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Duccio Balestracci LE ARMI I CAVALLI L’ORO Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del trecento

Chi si rivolge a questo tipo di soldati, in genere, si impegna a corrispondere, oltre alla paga in denaro, anche gli anticipi per dotarli di cavalcature, armature e armi; a indennizzare i cavalli morti o feriti e a riscattare gli uomini eventualmente presi prigionieri. In genere questa voce copre un terzo o un quarto di quanto pattuito per il periodo iniziale del servizio; quando l’ingaggio è superiore a un anno, l’anticipo può coprire anche la metà della cifra totale. Raramente questo beneficio è concesso al singolo: più frequentemente è un gruppo capeggiato e garantito da uno o più comandanti a poterne usufruire. Più frequentemente ancora, è il comandante generale della compagna a ricevere il prestito, come avviene, per citare solo un caso, nel 1390 quando il comune di Perugia concede un mutuo di cento fiorini a Giovanni Cane capitaneus gentium del Conte di Virtù. La somma, ovviamente, è detratta dalle paghe future.

Può accadere che i tesorieri si trovino in difficoltà quando il signore impone loro di versare immediatamente anticipi sostanziosi. In questi casi, quindi, sono costretti a loro volta a chiedere soldi a prestatori privati, come devono fare talvolta i tesorieri milanesi nel Trecento.

I patti tra Firenze e l’Acuto offrono un ottimo osservatorio per capire su quali basi viene reclutato un condottiero. Quando la città ingaggia l’inglese e i suoi uomini, nel 1390, si accorda con lui per una ferma annuale, conclusa la quale il comune eserciterà il diritto di opzione per l’eventuale riconferma per un ulteriore anno, previo avviso entro l’ultimo mese di servizio. Il condottiero, per parte sua, si impegna a svolgere, oltre alle operazioni di guerra, anche una serie di servizi di guardia e di pubblica sicurezza in città, tanto di giorno quanto di notte. Terminata la condotta, il comandante promette di non combattere contro Firenze per due anni come capo di compagnia propria e per sei mesi qualora sia stipendiato da altro capitano. La clausola dell’impegno al temporaneo rispetto nei confronti dell’ingaggiatore si ritrova correntemente ma è superfluo aggiungere che raramente viene rispettata e non di rado, appena terminata la condotta, i soldati non esitano a saccheggiare le terre di chi li ha pagati fino al giorno prima.

Essere assoldati non significa necessariamente venire immediatamente impegnati in zona di operazioni: dal XIV secolo, infatti, si sviluppa il "soldo di attesa" o "condotta in aspetto", un sistema che viene applicato in tempo di pace e che troverà il suo pieno sviluppo nel corso del Quattrocento. In base a questo tipo di accordo, i soldati ricevono un soldo ridotto ma si tengono a disposizione, pronti ad accorrere in servizio in caso di bisogno. In attesa di essere impegnato, peraltro, il condottiero può utilizzare i suoi soldati come gli pare, compreso farli combattere per altri committenti finché non lo richieda il primo assoldatore.

Come giustamente sottolinea Mallett, questo sistema si rivela particolarmente conveniente per quei condottieri che dispongono anche di una loro signoria, della quale possono occuparsi fin quando non si rende indispensabile il loro utilizzo come mercenari.

Naturalmente, chi ingaggia si tutela e si garantisce il controllo della qualità degli assoldati. Proprio in occasione della condotta che Firenze stipula nel 1389 con Giovanni Acuto e con Corrado Lando, il commissario Matteo di Iacopo Arrighi riceve una dettagliata lettera di istruzioni dalla signoria su ciò che deve fare e ciò che deve controllare: dovrà accertarsi di persona che il Lando abbia a disposizione le quattrocento lance (mille e duecento uomini) pattuite e che l’Acuto disponga delle sue sessanta e, si sottolinea, controlli bene anche che i soldati siano di buona qualità ("intendendo tre huomini e tre cavalli per lancia e non femine"). Stia inoltre attento, l’Arrighi, a non farsi ingannare da quelle due volpi: ad essi dovrà dire che, appena firmato l’accordo per la condotta, mandino a Firenze i loro procuratori perché allora, ma solo allora, "noi daremo loro le loro paghe".

