x

x

Il nuovo principio di non contestazione alla luce della prima giurisprudenza

Sommario [1]:

1. Nozione

2. Ratione temporis

3. Specificità ed incompatibilità

4. Continenza logica

5. Relevatio ab onere probandi?

6. Qual è il dies ad quem?

7. Revoca

8. Litisconsorzio

9. Perimetrazione applicativa.

1. Nozione

Come noto la legge 69/2009 ha novellato l’art. 115 c.p.c., codificando il c.d. principio di non contestazione; recita l’odierno[2] primo comma dell’art. 115 c.p.c. che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.

Tale norma è rubricata “disponibilità delle prove” ed è sistematicamente inserita nell’ambito delle “disposizioni generali”.

Dalla mera lettera della legge, come è stato già detto[3], sono desumibili alcuni rilievi:

- che le parti devono essere costituite, così escludendo che la novella possa riguardare il processo contumaciale[4]; è così esclusa anche ogni incidenza sulla fase pre-giudiziale o stragiudiziale[5];

- che il nuovo principio riguarda entrambe le parti, non limitandosi la norma ad indicare attore o convenuto, ma utilizzando piuttosto l’inciso “parte costituita”;

- che la contestazione deve essere specifica; la genericità equivale a non contestazione[6];

-la contestazione deve essere riferita ai fatti, per cui la mancata qualificazione giuridica delle contestazioni è irrilevante; non è richiesto, in altri termini, di qualificare i fatti in modo diverso da quanto fatto da controparte;

- che la contestazione deve riguardare sia i fatti principali che secondari, visto che la legge de qua non pone alcuna differenziazione.

2. Ratione temporis

Chiarita la nozione e portata della novella, per come desumibile dalla mera lettera della legge, è discusso il dies a quo dal quale incominciare ad applicare il nuovo art. 115 c.p.c.

Difatti, seppur la legge 69/2009 prevede l’entrata in vigore della normativa de qua dal 4.7.2009, si è sostenuto che il suo carattere meramente ricognitivo ne permetterebbe l’applicazione anche a cause instaurate ante novella.

A favore di questa tesi (del carattere ricognitivo della norma) sostenuta da parte della giurisprudenza di merito[7] deporrebbero i rilievi:

- l’art. 167 c.p.c., con l’inciso “prendendo posizione sui fatti” ha sempre richiesto la contestazione;

- il processo civile è essenzialmente “tra parti”, configurando una struttura dialettica a catena[8], con la conseguenza che diviene onere delle parti contestare.

Accogliendo tale tesi, ne seguirebbe che la novella dovrebbe essere applicata anche ai processi instaurati prima del 4.7.2009.

Secondo altra opzione interpretativa, diversamente, la riforma della legge 69/2009 avrebbe inteso innovare l’art. 115 c.p.c., con la conseguenza di poter trovare riscontro applicativo post 4.7.2009.

A favore di tale tesi (del carattere innovativo della norma) rileverebbero[9] le osservazioni che:

- l’art. 88 c.p.c., imponendo alle parti lealtà e probità vieterebbe (implicitamente) a queste di approfittare “di dimenticanze di specifiche contestazioni”;

- se il legislatore avesse voluto prevedere il principio di non contestazione (prima della novella) lo avrebbe fatto espressamente (si lex voluit dixit), come avvenuto nei casi di riconoscimento tacito delle scritture private, ex art. 215 c.p.c., ovvero di mancate risposte all’interrogatorio, ex art. 232 c.p.c., ovvero di processo del lavoro.

Accogliendo tale ricostruzione, il principio di non contestazione riguarderebbe solo le cause post 4.7.2009.

Il problema interpretativo posto non è di facile soluzione, anche se si ritiene di optare per la preferibile tesi dell’innovatività; ciò alla luce del seguente argomento dirimente[10]:

- per capire se vi è innovatività o meno, bisogna confrontare l’orientamento giurisprudenziale favorevole al principio della non contestazione con il novellato art. 115 c.p.c., con la conseguenza che:

1) se il nuovo art. 115 c.p.c. ha un contenuto uguale all’orientamento giurisprudenziale precedente, allora, non c’è innovatività;

2) se il nuovo art. 115 c.p.c. ha contenuto diverso dall’orientamento giurisprudenziale precedente, allora, c’è innovatività.

Da tale raffronto emerge che, a rigore, c’è innovatività, con la conseguenza logico-giuridica che il principio di non contestazione, come codificato, sarà giustamente applicabile solo alle cause post 4.7.2009.

Nel dettaglio:

- il novellato art. 115 c.p.c. non si applica alle controversie contumaciale, diversamente da quanto si diceva nell’orientamento giurisprudenziale precedente;

- il novellato art. 115 c.p.c. riguarda tutte le parti, ivi compresi i terzi, nonché fatti principali e secondari, diversamente da quanto affermato dalla giurisprudenza[11] ante novella.

Alla luce, pertanto, di tale difformità tra giurisprudenza che ricavava il principio di non contestazione dal “sistema” e novellato art. 115 c.p.c., si può ben ritenere che vi sia innovatività, con la conseguenza che la novella riguarderà solo le cause post 4.7.2009.

3. Specificità ed incompatibilità

Si è detto che la contestazione deve essere specifica; tuttavia, ciò equivale a dire che debba anche essere espressa? E’ ammissibile una contestazione implicita, laddove la parte si limiti a narrare un fatto logicamente e strutturalmente incompatibile con quando dedotto dalla parte avversa?

In sostanza: se vi è incompatibilità logico-funzionale tra i fatti narrati dall’attore e quelli del convenuto, potrà ciò costituire “mancata contestazione specifica” così da divenire prova?

Se si opta per la tesi negativa, l’attore potrebbe già ritenere provati i fatti narrati, senza alcuna dimostrazione, per merito della mancata contestazione specifica, ex art. 115 c.pc.; se, al contrario, si opta per la tesi positiva, l’attore dovrà pur sempre provare i fatti narrati, non operando il meccanismo della mancata contestazione come prova, ex art. 115 c.p.c.

