Athos Vianelli: Fatti e vicende dello studio bolognese
Affinché gli scolari d’oltralpe si trovassero maggiormente a loro agio, incontrando ospitalità presso gente del proprio paese, si giunse persino a favorire lo stabilirsi nella città di albergatori stranieri; si ha, infatti, notizia di membri della famiglia Vom Schwert (De Spata) di Basilea che tennero per diverse generazioni una pensione per studenti nel quartiere di S. Genesio, come pure di un certo Enrico Schala di Zurigo, anch’egli albergatore nel medesimo quartiere e di altri ancora, fra i quali Enrico de Bussune, tedesco, e Guglielmo Bergognone proveniente dalla Svizzera Romanza.La città ben presto si anima ed è come percorsa da un flusso nuovo e rigeneratore, la sua ubicazione privilegiata di nodo stradale importantissimo le conferisce in breve tempo una posizione preminente fra i centri commerciali della penisola, il grano arriva abbondante dalle ubertose campagne circostanti e viene smerciato con ricchi guadagni. Il lusso e le consuetudini dei ricchi stranieri recano alla cittadinanza bolognese nuove conoscenze e creano le premesse a nuove concezioni di vita; sulla scia degli studenti accorrono da ogni contrada mercanti e quattrini, portando alla città, che si fregia del gloriosissimo appellativo di «Alma Mater Studiorum», una prosperità mai conosciuta di cui sono ancora oggi testimoni i magnifici edifici e le " grandi Chiese dell’epoca. "
Il Comune, conscio che i forestieri che accorrevano allo Studio costituivano la ricchezza principale della città e preoccupato dell’enorme danno che sarebbe derivato da un loro eventuale esodo, ebbe sempre cura di proteggerli ed onorarI i affinché si sentissero circondati da un’atmosfera di giustizia e di benessere; lasciò agli scolari una piena indipendenza nella loro giurisditzione civile, li esentò da ogni gabella sui libri, concesse loro di essere immuni dalle rappresaglie - importante provvedimento questo, perché è facile arguire che se si fossero sancite le rappresaglie a danno degli scolari essi avrebbero dovuto tornarsene ai loro paesi, in quanto ogni volta che un loro concittadino avesse commesso violenza contro un bolognese essi avrebbero potuto essere colpiti, pur senza colpa, da gravi ritorsioni -; insieme agli scolari ne erano inoltre esenti anche i parenti che eventualmente fossero venuti a visitarli o abitassero con loro.
Il Comune minacciava pure pene gravissime a tutti coloro che avessero attentato all’incolumità ed agli averi degli scolari. Purtroppo questo ultimo provvedimento si mostrò il più delle volte vano, perché le strade che conducevano alla città non davano sempre possibilità di controllo ed erano straordinariamente malsicure; molti sono i fatti che si ricollegano a questa precarietà di transito ma, comunque andassero le cose, il Governo della città intervenne sempre fattivamente, anche presso altri Comuni, perché si cercasse di provvedere a questo deprecabile inconveniente. Per impedire, infine, che gli scolari fossero... "pelati" dalla cittadinanza bolognese nei loro contratti per le pensioni, si stabilì che ogni anno venisse fissato il prezzo delle dozzine dai "taxatores hospitiorum" che erano degli incaricati delle Università; veniva così eliminata ogni forma di speculazione sul vitto e sull’alloggio che, da che mondo è mondo, sono gli elementi basilari della problematica amministrazione di chi è costretto a vi vere lontano dalla propria dimora e dalla famiglia.
Mi sembra a questo punto opportuno riportare dal Sorbelli la citazione tradotta da un anonimo poema latino che narra la vita di Federico I e, precisamente, il passo che descrive quando dottori e studenti bolognesi si recano a visitare l’imperatore accampato sulle rive del Reno a poca distanza da Bologna; alla richiesta, fatta da Federico I ai visitatori, in merito alla loro vita ed alloro trattamento nella città, un dottore risponde: «Noi amiamo sopra le altre questa città, ricca di prodotti e adatta per l’insegnamento: qui giunge da ogni parte d’Europa una moltitudine di scolari che vogliono apprendere. Qui portiamo cose, vesti, denaro: troviamo case adatte nel centro della città; compriamo a giusto prezzo le cose che ciascuno di noi vuole, salvo l’acqua il cui uso è comune a tutti. Studiamo sempre, e lo studio ci è di vera letizia. I cittadini, a dire il vero, ci onorano...».
Naturalmente non andava tutto liscio tra i cittadini, i birri e gli studenti che qualche volta si abbandonavano ad eccessi e ad insane gazzarre, ma gli eventi venivano allora misurati dai bolognesi con altro metro che non quello attualmente usato e, pertanto, non si dava troppo peso alle baruffe ed alle liti. È significativo fare un confronto tra il sentimento favorevole della cittadinanza bolognese per gli studenti ed il disprezzo che si usava per loro a Napoli, dove venivano allontanati dai quartieri eleganti e considerati alla stessa stregua delle meretrici.
