x

x

Guy de Maupassant: Racconti

Quando un gentiluomo, nel secolo scorso, rovinava galantemente la propria amante, egli subito acquisiva un accrescimento di buona riputazione. Se poi l'amante così spogliata era una gran dama, se, abbandonata non appena la sua borsa era stata vuotata, ella veniva sostituita da un'altra che il seduttore svaligiava con la medesima disinvoltura e il medesimo appetito, egli diventava un roué, un uomo alla moda, considerato, invidiato, rispettato, oggetto di gelosie, riverito, e godeva di tutti i favori dei potenti e delle donne.

Ahimè! ahimè! un secolo dopo, la gioventù, detta delle scuole, ostentando e praticando una morale completamente diversa da quella degli antichi gran signori, esaltandosi nel nome di principi severi, si precipita con furore sui pochi esseri rimasti soli nella tradizione del passato, del nostro grande passato di aristocratica eleganza, e li butta in acqua per vedere se galleggiano.

E queste vittime presunte, ma non accertate, questi discendenti dei roués sono degli infelici, dei poveri, diseredati dalla Provvidenza, senza risorse sul lastrico di Parigi, e generati con istinti da milionari, con bisogni spenderecci mal sorretti da un'innata mollezza che li allontana dal lavoro. Essi hanno fatto un ragionamento che a noi sembrerebbe giusto se non lo sapessimo falso, e cioè: esistono al mondo migliaia di donne la cui unica professione consiste nel rovinare gli uomini approfittando dei malsani sentimenti che sanno ispirare loro; è quindi semplicemente equo riprendere a queste donne il denaro ch'esse hanno ottenuto con questi mezzi disonesti, ispirando loro per rivalsa sentimenti non meno malsani.

È semplicemente il principio della medicina omeopatica applicato alla morale, il male curato col peggio; ora, se il metodo omeopatico guarisce! ...concludiamo.

Da tutto ciò è risultato che i vendicatori dell'onestà sono stati picchiati, imprigionati, ammaccati, schiacciati dalla milizia incaricata di vegliare sull'ordine pubblico; che gli annegati erano semplici e inoffensivi borghesi di ritorno dall'ufficio e diretti alle loro famiglie; che i trafficanti di donne, detti ruffiani, potranno soltanto, approfittare della pubblicità che viene cosi fatta loro gratuitamente; che i tutori dell'ordine che hanno fatto il loro dovere saranno revocati, e il prefetto di polizia, per nulla responsabile, certamente rovesciato.

Quindi tutto va per il meglio nel migliore dei mondi.

A questo servono le sommosse per la buona causa, le rivoluzioni, le indignazioni e, in genere, tutti i sentimenti eroici che armano il braccio degli uomini dotati di abnegazione.

***

Sono senz'altro più saggi in campagna. La scena che segue è soltanto un racconto fedele.

Io lo l'ho vista, dico vista, coi miei propri occhi, ecc. Nell'aula del giudice conciliatore, in Normandia.

Il giudice, un omone asmatico, è insediato dietro una larga tavola e ha a fianco il suo cancelliere. Indossa una giacca grigia ornata di bottoni metallici, e parla lentamente espettorando aria che gli sibila nelle vie respiratorie come se vi si fosse manifestata una perdita.

In fondo allo stanzone vi sono alcuni contadini in casacca azzurra, seduti su panche, con il berretto o il cappello fra le gambe. Hanno l'aria grave, abbrutita e scaltra; e preparano mentalmente argomenti per la loro faccenda. A ogni momento sputano accanto al proprio piede calzato d'una scarpa grande come una barca da pesca; una pozzanghera di saliva indica il posto di ciascuno. Di fronte al giudice, proprio sull'altro lato della tavola, ci sono i litiganti di cui è stata chiamata la causa.

La querelante è una signora di campagna, il cui viso di cinquantenne segnato da venuzze, avvampa sotto un cappello che sembra un cesto di verdura carico d'asparagi in semenza, di rapanelli e di cipolle germogliate. È secca, tutta spigoli, orribile e pretenziosa, con guanti di maglia; e i nastri della sua acconciatura le volteggiano intorno alla testa come bandiere d'una nave.

L'imputato, un giovanottone di ventotto anni, paffuto, tonto, sembra un cantorino, ingrassato e cresciuto troppo alla svelta. Ella e lui si lanciano occhiate feroci.

