Benjamin Constant: Le reazioni politiche
Sull’arbitrio ... La natura dei contratti è quella di porre condizioni ben precise: ora, essendo l’arbitrio esattamente l’opposto di ciò che costituisce un contratto, esso mina alla base ogni istituzione politica. So bene che coloro i quali, rigettando i principì come incompatibili con le istituzioni umane, danno via libera all’arbitrio, sono gli stessi che vorrebbero mitigarlo e limitarlo; ma questa speranza è assurda, giacché per mitigare o limitare l’arbitrio bisognerebbe imporgli limiti precisi, e dunque cesserebbe di essere arbitrio.Per sua natura l’arbitrio deve essere ovunque, o da nessuna parte. Deve essere dappertutto non di fatto, ma di diritto; e vedremo tra poco quanto conti questa differenza. L’arbitrio distrugge tutto ciò che tocca, perché distrugge la garanzia di tutto ciò che tocca. Ora, senza una garanzia nulla esiste poiché nulla esiste se non di fatto, e il fatto non è che un accidente: non esiste come istituzione se non ciò che esiste di diritto.
Ne consegue che ogni istituzione che voglia affermarsi senza garanzia, cioè con l’arbitrio, è un’istituzione suicida; e che se una sola parte dell’ordine sociale viene lasciata all’arbitrio, si annulla la garanzia di tutto il rimanente.
L’arbitrio è dunque incompatibile con l’esistenza di un governo, considerato sotto il profilo della sua istituzione. È pericoloso per un governo considerato sotto il profilo della sua azione perché, sebbene con l’affrettarne il cammino gli si conferisca talvolta l’aspetto della forza, si tolgono tuttavia sempre alla sua azione la regolarità e la durata. Ricorrendo all’arbitrio i governi concedono gli stessi diritti che assumono per sé. Di conseguenza, perdono più di quanto non guadagnino: perdono tutto.
Dicendo a un popolo: «Le vostre leggi sono insufficienti a governarvi», essi autorizzano questo popolo a rispondere: «Se le nostre leggi sono insufficienti, vogliamo altre leggi»; a queste parole tutta la legittima autorità di un governo viene meno; gli resta solo la forza, non è più un governo. Sarebbe infatti fare troppo assegnamento sulla stupidità degli uomini il dire loro: «Avete acconsentito a imporvi questo o quell’incomodo per assicurarvi la tale protezione: vi togliamo questa protezione, ma vi lasciamo l’incomodo; da un lato sopporterete tutti gli impacci dello stato sociale, dall’altro sarete esposti a tutti i rischi di uno stato selvaggio.»
Tale è il linguaggio implicito di un governo che fa ricorso all’arbitrio.
Tra un popolo e un governo esiste sempre una reciprocità di doveri. Se il rapporto del governo verso il popolo risiede nella legge, nella legge sarà anche quello del popolo verso il governo; ma se il rapporto del governo verso il popolo sta nell’arbitrio, egualmente nell’arbitrio sarà quello del popolo verso il governo.
Infine, l’arbitrio non è di nessun aiuto a un governo sotto il profilo della sicurezza degli individui che lo compongono, poiché esso non offre agli individui alcun riparo.
Ciò che fate contro i vostri nemici per mezzo della legge, i vostri nemici non possono farlo contro di voi per mezzo della legge, perché la legge è là, precisa e formale: essa non può colpirvi, se siete innocenti. Ma ciò che fate contro i vostri nemici per mezzo dell’arbitrio, i vostri nemici potranno farlo contro di voi per mezzo dell’arbitrio, perché l’arbitrio è vago e senza limiti: esso vi colpirà, innocenti o colpevoli che siate.