[Athos Vianelli, Fatti e vicende dello studio bolognese, Tamari Editori, Bologna, 1961, pp. 14-16]
Affinché gli scolari d’oltralpe si trovassero maggiormente a loro agio, incontrando ospitalità presso gente del proprio paese, si giunse persino a favorire lo stabilirsi nella città di albergatori stranieri; si ha, infatti, notizia di membri della famiglia Vom Schwert (De Spata) di Basilea che tennero per diverse generazioni una pensione per studenti nel quartiere di S. Genesio, come pure di un certo Enrico Schala di Zurigo, anch’egli albergatore nel medesimo quartiere e di altri ancora, fra i quali Enrico de Bussune, tedesco, e Guglielmo Bergognone proveniente dalla Svizzera Romanza.La città ben presto si anima ed è come percorsa da un flusso nuovo e rigeneratore, la sua ubicazione privilegiata di nodo stradale importantissimo le conferisce in breve tempo una posizione preminente fra i centri commerciali della penisola, il grano arriva abbondante dalle ubertose campagne circostanti e viene smerciato con ricchi guadagni. Il lusso e le consuetudini dei ricchi stranieri recano alla cittadinanza bolognese nuove conoscenze e creano le premesse a nuove concezioni di vita; sulla scia degli studenti accorrono da ogni contrada mercanti e quattrini, portando alla città, che si fregia del gloriosissimo appellativo di «Alma Mater Studiorum», una prosperità mai conosciuta di cui sono ancora oggi testimoni i magnifici edifici e le " grandi Chiese dell’epoca. "
Il Comune, conscio che i forestieri che accorrevano allo Studio costituivano la ricchezza principale della città e preoccupato dell’enorme danno che sarebbe derivato da un loro eventuale esodo, ebbe sempre cura di proteggerli ed onorarI i affinché si sentissero circondati da un’atmosfera di giustizia e di benessere; lasciò agli scolari una piena indipendenza nella loro giurisditzione civile, li esentò da ogni gabella sui libri, concesse loro di essere immuni dalle rappresaglie - importante provvedimento questo, perché è facile arguire che se si fossero sancite le rappresaglie a danno degli scolari essi avrebbero dovuto tornarsene ai loro paesi, in quanto ogni volta che un loro concittadino avesse commesso violenza contro un bolognese essi avrebbero potuto essere colpiti, pur senza colpa, da gravi ritorsioni -; insieme agli scolari ne erano inoltre esenti anche i parenti che eventualmente fossero venuti a visitarli o abitassero con loro.
Il Comune minacciava pure pene gravissime a tutti coloro che avessero attentato all’incolumità ed agli averi degli scolari. Purtroppo questo ultimo provvedimento si mostrò il più delle volte vano, perché le strade che conducevano alla città non davano sempre possibilità di controllo ed erano straordinariamente malsicure; molti sono i fatti che si ricollegano a questa precarietà di transito ma, comunque andassero le cose, il Governo della città intervenne sempre fattivamente, anche presso altri Comuni, perché si cercasse di provvedere a questo deprecabile inconveniente. Per impedire, infine, che gli scolari fossero... "pelati" dalla cittadinanza bolognese nei loro contratti per le pensioni, si stabilì che ogni anno venisse fissato il prezzo delle dozzine dai "taxatores hospitiorum" che erano degli incaricati delle Università; veniva così eliminata ogni forma di speculazione sul vitto e sull’alloggio che, da che mondo è mondo, sono gli elementi basilari della problematica amministrazione di chi è costretto a vi vere lontano dalla propria dimora e dalla famiglia.
Mi sembra a questo punto opportuno riportare dal Sorbelli la citazione tradotta da un anonimo poema latino che narra la vita di Federico I e, precisamente, il passo che descrive quando dottori e studenti bolognesi si recano a visitare l’imperatore accampato sulle rive del Reno a poca distanza da Bologna; alla richiesta, fatta da Federico I ai visitatori, in merito alla loro vita ed alloro trattamento nella città, un dottore risponde: «Noi amiamo sopra le altre questa città, ricca di prodotti e adatta per l’insegnamento: qui giunge da ogni parte d’Europa una moltitudine di scolari che vogliono apprendere. Qui portiamo cose, vesti, denaro: troviamo case adatte nel centro della città; compriamo a giusto prezzo le cose che ciascuno di noi vuole, salvo l’acqua il cui uso è comune a tutti. Studiamo sempre, e lo studio ci è di vera letizia. I cittadini, a dire il vero, ci onorano...».
Naturalmente non andava tutto liscio tra i cittadini, i birri e gli studenti che qualche volta si abbandonavano ad eccessi e ad insane gazzarre, ma gli eventi venivano allora misurati dai bolognesi con altro metro che non quello attualmente usato e, pertanto, non si dava troppo peso alle baruffe ed alle liti. È significativo fare un confronto tra il sentimento favorevole della cittadinanza bolognese per gli studenti ed il disprezzo che si usava per loro a Napoli, dove venivano allontanati dai quartieri eleganti e considerati alla stessa stregua delle meretrici.
[Athos Vianelli, Fatti e vicende dello studio bolognese, Tamari Editori, Bologna, 1961, pp. 14-16]