A favore della tesi negativa deporrebbero gli argomenti che:

- l’inciso “fatti non specificatamente contestati” sembrerebbe suggerire che la mancata ed espressa specificazione vale come mancata contestazione e, dunque, prova; ciò perché, la contestazione, per essere valida ai sensi dell’art. 115 c.p.c. deve essere specifica: non è specifica contestazione la narrazione di un fatto incompatibile con quanto già affermato da controparte; per certi versi, la narrazione incompatibile non sarebbe neanche una “contestazione”, al di là della necessità del requisito della specificità;

- la ratio della norma, tesa a “specificare” meglio la “struttura dialettica a catena” verrebbe del tutto vulnerata; anzi, addirittura si opterebbe per un’interpretatio abrogans del novellato art. 115 c.p.c.

A sostegno della tesi positiva preferibile, invece, militerebbero gli argomenti che:

- in effetti, il Legislatore sembrerebbe richiedere il requisito della specificità della contestazione, ma con ciò non si può intendere la necessaria espressione di contestazione, essendo ammesse contestazioni implicite[12]; più chiaramente, non viene richiesto che i fatti siano “espressamente” contestati, ma che la contestazione sui fatti sia specifica, con la conseguenza logico-deduttiva che, a rigore, dovrebbero essere ammesse le contestazioni implicite, purchè specifiche; ne segue, ancora, de plano, che la narrazione di un fatto incompatibile con le esplicitazioni avverse, se specificatamente riferibili a queste ultime, ancorché in modo implicito, dovrà ritenersi contestazione specifica; id est: il requisito della specificità non richiede che la contestazione sia espressa, così ammettendosi narrazioni incompatibili, purchè riferibili a fatti narrati dall’avversa parte processuale;

- inoltre, non sarebbe possibile considerare il fatto incompatibile tamquam non esset, privo di rilievo giuridico, in quanto la nullità, pure di parti di atti, può emergere solo nei casi di mancato raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c., diversamente dall’ipotesi de quo; la narrazione di un fatto incompatibile, precisamente, permette a controparte una difesa congrua, così raggiungendo lo scopo, senza alcuna elusione; la materia processuale, in fondo, tende alla sostanza delle cose, che viene salvaguardata pure nei casi di narrazioni incompatibili;

- la ratio, poi, verrebbe comunque salvaguardata, in quanto la narrazione dei fatti dovrà essere riferibile specificatamente a quanto già dedotto dall’altra parte, seppur in modo implicito, così assicurando una maggiore specificità delle rispettive contestazioni.

Alla luce di tali rilievi, la narrazione di fatti incompatibili con le affermazioni della parte avversa, purchè riferibili in modo specifico, ancorché in modo non espresso, è compatibile con i requisiti di necessaria specificità della contestazione, oggi codificati nell’art. 115 c.p.c., perché tale impostazione è:

- coerente con il dato letterale (il Legislatore richiede la “specificità”, e non un richiamo “espresso”);

- coerente con i principi generali (in particolare, quello del raggiungimento dello scopo);

- coerente con la ratio sottesa alla novella del 2009;

non infligge in alcun modo un vulnus al diritto di difesa, assicurando pur sempre un contraddittorio leale.

4. Continenza logica

Ulteriore interrogativo che sorge alla luce della lettera del novellato art. 115 c.p.c. attiene essenzialmente al rapporto tra an e quantum debatur.

Cosa succede, poi, se la contestazione riguarda solo un segmento delle deduzioni dell’altra parte processuale? Più chiaramente, se la contestazione si limita a criticare, ad esempio, il solo an, vorrà dire che una volta provato questo, automaticamente, si riterrà provato pure il quantum debeatur (non specificatamente contestato)?

Il problema si può porre perché, in effetti, l’art. 115 c.p.c., richiedendo una contestazione specifica, potrebbe indurre a pensare che, pur con riferimento al medesimo fatto, la mancata contestazione di singoli rilievi possa determinare la prova, idonea a giustificare una decisione basata su questa così acquisita.

Invero, la sola contestazione dell’an non può, a rigore, ritenere non contestato pure il quantum debeatur, perché:

- l’art. 115 c.p.c. richiede la contestazione dei fatti, e non quella delle qualificazioni giuridiche, con la conseguenza che va criticato l’accadimento, ma non la consequenziale quantificazione, che è operazione di “qualificazione giuridica”, seppur in termini monetari;

- prendendo posizione sul profilo dell’an, invero, si prende posizione pure sul quantum, considerandolo pari a zero; ciò in virtù di una sorta di continenza logica[13], in base alla quale nella “critica del più, sta anche il meno”; tale rilievo è, ovviamente, estensibile anche ad altri profili, come quelli del quomodo, ad esempio;

- optare per la tesi contraria, vorrebbe dire eludere la solidarietà processuale, desumibile dall’art. 88 c.p.c., letto in combinato disposto con l’art. 2 Cost., sconfinando in un abuso processuale[14].

In questo senso sembra essersi espressa anche la prima giurisprudenza di merito[15].

5. Relevatio ab onere probandi?

Uno dei problemi più spinosi che la novella pone riguarda il valore giuridico da attribuire alla non contestazione, quale strumento di economia processuale[16]: non contestare equivale a provare, oppure equivale ad esonerare controparte dalla prova (relevatio)?

Il problema posto non è meramente teorico, in quanto:

- se si ritiene che la non contestazione equivale a prova, allora, ne seguirà che l’effettiva prova successivamente acquisita nel processo avrà pari valore, richiedendo così una nuova istruttoria alla luce della contraddittorietà probatoria emersa;

- se, diversamente, si ritiene che la non contestazione equivale a relavatio ab onere probandi, allora, la successiva prova di segno opposto che dovesse emergere prevarrà sulla non contestazione, così evitando una nuova istruttoria, non emergendo alcuna contraddittorietà.

La tesi letterale, condivisa da parte della recente giurisprudenza di merito[17], induce ad equiparare la mancata contestazione ad una vera e propria prova; ciò in quanto l’art. 115 c.p.c. recita:

- che il giudice “deve porre”, così imponendo un obbligo al pari di ciò che avviene con la valutazione delle prove;

- che sia le prove devono essere poste a fondamento della decisione “nonché i fatti non specificatamente contestati”, così con la congiunzione “nonché” equiparando la prova alla non contestazione.

