David Friedman (1945) L'INGRANAGGIO DELLA LIBERTÀ
Immaginiamo che tu ed io siamo due Islandesi del 1050 d.C. Tu tagli legna nella mia foresta. Io ti cito in giudizio. Il tribunale decide a mio favore e ti condanna a pagare dieci once d’argento in risarcimento. tu ignori il verdetto. Io ritorno in tribunale e presento la prova che tu non hai obbedito al verdetto. La corte ti dichiara fuori legge. Hai qualche settimana per lasciare l’Islanda. Quando il tempo è scaduto, io ti posso uccidere senza conseguenze legali. Se i tuoi amici ti aiutano, vìolano la legge e possono essere citati.
Un’ovvia obiezione a un sistema del genere è che una persona sufficientemente potente - misurando la forza sul numero di amici e parenti che ha, su quanto questi sono fedeli e ii abili nel combattere - può disobbedire alla legge rimanendo impunita, perlomeno quando si tratta di individui che combattono con qualcuno meno potente di loro. Il sistema islandese aveva una semplice ed elegante soluzione al problema.
Una citazione per danni era un titolo trasferibile; se tu mi avessi fatto un’offesa, ma io fossi stato troppo debole per far - valere il mio diritto, potevo venderlo o affidarlo a qualcun altro più potente. Era allora nell’interesse di costui far valere i suoi diritti per ottenere il risarcimento del danno, per mantenere la propria reputazione e poterne beneficiare nei futuri conflitti.
La vittima, in una situazione del genere, rinunciava, in parte o del tutto, al suo risarcimento per danni, ma otteneva qualcosa di più importante in cambio - la dimostrazione che chiunque gli arrecasse un danno era costretto a pagare per esso. Il che veniva reso con maggiore forza se era chiaro che la stessa persona che si era occupata della prima disputa se ne sarebbe fatta carico anche in futuro, se si fossero verificate le stesse circostanze. Il potente individuo che si prendeva cura di casi del genere poteva essere il capotribù, che agiva per difendere un suo suddito, oppure semplicemente un proprietario terriero locale con molti amici; entrambi i casi compaiono nelle saghe islandesi.
Un aiuto per comprendere le istituzioni legali dell’Islanda medievale potrebbe venire dal considerarle come un caso estremo di qualcosa di familiare. Il nostro sistema giuridico è diviso in due settori - quello civiie e quello penale. In un certo senso il diritto civile è fatto valere su iniziativa dei privati, e quello penale dal sistema pubblico. Se qualcuno ti rompe un braccio, tu chiami un poliziotto. Se qualcuno ti rompe una
finestra - oppure non rispetta un contratto - tu vai dall’ avvocato. Quest’ultimo, come rappresentante dell’attore, svolge in una causa civile lo stesso compito che svolge un procuratore distrettuale come rappresentante dello Stato.
Nell’Islanda medievale tutta la giurisprudenza era civile. La parte lesa aveva l’onere di far valere il suo reclamo, sia individualmente che con l’assistenza di altre persone. La vittima che trasferiva il suo caso a un individuo più potente, ottenendo in cambio la metà di quello che gli era dovuto, agiva in un certo senso come agisce al giorno d’oggi il danneggiato che si accorda con l’avvocato per dividere il risarcimento, invece di pagare una parcella.
Si potrebbe obiettare che, anche se questo fosse un modo efficiente di applicare la legge, non è giusto. Perché la vittima dovrebbe, per vincere la sua causa, cedere la metà, oppure tutta la sua parte di risarcimento che gli spetta? Forse questo non è giusto - ma meno ingiusto del sistema sotto il quale viviamo adesso. Oggi, la vittima di un illecito civile, proprio come un Islandese che subiva dei danni, deve sopportare i costi per fornire le prove del suo caso, mentre la vittima di un illecito penale non ottiene alcun risarcimento, a meno che parallelamente non intenti, e paghi, una causa civile.
Dal momento che l’ordinamento islandese si basava interamente su un sistema di azioni giudiziarie private, può essere visto come simile al nostro diritto civile allargato fino a includere quelli che noi consideriamo reati. È simile alla nostra legislazione civile anche in un altro senso. Nel nostro, sistema, colui che perde una causa civile, di solito, sebbene non inevitabilmente, finisce con il risarcire i danni al vincitore; un processo penale, invece, si conclude di solito con una condanna non monetaria, come il passare un determinato periodo in prigione oppure, in casi estremi, con la pena capitale. Nel sistema islandese il tipico risarcimento era costituito da una somma in denaro dovuta alle vittime o ai loro eredi. L’alternativa, se si perdeva la causa, era l’essere dichiarati fuori legge. La somma dovuta per aver ucciso qualcuno era chiamata wergeld -"uomo-oro’.
[Liberilibri, Macerata, 1997, pp. 283-286]