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Cassazione Lavoro: le ore extra di lavori socialmente utili devono essere remunerate sulla base del CCNL di settore

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’amministrazione che utilizzi lavoratori socialmente utili non può applicare per le ore extra di lavoro una retribuzione unilateralmente determinata e inferiore a quella prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria (CCNL).

 

Nel caso in esame, un soggetto, occupato in lavori socialmente utili al servizio di un’amministrazione regionale con un orario di 25 ore settimanali, ricorreva all’autorità giudiziaria, denunciando la violazione delle norme di legge che regolano l’istituto dei lavori socialmente utili (LSU). L’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 468 del 1997 prevede che lo svolgimento di tali mansioni per un orario settimanale superiore alle 20 ore comporta l’obbligo di integrare la retribuzione del lavoratore di un valore pari alla retribuzione corrisposta ad un dipendente, occupato in mansioni analoghe, con un implicito rinvio per la definizione del quantum alla contrattazione di settore.

 

Il Tribunale rigettava la domanda. In appello, i giudici confermavano la sentenza impugnata, adducendo l’abrogazione (implicita) del decreto citato ad opera del Decreto Legislativo n. 81/2000 (costituente la disciplina attualmente in vigore in materia di LSU), che all’articolo 4 demanda agli enti locali la determinazione della retribuzione per lo svolgimento di LSU per un orario superiore alle 20 ore settimanali.

 

Il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, per violazione e falsa applicazione delle norme di legge precedentemente richiamate.

 

I giudici di legittimità, analizzando attentamente il contenuto del decreto n.81/2000, con riferimento in particolare all’articolo 10 che definisce le norme abrogate (esplicitamente) e all’efficacia della legge con riferimento ai rapporti già instaurati al tempo della sua entrata in vigore, hanno concluso affermando che non esiste alcuna abrogazione esplicita né alcuna incompatibilità (tale da farne derivare un’abrogazione implicita) tra l’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 468/1997 e l’articolo 4 del Decreto Legislativo n.81/2000.

 

Di conseguenza, rimane in vigore la disposizione richiamata nella domanda del ricorrente, che continua a disciplinare la materia in esame.

 

D’altro canto, si legge nel testo della sentenza, sarebbe peraltro incongruo lasciare la determinazione della retribuzione per queste ore [quelle superiori alle 20 ore settimanali] all’arbitrio dell’utilizzatore. Il soggetto utilizzatore deve remunerare le ore eccedenti mediante un importo integrativo, non liberamente determinato, ma corrispondente alla retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale, calcolato detraendo le ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti che svolgono attività analoghe.

 

L’amministrazione utilizzatrice di lavoratori socialmente utili deve, pertanto, fare riferimento ai contratti collettivi nazionali di categoria (CCNL) applicati nel settore, in quanto fonti regolanti la materia della retribuzione lavorativa, così come definita dalla contrattazione tra le parti sociali.

 

La Cassazione ha accolto il ricorso e rinviato gli atti alla Corte del luogo per una nuova pronuncia.

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 14 aprile 2014, n. 8643)

 

 

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’amministrazione che utilizzi lavoratori socialmente utili non può applicare per le ore extra di lavoro una retribuzione unilateralmente determinata e inferiore a quella prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria (CCNL).

 

Nel caso in esame, un soggetto, occupato in lavori socialmente utili al servizio di un’amministrazione regionale con un orario di 25 ore settimanali, ricorreva all’autorità giudiziaria, denunciando la violazione delle norme di legge che regolano l’istituto dei lavori socialmente utili (LSU). L’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 468 del 1997 prevede che lo svolgimento di tali mansioni per un orario settimanale superiore alle 20 ore comporta l’obbligo di integrare la retribuzione del lavoratore di un valore pari alla retribuzione corrisposta ad un dipendente, occupato in mansioni analoghe, con un implicito rinvio per la definizione del quantum alla contrattazione di settore.

 

Il Tribunale rigettava la domanda. In appello, i giudici confermavano la sentenza impugnata, adducendo l’abrogazione (implicita) del decreto citato ad opera del Decreto Legislativo n. 81/2000 (costituente la disciplina attualmente in vigore in materia di LSU), che all’articolo 4 demanda agli enti locali la determinazione della retribuzione per lo svolgimento di LSU per un orario superiore alle 20 ore settimanali.

 

Il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, per violazione e falsa applicazione delle norme di legge precedentemente richiamate.

 

I giudici di legittimità, analizzando attentamente il contenuto del decreto n.81/2000, con riferimento in particolare all’articolo 10 che definisce le norme abrogate (esplicitamente) e all’efficacia della legge con riferimento ai rapporti già instaurati al tempo della sua entrata in vigore, hanno concluso affermando che non esiste alcuna abrogazione esplicita né alcuna incompatibilità (tale da farne derivare un’abrogazione implicita) tra l’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 468/1997 e l’articolo 4 del Decreto Legislativo n.81/2000.

 

Di conseguenza, rimane in vigore la disposizione richiamata nella domanda del ricorrente, che continua a disciplinare la materia in esame.

 

D’altro canto, si legge nel testo della sentenza, sarebbe peraltro incongruo lasciare la determinazione della retribuzione per queste ore [quelle superiori alle 20 ore settimanali] all’arbitrio dell’utilizzatore. Il soggetto utilizzatore deve remunerare le ore eccedenti mediante un importo integrativo, non liberamente determinato, ma corrispondente alla retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale, calcolato detraendo le ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti che svolgono attività analoghe.

 

L’amministrazione utilizzatrice di lavoratori socialmente utili deve, pertanto, fare riferimento ai contratti collettivi nazionali di categoria (CCNL) applicati nel settore, in quanto fonti regolanti la materia della retribuzione lavorativa, così come definita dalla contrattazione tra le parti sociali.

 

La Cassazione ha accolto il ricorso e rinviato gli atti alla Corte del luogo per una nuova pronuncia.

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 14 aprile 2014, n. 8643)