Friedrich Reck: Il processo ai fratelli Scholl

Ripenso a tutte queste cose camminando con tristezza per la città un tempo così gaia e bella, e ora invece gravemente danneggiata dall’ultimo bombardamento. È allora che sento parlare per la prima volta della morte dei fratelli Scholl, caduti vittime del loro ideale.
Non li ho mai incontrati. Ho avuto solo vaghe notizie sulla loro attività, la cui eco è giunta fino al mio ritiro campestre. Sono particolari di tale portata che ci rifiutavamo di credere veri: sono stati i primi in Germania ad avere il coraggio di sacrificarsi. Sembra che avessero iniziato un movimento che continua anche dopo la loro morte, gettando così un seme che domani darà i suoi frutti.
Senza scendere a compromessi, lanciando quasi una sfida alla morte, si sono messi all’opera, e sono stati denunciati da una miserabile canaglia di bidello dell’università che in seguito dovette essere messo al riparo da atti di vendetta dietro le mura di una prigione. Sono stati condannati da una seconda copia di Rossdorfer, sono morti nella gloria del loro disprezzo per la morte e del loro spirito di sacrificio, conquistando così la corona della vita.
Ho avuto notizie sulla loro origine e sui loro precedenti dai loro compagni di scuola. Erano due giovani di buona famiglia sveva che vivevano in disparte, nel silenzio di una solitudine quasi monastica, già circondati da quell’aureola conferita da una morte eroica imminente. Il loro comportamento in tribunale – soprattutto quello della ragazza – è stato sublime. Hanno sputato il loro disprezzo sulla faccia dei giudici, del partito, di quel megalomane di Hitler, e infine hanno fatto una cosa che ai vivi fa provare il soffio gelido dell’eternità. Nelle loro ultime parole, come un tempo i templari condannati, hanno dichiarato che i giudici, i giustizieri e i loro complici «entro un anno sarebbero stati chiamati in giudizio al cospetto di Dio». Per quanto riguarda i templari giustiziati, un anno dopo la loro condanna né papa Clemente V né il re di Francia Filippo IV erano più in vita. E noi dobbiamo ancora soffrire tutto ciò che può accadere nello spazio di un anno.
Ma i fratelli Scholl ci hanno lasciati in silenzio, hanno religiosamente versato il loro sangue di giusti con sublime dignità. Sulla loro tomba si dovrebbe scrivere a lettere di fuoco questa frase che un giorno farà arrossire il nostro popolo, da dieci anni immerso nel disonore: «Cogi non potest quisquis mori scit … chi sa morire non può essere reso schiavo». Dovremo forse un giorno andare tutti in pellegrinaggio alle loro tombe, pieni di vergogna?
[Friedrich Reck, Diario di un disperato. Memorie di un aristocratico antinazista, Lit Edizioni, 2015, pp.152-153]