Cecilia M. Ady: La condotta di Giovanni II Bentivoglio
La sua attitudine ad acquistare danaro e la riluttanza a privarsene erano ben note a quanti si trovavano in rapporto con lui. In materia di “condotte” il suo principale obiettivo fu quello di ottenere il più possibile e di dare il meno possibile per quanto lo consentissero le circostanze, e la tentazione di risparmiare a spese della sua compagnia in tempo di pace fu irresistibile. Una disputa fra lui e Galeazzo Maria Sforza costituisce un esempio divertente del conflitto di interessi fra committente e incaricato e mostra la larga parte giocata dalla contrattazione individuale nella formulazione dei contratti di condottiero, rivelando come, perfino quando il contratto era concluso, non si poteva essere molto sicuro che venisse rispettato.
Nel 1475 Giovanni ricevette, con molte espressioni di gioia, la notizia che la sua provvigione annuale era stata portata da 10000 a 12000 ducati; ma la gioia si mutò in indignazione quando gli fu intimato che per questa somma doveva mantenere venti uomini d’arme in più del previsto. Il Simonetta, agendo nell’interesse del Duca, deciso com’era ad assicurare un certo profitto a vantaggio del suo signore e in violazione dei canoni relativi alle “condotte”, sollevò eccezioni per alcuni uomini arruolati da Giovanni e fece ulteriori richieste per accertare come venissero spese le somme da pagarsi secondo i termini della “condotta”. Giovanni fu fermo nel rifiuto di accrescere i componenti la compagnia e minacciò di rinunciare alla “condotta” piuttosto che tollerare interferenze alla propria autorità di paghe e di disciplina. Il Simonetta non volle rischiare l’inimicizia di Bologna e cedette; l’accordo raggiunto fra le due parti previde che, nonostante l’accresciuta provvigione, la compagnia di Giovanni dovesse consistere ancora di un centinaio d’uomini d’arme. La cosa, disse Giovanni, era finita come una commedia che comincia tra le difficoltà e lascia ciascuno in pace e contento; aggiunse anzi di attendere ardentemente il giorno fissato per una rivista delle sue truppe, in modo da mostrare che bella schiera egli potesse mettere in campo.
Quando la rivista ebbe luogo, fu dimostrato che il lieto fine della commedia non era ancora acquisito. Il Simonetta si dolse aspramente delle condizioni della compagnia, sostenendo che era lungi dall’aver raggiunto una piena funzionalità, che i cavalli e l’equipaggiamento risultavano inadeguati e che appariva chiaro come si stesse spendendo troppo poco per la sua efficienza: insistette poi che non meno di cinquanta ducati dovessero essere pagati ad ogni uomo e che una rivista della compagnia si dovesse effettuare ogni volta che il danaro venisse inviato da Milano. Se Giovanni avesse rifiutato tali condizioni, gli sarebbero stati versati 3000 ducati come salario personale e la compagnia sarebbe stata mantenuta per lui dal governo milanese. Giovanni fu costretto a piegarsi alle condizioni del Simonetta e a vedersi privato dell’aumento di provvigione.
Quando la vedova di Galeazzo Maria Sforza consultò il rappresentante milanese a Bologna circa i termini del rinnovo della “condotta” a Giovanni, egli consigliò che la provvigione fosse fissata a 10000 ducati, aggiungendo che gli altri 2000 ducati potevano benissimo andare dimenticati e omessi, come del resto era già avvenuto al tempo del suo consorte ora defunto. Nessuna meraviglia che Giovanni fosse convinto di essere odiato dal Simonetta e che accogliesse la notizia della sua disgrazia e della sua caduta con palese soddisfazione.
Se il duca di Milano ebbe giusti motivi per lamentarsi del suo condottiero, questi si lagnò sempre con lui per il ritardo tutt’altro che regolare del salario. Dopo l’allontanamento de Simonetta i pagamenti si effettuarono sempre più in arretrato, finché nel 1492 Giovanni era creditore siano a 32000 ducati. In quell’anno, con la mediazione di Ercole d’Este, fu raggiunto un accordo, per cui Giovanni accettò 24000 ducati. Pagabili in tre rate annuali, a cancellazione del debito e nel contempo acconsentì ad una riduzione della condotta per il futuro.
[Cecilia M. Ady, La condotta di Giovanni II Bentivoglio, Dall’Oglio Editore, 1967, pp.105, 106]