Benedetta Craveri MARIA ANTONIETTA E LO SCANDALO DELLA COLLANA
La richiesta di comparire davanti al Parlamento, vale a dire davanti alla corte di giustizia di Parigi. Non volendo dar adito ad accuse di dispotismo, il re lo aveva lasciato libero di scegliere se appellarsi alla sua clemenza o sottoporsi a un regolare processo. Nel primo caso il cardinale evitava l’umiliazione della procedura giudiziaria e si rimetteva interamente alle decisioni del sovrano, ma rinunciava per sempre a dimostrare pubblicamente la propria innocenza. Nel secondo caso doveva rispondere formalmente davanti ai magistrati delle due imputazioni che gli erano mosse: l’accusa di truffa e quella, assai più grave, di lesa maestà per aver falsificato la firma della regina. Egli poteva certo sperare di far emergere la verità, ma qualora non fosse riuscito a convincere i giudici una sentenza di colpevolezza lo avrebbe inevitabilmente esposto a una durissima condanna, con molta probabilità la pena capitale. Sia i parenti del cardinale sia gli avvocati chiamati a consulto lo avevano esortato ad affidarsi alla giustizia del re, senza però arrivare a smuoverlo dalla sua posizione. "Esaltato dalla certezza della propria innocenza, e ancora convinto di aver agito solo per ordine della regina", Rohan non poteva in alcun modo rassegnarsi a passare per un volgare imbroglione: decise dunque di giocare la carta più rischiosa e di salvare il suo onore. Quel gesto di coraggio fu l’inizio del suo riscatto.
[Adelphi Edizioni S.p.a., Milano, Biblioteca minima, 2006, pp. 62-63]
La richiesta di comparire davanti al Parlamento, vale a dire davanti alla corte di giustizia di Parigi. Non volendo dar adito ad accuse di dispotismo, il re lo aveva lasciato libero di scegliere se appellarsi alla sua clemenza o sottoporsi a un regolare processo. Nel primo caso il cardinale evitava l’umiliazione della procedura giudiziaria e si rimetteva interamente alle decisioni del sovrano, ma rinunciava per sempre a dimostrare pubblicamente la propria innocenza. Nel secondo caso doveva rispondere formalmente davanti ai magistrati delle due imputazioni che gli erano mosse: l’accusa di truffa e quella, assai più grave, di lesa maestà per aver falsificato la firma della regina. Egli poteva certo sperare di far emergere la verità, ma qualora non fosse riuscito a convincere i giudici una sentenza di colpevolezza lo avrebbe inevitabilmente esposto a una durissima condanna, con molta probabilità la pena capitale. Sia i parenti del cardinale sia gli avvocati chiamati a consulto lo avevano esortato ad affidarsi alla giustizia del re, senza però arrivare a smuoverlo dalla sua posizione. "Esaltato dalla certezza della propria innocenza, e ancora convinto di aver agito solo per ordine della regina", Rohan non poteva in alcun modo rassegnarsi a passare per un volgare imbroglione: decise dunque di giocare la carta più rischiosa e di salvare il suo onore. Quel gesto di coraggio fu l’inizio del suo riscatto.
[Adelphi Edizioni S.p.a., Milano, Biblioteca minima, 2006, pp. 62-63]