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Attilio Bartoli Langeli: Il testamento di Enrico Scrovegni

Nuncupativo.Il testamento di Enrico Scrovegni è un testamento nuncupativo: egli per nuncupationem testamentum condidit sic dicens (3.2). Le parole per nuncupationem hanno corrispondenza con sic dicens. Le abbiamo tradotte «con solenne dichiarazione verbale». Infatti nuncupare significa dire, dettare, pronunciare ad alta voce e a chiare lettere. Gaio afferma che nuncupare è palam nominare, dire le cose chiaramente e in pubblico. Secondo i vocabolari antichi nuncupata è una cosa nominata, certa, nominibus propriis pronuntiafa. Il testamento nuncupativo o per nuncupationem, o ancora - altra locuzione - sine scriptis, consiste nella dichiarazione solenne e formale da parte del testatore delle proprie ultime volontà di fronte a un congruo numero di testimoni: testimoni che, al momento opportuno (ossia dopo la morte del testatore), saranno in grado, se necessario, di riferirle a chi di dovere. Basta questo per produrre pieni effetti giuridici: uti lingua nuncupassit, ita ius esto, letteralmente «come la lingua dichiara, cosi sia diritto», sanciva la se- sta delle XII Tavole (450 a.C.). Nel Medioevo, nelle terre di tradizione bizantina morire intestato era detto sine lingua mori.

L’alternativa al testamento nuncupativo è il testamento in scriplis. Quello cioè che il testatore scrive di proprio pugno nel suo segreto. Il testamento in scriptis, se scritto completamente, datato e sottoscritto dal testatore, è anche detto «olografo». L’aggettivo insomma equivale ad «autografo»; ma «autografo» attiene al fatto grafico in sé, «olografo» aggiunge la giuridicità, e in effetti è termine usato solo per i testamenti. Il testamento in scriptis dovrà essere aperto e convalidato dopo la morte del testatore con procedure determinate.

Le due forme del testamento erano del diritto romano e si sono mantenute fino ad oggi. Ciò vale a dire che nel corso del tempo e secondo i luoghi esse sono state usate in proporzioni e secondo modalità diverse; con riguardo non tanto alla forma in scriptis, della quale semmai variarono le solemnitates di convalidazione, quanto alla forma nuncupativa. Nella società italiana del tardo Medioevo, che qui interessa, il dato caratterizzante è l’onnipresenza del notaio e del documento notarile. Qualsiasi cosa si faccia, con anche minimo valore giuridico, passa per la penna del notaio; figurarsi un testamento. Il momento dell’oralità, che era dominante e autonomo nel diritto romano classico, veniva subordinato alla necessità della scrittura da parte di un notaio - questo è uno sviluppo complessivo, che investe tutto il campo delle espressioni di volontà di natura giuridica. Cosicché dal Duecento in avanti, un po’ paradossalmente, testamento nuncupativo ovvero sine scriptis significò testamento scritto da notaio.

Buona espressione di ciò è nella definizione di testamento nuncupativo che si legge nelle Formulae instrumentorum Cremonae (circa 1408), uno dei tanti formulari notarili italiani composti ad uso dei notariati locali. Scegliamo il cremonese, sebbene più tardo del 1336 perché il notaio che scrive il testamento di Enrico Scrovegni, Rafaino de Caresinis, era nato a Cremona (lo ripete regolarmente nelle sue tante sottoscrizioni, e nell’autopresentazione tra i testimoni: in presentia publicarum personarum scilicet mei Raphaini de Cremona notarii publici..., 2.1). Scrive dunque l’anonimo autore delle Formulae:

Testamentum privatum, idest sine scriptis, dicitur illud quod lit sine solemnitate a iure inventa, ...et tale dicitur nuncupativum, quando videlicet coram septem testibus et tabellione testator suam voluntatem et heredis institutionem et alia que in testamento ordinantur nuncupatur sive decfarat et exprimit; que, quamvis per tabellionem redigantur in scriptis, tamen dicitur sine scriptis eo quod prius ex verbis quam ex scriptis substantiam capiat. [«Testamento privato ossia sine scriptis è detto quello che è fatto senza la solemnitas individuata dal diritto... e si chiama nuncupativo quando il testatore nuncupatur cioè dichiara ed esprime davanti a sette testimoni e al notaio la sua volontà e l’istituzione dell’erede e le altre cose che si dispongono nel testamento; benché tutte quelle cose siano redatte per iscritto dal notaio, tuttavia si chiama sine scriptis in quanto prende sostanza prima dalle parole che dallo scritto».]

Il testamento nuncupativo fu all’epoca il testamento «normale», mentre il testamento in scriptis si riduceva a pratica eccezionale (meno che a Venezia). Come il testamento fa il paio con la confessione, così il notaio fa il paio col parroco o col frate che confessa il testatore. Il «sotto dettatura» intrinseco alla natura stessa del testamento nuncupativo restava, ma veniva subordinato alla sovranità redazionale del notaio. Certamente costui doveva aderire alle volontà espresse dal testatore: ma era lui a realizzarle in documento, usando le parole idonee.

