Atti degli apostoli

Atti degli Apostoli, Capitolo XIX, 21-40Dopo questi fatti, Paolo progettò di fare un viaggio fino a Gerusalemme, passando per la Macedonia e l’Acaia. Pensava: "bisgona che vada più là ... e poi devo vedere anche Roma". Mandò avanti, in Macedonia, due dei suoi collaboratori, Timoteo ed Erasto; lui si trattenne in Asia ancora un poco.

In quei giorni, scoppiò in Efeso un grosso tumulto a causa della predicazione della Parola. Lo provocò un orefice di nome Demetrio, padrone di una fabbrica di tempietti d’Artemide in argento, che procurava un buon guadagno al padrone e ai lavoranti. Li riunì tutti e li arringò. - Operai, voi sapete che buoni affari facciamo con questo nostro mestiere. Ora è tra noi un tal Paolo il quale, predicando al popolo che le statue fatte con le vostre mani non sono Dei, ci porta incalcolabili danni, gettando il discredito sul nostro mestiere e il disprezzo sul tempio della nostra grande Artemide che vede minacciato il suo culto, lei venerata in Asia e in tutto il mondo -. Furibondi, gli operai gridarono: - Grande è l’Artemide degli efesini -. Tutta la città fu in tumulto, e molti corsero al teatro trascindandovi i macedoni Gaio e Aristarco compagni di viaggio di Paolo.

Il quale avrebbe voluto presentarsi personalmente, ma i discepoli glielo impedirono; anche gli asiarchi, che gli volevano bene, lo dissuasero dal comparire tra quella massa indiavolata che faceva una grande confusione: chi gridava una cosa  e chi un’altra, e molti nemmeno sapevano perchè gridavano né perché s’erano riuniti, fuorché per il maledetto gusto del soqquadro. Nel forte del baccano, un gruppo (quasi tutti ebrei) chiamareono fuor della folla un certo Aleesandro, perché parlasse.

 

Si fece avanti, tra l’urlio crescente, chiedendo silenzio con la mano. Ma, riconosciutolo giudeo, si misero a urlare più forte: - Grande è l’Artemide degli efesini -. Il segretario dell’assemblea, placata la folla, disse ad alta voce: - Efesini, c’è ancora qualcuno che ignora che la nostra città è custode della grande Artemide e della sua statua? Questa mi par cosa indiscutibile. E’ dunque vostro dovere ritornare alla calma e non far nulla di avventato che potrebbe costarvi caro. Voi avete artificiosamente trascinato qui questi uomini che non sono né sacrileghi né bestemmiatori della vostra Dea. Ora, se Demetrio e i suoi operai hanno da lamentarsi contro qualcuno sanno che ci sono le assemblee competenti, ci sono i proconsoli. Sporgano dunque querele, producendo le accuse. Che se poi avete altri reclami da fare si decideranno nell’assemblea legale. Qui, noi corriamo il rischio di passare per dei sediziosi per la bella prodezza che oggi si è inscenata, e che nessuna ragione giustifica -. E li mandò tutti a casa.[Franco Maria Ricci editore, 1977, Traduzione di Cesare Angelini, pp.118, 119]

Atti degli Apostoli, Capitolo XIX, 21-40Dopo questi fatti, Paolo progettò di fare un viaggio fino a Gerusalemme, passando per la Macedonia e l’Acaia. Pensava: "bisgona che vada più là ... e poi devo vedere anche Roma". Mandò avanti, in Macedonia, due dei suoi collaboratori, Timoteo ed Erasto; lui si trattenne in Asia ancora un poco.

In quei giorni, scoppiò in Efeso un grosso tumulto a causa della predicazione della Parola. Lo provocò un orefice di nome Demetrio, padrone di una fabbrica di tempietti d’Artemide in argento, che procurava un buon guadagno al padrone e ai lavoranti. Li riunì tutti e li arringò. - Operai, voi sapete che buoni affari facciamo con questo nostro mestiere. Ora è tra noi un tal Paolo il quale, predicando al popolo che le statue fatte con le vostre mani non sono Dei, ci porta incalcolabili danni, gettando il discredito sul nostro mestiere e il disprezzo sul tempio della nostra grande Artemide che vede minacciato il suo culto, lei venerata in Asia e in tutto il mondo -. Furibondi, gli operai gridarono: - Grande è l’Artemide degli efesini -. Tutta la città fu in tumulto, e molti corsero al teatro trascindandovi i macedoni Gaio e Aristarco compagni di viaggio di Paolo.

Il quale avrebbe voluto presentarsi personalmente, ma i discepoli glielo impedirono; anche gli asiarchi, che gli volevano bene, lo dissuasero dal comparire tra quella massa indiavolata che faceva una grande confusione: chi gridava una cosa  e chi un’altra, e molti nemmeno sapevano perchè gridavano né perché s’erano riuniti, fuorché per il maledetto gusto del soqquadro. Nel forte del baccano, un gruppo (quasi tutti ebrei) chiamareono fuor della folla un certo Aleesandro, perché parlasse.

 

Si fece avanti, tra l’urlio crescente, chiedendo silenzio con la mano. Ma, riconosciutolo giudeo, si misero a urlare più forte: - Grande è l’Artemide degli efesini -. Il segretario dell’assemblea, placata la folla, disse ad alta voce: - Efesini, c’è ancora qualcuno che ignora che la nostra città è custode della grande Artemide e della sua statua? Questa mi par cosa indiscutibile. E’ dunque vostro dovere ritornare alla calma e non far nulla di avventato che potrebbe costarvi caro. Voi avete artificiosamente trascinato qui questi uomini che non sono né sacrileghi né bestemmiatori della vostra Dea. Ora, se Demetrio e i suoi operai hanno da lamentarsi contro qualcuno sanno che ci sono le assemblee competenti, ci sono i proconsoli. Sporgano dunque querele, producendo le accuse. Che se poi avete altri reclami da fare si decideranno nell’assemblea legale. Qui, noi corriamo il rischio di passare per dei sediziosi per la bella prodezza che oggi si è inscenata, e che nessuna ragione giustifica -. E li mandò tutti a casa.[Franco Maria Ricci editore, 1977, Traduzione di Cesare Angelini, pp.118, 119]