Chi si rivolge a questo tipo di soldati, in genere, si impegna a corrispondere, oltre alla paga in denaro, anche gli anticipi per dotarli di cavalcature, armature e armi; a indennizzare i cavalli morti o feriti e a riscattare gli uomini eventualmente presi prigionieri. In genere questa voce copre un terzo o un quarto di quanto pattuito per il periodo iniziale del servizio; quando l’ingaggio è superiore a un anno, l’anticipo può coprire anche la metà della cifra totale. Raramente questo beneficio è concesso al singolo: più frequentemente è un gruppo capeggiato e garantito da uno o più comandanti a poterne usufruire. Più frequentemente ancora, è il comandante generale della compagna a ricevere il prestito, come avviene, per citare solo un caso, nel 1390 quando il comune di Perugia concede un mutuo di cento fiorini a Giovanni Cane capitaneus gentium del Conte di Virtù. La somma, ovviamente, è detratta dalle paghe future.

Può accadere che i tesorieri si trovino in difficoltà quando il signore impone loro di versare immediatamente anticipi sostanziosi. In questi casi, quindi, sono costretti a loro volta a chiedere soldi a prestatori privati, come devono fare talvolta i tesorieri milanesi nel Trecento.

I patti tra Firenze e l’Acuto offrono un ottimo osservatorio per capire su quali basi viene reclutato un condottiero. Quando la città ingaggia l’inglese e i suoi uomini, nel 1390, si accorda con lui per una ferma annuale, conclusa la quale il comune eserciterà il diritto di opzione per l’eventuale riconferma per un ulteriore anno, previo avviso entro l’ultimo mese di servizio. Il condottiero, per parte sua, si impegna a svolgere, oltre alle operazioni di guerra, anche una serie di servizi di guardia e di pubblica sicurezza in città, tanto di giorno quanto di notte. Terminata la condotta, il comandante promette di non combattere contro Firenze per due anni come capo di compagnia propria e per sei mesi qualora sia stipendiato da altro capitano. La clausola dell’impegno al temporaneo rispetto nei confronti dell’ingaggiatore si ritrova correntemente ma è superfluo aggiungere che raramente viene rispettata e non di rado, appena terminata la condotta, i soldati non esitano a saccheggiare le terre di chi li ha pagati fino al giorno prima.

Essere assoldati non significa necessariamente venire immediatamente impegnati in zona di operazioni: dal XIV secolo, infatti, si sviluppa il "soldo di attesa" o "condotta in aspetto", un sistema che viene applicato in tempo di pace e che troverà il suo pieno sviluppo nel corso del Quattrocento. In base a questo tipo di accordo, i soldati ricevono un soldo ridotto ma si tengono a disposizione, pronti ad accorrere in servizio in caso di bisogno. In attesa di essere impegnato, peraltro, il condottiero può utilizzare i suoi soldati come gli pare, compreso farli combattere per altri committenti finché non lo richieda il primo assoldatore.

Come giustamente sottolinea Mallett, questo sistema si rivela particolarmente conveniente per quei condottieri che dispongono anche di una loro signoria, della quale possono occuparsi fin quando non si rende indispensabile il loro utilizzo come mercenari.

Naturalmente, chi ingaggia si tutela e si garantisce il controllo della qualità degli assoldati. Proprio in occasione della condotta che Firenze stipula nel 1389 con Giovanni Acuto e con Corrado Lando, il commissario Matteo di Iacopo Arrighi riceve una dettagliata lettera di istruzioni dalla signoria su ciò che deve fare e ciò che deve controllare: dovrà accertarsi di persona che il Lando abbia a disposizione le quattrocento lance (mille e duecento uomini) pattuite e che l’Acuto disponga delle sue sessanta e, si sottolinea, controlli bene anche che i soldati siano di buona qualità ("intendendo tre huomini e tre cavalli per lancia e non femine"). Stia inoltre attento, l’Arrighi, a non farsi ingannare da quelle due volpi: ad essi dovrà dire che, appena firmato l’accordo per la condotta, mandino a Firenze i loro procuratori perché allora, ma solo allora, "noi daremo loro le loro paghe".