[Attilio Bartoli Langeli, Il testamento di Enrico Scrovegni (12 marzo 1336), in Chiara Frugoni, L’affare migliore di Enrico. Giotto e la cappella Scrovegni, Einaudi Editore, Torino, 2008, pp.402-403]

Nuncupativo.Il testamento di Enrico Scrovegni è un testamento nuncupativo: egli per nuncupationem testamentum condidit sic dicens (3.2). Le parole per nuncupationem hanno corrispondenza con sic dicens. Le abbiamo tradotte «con solenne dichiarazione verbale». Infatti nuncupare significa dire, dettare, pronunciare ad alta voce e a chiare lettere. Gaio afferma che nuncupare è palam nominare, dire le cose chiaramente e in pubblico. Secondo i vocabolari antichi nuncupata è una cosa nominata, certa, nominibus propriis pronuntiafa. Il testamento nuncupativo o per nuncupationem, o ancora - altra locuzione - sine scriptis, consiste nella dichiarazione solenne e formale da parte del testatore delle proprie ultime volontà di fronte a un congruo numero di testimoni: testimoni che, al momento opportuno (ossia dopo la morte del testatore), saranno in grado, se necessario, di riferirle a chi di dovere. Basta questo per produrre pieni effetti giuridici: uti lingua nuncupassit, ita ius esto, letteralmente «come la lingua dichiara, cosi sia diritto», sanciva la se- sta delle XII Tavole (450 a.C.). Nel Medioevo, nelle terre di tradizione bizantina morire intestato era detto sine lingua mori.

L’alternativa al testamento nuncupativo è il testamento in scriplis. Quello cioè che il testatore scrive di proprio pugno nel suo segreto. Il testamento in scriptis, se scritto completamente, datato e sottoscritto dal testatore, è anche detto «olografo». L’aggettivo insomma equivale ad «autografo»; ma «autografo» attiene al fatto grafico in sé, «olografo» aggiunge la giuridicità, e in effetti è termine usato solo per i testamenti. Il testamento in scriptis dovrà essere aperto e convalidato dopo la morte del testatore con procedure determinate.

Le due forme del testamento erano del diritto romano e si sono mantenute fino ad oggi. Ciò vale a dire che nel corso del tempo e secondo i luoghi esse sono state usate in proporzioni e secondo modalità diverse; con riguardo non tanto alla forma in scriptis, della quale semmai variarono le solemnitates di convalidazione, quanto alla forma nuncupativa. Nella società italiana del tardo Medioevo, che qui interessa, il dato caratterizzante è l’onnipresenza del notaio e del documento notarile. Qualsiasi cosa si faccia, con anche minimo valore giuridico, passa per la penna del notaio; figurarsi un testamento. Il momento dell’oralità, che era dominante e autonomo nel diritto romano classico, veniva subordinato alla necessità della scrittura da parte di un notaio - questo è uno sviluppo complessivo, che investe tutto il campo delle espressioni di volontà di natura giuridica. Cosicché dal Duecento in avanti, un po’ paradossalmente, testamento nuncupativo ovvero sine scriptis significò testamento scritto da notaio.

Buona espressione di ciò è nella definizione di testamento nuncupativo che si legge nelle Formulae instrumentorum Cremonae (circa 1408), uno dei tanti formulari notarili italiani composti ad uso dei notariati locali. Scegliamo il cremonese, sebbene più tardo del 1336 perché il notaio che scrive il testamento di Enrico Scrovegni, Rafaino de Caresinis, era nato a Cremona (lo ripete regolarmente nelle sue tante sottoscrizioni, e nell’autopresentazione tra i testimoni: in presentia publicarum personarum scilicet mei Raphaini de Cremona notarii publici..., 2.1). Scrive dunque l’anonimo autore delle Formulae:

Testamentum privatum, idest sine scriptis, dicitur illud quod lit sine solemnitate a iure inventa, ...et tale dicitur nuncupativum, quando videlicet coram septem testibus et tabellione testator suam voluntatem et heredis institutionem et alia que in testamento ordinantur nuncupatur sive decfarat et exprimit; que, quamvis per tabellionem redigantur in scriptis, tamen dicitur sine scriptis eo quod prius ex verbis quam ex scriptis substantiam capiat. [«Testamento privato ossia sine scriptis è detto quello che è fatto senza la solemnitas individuata dal diritto... e si chiama nuncupativo quando il testatore nuncupatur cioè dichiara ed esprime davanti a sette testimoni e al notaio la sua volontà e l’istituzione dell’erede e le altre cose che si dispongono nel testamento; benché tutte quelle cose siano redatte per iscritto dal notaio, tuttavia si chiama sine scriptis in quanto prende sostanza prima dalle parole che dallo scritto».]

Il testamento nuncupativo fu all’epoca il testamento «normale», mentre il testamento in scriptis si riduceva a pratica eccezionale (meno che a Venezia). Come il testamento fa il paio con la confessione, così il notaio fa il paio col parroco o col frate che confessa il testatore. Il «sotto dettatura» intrinseco alla natura stessa del testamento nuncupativo restava, ma veniva subordinato alla sovranità redazionale del notaio. Certamente costui doveva aderire alle volontà espresse dal testatore: ma era lui a realizzarle in documento, usando le parole idonee.

[Attilio Bartoli Langeli, Il testamento di Enrico Scrovegni (12 marzo 1336), in Chiara Frugoni, L’affare migliore di Enrico. Giotto e la cappella Scrovegni, Einaudi Editore, Torino, 2008, pp.402-403]