Cardinal de Richelieu: magistrati e vendita delle cariche

L’esperienza del passato deve farci temere l’avvenire, sia perché essa ci ha mostrato che chi ha più credito di solito ha la meglio contro chi è virtuoso, sia perché il Principe e i suoi confidenti possono conoscere i meriti delle persone solo attraverso il giudizio di terzi e di quarti, spesso scambiando l’ombra per il corpo.
Una bassa nascita produce raramente le qualità necessarie ai magistrati; ed è certo che la virtù di una persona di alta estrazione ha qualcosa di più nobile di quello che si riscontra in un uomo di umili origini. In genere costoro sono difficili da maneggiare, e molti hanno un’austerità così spinosa, non solo irritante, ma anche dannosa.
Avviene per essi come per gli alberi: quelli piantati in una buona terra danno frutti migliori di quelli piantati in una terra povera, pertanto, la vendita delle cariche non solo non deve essere condannata perché esclude dagli uffici molta gente di bassa condizione, al contrario, questo è uno dei motivi che la rendono più tollerabile.
La ricchezza è un grande ornamento per le cariche, che sono molto esaltate dalla pompa esteriore, tanto che si può ben dire che tra due persone uguali nel merito, la più ricca è preferibile all’altra, poiché è certo che un magistrato povero deve aver una tempra assai forte, per non lasciarsi qualche volta ammorbidire dalla considerazione dei suoi interessi privati. L’esperienza insegna che i ricchi sono meno soggetti a concussione degli altri, e che la povertà costringe un pubblico ufficiale a preoccuparsi soprattutto della situazione delle proprie tasche.
[Armand-Jean du Plessis cardinal de Richelieu, Testamento politico e massime di stato, traduzione e cura di Alessandro Piazzi, Nino Aragno Editore, 2016, p.119]