Dario Pedrazzini LA VITA QUOTIDIANA DEI LONGOBARDI AI TEMPI DI RE ROTARI
Giunti in Italia, i Longobardi hanno trovato un mondo da tempo abituato all’uso della scrittura ed essi stessi hanno iniziato ad adottare questo mezzo di espressione per tramandare al futuro il proprio passato e per ribadire la propria identità proprio a partire dall’Editto di Rotari. Infatti, nonostante la veste linguistica latina, traspaiono molti tratti caratteristici originali, sia a livello di mentalità che a livello di forma, proprio come accade per un’antica icona in cui l’antico dipinto è sparito, ma rimangono le decorazioni in argento e oro a mostrarci le fattezze della figura originale. Ad esempio nel testo in latino dell’Editto sono state riportate brevi espressioni dal longobardo legate alla specificità di una determinata situazione come lid in laib (va in lascito), morgingab et metfio (dono del mattino e regalo di fidanzamento), gaida et gisil (asta e freccia) o handegawerc et harigawerc (utensili e armamenti).
...
Dal punto di vista della nostra civiltà attuale cosi come di quella degli antichi Romani, profondamente alfabetizzate, la parola scritta appare l’unica ad avere un valore, ma cosi non era per moltissime culture antiche (e ancora oggi per molte culture moderne).
Infatti anche dopo l’arrivo in Italia, nonostante il confronto con una tradizione scritta, l’importanza dell’oralità tra i Longobardi rimane enorme: nell’Editto di Rotari si afferma, ad esempio, che ogni uomo libero longobardo, per rivendicare il proprio diritto all’eredità deve recitare a memoria la propria genealogia fino alla settima generazione, non esiste il testamento scritto come mezzo per trasmettere le proprie sostanze e nei procedimenti giudiziari il giuramento ha valore di testimonianza veridica.
Nel prologo dell’Editto si ricordano sinteticamente le vicende che hanno portato i Longobardi in Italia e si ricapitola la sequenza dei re, al termine della quale, nel tempo presente, si colloca lo stesso Rotari quale diciassettesimo re della gente longobarda. Egli riconosce che la legittimità delle leggi emanate da un re longobardo si basa sulla tradizione degli antenati, pertanto ricorda ai guerrieri longobardi la legittimità del suo potere. In sostanza il patrimonio delle memorie sin a quel momento tramandate oralmente garantiscono sia l’autorità del sovrano regnante che il suo diritto a promulgare leggi anche attraverso il nuovo mezzo della scrittura.
Inoltre esso costituisce quel nocciolo antico di tradizioni che permette di definire in modo chiaro l’identità nazionale del regno e quindi di fornire una linea guida che dia coesione a una società che è stratificata e plurietnica.
Il diritto romano non ha ormai più valore ufficiale, in quanto ora l’unica legge che regola i rapporti pubblici è quella longobarda. Perciò a partire dal 569 il diritto romano si trasforma gradualmente in una tradizione giuridica che rimane come consuetudine a regolare ormai solo i rapporti privati tra italici o i rapporti giuridici tra ecclesiastici. Gli italici che raggiungono posti di rilievo nella società, assumono necessariamente come propria la legge longobarda.
Tuttavia l’eredità giuridica del mondo romano non è totalmente obliterata. Nel prologo dell’editto Rotari dice espressamente che esso contiene tradizioni antiche ma anche che è stato necessario apportare delle innovazioni. Infatti nel corpus di leggi di origine chiaramente germanica compaiono anche una serie di norme che sono state prese in prestito dal diritto romano. Si tratta delle norme che riguardano la regolamentazione della proprietà privata, specie della proprietà terriera.
[Gabriele Angelini Editore, 2007, pp. 12-13]
Giunti in Italia, i Longobardi hanno trovato un mondo da tempo abituato all’uso della scrittura ed essi stessi hanno iniziato ad adottare questo mezzo di espressione per tramandare al futuro il proprio passato e per ribadire la propria identità proprio a partire dall’Editto di Rotari. Infatti, nonostante la veste linguistica latina, traspaiono molti tratti caratteristici originali, sia a livello di mentalità che a livello di forma, proprio come accade per un’antica icona in cui l’antico dipinto è sparito, ma rimangono le decorazioni in argento e oro a mostrarci le fattezze della figura originale. Ad esempio nel testo in latino dell’Editto sono state riportate brevi espressioni dal longobardo legate alla specificità di una determinata situazione come lid in laib (va in lascito), morgingab et metfio (dono del mattino e regalo di fidanzamento), gaida et gisil (asta e freccia) o handegawerc et harigawerc (utensili e armamenti).
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Dal punto di vista della nostra civiltà attuale cosi come di quella degli antichi Romani, profondamente alfabetizzate, la parola scritta appare l’unica ad avere un valore, ma cosi non era per moltissime culture antiche (e ancora oggi per molte culture moderne).
Infatti anche dopo l’arrivo in Italia, nonostante il confronto con una tradizione scritta, l’importanza dell’oralità tra i Longobardi rimane enorme: nell’Editto di Rotari si afferma, ad esempio, che ogni uomo libero longobardo, per rivendicare il proprio diritto all’eredità deve recitare a memoria la propria genealogia fino alla settima generazione, non esiste il testamento scritto come mezzo per trasmettere le proprie sostanze e nei procedimenti giudiziari il giuramento ha valore di testimonianza veridica.
Nel prologo dell’Editto si ricordano sinteticamente le vicende che hanno portato i Longobardi in Italia e si ricapitola la sequenza dei re, al termine della quale, nel tempo presente, si colloca lo stesso Rotari quale diciassettesimo re della gente longobarda. Egli riconosce che la legittimità delle leggi emanate da un re longobardo si basa sulla tradizione degli antenati, pertanto ricorda ai guerrieri longobardi la legittimità del suo potere. In sostanza il patrimonio delle memorie sin a quel momento tramandate oralmente garantiscono sia l’autorità del sovrano regnante che il suo diritto a promulgare leggi anche attraverso il nuovo mezzo della scrittura.
Inoltre esso costituisce quel nocciolo antico di tradizioni che permette di definire in modo chiaro l’identità nazionale del regno e quindi di fornire una linea guida che dia coesione a una società che è stratificata e plurietnica.
Il diritto romano non ha ormai più valore ufficiale, in quanto ora l’unica legge che regola i rapporti pubblici è quella longobarda. Perciò a partire dal 569 il diritto romano si trasforma gradualmente in una tradizione giuridica che rimane come consuetudine a regolare ormai solo i rapporti privati tra italici o i rapporti giuridici tra ecclesiastici. Gli italici che raggiungono posti di rilievo nella società, assumono necessariamente come propria la legge longobarda.
Tuttavia l’eredità giuridica del mondo romano non è totalmente obliterata. Nel prologo dell’editto Rotari dice espressamente che esso contiene tradizioni antiche ma anche che è stato necessario apportare delle innovazioni. Infatti nel corpus di leggi di origine chiaramente germanica compaiono anche una serie di norme che sono state prese in prestito dal diritto romano. Si tratta delle norme che riguardano la regolamentazione della proprietà privata, specie della proprietà terriera.
[Gabriele Angelini Editore, 2007, pp. 12-13]