La tesi logica preferibile si poggia sull’unico rilievo (a contrario) che, diversamente opinando, si arriverebbe all’aporia logica difficilmente superabile per cui il silenzio, come la mancata contestazione, varrebbe quanto ciò che viene detto, ad esempio tramite una testimonianza, così finendo per trattare in modo uguale situazioni giuridiche diverse, così vulnerando l’art. 3 Cost.: la mancata specifica contestazione esonera l’altra parte dall’onere probatorio, integrando – di fatto - una sorta di “presunzione processuale[18]” (se si esonera una parte dall’onere probatorio, vuol dire che il fatto narrato non necessita di prova e, dunque, si presume che si sia davvero verificato, fino a prova contraria).

Tale tesi è condivisa anche dalla giurisprudenza nomofilattica[19] e da parte della giurisprudenza di merito[20].

6. Qual è il dies ad quem?

Ulteriori dubbi interpretativi che si pongono, in ordine al novellato art. 115 c.p.c., attengono al dies ad quem: fino a quando è possibile contestare specificamente, di modo che il fatto addotto possa ritenersi tempestivamente contestato?

In un sistema ancora a preclusioni “temporali” un dies ad quem deve necessariamente sussistere.

Il problema posto non è di facile soluzione, in quanto la normativa de qua non affronta expressis verbis la questione posta.

In base ad una prima opzione interpretativa, si potrebbe ritenere che il dies ad quem coincida con la seconda memoria di cui all’art. 183 c.p.c. perché è con tale memoria che è possibile “replicare” ed, a rigore, la contestazione specifica è una forma di replica.

Se, difatti, si evidenzia che la contestazione specifica è una forma di replica, allora ne segue de plano che il dies ad quem sarà determinato dalla seconda memorie indicata all’art. 183 c.p.c., perché è con questa che si replica.

Per una seconda opzione interpretativa[21], invece, la contestazione specifica atterrebbe pur sempre al thema probandum, riguardando la prova, tant’è vero che l’art. 115 c.p.c. è rubricato “disponibilità delle prove”, con la conseguenza di cristallizzare il dies ad quem con la terza memoria dell’art. 183 c.p.c.; più chiaramente: poiché la contestazione specifica attiene al thema probandum, allora, è possibile contestare (in modo specifico) finchè non viene definitivamente perimetrato il tema della prova e ciò avviene con la terza memoria di cui si è detto.

Tuttavia sembra più convincente la terza opzione interpretativa, seguita anche dalla giurisprudenza[22]: la contestazione specifica va fatta con la prima occasione utile, ciò emergendo da tutto il sistema processuale (come risulta dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.).

La prima occasione utile coincide:

- con la comparsa di risposta, ex art. 167 c.p.c., per quanto attiene al convenuto;

- con la prima udienza di trattazione, ex art. 183 c.p.c., per quanto attiene all’attore[23].

7. Revoca

Altra questione degna di attenzione riguarda la revocabilità della non contestazione specifica: è possibile la revoca della contestazione specifica?

Più chiaramente: quando una parte contesta specificamente fatti dedotti da controparte, può successivamente revocarla[24]?

Per la verità, nessuna norma espressamente parla di revoca, così che a rigore al più tale comportamento potrà incidere come comportamento processuale, ex art. 116 c.p.c.

Così la mancata reiterazione della contestazione non può tradursi in implicita revoca della stessa contestazione, come affermato anche dalla giurisprudenza di merito[25].

8. Litisconsorzio

Può accadere che un processo si instauri tramite la forma litisconsortile (necessaria o facoltativa), ma una parte resti concretamente contumace, così ponendo dubbi sulla concreta applicabilità, anche in questo caso, del disposto di cui all’art. 115 c.p.c.

Laddove, cioè, si realizzi un litisconsorzio, ma una parte resti contumace, potrà ciononostante valere il principio di non contestazione di cui si è detto?

A favore di una risposta positiva depongono i rilievi che:

-sussiste una “parte costituita”, come richiede l’art. 115 c.p.c.;

-poiché nulla è detto in senso contrario, allora, si applica il principio generale che è quello della non contestazione[26].

A favore della risposta negativa[27] preferibile depongono le osservazioni che:

-l’art. 115 c.p.c. non riguarda il contumace e, dunque, neanche nella forma litisconsortile;

-diversamente opinando si avrebbe una contraddizione logica non spiegabile in quanto avremmo un principio (quale quello della non contestazione) operante solo verso la parte costituita e non verso il contumace, con la conseguenza che si avrebbe un fatto accertato per una parte e, contemporaneamente, non accertato per l’altra (quasi come se un fatto “c’è e contemporaneamente non c’è”); ciò davvero sarebbe un’aporia logica incomprensibile.

9. Perimetrazione applicativa

Infine, si discute circa la portata applicativa del novellato art. 115 c.p.c.

Alla luce della collocazione sistematica dell’art. 115 c.p.c. nell’ambito delle “Disposizioni generali” bisognerebbe affermare una generale applicabilità.

Ciò vale, pertanto, per il processo in appello, anche in considerazione del fatto che l’art. 359 c.p.c. rinvia essenzialmente alle norme inerenti il primo grado, dove è sicuramente applicabile l’art. 115 c.p.c.

Di massima dovrebbe valere anche per il “rito cautelare[28]”, dove l’esigenza di “speditezza” ben si concilia con il suddetto principio; lo stesso, a rigore, andrebbe detto per quanto attiene al rito sommario di cognizione, ex art. 702bis c.p.c.



[1] Il presente scritto rappresenta la rielaborazione della relazione tenuta a Siracusa, in data 11.2.2011, al convegno organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, dal titolo “Il nuovo principio di non contestazione”.

[2] Per approfondimenti esaustivi sul dibattito prima della legge 69/2009 in tema di non contestazione, si veda CIACCIA CAVALLARI, La contestazione nel processo civile, Milano, 1993.

