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Aceto balsamico: pure il Tribunale di Bologna esclude l’autonoma protezione dei lemmi “aceto” e “balsamico”, anche perché non evocativi

Aceto balsamico
Aceto balsamico

Con questo scritto si intende fornire una veloce disamina dello stato dell’arte giurisprudenziale in materia di libera utilizzabilità dei termini generici “aceto” e “balsamico, da soli o in congiunzione tra loro, e della conseguente residuale tutelabilità della IGP “Aceto Balsamico di Modena”, nonchè delle DOP “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena” e “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia”, contro utilizzi evocativi degli anzidetti termini generici.

 

In particolare ci si soffermerà su quella che, a quanto consta, pare essere l’ultima (per ora) decisione, ovvero la sentenza n. 603 del 15.4.2020 del Tribunale di Bologna, che ha fornito molti elementi per capire come e quando l’uso dei termini “aceto” e/o “balsamico”, insieme ad altri elementi di richiamo, può integrare la pratica illecita dell’evocazione di denominazioni di origine protette, oppure quella della sleale informazione al consumatore oppure ancora della concorrenza sleale.

 

La decisione della Corte di Giustizia

Punto di partenza di questa analisi non può che essere la sentenza del 4.12.2019 resa dalla Corte di Giustizia nella causa C-432/18, con la quale i giudici europei hanno stabilito che “i termini non geografici dell’IGP [“Aceto Balsamico di Modena”], vale a dire «aceto» e «balsamico», la loro combinazione e le loro traduzioni, non possono beneficiare della protezione conferita (…) all’IGP «Aceto Balsamico di Modena»” dal Regolamento (UE) n. 1152/2012.

Infatti, “da un lato, è pacifico che il termine «aceto» è un termine comune (…). Dall’altro lato, il termine «balsamico» è la traduzione, in lingua italiana, dell’aggettivo «balsamique», che non ha alcuna connotazione geografica e che, per quanto riguarda l’aceto, è comunemente usato per designare un aceto che si caratterizza per un gusto agrodolce. Si tratta quindi, anche in questo caso, di un termine comune”.

Pertanto la Corte UE ha escluso che l’uso “dei termini «aceto» e «balsamico», nonché l’uso delle loro combinazioni e traduzioni, possano pregiudicare la protezione conferita all’IGP di cui trattasi” o dalle DOP di cui sopra. Come dire che chiunque può liberamente usare tali termini senza violare la privativa concessa alle suddette IGP e DOP.

Facile intuire come una simile sentenza sia stata percepita, soprattutto nelle province di Reggio Emilia e Modena, patria dell’“oro nero” agroalimentare, come un colpo mortale alla portata della protezione garantita dalle anzidette denominazioni di origine e indizaioni geografiche.

Soprattutto se si considera che da tempo si assiste ad una proliferazione, in particolare sul mercato online e estero, di aceti e condimenti alimentari variamente denominati e accompagnati dal lemma “balsamico”, da solo o in congiunzione col termine generico “aceto”, nelle loro varie traduzioni linguistiche. Peraltro, la causa decisa dalla Corte di Giustizia origina da un contenzioso tra il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena ed una società tedesca che produce e commercializza un prodotto a base di aceto proveniente da vini del Baden (Germania) e denominato “Deutscher balsamico”.

 

I precedenti del tribunale e della Corte d’appello di Bologna

Prima della citata decisione europea, a baluardo dell’IGP e delle DOP reggiano/modenesi si erano erette la sentenza del Tribunale di Bologna n.2395 del 27.10.2017 e la successiva, confermativa della prima, sentenza della Corte d’Appello di Bologna n.1943 del 17.9.2019.

Con tali decisioni, pur riconoscendosi che i termini “aceto” e “balsamico” si riferiscono a “indicazioni descrittive generiche di un prodotto agricolo comune e di una sua presunta qualità” e che gli stessi termini “non sono dunque autonomamente tutelabili” nemmeno “sotto il profilo della "evocatività"” (C.App. 1943/2019), si era comunque sancita la possibilità di vietarne l’uso allorché, insieme ad altri termini più o meno geografici ed evocativi, configuri illecita evocazione dell’IGP “Aceto Balsamico di Modena” o delle DOP “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia” e “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena”.

Ciò sulla base della precisa disposizione di legge contenuta all’articolo 13 par. 1, lett. b), Regolamento (UE) n.1151/12, ai sensi del quale le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche riconosciute a livello europeo sono protette contro “…qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata...".