Al tempo della cospirazione di Babeuf alcuni si adiravano per l’osservanza e la lentezza delle formalità procedurali. «Se i cospiratori avessero trionfato - gridavano costoro - avrebbero osservato nei nostri riguardi tutte queste formalità?» Ed è proprio perché essi non le avrebbero! osservate che voi dovete osservarle: ecco ciò che vi distingue: è questo, solo questo, ciò che vi dà il diritto di punirli; è questo che fa di loro degli anarchici e di voi degli amici dell’ordine. Quando l’11 o pratile dell’anno III i tiranni di Francia che avevano tentato di ristabilire il loro spaventoso impero furono sgominati e vinti, vennero create, per giudicare i criminali, delle commissioni militari; e le proteste di alcuni uomini scrupolosi e preveggenti non furono ascoltate. Queste commissioni militari diedero vita ai consigli militari del 13 vendemmiaio dell’anno IV che a loro volta generarono le commissioni militari del fruttidoro dello stesso anno; e queste ultime hanno dato origine ai tribunali militari del ventoso dell’anno V.
Qui non discuto né la legalità né la competenza di questi diversi tribunali. Voglio solo dimostrare che essi si autorizzano e si perpetuano con l’esempio; e vorrei che finalmente si comprendesse come, nell’imprevedibile succedersi delle circostanze, non esiste nessun individuo tanto privilegiato, nessun partito dotato di un potere tanto duraturo da credersi al riparo della sua stessa dottrina e da non dover temere che l’applicazione della sua stessa teoria non ricada presto o tardi su di lui.
Se si potesse analizzare freddamente il periodo spaventoso al quale il 9 termidoro ha posto così tardi fine, si vedrebbe che il terrore non era che l’arbitrio spinto alle sue estreme conseguenze. Ora, per la natura stessa dell’arbitrio, non si può mai esser certi che esso non sarà spinto agli estremi. Anzi è indubbio che vi giungerà ogni qualvolta si vedrà aggredito. Infatti una cosa senza limiti, difesa con provvedimenti senza limiti, non è suscettibile di essere contenuta. L’arbitrio, combattendo per l’arbitrio, deve superare ogni barriera, abbattere ogni ostacolo, generare, in una parola, quello che era il terrore.
[Le reazioni politiche. Gli effetti del terrore, Traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, 2008, pp.66-69]
Sull’arbitrio ... La natura dei contratti è quella di porre condizioni ben precise: ora, essendo l’arbitrio esattamente l’opposto di ciò che costituisce un contratto, esso mina alla base ogni istituzione politica. So bene che coloro i quali, rigettando i principì come incompatibili con le istituzioni umane, danno via libera all’arbitrio, sono gli stessi che vorrebbero mitigarlo e limitarlo; ma questa speranza è assurda, giacché per mitigare o limitare l’arbitrio bisognerebbe imporgli limiti precisi, e dunque cesserebbe di essere arbitrio.Per sua natura l’arbitrio deve essere ovunque, o da nessuna parte. Deve essere dappertutto non di fatto, ma di diritto; e vedremo tra poco quanto conti questa differenza. L’arbitrio distrugge tutto ciò che tocca, perché distrugge la garanzia di tutto ciò che tocca. Ora, senza una garanzia nulla esiste poiché nulla esiste se non di fatto, e il fatto non è che un accidente: non esiste come istituzione se non ciò che esiste di diritto.
Ne consegue che ogni istituzione che voglia affermarsi senza garanzia, cioè con l’arbitrio, è un’istituzione suicida; e che se una sola parte dell’ordine sociale viene lasciata all’arbitrio, si annulla la garanzia di tutto il rimanente.
L’arbitrio è dunque incompatibile con l’esistenza di un governo, considerato sotto il profilo della sua istituzione. È pericoloso per un governo considerato sotto il profilo della sua azione perché, sebbene con l’affrettarne il cammino gli si conferisca talvolta l’aspetto della forza, si tolgono tuttavia sempre alla sua azione la regolarità e la durata. Ricorrendo all’arbitrio i governi concedono gli stessi diritti che assumono per sé. Di conseguenza, perdono più di quanto non guadagnino: perdono tutto.
