforma completamente rispetto alla struttura attuale.

Alle indagini del pubblico ministero seguirebbe immediatamente e, cioè, senza valutazioni filtro sulla regiudicanda uno stadio in contraddittorio con l’imputato, il quale avrebbe tempestivamente la possibilità di produrre un’eventuale prova d’innocenza e soprattutto attraverso l’accesso al giudice potrebbe fruire di tutti i mezzi di accertamento di cui dispone il pubblico ministero prima dell’unica valutazione sulla regiudicanda che sarebbe associata alla sentenza di primo grado; e ciò con ovvie ricadute sulla celerità dell’accertamento.

Negli stadi investigativi del processo che potrebbero essere più di uno in quanto il primo, cedendo non appena possibile il passo al contraddittorio con l’imputato, non avrebbe ambizioni di completezza l’Autore introduce un nuovo metodo investigativo che viene ricondotto sotto la formula della "dialettizzazione delle investigazioni"; al fine di assicurare la genuinità delle fonti di prova in vista del loro possibile recupero nelle frazioni di giudizio, che potrebbero anch’esse moltiplicarsi in corrispondenza a plurime parentesi investigative, l’Autore propone di affiancare al pubblico ministero investigante un contraddittore qualificato, sempre appartenente all’ordine giudiziario (magari un giudice per le indagini preliminari con funzione diversa da quella giudicante), sul quale incomba il compito di ricercare elementi, oltre che di indirizzare gli accertamenti investigativi nella direzione favorevole alla persona sottoposta alle indagini. Tale costruzione che consente l’intersecarsi di stadi investigativi con frazioni di giudizio (le quali, però, senza interrompersi nella loro sequenza, formalmente potrebbero snodarsi attraverso rinvii ad udienze fisse nell’attesa dello svolgersi concreto delle intermittenti parentesi investigative) passa necessariamente attraverso una riduzione della segretezza investigativa, dall’Autore relegata alle sole ipotesi di vera necessità e sottoposta al vaglio del giudice per le indagini preliminari. Quest’organo, reso edotto dal pubblico ministero sulle sue intenzioni investigative, disporrebbe il compimento direttamente in contraddittorio con l’accusato degli accertamenti per i quali non fosse necessaria in concreto la segretezza (sia pure al fine di tutelare gli sviluppi delle indagini) e quando, pur ravvisando la necessità di far compiere le investigazioni in segreto, stabilisse la possibilità di attendere, anche in tal caso aprirebbe in via prioritaria il giudizio o meglio la frazione di giudizio corrispondente alla parentesi investigativa nel frattempo conclusasi.

Al giudice per le indagini preliminari, naturalmente, bisognerebbe attribuire in copia il fascicolo delle investigazioni. Lo stesso, poi, nel controllare se effettuare in segreto o in contraddittorio con l’accusato gli accertamenti voluti dal pubblico ministero o dal suo contraddittore, potrebbe dettare anche i tempi delle indagini fissando ai protagonisti delle indagini termini per il compimento delle specifiche investigazioni. Si scongiurerebbe, così, il fattore di ritardo temporale connesso alla discrezionalità del pubblico ministero nella scelta dei tempi reali delle investigazioni.

Simile vantaggio funzionale si assocerebbe agli altri di abolizione dell’udienza preliminare, di esclusione dell’azione concreta (oggi spesso esercitata a notevole distanza di tempo dalla chiusura effettiva delle indagini), di eliminazione delle formalità di cui all’art. 415-bis Cpp e di rimozione della ripetizione degli atti all’interno delle tre fasi del processo oggi conosciute.

L’introduzione di un contraddittore del pubblico ministero in sede investigativa, poi, oltre a garantire una maggiore genuinità degli atti recuperati in giudizio (in rapporto al quale continuerebbe ad operare il sistema del doppio fascicolo) avrebbe l’altro vantaggio di assicurare la terzietà del giudice per le indagini preliminari nell’applicazione delle misure cautelari che non avverrebbe più sui soli atti del pubblico ministero.

Il dibattito è aperto: scenari nuovi ed inesplorati si aprono a seguito di queste acute riflessioni, con riferimento alla perdurante utilità del giudizio di appello, alla funzione e alla natura del giudizio di cassazione, alla fase esecutiva, ma soprattutto al nuovo ruolo che una siffatta riforma tratteggia per i soggetti dell’ordine giudiziario. E’ anche per questi motivi che, come si diceva in apertura, la scelta dell’Autore di operare una proposta tranchant risulta estremamente coraggiosa e denota impegno, coerenza sistematica ed attenzione alle ricadute concrete dell’elaborazione scientifica.

Diceva J. W. Goethe: "Le idee ispirate dal coraggio sono come le pedine negli scacchi, possono essere mangiate ma anche dare avvio ad un gioco vincente". E se oggi appare davvero manifesta la volontà del legislatore di trascinare il processo penale fuori dalle secche nelle quali si è impantanato, gli spunti offerti da quest’opera passata in veloce rassegna, che andranno di qui a poco integrati e sistematicizzati, sembrano davvero idonei ad intraprendere un proficuo cammino riformatore.



[1] Il professore Mariano Menna è ordinario di Procedura Penale presso la Seconda Università degli Studi di Napoli. L’opera in rassegna, patrocinata dal Dipartimento di discipline giuspubblicistiche italiane, europee e comparate della Seconda Università degli Studi di Napoli, dalla Provincia di Caserta e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere, è stata presentata ad una folta cornice di studiosi e studenti in un convegno in Caserta del 21 marzo 2005.

[2] La Commissione di studio, composta in misura mista da magistrati, avvocati e professori universitari, avrebbe dovuto concludere i suoi lavori entro il 31 dicembre 2004, ma con decreto ministeriale del 3 gennaio 2005 se ne è stabilita una proroga al 30 giugno 2005. Le ragioni della proroga sono efficacemente espresse nella parte introduttiva del suddetto decreto, atteso che "la particolare complessità della materia, non consente di perseguire l’obiettivo istituzionale attraverso l’utilizzazione di personale dell’Amministrazione, attesa la necessità di impiego di professionalità ed esperienze diverse e che, quindi, appare indispensabile avvalersi del contributo di persone particolarmente esperte nella materia".