Ricorre “evocazione” quando il termine utilizzato per designare un prodotto “A” incorpora una parte di una denominazione protetta di un prodotto “B”, di modo che il consumatore sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, non al prodotto “A” che ha di fronte a sé, bensì al prodotto “B” che gode della denominazione “evocata”, solitamente assai più nota, rinomata e pregiata.

Quindi, ad esempio, un prodotto denominato “Aceto Balsamico di Reggio Emilia” sarebbe molto probabilmente evocativo, nella mente del consumatore comunitario medio (e non solo dello Stato in cui si fabbrica il prodotto), normalmente informato, ragionevolmente attento e avveduto, del ben più pregiato “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia”, tutelato della relativa DOP e prodotto nel rispetto di un rigidissimo disciplinare.

Nel caso deciso dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Bologna ci si trovava di fronte ad un prodotto, un condimento alimentare a base di aceto, sulla cui confezione comparivano, oltre ai termini “acetaia” e “balsamico”, di per sé quindi generici, anche la denominazione del prodotto (“mosto d’uva cotto acetificato”) nonchè un “claim” (“pregiato condimento frutto dell’antica tradizione della famiglia XXX, da cinque generazioni custode dell‘arte di fare Balsamico”) che, in congiunzione con l’aspetto esteriore del prodotto identico all’aceto balsamico tutelato da IGP e DOP, la sua commercializzazione in piccole bottiglie, il prezzo non irrisorio, nonché la decisiva presenza sul packaging di tutti i riferimenti alle altre parti della denominazione DOP tutelata (“tradizionale” e “Modena”, quest’ultima tanto nella ragione sociale del produttore, quanto nell’indirizzo dell’“acetaia”), potevano concretizzare l’anzidetta evocazione.

Tant’è che la Corte d’Appello di Bologna aveva deciso che “l’insieme di tali elementi – indipendentemente dalla liceità dell’uso del marchio "Balsamoso", o dei singoli termini e dati, anche obbligatori, in etichetta – configura all’evidenza quell’agganciamento e quella "evocazione" vietati dalle norme in questione, tanto più nei confronti di un consumatore UE anche non italiano”.

Quindi, ferma la libera utilizzabilità dei termini “aceto” e “balsamico”, riconosciuta ben prima della sentenza della Corte di Giustizia, da soli o in congiunzione, per indicare quel particolare tipo di prodotto alimentare, secondo i giudici bolognesi rimane la possibilità di vietarne l’uso qualora, insieme ad altri elementi, evocativo delle anzidette IGP e DOP.

 

Un revirement del Tribunale di Bologna?

E veniamo all’ultima puntata della saga. Per ora.

Con la sentenza n.603 del 15.4.2020, sulla quale pende l’appello, il Tribunale di Bologna è stato nuovamente chiamato a valutare la liceità dell’uso, su etichetta e confezione di un condimento alimentare, della denominazione “Condimento Balsamico”, “Crema di Balsamico Bianco e “Crema di Balsamico, tutte recanti l’espressione “balsamico” asseritamente idonea, da sola o in combinazione con altri termini quali “Acetaia, Italia e Modena” pure presenti su etichetta e packaging, a (i) evocare la IGP “Aceto Balsamico di Modena”, (ii) ingannare i consumatori sulle reali caratteristiche dei prodotti commercializzati e (iii) integrare gli estremi di attività di concorrenza sleale ex articolo 2598 c.c.

Ancora una volta, dunque, la partita si è giocata principalmente sul campo dell’evocazione di una denominazione di origine protetta, nonché su quello della corretta informazione ai consumatori tramite l’etichettatura dei prodotti alimentari ex articolo 7 Reg. (UE) 1169/2011 e su quello della concorrenza sleale.

L’attore, sempre il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, sosteneva che benché il lemma “balsamico” sia un aggettivo suscettibile di generico ed astratto impiego per qualunque prodotto che possieda qualità balsamiche e, dunque, non possa su di esso costituirsi alcuna privativa, non si può escludere che in determinate situazioni lo stesso termine possa evocare o concorrere a evocare la IGP “Aceto Balsamico di Modena.

Il convenuto, invece, sosteneva la legittimità dell’utilizzo delle anzidette formule, perché generiche, nonché delle ulteriori espressioni “aceto” e/o “aceto balsamico, perché la protezione conferita a una DOP o IGP concerne solamente la denominazione nella sua integrità e non si estende a ciascun termine che lo compone, individualmente considerato; e ciò, a fortiori, deve valere nel caso di termini che rilevino nel linguaggio comune e che, quindi, non siano di per sé suscettibili di riserva.