[3] VIOLA, Il nuovo principio di non contestazione nella riforma del processo civile, Altalex.com, 2009.

[4] Da qui si ricaverebbe, secondo parte della dottrina, quasi un implicito invito a restare contumace, piuttosto che costituirsi quando si ha poco da dire. In questo senso BALENA - CAPONI – CHIZZINI - MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 37; TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Rivista di diritto processuale, 1, 2011, 85.

[5] La “non contestazione” che permette la pronuncia di ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. consiste in un contegno processuale, non potendo concorrere ad integrarla atteggiamenti assunti dalla parte prima e al di fuori del giudizio. Il provvedimento in questione, pertanto, non può essere pronunciato dall’istruttore ove una parte, dichiaratasi disponibile stragiudizialmente al pagamento di una certa somma, in giudizio contesti i presupposti della domanda avversaria; così Tribunale Lamezia Terme, sez. civile, sentenza 18.03.2010, in Massimario.it, 12, 2010; in senso contrario Tribunale Piacenza, sentenza 01.02.2011 n. 61, in Massimario.it, 7, 2011.

[6] BUFFONE, Il principio di non contestazione, relazione tenuta al seminario di formazione professionale, presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, il 14.7.2009.

[7] Tribunale di Piacenza 2.2.2010, G.u. Morlini.

[8] Parla di struttura dialettica a catena, tipica del processo civile, Cass. civ. Sez. Unite, 09-10-2008, n. 24883, in Giur. It., 2009, 2, 406 con nota di VACCARELLA – SOCCI.

[9] Ritiene Cassazione civile, Sez. III, 28.10.2004, n. 20916, in Foro It., 2005, 1, 727 con nota di CEA che “I fatti allegati da una parte, in tanto possono considerarsi pacifici, in quanto siano stati esplicitamente ammessi dall’altra parte, ovvero quando quest’ultima abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti stessi, oppure si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri (e ciò perché nel vigente ordinamento non sussiste un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte).”.

[10] SCHIRO’, Il principio di non contestazione dopo la riforma del processo civile, in Relazione tenuta al CSM, 2010 (http://appinter.csm.it/incontri/relaz/19594.pdf); afferma Schirò (Consigliere Suprema Corte di Cassazione) che “a tale riguardo assume rilievo la disciplina in concreto applicabile al principio enunciato dall’art. 115 c.p.c., confrontata con quella in precedenza elaborata dalla giurisprudenza”.

[11] Secondo Cassazione civile, Sez. I, 27.2.2008, n. 5191, in Mass. Giur. It., 2008 “In materia di prove, l’onere del convenuto, previsto dall’art.416 cod. proc. civ. per il rito del lavoro, e dall’art.167 cod. proc. civ. per il rito ordinario, di prendere posizione, nell’atto di costituzione, sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda, comporta che il difetto di contestazione implica l’ammissione in giudizio solo dei fatti cosiddetti principali, ossia costitutivi del diritto azionato, mentre per i fatti cosiddetti secondari, ossia dedotti in esclusiva funziona probatoria, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell’art.116, secondo comma, cod. proc. civ.”.

[12] In materia di contestazione implicita, si vedano Cass. civ. Sez. lavoro, 26-02-2007, n. 4395; Cass. civ. Sez. III, 1 marzo 2000, n. 2301, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ. Sez. III, 26 novembre 1998, n. 11980, in Mass. Giur. It., 1998.

[13] Si parla di continenza logica, ad esempio, in Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 1997, n. 3984, in Mass. Giur. It., 1997. In dottrina, si veda BEI, Sulle delibere implicite, con particolare riferimento al compenso degli amministratori, in Società, 2009, 1, 28; PASSARO, Intermediazione finanziaria e violazione degli obblighi informativi: validità dei contratti e natura della responsabilità risarcitoria, in Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 897.

[14] In materia di abuso processuale, si veda KOFLER, Il forum destinatae solutionis nelle azioni di accertamento negativo del credito e di nullità del contratto, in Corriere Giur., 2004, 2, 207; DONDI, Spunti di raffronto comparatistico in tema di abuso del processo (a margine della l. 24.3.2001, n. 89), in Nuova Giur. Civ., 2003, 1, 62; NICOTINA, Questioni processuali controverse in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, in Giur. It., 1999, 11.

[15] E’ una contestazione specifica, sia in ordine all’an che in ordine al quantum debeatur, quella con cui una parte chieda l’integrale rigettato dell’avversa domanda, lamentando che i danni sofferti dalla controparte non si sarebbero verificati ove la stessa avesse tenuto un comportamento diligente, denunciando immediatamente i vizi scoperti ed in via subordinata invochi una riduzione rispetto all’ammontare richiesto in quanto non corrispondente all’entità del pregiudizio sofferto; così recita Tribunale Lamezia Terme, sez. civile, sentenza 18.03.2010, in Massimario.it, 12, 2010, già cit.

[16] Afferma TEDOLDI che il principio di non contestazione è un “semplice strumento di economia processuale, che consente di risolvere la quaestio facti senza necessità di far luogo a istruzione probatoria sui fatti non specificamente contestati”, già cit., 86.

[17] La non contestazione stragiudiziale unita a quella giudiziale costituiscono prova; in questo senso Tribunale Piacenza, sentenza 01.02.2011 n. 61, in Massimario.it, 7, 2011.

[18] L’atto che richiede la forma ad probationem può essere provato tramite il principio della non contestazione, ex art. 115 c.p.c.. Così Tribunale di Lamezia Terme, 30 giugno 2010

[19] Cassazione civile, Sez. III, 10 novembre 2010, n. 22837, CED Cassazione, 2010.

[20] Tribunale di Varese ord. 1.10.2009, in Tribunale.varese.it, 2009.

[21] GIANI, La non contestazione nel processo civile tra definizione del thema decidendum e del thema probandum, in Relazione tenuta al C.S.M., 2010, http://appinter.csm.it/incontri/relaz/20248.pdf; CEA, La modifica dell’art. 115 e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro. It., 2009, V, 268.

