Cesaremaria Gori: La tragica morte di Ippolito Nievo

Nel 1855 Ippolito conseguì la laurea in legge all’Università di Padova ma non pensò mai seriamente di intraprendere la professione forense ripercorrendo le orme paterne. La sua naturalezza e la mancanza di ipocrisia gli impedivano di intraprendere una professione che egli sentiva contraria al suo temperamento e al suo modo di intendere la vita che era per lui dovere di azione e di fedeltà alle proprie idee e di continua ricerca di perfezione.

Insofferente ad ogni formalismo, si era reso conto, da tempo, che la sua vita era nel mondo letterario ove poteva dar libero sfogo alle sue tendenze e alla sua sensibilità. Questa insofferenza a vincoli e obblighi formali spiegano anche, come si vedrà in seguito, il suo arruolamento tra le truppe irregolari di Garibaldi invece che nell’esercito sardo. Tuttavia dimostrò subito di non aver sprecato del tutto il suo tempo a studiar codici e pandette.

Nel 1857, infatti, si difese brillantemente nel processo intentatogli, con la accusa di “lesa maestà”, per certe sue allusioni nella novella l’Avvocatino. Si volle vedere in quella novella un vilipendio alla Gendarmeria austriaca. Riuscì a cavarsela con una multa di pochi fiorini ma fu costretto a lasciare il prediletto Friuli e a rifugiarsi a Milano ove fu accolto con calore, essendosi la sua fama di scrittore di talento già diffusa nei salotti eleganti della città.

I suoi studi e la laurea in giurisprudenza furono, peraltro, una delle principali cause per le quali fu destinato da Garibaldi, su pressione del suo amico Giovanni Acerbi, all’Intendenza, dimodoché non si può dire che la sua preparazione giuridica sia rimasta senza seguito nella vita.

[Cesaremaria Gori, La tragica morte di Ippolito Nievo, Edizioni Solfanelli, 2012, pp. 45-46]

Nel 1855 Ippolito conseguì la laurea in legge all’Università di Padova ma non pensò mai seriamente di intraprendere la professione forense ripercorrendo le orme paterne. La sua naturalezza e la mancanza di ipocrisia gli impedivano di intraprendere una professione che egli sentiva contraria al suo temperamento e al suo modo di intendere la vita che era per lui dovere di azione e di fedeltà alle proprie idee e di continua ricerca di perfezione.

Insofferente ad ogni formalismo, si era reso conto, da tempo, che la sua vita era nel mondo letterario ove poteva dar libero sfogo alle sue tendenze e alla sua sensibilità. Questa insofferenza a vincoli e obblighi formali spiegano anche, come si vedrà in seguito, il suo arruolamento tra le truppe irregolari di Garibaldi invece che nell’esercito sardo. Tuttavia dimostrò subito di non aver sprecato del tutto il suo tempo a studiar codici e pandette.

Nel 1857, infatti, si difese brillantemente nel processo intentatogli, con la accusa di “lesa maestà”, per certe sue allusioni nella novella l’Avvocatino. Si volle vedere in quella novella un vilipendio alla Gendarmeria austriaca. Riuscì a cavarsela con una multa di pochi fiorini ma fu costretto a lasciare il prediletto Friuli e a rifugiarsi a Milano ove fu accolto con calore, essendosi la sua fama di scrittore di talento già diffusa nei salotti eleganti della città.

I suoi studi e la laurea in giurisprudenza furono, peraltro, una delle principali cause per le quali fu destinato da Garibaldi, su pressione del suo amico Giovanni Acerbi, all’Intendenza, dimodoché non si può dire che la sua preparazione giuridica sia rimasta senza seguito nella vita.

[Cesaremaria Gori, La tragica morte di Ippolito Nievo, Edizioni Solfanelli, 2012, pp. 45-46]