Osservava il convenuto che il consumatore medio europeo individuerebbe con il termine “balsamico” e/o “aceto balsamico” non solo l’aceto IGP, ma anche quello DOP e, soprattutto, ogni altro condimento per l’appunto “balsamico”, di cui quello IGP o DOP è soltanto una particolare species realizzata in una peculiare area geografica, costituendo tale espressione la denominazione generica di un genere di condimenti.

Il Tribunale ha concentrato l’attenzione su etichette e packaging dei prodotti oggetto di controversia, ed in particolare sull’utilizzo dei termini “acetaia”, “balsamico”, “Modena”, “Italia” e del numero “5 ivi presenti, per valutarne l’idoneità evocativa dell’IGP “Aceto Balsamico di Modena”, concludendo che “gli elementi grafici e/o verbali presenti nelle etichette, oggetto di contestazione, dei prodotti commercializzati [da XXX], non siano idonei a evocare, in concreto e neppure in astratto, alcun legame o anche una mera ispirazione riguardante la denominazione protetta oggetto di causa”.

Infatti:

  1. quanto alla parola "Balsamico", di per sé considerata, essa costituisce un'espressione generica che, nella fattispecie, non è neppure abbinata espressamente al termine aceto”. Tale espressione, in ogni caso e come già rilevato dalla Corte d’Appello di Bologna con la citata sentenza 1943/2019, si riferisce ad un’indicazione descrittiva generica di un prodotto agricolo comune e, conseguentemente, il suo utilizzo non è interdetto. Sicché, l'espressione non è autonomamente tutelabile ex articolo 13 par. 1, lett. b), Regolamento (UE) n.1151/12, neppure sotto il profilo dell’evocatività;
  2. sul termine “acetaia”, esso si riferisce “ai luoghi in cui si detenga o produca aceto o altri prodotti contenenti aceto. Ne consegue che, essendo i prodotti in contestazione "condimenti balsamici", e non aceti, il termine acetificio potrebbe semmai indicare i produttori di IGP, mentre la dicitura "acetaia" costituisce un termine nella libera disponibilità, di tutti gli operatori”.

Peraltro, la Corte di Giustizia UE, con l’anzidetta sentenza del 4.12.2019 (che il Tribunale di Bologna sembra ignorare, nonostante la sua anteriorità di ben tre mesi e l’espresso riferimento, nella sentenza felsinea in commento, alle conclusioni dell’Avvocato Generale rese nella medesima causa) ha stabilito chiaramente che “«aceto» è un termine comune” liberamente utilizzabile da solo o in congiunzione col lemma “balsamico”.

Dunque, a fortiori, deve valere lo stesso anche per il termine “acetaia”;

  1. quanto all’uso del termine “Italia”, “il riferimento al territorio nazionale, così come operato dalla convenuta, oltre a essere veritiero, è pienamente conforme alla normativa sull’origine del prodotto, ovverossia il Codice Doganale Comunitario, sicché esso non può costituire illegittima evocazione né del prodotto IGP, né dell'area geografica di interesse”.

Come dire che, dovendosi indicare l’origine del prodotto, la presenza del nome “Italia” è doverosa e come tale non può avere alcun effetto evocativo;

  1. sull’uso del numero “5”, additato dall’attore perché suggerirebbe che il prodotto contestato, al pari dell’“Aceto Balsamico di Modena”, contenga aceto invecchiato, il Tribunale ha osservato che “si tratta, però, di un elemento figurativo, per la sua assoluta genericità ed indeterminatezza, suscettibile di uso indiscriminato, e, per ciò, ai fini che qui interessano, del tutto irrilevante in quanto inidoneo, di per sé, a produrre una significativa evocazione della denominazione tutelata”;
  2. quanto infine all’uso del nome “Modena”, il Tribunale ricorda che “il riferimento alla città di Modena, tra l’altro contenuto in una cartina geografica praticamente invisibile tanto per dimensioni quanto per colore, corrisponde al luogo in cui, in realtà, [il convenuto] ha la propria sede e indica correttamente la provenienza geografica del proprio prodotto. Diversamente opinando, si finirebbe per realizzare un monopolio sul termine "Modena" a vantaggio dell'Aceto Balsamico IGP”.

Il Tribunale ha altresì escluso efficacia evocativa in capo all’opuscolo di ricette inserito nella confezione della bottiglia del convenuto e recante le immagini del Duomo e dell’Accademia Militare di Modena, perché – senza considerare le motivazioni di cui ai precedenti punti (iii) e (v), comunque valide anche per questi riferimenti geografici – si tratta di elementi che il consumatore vede solo successivamente all’acquisto, sicché essi sono ininfluenti ai fini del giudizio di evocazione.