[22] Afferma Cassazione civile, Sez. I, 27 febbraio 2008, n. 5191, in Mass. Giur. It., 2008 che “ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto”.

[23] VIOLA, L’udienza di prima trattazione ex art. 183 c.p.c., Milano, 2011.

[24] Per approfondimenti sul tema, si veda MINARDI, La c.d. revoca della non contestazione, in Lexform.it, 2009.

[25] Tribunale di Mondovì, 12 marzo 2010, Est. Paolo Giovanni Demarchi, in www.ilcaso.it, 2010.

[26] Il principio della non contestazione è a carattere generale, in quanto l’art. 115 c.p.c. è collocato sistematicamente nell’ambito delle disposizioni generali.

[27] Tribunale di Varese, 19 gennaio 2010, Tribunale.varese.it, 2010.

[28] TEDOLDI, già cit., 93.

Sommario [1]:

1. Nozione

2. Ratione temporis

3. Specificità ed incompatibilità

4. Continenza logica

5. Relevatio ab onere probandi?

6. Qual è il dies ad quem?

7. Revoca

8. Litisconsorzio

9. Perimetrazione applicativa.

1. Nozione

Come noto la legge 69/2009 ha novellato l’art. 115 c.p.c., codificando il c.d. principio di non contestazione; recita l’odierno[2] primo comma dell’art. 115 c.p.c. che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.

Tale norma è rubricata “disponibilità delle prove” ed è sistematicamente inserita nell’ambito delle “disposizioni generali”.

Dalla mera lettera della legge, come è stato già detto[3], sono desumibili alcuni rilievi:

- che le parti devono essere costituite, così escludendo che la novella possa riguardare il processo contumaciale[4]; è così esclusa anche ogni incidenza sulla fase pre-giudiziale o stragiudiziale[5];

- che il nuovo principio riguarda entrambe le parti, non limitandosi la norma ad indicare attore o convenuto, ma utilizzando piuttosto l’inciso “parte costituita”;

- che la contestazione deve essere specifica; la genericità equivale a non contestazione[6];

-la contestazione deve essere riferita ai fatti, per cui la mancata qualificazione giuridica delle contestazioni è irrilevante; non è richiesto, in altri termini, di qualificare i fatti in modo diverso da quanto fatto da controparte;

- che la contestazione deve riguardare sia i fatti principali che secondari, visto che la legge de qua non pone alcuna differenziazione.

2. Ratione temporis

Chiarita la nozione e portata della novella, per come desumibile dalla mera lettera della legge, è discusso il dies a quo dal quale incominciare ad applicare il nuovo art. 115 c.p.c.

Difatti, seppur la legge 69/2009 prevede l’entrata in vigore della normativa de qua dal 4.7.2009, si è sostenuto che il suo carattere meramente ricognitivo ne permetterebbe l’applicazione anche a cause instaurate ante novella.

A favore di questa tesi (del carattere ricognitivo della norma) sostenuta da parte della giurisprudenza di merito[7] deporrebbero i rilievi:

- l’art. 167 c.p.c., con l’inciso “prendendo posizione sui fatti” ha sempre richiesto la contestazione;

- il processo civile è essenzialmente “tra parti”, configurando una struttura dialettica a catena[8], con la conseguenza che diviene onere delle parti contestare.

Accogliendo tale tesi, ne seguirebbe che la novella dovrebbe essere applicata anche ai processi instaurati prima del 4.7.2009.

Secondo altra opzione interpretativa, diversamente, la riforma della legge 69/2009 avrebbe inteso innovare l’art. 115 c.p.c., con la conseguenza di poter trovare riscontro applicativo post 4.7.2009.

A favore di tale tesi (del carattere innovativo della norma) rileverebbero[9] le osservazioni che:

- l’art. 88 c.p.c., imponendo alle parti lealtà e probità vieterebbe (implicitamente) a queste di approfittare “di dimenticanze di specifiche contestazioni”;

- se il legislatore avesse voluto prevedere il principio di non contestazione (prima della novella) lo avrebbe fatto espressamente (si lex voluit dixit), come avvenuto nei casi di riconoscimento tacito delle scritture private, ex art. 215 c.p.c., ovvero di mancate risposte all’interrogatorio, ex art. 232 c.p.c., ovvero di processo del lavoro.

Accogliendo tale ricostruzione, il principio di non contestazione riguarderebbe solo le cause post 4.7.2009.

Il problema interpretativo posto non è di facile soluzione, anche se si ritiene di optare per la preferibile tesi dell’innovatività; ciò alla luce del seguente argomento dirimente[10]:

- per capire se vi è innovatività o meno, bisogna confrontare l’orientamento giurisprudenziale favorevole al principio della non contestazione con il novellato art. 115 c.p.c., con la conseguenza che:

1) se il nuovo art. 115 c.p.c. ha un contenuto uguale all’orientamento giurisprudenziale precedente, allora, non c’è innovatività;

2) se il nuovo art. 115 c.p.c. ha contenuto diverso dall’orientamento giurisprudenziale precedente, allora, c’è innovatività.

Da tale raffronto emerge che, a rigore, c’è innovatività, con la conseguenza logico-giuridica che il principio di non contestazione, come codificato, sarà giustamente applicabile solo alle cause post 4.7.2009.

Nel dettaglio:

- il novellato art. 115 c.p.c. non si applica alle controversie contumaciale, diversamente da quanto si diceva nell’orientamento giurisprudenziale precedente;

- il novellato art. 115 c.p.c. riguarda tutte le parti, ivi compresi i terzi, nonché fatti principali e secondari, diversamente da quanto affermato dalla giurisprudenza[11] ante novella.

Alla luce, pertanto, di tale difformità tra giurisprudenza che ricavava il principio di non contestazione dal “sistema” e novellato art. 115 c.p.c., si può ben ritenere che vi sia innovatività, con la conseguenza che la novella riguarderà solo le cause post 4.7.2009.

3. Specificità ed incompatibilità

Si è detto che la contestazione deve essere specifica; tuttavia, ciò equivale a dire che debba anche essere espressa? E’ ammissibile una contestazione implicita, laddove la parte si limiti a narrare un fatto logicamente e strutturalmente incompatibile con quando dedotto dalla parte avversa?

