Caio Svetonio Tranquillo (70-126) - VITE DEI CESARI

Augusto

XXXIII. Amministrò egli stesso assiduamente la giustizia, talvolta fino a notte; e se stava male faceva collocare la lettiga davanti al tribunale, oppure giudicava restando nel suo palazzo, a letto. Rendeva giustizia non solo con scrupolo estremo, ma anche con umanità; infatti, per evitare che un accusato di evidente parricidio fosse cucito nel sacco di cuoio*, - pena che toccava solo ai rei confessi, - interrogandolo formulò cosi la domanda: « Non sei stato tu, è vero, ad uccidere tuo padre?» E un’altra volta, durante un processo per falso testamento, poiché per la legge Cornelia erano indistintamente colpevoli tutti quelli che avevano apposto la loro firma, egli distribuì ai giudici non solo due tabelle, quella per condannare e quella per assolvere, ma anche una terza con cui si perdonavano quanti risultassero essere stati indotti a firmare con frode o per errore.

Delegò annualmente a un pretore urbano i ricorsi presentati dalle parti litiganti in Roma, e quelli dei provinciali a giudici consolari, a ciascuno dei quali aveva affidato i processi di una singola provincia.

XXXIV. Corresse alcune leggi, ed altre ne promulgò interamente nuove, come quelle sulle spese, quella sugli adulteri e sul pudore, quelle sulla corruzione e sui matrimoni delle varie classi. Quest’ultima, in particolare, la emendò con severità assai maggiore delle altre; ma per la resistenza degli oppositori non riuscì a farla approvare se non togliendo, o almeno mitigando, una parte delle pene, concedendo un’esenzione di tre anni e aumentando i premi.

* Per antica tradizione, i parricidi erano gettati in acqua dentro un sacco di cuoio in cui erano stati posti un gallo, una scimmia, un cane e una vipera (N.d.C.).

[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1962, pp. 126-7].

Augusto

XXXIII. Amministrò egli stesso assiduamente la giustizia, talvolta fino a notte; e se stava male faceva collocare la lettiga davanti al tribunale, oppure giudicava restando nel suo palazzo, a letto. Rendeva giustizia non solo con scrupolo estremo, ma anche con umanità; infatti, per evitare che un accusato di evidente parricidio fosse cucito nel sacco di cuoio*, - pena che toccava solo ai rei confessi, - interrogandolo formulò cosi la domanda: « Non sei stato tu, è vero, ad uccidere tuo padre?» E un’altra volta, durante un processo per falso testamento, poiché per la legge Cornelia erano indistintamente colpevoli tutti quelli che avevano apposto la loro firma, egli distribuì ai giudici non solo due tabelle, quella per condannare e quella per assolvere, ma anche una terza con cui si perdonavano quanti risultassero essere stati indotti a firmare con frode o per errore.

Delegò annualmente a un pretore urbano i ricorsi presentati dalle parti litiganti in Roma, e quelli dei provinciali a giudici consolari, a ciascuno dei quali aveva affidato i processi di una singola provincia.

XXXIV. Corresse alcune leggi, ed altre ne promulgò interamente nuove, come quelle sulle spese, quella sugli adulteri e sul pudore, quelle sulla corruzione e sui matrimoni delle varie classi. Quest’ultima, in particolare, la emendò con severità assai maggiore delle altre; ma per la resistenza degli oppositori non riuscì a farla approvare se non togliendo, o almeno mitigando, una parte delle pene, concedendo un’esenzione di tre anni e aumentando i premi.

* Per antica tradizione, i parricidi erano gettati in acqua dentro un sacco di cuoio in cui erano stati posti un gallo, una scimmia, un cane e una vipera (N.d.C.).

[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1962, pp. 126-7].