Cinzia Bearzot LA GIUSTIZIA NELLA GRECIA ANTICA
La sicofantia
La sicofantia è fenomeno tipico del sistema giudiziario attico, in cui il processo è, come abbiamo visto, di tipo accusatorio: cioè è il cittadino che deve assumersi la responsabilità di prendere l’iniziativa di intentare un’accusa, di carattere pubblico (in cui cioè la cittadinanza intera è parte lesa) o privato (in cui la parte lesa è un singolo cittadino).
È proprio dalla figura del boulomenos ("chiunque lo voglia", li (colui che nelle accuse pubbliche può intentare l’azione legale), voluta a quanto sembra da Solone, che si sviluppa quella del sicofante o accusatore di professione. Il termine "sicofante" significa, letteralmente, "denunciatore di fichi": esso è stato collegato con l’antico divieto soloniano di esportare merci agrarie dall’Attica, ma forse il senso è, in questo caso, non tanto quello di "denunciatore di fichi" ma quello di "denunciatore di cose di poco conto". Il sicofante è dunque colui che, a pagamento, si presta a svolgere la funzione del boulomenos, intentando accuse infondate e pretestuose, rendendo false testimonianze, ricattando i cittadini con la minaccia di un’azione legale (dato che molti preferivano pagare piuttosto che subire un processo). Così Aristofane presenta il sicofante nel Pluto (anno 388), vv. 906 ss., in un dibattito tra due personaggi denominati l’Uomo giusto (dikaios anér) e, appunto, il Sicofante:
DA Se non sai far niente, come ti guadagni la vita?
s Sono ispettore degli affari pubblici e privati.
DA Tu? E perché?
s Perché mi piace. i
DA E tu saresti onesto, delinquente che ti rendi odioso impicciandoti dei I fatti altrui?
s Come? Non sono fatti miei, sciocco, occuparmi del bene della città con tutte le mie forze?
DA E a te intrallazzare sembra fare il bene della città?
s lo difendo le leggi vigenti e non permetto che vengano trasgredite.
DA Ma per questo non ci sono giudici nominati apposta?
s Sì, ma l’accusa chi la sostiene?
DA Chi vuole (ho boulomenos).
s E quello sono appunto io; di modo che le cose di stato sono affari miei.
Il dialogo mette bene in evidenza la considerazione del sicofante, da parte dell’uomo comune, come uno che si guadagna da vivere impicciandosi dei fatti altrui, cioè trascinando in giudizio i cittadini senza motivo; d’altro canto, il sicofante rivendica il suo ruolo ufficiale di boulomenos, che fa di lui qualcuno che si prende cura dell’interesse pubblico. È chiaro che i sicofanti si presentavano come l’espressione migliore del sistema giudiziario attico, rivendicando il diritto di iniziativa del cittadino in campo giudiziario a difesa della legalità democratica e del bene comune (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 9, I, afferma che l’istituzione della figura del boulomenos fu tra i provvedimenti "più democratici" di Solone); si comprende dunque perché la sicofantia sia stata intesa come una "malattia" del sistema democratico. Certo, essa fu un fenomeno altamente destabilizzante per il sistema giudiziario attico.
[Marsilio Editore, 2008, pp. 95-96]
La sicofantia
La sicofantia è fenomeno tipico del sistema giudiziario attico, in cui il processo è, come abbiamo visto, di tipo accusatorio: cioè è il cittadino che deve assumersi la responsabilità di prendere l’iniziativa di intentare un’accusa, di carattere pubblico (in cui cioè la cittadinanza intera è parte lesa) o privato (in cui la parte lesa è un singolo cittadino).
È proprio dalla figura del boulomenos ("chiunque lo voglia", li (colui che nelle accuse pubbliche può intentare l’azione legale), voluta a quanto sembra da Solone, che si sviluppa quella del sicofante o accusatore di professione. Il termine "sicofante" significa, letteralmente, "denunciatore di fichi": esso è stato collegato con l’antico divieto soloniano di esportare merci agrarie dall’Attica, ma forse il senso è, in questo caso, non tanto quello di "denunciatore di fichi" ma quello di "denunciatore di cose di poco conto". Il sicofante è dunque colui che, a pagamento, si presta a svolgere la funzione del boulomenos, intentando accuse infondate e pretestuose, rendendo false testimonianze, ricattando i cittadini con la minaccia di un’azione legale (dato che molti preferivano pagare piuttosto che subire un processo). Così Aristofane presenta il sicofante nel Pluto (anno 388), vv. 906 ss., in un dibattito tra due personaggi denominati l’Uomo giusto (dikaios anér) e, appunto, il Sicofante:
DA Se non sai far niente, come ti guadagni la vita?
s Sono ispettore degli affari pubblici e privati.
DA Tu? E perché?
s Perché mi piace. i
DA E tu saresti onesto, delinquente che ti rendi odioso impicciandoti dei I fatti altrui?
s Come? Non sono fatti miei, sciocco, occuparmi del bene della città con tutte le mie forze?
DA E a te intrallazzare sembra fare il bene della città?
s lo difendo le leggi vigenti e non permetto che vengano trasgredite.
DA Ma per questo non ci sono giudici nominati apposta?
s Sì, ma l’accusa chi la sostiene?
DA Chi vuole (ho boulomenos).
s E quello sono appunto io; di modo che le cose di stato sono affari miei.
Il dialogo mette bene in evidenza la considerazione del sicofante, da parte dell’uomo comune, come uno che si guadagna da vivere impicciandosi dei fatti altrui, cioè trascinando in giudizio i cittadini senza motivo; d’altro canto, il sicofante rivendica il suo ruolo ufficiale di boulomenos, che fa di lui qualcuno che si prende cura dell’interesse pubblico. È chiaro che i sicofanti si presentavano come l’espressione migliore del sistema giudiziario attico, rivendicando il diritto di iniziativa del cittadino in campo giudiziario a difesa della legalità democratica e del bene comune (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 9, I, afferma che l’istituzione della figura del boulomenos fu tra i provvedimenti "più democratici" di Solone); si comprende dunque perché la sicofantia sia stata intesa come una "malattia" del sistema democratico. Certo, essa fu un fenomeno altamente destabilizzante per il sistema giudiziario attico.
[Marsilio Editore, 2008, pp. 95-96]