In sostanza: se vi è incompatibilità logico-funzionale tra i fatti narrati dall’attore e quelli del convenuto, potrà ciò costituire “mancata contestazione specifica” così da divenire prova?

Se si opta per la tesi negativa, l’attore potrebbe già ritenere provati i fatti narrati, senza alcuna dimostrazione, per merito della mancata contestazione specifica, ex art. 115 c.pc.; se, al contrario, si opta per la tesi positiva, l’attore dovrà pur sempre provare i fatti narrati, non operando il meccanismo della mancata contestazione come prova, ex art. 115 c.p.c.

A favore della tesi negativa deporrebbero gli argomenti che:

- l’inciso “fatti non specificatamente contestati” sembrerebbe suggerire che la mancata ed espressa specificazione vale come mancata contestazione e, dunque, prova; ciò perché, la contestazione, per essere valida ai sensi dell’art. 115 c.p.c. deve essere specifica: non è specifica contestazione la narrazione di un fatto incompatibile con quanto già affermato da controparte; per certi versi, la narrazione incompatibile non sarebbe neanche una “contestazione”, al di là della necessità del requisito della specificità;

- la ratio della norma, tesa a “specificare” meglio la “struttura dialettica a catena” verrebbe del tutto vulnerata; anzi, addirittura si opterebbe per un’interpretatio abrogans del novellato art. 115 c.p.c.

A sostegno della tesi positiva preferibile, invece, militerebbero gli argomenti che:

- in effetti, il Legislatore sembrerebbe richiedere il requisito della specificità della contestazione, ma con ciò non si può intendere la necessaria espressione di contestazione, essendo ammesse contestazioni implicite[12]; più chiaramente, non viene richiesto che i fatti siano “espressamente” contestati, ma che la contestazione sui fatti sia specifica, con la conseguenza logico-deduttiva che, a rigore, dovrebbero essere ammesse le contestazioni implicite, purchè specifiche; ne segue, ancora, de plano, che la narrazione di un fatto incompatibile con le esplicitazioni avverse, se specificatamente riferibili a queste ultime, ancorché in modo implicito, dovrà ritenersi contestazione specifica; id est: il requisito della specificità non richiede che la contestazione sia espressa, così ammettendosi narrazioni incompatibili, purchè riferibili a fatti narrati dall’avversa parte processuale;

- inoltre, non sarebbe possibile considerare il fatto incompatibile tamquam non esset, privo di rilievo giuridico, in quanto la nullità, pure di parti di atti, può emergere solo nei casi di mancato raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c., diversamente dall’ipotesi de quo; la narrazione di un fatto incompatibile, precisamente, permette a controparte una difesa congrua, così raggiungendo lo scopo, senza alcuna elusione; la materia processuale, in fondo, tende alla sostanza delle cose, che viene salvaguardata pure nei casi di narrazioni incompatibili;

- la ratio, poi, verrebbe comunque salvaguardata, in quanto la narrazione dei fatti dovrà essere riferibile specificatamente a quanto già dedotto dall’altra parte, seppur in modo implicito, così assicurando una maggiore specificità delle rispettive contestazioni.

Alla luce di tali rilievi, la narrazione di fatti incompatibili con le affermazioni della parte avversa, purchè riferibili in modo specifico, ancorché in modo non espresso, è compatibile con i requisiti di necessaria specificità della contestazione, oggi codificati nell’art. 115 c.p.c., perché tale impostazione è:

- coerente con il dato letterale (il Legislatore richiede la “specificità”, e non un richiamo “espresso”);

- coerente con i principi generali (in particolare, quello del raggiungimento dello scopo);

- coerente con la ratio sottesa alla novella del 2009;

non infligge in alcun modo un vulnus al diritto di difesa, assicurando pur sempre un contraddittorio leale.

4. Continenza logica

Ulteriore interrogativo che sorge alla luce della lettera del novellato art. 115 c.p.c. attiene essenzialmente al rapporto tra an e quantum debatur.

Cosa succede, poi, se la contestazione riguarda solo un segmento delle deduzioni dell’altra parte processuale? Più chiaramente, se la contestazione si limita a criticare, ad esempio, il solo an, vorrà dire che una volta provato questo, automaticamente, si riterrà provato pure il quantum debeatur (non specificatamente contestato)?

Il problema si può porre perché, in effetti, l’art. 115 c.p.c., richiedendo una contestazione specifica, potrebbe indurre a pensare che, pur con riferimento al medesimo fatto, la mancata contestazione di singoli rilievi possa determinare la prova, idonea a giustificare una decisione basata su questa così acquisita.

Invero, la sola contestazione dell’an non può, a rigore, ritenere non contestato pure il quantum debeatur, perché:

- l’art. 115 c.p.c. richiede la contestazione dei fatti, e non quella delle qualificazioni giuridiche, con la conseguenza che va criticato l’accadimento, ma non la consequenziale quantificazione, che è operazione di “qualificazione giuridica”, seppur in termini monetari;

- prendendo posizione sul profilo dell’an, invero, si prende posizione pure sul quantum, considerandolo pari a zero; ciò in virtù di una sorta di continenza logica[13], in base alla quale nella “critica del più, sta anche il meno”; tale rilievo è, ovviamente, estensibile anche ad altri profili, come quelli del quomodo, ad esempio;

- optare per la tesi contraria, vorrebbe dire eludere la solidarietà processuale, desumibile dall’art. 88 c.p.c., letto in combinato disposto con l’art. 2 Cost., sconfinando in un abuso processuale[14].

In questo senso sembra essersi espressa anche la prima giurisprudenza di merito[15].

5. Relevatio ab onere probandi?

Uno dei problemi più spinosi che la novella pone riguarda il valore giuridico da attribuire alla non contestazione, quale strumento di economia processuale[16]: non contestare equivale a provare, oppure equivale ad esonerare controparte dalla prova (relevatio)?