Dicendo a un popolo: «Le vostre leggi sono insufficienti a governarvi», essi autorizzano questo popolo a rispondere: «Se le nostre leggi sono insufficienti, vogliamo altre leggi»; a queste parole tutta la legittima autorità di un governo viene meno; gli resta solo la forza, non è più un governo. Sarebbe infatti fare troppo assegnamento sulla stupidità degli uomini il dire loro: «Avete acconsentito a imporvi questo o quell’incomodo per assicurarvi la tale protezione: vi togliamo questa protezione, ma vi lasciamo l’incomodo; da un lato sopporterete tutti gli impacci dello stato sociale, dall’altro sarete esposti a tutti i rischi di uno stato selvaggio.»
Tale è il linguaggio implicito di un governo che fa ricorso all’arbitrio.
Tra un popolo e un governo esiste sempre una reciprocità di doveri. Se il rapporto del governo verso il popolo risiede nella legge, nella legge sarà anche quello del popolo verso il governo; ma se il rapporto del governo verso il popolo sta nell’arbitrio, egualmente nell’arbitrio sarà quello del popolo verso il governo.
Infine, l’arbitrio non è di nessun aiuto a un governo sotto il profilo della sicurezza degli individui che lo compongono, poiché esso non offre agli individui alcun riparo.
Ciò che fate contro i vostri nemici per mezzo della legge, i vostri nemici non possono farlo contro di voi per mezzo della legge, perché la legge è là, precisa e formale: essa non può colpirvi, se siete innocenti. Ma ciò che fate contro i vostri nemici per mezzo dell’arbitrio, i vostri nemici potranno farlo contro di voi per mezzo dell’arbitrio, perché l’arbitrio è vago e senza limiti: esso vi colpirà, innocenti o colpevoli che siate.
Al tempo della cospirazione di Babeuf alcuni si adiravano per l’osservanza e la lentezza delle formalità procedurali. «Se i cospiratori avessero trionfato - gridavano costoro - avrebbero osservato nei nostri riguardi tutte queste formalità?» Ed è proprio perché essi non le avrebbero! osservate che voi dovete osservarle: ecco ciò che vi distingue: è questo, solo questo, ciò che vi dà il diritto di punirli; è questo che fa di loro degli anarchici e di voi degli amici dell’ordine. Quando l’11 o pratile dell’anno III i tiranni di Francia che avevano tentato di ristabilire il loro spaventoso impero furono sgominati e vinti, vennero create, per giudicare i criminali, delle commissioni militari; e le proteste di alcuni uomini scrupolosi e preveggenti non furono ascoltate. Queste commissioni militari diedero vita ai consigli militari del 13 vendemmiaio dell’anno IV che a loro volta generarono le commissioni militari del fruttidoro dello stesso anno; e queste ultime hanno dato origine ai tribunali militari del ventoso dell’anno V.
Qui non discuto né la legalità né la competenza di questi diversi tribunali. Voglio solo dimostrare che essi si autorizzano e si perpetuano con l’esempio; e vorrei che finalmente si comprendesse come, nell’imprevedibile succedersi delle circostanze, non esiste nessun individuo tanto privilegiato, nessun partito dotato di un potere tanto duraturo da credersi al riparo della sua stessa dottrina e da non dover temere che l’applicazione della sua stessa teoria non ricada presto o tardi su di lui.
Se si potesse analizzare freddamente il periodo spaventoso al quale il 9 termidoro ha posto così tardi fine, si vedrebbe che il terrore non era che l’arbitrio spinto alle sue estreme conseguenze. Ora, per la natura stessa dell’arbitrio, non si può mai esser certi che esso non sarà spinto agli estremi. Anzi è indubbio che vi giungerà ogni qualvolta si vedrà aggredito. Infatti una cosa senza limiti, difesa con provvedimenti senza limiti, non è suscettibile di essere contenuta. L’arbitrio, combattendo per l’arbitrio, deve superare ogni barriera, abbattere ogni ostacolo, generare, in una parola, quello che era il terrore.
[Le reazioni politiche. Gli effetti del terrore, Traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, 2008, pp.66-69]