Lui è assistito, sostenuto dal padre, un vecchio contadino del tutto simile a un ratto, e dalla giovane moglie, rossa per il furore, ma anche fresca, contadinotta sana e impomatata, carne da riproduzione degna di vincere il premio alla fiera.

Ecco i fatti. La signora, vedova d'un ufficiale della sanità, aveva tirato su, viziandolo, il contadinotto, destinandolo ai suoi piaceri. Dopo ch'egli le ebbe reso molti servizi, ella gli aveva regalato una piccola fattoria in riconoscimento della sua buona volontà. Ma il giovanotto, una volta in possesso della dote, s'era subito ammogliato, abbandonando la vecchia che, esasperata, esigeva la restituzione del suo bene: il giovanotto o la fattoria, a scelta.

Il giudice assai perplesso aveva ascoltato la querela della signora. Nessuno dell'auditorio rideva. La causa era seria e meritava riflessione.

Fu la volta del giovane di alzarsi per rispondere.

Il giudice lo interrogò.

"Che cosa avete da dire?

- Ma che me l'ha data a me quella fattoria lì.

- Perché ve l'ha data? Che cosa avete fatto per meritarvela?"

Allora il giovane, indignato, arrossì fino alle orecchie.

"Cosa che ho fatto, caro signore il Giudice conciliatore? Sono ben come quindici anni che mi tiro dietro quel veleno lì, non si può mica dire che questo non valeva questo!"

Questa volta ci fu un mormorio fra gli astanti, e alcune voci convinte ripeterono:

"Ah! certo, sì questo valeva questo!"

E il padre, parendogli giunto il momento d'intervenire: "Credereste voi che io ci avrei dato il ragazzino già a quindici anni se non che ci contavo un po' di riconoscenza?"

Allora la sposina, a sua volta, si fece avanti veemente, esasperata e, alzando la mano verso la signora impassibile e rossa:

"Ma dateci un pò una guardata, signor giudice, dateci una guardata. Se non si può dire che questo valeva questo!".

Il giudice, di fatto, esaminò a lungo la vecchia, consultò il suo cancelliere, capì che effettivamente questo valeva ben questo, e congedò la querelante. E gli astanti unanimi approvarono la decisione.

Et nunc erudimini.

[Guy de Maupassant, Racconti (1882), Traduzione di Rosanna Pelà, Edizioni per il Club del Libro, Novara, 1969, p. 159] Quando un gentiluomo, nel secolo scorso, rovinava galantemente la propria amante, egli subito acquisiva un accrescimento di buona riputazione. Se poi l'amante così spogliata era una gran dama, se, abbandonata non appena la sua borsa era stata vuotata, ella veniva sostituita da un'altra che il seduttore svaligiava con la medesima disinvoltura e il medesimo appetito, egli diventava un roué, un uomo alla moda, considerato, invidiato, rispettato, oggetto di gelosie, riverito, e godeva di tutti i favori dei potenti e delle donne.

Ahimè! ahimè! un secolo dopo, la gioventù, detta delle scuole, ostentando e praticando una morale completamente diversa da quella degli antichi gran signori, esaltandosi nel nome di principi severi, si precipita con furore sui pochi esseri rimasti soli nella tradizione del passato, del nostro grande passato di aristocratica eleganza, e li butta in acqua per vedere se galleggiano.

E queste vittime presunte, ma non accertate, questi discendenti dei roués sono degli infelici, dei poveri, diseredati dalla Provvidenza, senza risorse sul lastrico di Parigi, e generati con istinti da milionari, con bisogni spenderecci mal sorretti da un'innata mollezza che li allontana dal lavoro. Essi hanno fatto un ragionamento che a noi sembrerebbe giusto se non lo sapessimo falso, e cioè: esistono al mondo migliaia di donne la cui unica professione consiste nel rovinare gli uomini approfittando dei malsani sentimenti che sanno ispirare loro; è quindi semplicemente equo riprendere a queste donne il denaro ch'esse hanno ottenuto con questi mezzi disonesti, ispirando loro per rivalsa sentimenti non meno malsani.

È semplicemente il principio della medicina omeopatica applicato alla morale, il male curato col peggio; ora, se il metodo omeopatico guarisce! ...concludiamo.

Da tutto ciò è risultato che i vendicatori dell'onestà sono stati picchiati, imprigionati, ammaccati, schiacciati dalla milizia incaricata di vegliare sull'ordine pubblico; che gli annegati erano semplici e inoffensivi borghesi di ritorno dall'ufficio e diretti alle loro famiglie; che i trafficanti di donne, detti ruffiani, potranno soltanto, approfittare della pubblicità che viene cosi fatta loro gratuitamente; che i tutori dell'ordine che hanno fatto il loro dovere saranno revocati, e il prefetto di polizia, per nulla responsabile, certamente rovesciato.

