Bruno Leoni (1913-1967) IL DIRITTO COME PRETESA INDIVIDUALE

È piuttosto diffusa l’affermazione che gli obblighi giuridici differiscono da quelli morali perché i primi, a differenza dei secondi, si presentano, nella formulazione con la quale sono espressi, connessi con una possibile coercizione. Non sono affatto convinto di questa teoria.

Come possiamo ignorare il fatto che molte norme che sono solitamente considerate giuridiche (e specificamente quelle che sono considerate fondamentali per qualsiasi ordinamento giuridico) siano prive di ogni aspetto coercitivo, così come di un richiamo alla coattività nella loro formulazione?

Naturalmente, per questo c’è una buona ragione, che pure sembra essere sfuggita a molti studiosi. Se l’obbedienza alle norme giuridiche dipendesse in effetti dalla coercizione, o anche dalla mera paura di essa, l’intero processo risulterebbe tanto pieno di attriti e così difficoltoso da incepparsi. È curioso notare come molte persone siano così profondamente impressionate dalla natura peculiare della coercibilità come presunta componente tipica delle norme giuridiche da trascurare completamente il rilievo molto marginale della coercizione in ogni reale ordine giuridico considerato nel suo insieme.

Le sanzioni e la coercizione non creano il diritto; esse si limitano ad assisterlo in un limitato numero di casi, e inoltre, come ho già sottolineato, esse possono applicarsi soltanto ad alcuni tipi di norme che potremmo considerare come subordinate ad altre. Le norme più importanti spesso non fanno neppure riferimento alle sanzioni o alla coercizione, per la semplice ragione che nessuna sanzione o coercizione potrebbe sostenerle in modo efficace; si pensi alle norme costituzionali, in ogni singolo paese, o alle norme del diritto internazionale, riguardanti i rapporti tra stati.

[in Il diritto come pretesa, Liberilibri, Macerata, 2004, pp. 122]

È piuttosto diffusa l’affermazione che gli obblighi giuridici differiscono da quelli morali perché i primi, a differenza dei secondi, si presentano, nella formulazione con la quale sono espressi, connessi con una possibile coercizione. Non sono affatto convinto di questa teoria.

Come possiamo ignorare il fatto che molte norme che sono solitamente considerate giuridiche (e specificamente quelle che sono considerate fondamentali per qualsiasi ordinamento giuridico) siano prive di ogni aspetto coercitivo, così come di un richiamo alla coattività nella loro formulazione?

Naturalmente, per questo c’è una buona ragione, che pure sembra essere sfuggita a molti studiosi. Se l’obbedienza alle norme giuridiche dipendesse in effetti dalla coercizione, o anche dalla mera paura di essa, l’intero processo risulterebbe tanto pieno di attriti e così difficoltoso da incepparsi. È curioso notare come molte persone siano così profondamente impressionate dalla natura peculiare della coercibilità come presunta componente tipica delle norme giuridiche da trascurare completamente il rilievo molto marginale della coercizione in ogni reale ordine giuridico considerato nel suo insieme.

Le sanzioni e la coercizione non creano il diritto; esse si limitano ad assisterlo in un limitato numero di casi, e inoltre, come ho già sottolineato, esse possono applicarsi soltanto ad alcuni tipi di norme che potremmo considerare come subordinate ad altre. Le norme più importanti spesso non fanno neppure riferimento alle sanzioni o alla coercizione, per la semplice ragione che nessuna sanzione o coercizione potrebbe sostenerle in modo efficace; si pensi alle norme costituzionali, in ogni singolo paese, o alle norme del diritto internazionale, riguardanti i rapporti tra stati.

[in Il diritto come pretesa, Liberilibri, Macerata, 2004, pp. 122]