Il problema posto non è meramente teorico, in quanto:

- se si ritiene che la non contestazione equivale a prova, allora, ne seguirà che l’effettiva prova successivamente acquisita nel processo avrà pari valore, richiedendo così una nuova istruttoria alla luce della contraddittorietà probatoria emersa;

- se, diversamente, si ritiene che la non contestazione equivale a relavatio ab onere probandi, allora, la successiva prova di segno opposto che dovesse emergere prevarrà sulla non contestazione, così evitando una nuova istruttoria, non emergendo alcuna contraddittorietà.

La tesi letterale, condivisa da parte della recente giurisprudenza di merito[17], induce ad equiparare la mancata contestazione ad una vera e propria prova; ciò in quanto l’art. 115 c.p.c. recita:

- che il giudice “deve porre”, così imponendo un obbligo al pari di ciò che avviene con la valutazione delle prove;

- che sia le prove devono essere poste a fondamento della decisione “nonché i fatti non specificatamente contestati”, così con la congiunzione “nonché” equiparando la prova alla non contestazione.

La tesi logica preferibile si poggia sull’unico rilievo (a contrario) che, diversamente opinando, si arriverebbe all’aporia logica difficilmente superabile per cui il silenzio, come la mancata contestazione, varrebbe quanto ciò che viene detto, ad esempio tramite una testimonianza, così finendo per trattare in modo uguale situazioni giuridiche diverse, così vulnerando l’art. 3 Cost.: la mancata specifica contestazione esonera l’altra parte dall’onere probatorio, integrando – di fatto - una sorta di “presunzione processuale[18]” (se si esonera una parte dall’onere probatorio, vuol dire che il fatto narrato non necessita di prova e, dunque, si presume che si sia davvero verificato, fino a prova contraria).

Tale tesi è condivisa anche dalla giurisprudenza nomofilattica[19] e da parte della giurisprudenza di merito[20].

6. Qual è il dies ad quem?

Ulteriori dubbi interpretativi che si pongono, in ordine al novellato art. 115 c.p.c., attengono al dies ad quem: fino a quando è possibile contestare specificamente, di modo che il fatto addotto possa ritenersi tempestivamente contestato?

In un sistema ancora a preclusioni “temporali” un dies ad quem deve necessariamente sussistere.

Il problema posto non è di facile soluzione, in quanto la normativa de qua non affronta expressis verbis la questione posta.

In base ad una prima opzione interpretativa, si potrebbe ritenere che il dies ad quem coincida con la seconda memoria di cui all’art. 183 c.p.c. perché è con tale memoria che è possibile “replicare” ed, a rigore, la contestazione specifica è una forma di replica.

Se, difatti, si evidenzia che la contestazione specifica è una forma di replica, allora ne segue de plano che il dies ad quem sarà determinato dalla seconda memorie indicata all’art. 183 c.p.c., perché è con questa che si replica.

Per una seconda opzione interpretativa[21], invece, la contestazione specifica atterrebbe pur sempre al thema probandum, riguardando la prova, tant’è vero che l’art. 115 c.p.c. è rubricato “disponibilità delle prove”, con la conseguenza di cristallizzare il dies ad quem con la terza memoria dell’art. 183 c.p.c.; più chiaramente: poiché la contestazione specifica attiene al thema probandum, allora, è possibile contestare (in modo specifico) finchè non viene definitivamente perimetrato il tema della prova e ciò avviene con la terza memoria di cui si è detto.

Tuttavia sembra più convincente la terza opzione interpretativa, seguita anche dalla giurisprudenza[22]: la contestazione specifica va fatta con la prima occasione utile, ciò emergendo da tutto il sistema processuale (come risulta dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.).

La prima occasione utile coincide:

- con la comparsa di risposta, ex art. 167 c.p.c., per quanto attiene al convenuto;

- con la prima udienza di trattazione, ex art. 183 c.p.c., per quanto attiene all’attore[23].

7. Revoca

Altra questione degna di attenzione riguarda la revocabilità della non contestazione specifica: è possibile la revoca della contestazione specifica?

Più chiaramente: quando una parte contesta specificamente fatti dedotti da controparte, può successivamente revocarla[24]?

Per la verità, nessuna norma espressamente parla di revoca, così che a rigore al più tale comportamento potrà incidere come comportamento processuale, ex art. 116 c.p.c.

Così la mancata reiterazione della contestazione non può tradursi in implicita revoca della stessa contestazione, come affermato anche dalla giurisprudenza di merito[25].

8. Litisconsorzio

Può accadere che un processo si instauri tramite la forma litisconsortile (necessaria o facoltativa), ma una parte resti concretamente contumace, così ponendo dubbi sulla concreta applicabilità, anche in questo caso, del disposto di cui all’art. 115 c.p.c.

Laddove, cioè, si realizzi un litisconsorzio, ma una parte resti contumace, potrà ciononostante valere il principio di non contestazione di cui si è detto?

A favore di una risposta positiva depongono i rilievi che:

-sussiste una “parte costituita”, come richiede l’art. 115 c.p.c.;

-poiché nulla è detto in senso contrario, allora, si applica il principio generale che è quello della non contestazione[26].

A favore della risposta negativa[27] preferibile depongono le osservazioni che:

-l’art. 115 c.p.c. non riguarda il contumace e, dunque, neanche nella forma litisconsortile;

-diversamente opinando si avrebbe una contraddizione logica non spiegabile in quanto avremmo un principio (quale quello della non contestazione) operante solo verso la parte costituita e non verso il contumace, con la conseguenza che si avrebbe un fatto accertato per una parte e, contemporaneamente, non accertato per l’altra (quasi come se un fatto “c’è e contemporaneamente non c’è”); ciò davvero sarebbe un’aporia logica incomprensibile.

9. Perimetrazione applicativa

Infine, si discute circa la portata applicativa del novellato art. 115 c.p.c.

Alla luce della collocazione sistematica dell’art. 115 c.p.c. nell’ambito delle “Disposizioni generali” bisognerebbe affermare una generale applicabilità.

Ciò vale, pertanto, per il processo in appello, anche in considerazione del fatto che l’art. 359 c.p.c. rinvia essenzialmente alle norme inerenti il primo grado, dove è sicuramente applicabile l’art. 115 c.p.c.