Non è stato ritenuto evocativo nemmeno l’uso del termine “classica” nell’etichettatura dei prodotti contestati, in quanto palesemente inidoneo a evocare la IGP.

Così a dirsi per la forma della bottiglietta dei prodotti del convenuto, perché – come correttamente osservato dal Tribunale – si tratta di una forma comune e diffusa ed in ogni caso il Consorzio non vanta alcuna privativa (ad esempio un marchio di forma sulla sua bottiglietta) in forza della quale impedirne l’uso a terzi.

Financo il sito Internet per il commercio online del convenuto è stato ritenuto non evocativo, perché nonostante in esso figurino offerti in vendita sia prodotti IGP, sia semplici condimenti balsamici, “i condimenti balsamici diversi dall'IGP appaiono sul sito web in questione ben distinti da quelli che riportano l'indicazione protetta, e ciò al fine di evitare ogni possibile evocazione secondo canoni di correttezza professionale. Né l'impiego dell'immagine di una bottiglia di aceto balsamico di Modena è, nel caso di specie, idonea ad integrare l'illecito denunciato dal Consorzio attore”.

È agevole notare come la valutazione d’insieme operata dal Tribunale di Bologna sia, questa volta, molto più permissiva e meno rigida di quella precedentemente adottata dal medesimo Tribunale con le sentenza del 2017 e poi dalla Corte d’Appello con la sentenza del 2019.

Il Tribunale ha pure escluso che, con riferimento alle suddette parole e espressioni, possa sussistere violazione dell’articolo 7 Reg. (UE) 1169/2011 laddove si prescrivono “pratiche leali di informazione” mediante le indicazioni riportate sull’etichetta dei prodotti alimentari.

Prima di tutto perché, ai fini della valutazione della decettività del termine “balsamico”, il Consorzio non ha offerto sufficienti elementi di giudizio in base ai quali poter fondatamente affermare la decettività di tale termine; in secondo luogo perché il termine risulta finalizzato a indicare prodotti analoghi a quelli contraddistinti dalla IGP.

Infine, quanto all’addebito di concorrenza sleale per uso confusorio del termine “balsamico”, per appropriazione di pregi e per contrarietà ai principi di correttezza professionale ex articolo 2598 c.3 c.c., il Tribunale ha concluso che “al riguardo, è sufficiente evidenziare come, sotto il primo profilo, la sopra riconosciuta legittimità dell'uso della dicitura "Balsamico" escluda qualsiasi responsabilità anche sotto l'aspetto della comunicazione al consumatore.

Quanto al secondo ipotizzato titolo di responsabilità (appropriazione di pregi), va, rilevato un assoluto deficit assertivo circa l'idoneità dell'uso della predetta dicitura ad attribuire al prodotto pregi che non ha e che, invece, sono propri del prodotto costruito nel paese falsamente indicato (…).

Né, da ultimo, le medesime condotte asseritamente anticoncorrenziali come sopra ascritte alla convenuta possono, di per sé, integrare gli estremi oggettivi dell'ulteriore e distinto illecito previsto dal n. 3 del citato articolo 2598 c.c., la cui sussistenza postula l'allegazione e la dimostrazione di un quid pluris rispetto agli elementi costitutivi delle fattispecie di cui ai numeri precedenti della stessa disposizione normativa”.

 

Osservazioni conclusive

Insomma, la sentenza felsinea in commento, che è bene ribadirlo è ancora sub iudice essendo soggetta al riesame della Corte d’Appello di Bologna, da un lato conferma la possibilità per i Consorzi di tutela dell’IGP “Aceto Balsamico di Modena” e delle DOP “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena” e “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia”, di percorrere la strada della “evocazione”, oppure della non corretta informazione ai consumatori mediante etichettature fuorvianti, oppure ancora della concorrenza sleale, per proteggersi contro usi troppo disinvolti e astuti di termini comunque generici e di libero uso come “aceto”, “condimento” e “balsamico”.

Dall’atro lato, però, rende questa strada sempre più stretta e tortuosa, ponendo sul percorso dei legittimi titolari delle IGP e DOP registrate, molti ostacoli alla tutela delle loro privative.

Con la conseguenza che, qualora l’orientamento del Tribunale di Bologna dovesse essere confermato, sarà sempre più facile, per produttori italiani e stranieri non vincolati dai rigidi disciplinari delle anzidette protezioni georgafiche, appropriarsi dei pregi e della rinomanza dell’“oro nero” reggiano e modenese. Con buona pace di chi quotidianamente si batte per proteggerlo da contraffazioni o altro.

Si vedrà come si pronuncerà la Corte d’Appello di Bologna e se vi sarà un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.                                            

(AGSZ Studio di Avvocati)

 

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