Quindi tutto va per il meglio nel migliore dei mondi.

A questo servono le sommosse per la buona causa, le rivoluzioni, le indignazioni e, in genere, tutti i sentimenti eroici che armano il braccio degli uomini dotati di abnegazione.

***

Sono senz'altro più saggi in campagna. La scena che segue è soltanto un racconto fedele.

Io lo l'ho vista, dico vista, coi miei propri occhi, ecc. Nell'aula del giudice conciliatore, in Normandia.

Il giudice, un omone asmatico, è insediato dietro una larga tavola e ha a fianco il suo cancelliere. Indossa una giacca grigia ornata di bottoni metallici, e parla lentamente espettorando aria che gli sibila nelle vie respiratorie come se vi si fosse manifestata una perdita.

In fondo allo stanzone vi sono alcuni contadini in casacca azzurra, seduti su panche, con il berretto o il cappello fra le gambe. Hanno l'aria grave, abbrutita e scaltra; e preparano mentalmente argomenti per la loro faccenda. A ogni momento sputano accanto al proprio piede calzato d'una scarpa grande come una barca da pesca; una pozzanghera di saliva indica il posto di ciascuno. Di fronte al giudice, proprio sull'altro lato della tavola, ci sono i litiganti di cui è stata chiamata la causa.

La querelante è una signora di campagna, il cui viso di cinquantenne segnato da venuzze, avvampa sotto un cappello che sembra un cesto di verdura carico d'asparagi in semenza, di rapanelli e di cipolle germogliate. È secca, tutta spigoli, orribile e pretenziosa, con guanti di maglia; e i nastri della sua acconciatura le volteggiano intorno alla testa come bandiere d'una nave.

L'imputato, un giovanottone di ventotto anni, paffuto, tonto, sembra un cantorino, ingrassato e cresciuto troppo alla svelta. Ella e lui si lanciano occhiate feroci.

Lui è assistito, sostenuto dal padre, un vecchio contadino del tutto simile a un ratto, e dalla giovane moglie, rossa per il furore, ma anche fresca, contadinotta sana e impomatata, carne da riproduzione degna di vincere il premio alla fiera.

Ecco i fatti. La signora, vedova d'un ufficiale della sanità, aveva tirato su, viziandolo, il contadinotto, destinandolo ai suoi piaceri. Dopo ch'egli le ebbe reso molti servizi, ella gli aveva regalato una piccola fattoria in riconoscimento della sua buona volontà. Ma il giovanotto, una volta in possesso della dote, s'era subito ammogliato, abbandonando la vecchia che, esasperata, esigeva la restituzione del suo bene: il giovanotto o la fattoria, a scelta.

Il giudice assai perplesso aveva ascoltato la querela della signora. Nessuno dell'auditorio rideva. La causa era seria e meritava riflessione.

Fu la volta del giovane di alzarsi per rispondere.

Il giudice lo interrogò.

"Che cosa avete da dire?

- Ma che me l'ha data a me quella fattoria lì.

- Perché ve l'ha data? Che cosa avete fatto per meritarvela?"

Allora il giovane, indignato, arrossì fino alle orecchie.

"Cosa che ho fatto, caro signore il Giudice conciliatore? Sono ben come quindici anni che mi tiro dietro quel veleno lì, non si può mica dire che questo non valeva questo!"

Questa volta ci fu un mormorio fra gli astanti, e alcune voci convinte ripeterono:

"Ah! certo, sì questo valeva questo!"

E il padre, parendogli giunto il momento d'intervenire: "Credereste voi che io ci avrei dato il ragazzino già a quindici anni se non che ci contavo un po' di riconoscenza?"

Allora la sposina, a sua volta, si fece avanti veemente, esasperata e, alzando la mano verso la signora impassibile e rossa:

"Ma dateci un pò una guardata, signor giudice, dateci una guardata. Se non si può dire che questo valeva questo!".

Il giudice, di fatto, esaminò a lungo la vecchia, consultò il suo cancelliere, capì che effettivamente questo valeva ben questo, e congedò la querelante. E gli astanti unanimi approvarono la decisione.

Et nunc erudimini.

[Guy de Maupassant, Racconti (1882), Traduzione di Rosanna Pelà, Edizioni per il Club del Libro, Novara, 1969, p. 159]