Carlo Goldoni (1707-1793) MEMORIE (Libro 1, Capitolo XLIX)
Una famiglia rispettabile, l’unico figlio maschio, alcune sorelle in età da marito, non bisognava forse salvarlo?
Indennizzata la parte lesa, feci cambiare la serratura dell’appartamento del primo piano; la chiave del secondo poteva aprirla: il giovane aveva semplicemente sbagliato piano, aveva aperto per inavvertenza; il denaro sotto gli occhi l’aveva poi soggiogato.
Cominciai il mio memoriale con il settimo versetto del venticinquesimo salmo: Delicta iuventutis meae et ignorantias meas ne memineris, Domine. Dimentica, Signore, gli errori della mia gioventù e quelli della mia ignoranza; rafforzai la mia arringa con autorità classiche, sentenze della Rota Romana e della camera criminale di Firenze, che si chiama il Magistrato degli Otto; vi misi del ragionevole e del patetico: non si trattava di un reo abituato al crimine che cercasse di attenuare il proprio delitto, ma era uno sventato che confessava il proprio errore e domandava la grazia in nome di un padre rispettabile e di due fanciulle di merito prossime al matrimonio e non prive di interesse. Alla fine il ladruncolo fu condannato a restare in prigione per tre mesi: la famiglia fu molto contenta di me e il giudice penale mi porse i suoi complimenti. Eccomi, dunque sempre più legato a una professione che mi procurava a un tempo onore, piacere e un guadagno ragionevole.
[Traduzione di Paola Ranzini, Arnoldo Mondadori Editore, Meridiani, Milano, 1993, p. 277] Una difesa in un processo penale mi procurò, inoltre, immenso onore. Un giovane appartenente a famiglia nobile aveva derubato un vicino; c’era una porta forzata e ci si apprestava a condannarlo al carcere.
Una famiglia rispettabile, l’unico figlio maschio, alcune sorelle in età da marito, non bisognava forse salvarlo?
Indennizzata la parte lesa, feci cambiare la serratura dell’appartamento del primo piano; la chiave del secondo poteva aprirla: il giovane aveva semplicemente sbagliato piano, aveva aperto per inavvertenza; il denaro sotto gli occhi l’aveva poi soggiogato.
Cominciai il mio memoriale con il settimo versetto del venticinquesimo salmo: Delicta iuventutis meae et ignorantias meas ne memineris, Domine. Dimentica, Signore, gli errori della mia gioventù e quelli della mia ignoranza; rafforzai la mia arringa con autorità classiche, sentenze della Rota Romana e della camera criminale di Firenze, che si chiama il Magistrato degli Otto; vi misi del ragionevole e del patetico: non si trattava di un reo abituato al crimine che cercasse di attenuare il proprio delitto, ma era uno sventato che confessava il proprio errore e domandava la grazia in nome di un padre rispettabile e di due fanciulle di merito prossime al matrimonio e non prive di interesse. Alla fine il ladruncolo fu condannato a restare in prigione per tre mesi: la famiglia fu molto contenta di me e il giudice penale mi porse i suoi complimenti. Eccomi, dunque sempre più legato a una professione che mi procurava a un tempo onore, piacere e un guadagno ragionevole.
[Traduzione di Paola Ranzini, Arnoldo Mondadori Editore, Meridiani, Milano, 1993, p. 277]