Gnocchi & Palmaro: La colpa di Pilato

Il Procuratore della Giudea una colpa l’ha però commessa. Ed è quella di non aver compreso quale fosse il fondamento della sua autorità. Pilato è una vittima del formalismo giuridico, cioè dell’incapacità di far prevalere la giustizia sostanziale, la verità, sul guscio vuoto della legge degli uomini. Gesù gliene offre l’occasione quando gli ricorda: «Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto». Pilato zittisce, perché forse pensa con un tremito a Tiberio. E i capi del Sinedrio faranno appello proprio a questa debolezza dell’uomo, ricattandolo con una minaccia tremenda: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare!». Ma Gesù intendeva dire un’altra cosa: ogni potere umano è legittimo soltanto se riconosce la sua dipendenza da Dio e dalla verità. In questo senso, l’errore di Pilato rimanda direttamente alla modernità in cui siamo immersi.
Non per nulla il filosofo del diritto boemo Hans Kelsen trova irreprensibile la condotta del Procuratore romano, che nell’incertezza si affida al giudizio della maggioranza. «Pilato», scriveva Joseph Ratzinger nel 1993, «diventa il simbolo della democrazia relativistica e scettica, basata non su verità e valori, ma su procedure. Che nel caso di Gesù venga condannato un uomo giusto e innocente non sembra turbare Kelsen: non vi è infatti altra verità che la maggioranza».
[Gnocchi & Palmaro, Ci salveranno le vecchie zie, Fede & Cultura, 2012, pp.112-113]