Giambattista Bugatti MASTRO TITTA, IL BOIA DI ROMA: MEMORIE DI UN CARNEFICE SCRITTE DA LUI STESSO

Giunta a questo punto Geltrude Pellegrini narrò al fiscale tutti i particolari del delitto e della scena che era seguita fra lei ed Enrico, nella casa di costui; ma non volle saperne assolutamente di declinare il suo nome o di dare qualche indagine sul suo conto. La segretezza più scrupolosa aveva sempre regnato ne’ loro rapporti e nessuna indagine avrebbe potuto scoprirlo. Ad onta della tremenda delusione patita, ad onta dell’oltraggio da lui ricevuto tale ella riteneva il disprezzo, che le aveva dimostrato, voleva risparmargli il dolore di coinvolgerlo nel processo. E fu irremovibile ed accorta.

Il colloquio fra Geltrude e il fiscale, terminò coll’arresto della colpevole e col sequestro delle due valigie, che aveva portato seco.

L’istruzione della causa durò parecchio tempo, perché il giudice inquirente volle esaurire tutte le pratiche per rintracciare l’amante e per udirlo, quantunque apparisse evidente che non poteva aver avuto complicità alcuna colla Geltrude.

Pronunziata sentenza di morte, la Pellegrini domandò i conforti religiosi e si chiarì contrita e devota, si mostrò rassegnata, ma coraggiosa e convinta d’aver meritata la pena inflittale.

La mattina del 9 gennaio 1838, in cui ebbe luogo l’esecuzione, una emozione vivissima dominava in tutti gli animi di Roma. Il processo aveva destato un interesse grande, immenso; la fama della bellezza di Geltrude v’aggiungeva esca. La folla s’addensava compatta innanzi al carcere, e per tutte le vie, donde il sinistro corteo doveva passare, e sul teatro dell’esecuzione. Le finestre delle case erano gremite di curiosi, come le strade e d’ogni parte si appuntavano sulla carretta sguardi e cannocchiali.

Giunta innanzi al palco, scese dal veicolo con fermo passo, in modesto, ma non avvilito atteggiamento. La bruna veste che aveva indosso, scendendo a larghe pieghe lungo la persona, dava risalto maggiore alle sue forme scultorie e aggiungeva una cert’aria di sentimentalità alla sua bellissima fisionomia. Era pallida, non abbattuta. Salì sicuramente i gradini del patibolo e dopo aver baciato il crocifisso, che le porgeva il confessore, mentre gli altri confortatori si ritiravano, porse il capo alla mannaia. Non appena fu caduto sotto il colpo della ghigliottina, afferrai per i capelli il capo della bellissima donna e sollevandolo lo mostrai alla folla attonita e commossa come non mi era mai accaduto di vedere.

[Da www.liberliber.it]