Di massima dovrebbe valere anche per il “rito cautelare[28]”, dove l’esigenza di “speditezza” ben si concilia con il suddetto principio; lo stesso, a rigore, andrebbe detto per quanto attiene al rito sommario di cognizione, ex art. 702bis c.p.c.



[1] Il presente scritto rappresenta la rielaborazione della relazione tenuta a Siracusa, in data 11.2.2011, al convegno organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, dal titolo “Il nuovo principio di non contestazione”.

[2] Per approfondimenti esaustivi sul dibattito prima della legge 69/2009 in tema di non contestazione, si veda CIACCIA CAVALLARI, La contestazione nel processo civile, Milano, 1993.

[3] VIOLA, Il nuovo principio di non contestazione nella riforma del processo civile, Altalex.com, 2009.

[4] Da qui si ricaverebbe, secondo parte della dottrina, quasi un implicito invito a restare contumace, piuttosto che costituirsi quando si ha poco da dire. In questo senso BALENA - CAPONI – CHIZZINI - MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 37; TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Rivista di diritto processuale, 1, 2011, 85.

[5] La “non contestazione” che permette la pronuncia di ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. consiste in un contegno processuale, non potendo concorrere ad integrarla atteggiamenti assunti dalla parte prima e al di fuori del giudizio. Il provvedimento in questione, pertanto, non può essere pronunciato dall’istruttore ove una parte, dichiaratasi disponibile stragiudizialmente al pagamento di una certa somma, in giudizio contesti i presupposti della domanda avversaria; così Tribunale Lamezia Terme, sez. civile, sentenza 18.03.2010, in Massimario.it, 12, 2010; in senso contrario Tribunale Piacenza, sentenza 01.02.2011 n. 61, in Massimario.it, 7, 2011.

[6] BUFFONE, Il principio di non contestazione, relazione tenuta al seminario di formazione professionale, presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, il 14.7.2009.

[7] Tribunale di Piacenza 2.2.2010, G.u. Morlini.

[8] Parla di struttura dialettica a catena, tipica del processo civile, Cass. civ. Sez. Unite, 09-10-2008, n. 24883, in Giur. It., 2009, 2, 406 con nota di VACCARELLA – SOCCI.

[9] Ritiene Cassazione civile, Sez. III, 28.10.2004, n. 20916, in Foro It., 2005, 1, 727 con nota di CEA che “I fatti allegati da una parte, in tanto possono considerarsi pacifici, in quanto siano stati esplicitamente ammessi dall’altra parte, ovvero quando quest’ultima abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti stessi, oppure si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri (e ciò perché nel vigente ordinamento non sussiste un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte).”.

[10] SCHIRO’, Il principio di non contestazione dopo la riforma del processo civile, in Relazione tenuta al CSM, 2010 (http://appinter.csm.it/incontri/relaz/19594.pdf); afferma Schirò (Consigliere Suprema Corte di Cassazione) che “a tale riguardo assume rilievo la disciplina in concreto applicabile al principio enunciato dall’art. 115 c.p.c., confrontata con quella in precedenza elaborata dalla giurisprudenza”.

[11] Secondo Cassazione civile, Sez. I, 27.2.2008, n. 5191, in Mass. Giur. It., 2008 “In materia di prove, l’onere del convenuto, previsto dall’art.416 cod. proc. civ. per il rito del lavoro, e dall’art.167 cod. proc. civ. per il rito ordinario, di prendere posizione, nell’atto di costituzione, sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda, comporta che il difetto di contestazione implica l’ammissione in giudizio solo dei fatti cosiddetti principali, ossia costitutivi del diritto azionato, mentre per i fatti cosiddetti secondari, ossia dedotti in esclusiva funziona probatoria, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell’art.116, secondo comma, cod. proc. civ.”.

[12] In materia di contestazione implicita, si vedano Cass. civ. Sez. lavoro, 26-02-2007, n. 4395; Cass. civ. Sez. III, 1 marzo 2000, n. 2301, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ. Sez. III, 26 novembre 1998, n. 11980, in Mass. Giur. It., 1998.

[13] Si parla di continenza logica, ad esempio, in Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 1997, n. 3984, in Mass. Giur. It., 1997. In dottrina, si veda BEI, Sulle delibere implicite, con particolare riferimento al compenso degli amministratori, in Società, 2009, 1, 28; PASSARO, Intermediazione finanziaria e violazione degli obblighi informativi: validità dei contratti e natura della responsabilità risarcitoria, in Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 897.

[14] In materia di abuso processuale, si veda KOFLER, Il forum destinatae solutionis nelle azioni di accertamento negativo del credito e di nullità del contratto, in Corriere Giur., 2004, 2, 207; DONDI, Spunti di raffronto comparatistico in tema di abuso del processo (a margine della l. 24.3.2001, n. 89), in Nuova Giur. Civ., 2003, 1, 62; NICOTINA, Questioni processuali controverse in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, in Giur. It., 1999, 11.

[15] E’ una contestazione specifica, sia in ordine all’an che in ordine al quantum debeatur, quella con cui una parte chieda l’integrale rigettato dell’avversa domanda, lamentando che i danni sofferti dalla controparte non si sarebbero verificati ove la stessa avesse tenuto un comportamento diligente, denunciando immediatamente i vizi scoperti ed in via subordinata invochi una riduzione rispetto all’ammontare richiesto in quanto non corrispondente all’entità del pregiudizio sofferto; così recita Tribunale Lamezia Terme, sez. civile, sentenza 18.03.2010, in Massimario.it, 12, 2010, già cit.

[16] Afferma TEDOLDI che il principio di non contestazione è un “semplice strumento di economia processuale, che consente di risolvere la quaestio facti senza necessità di far luogo a istruzione probatoria sui fatti non specificamente contestati”, già cit., 86.

[17] La non contestazione stragiudiziale unita a quella giudiziale costituiscono prova; in questo senso Tribunale Piacenza, sentenza 01.02.2011 n. 61, in Massimario.it, 7, 2011.

[18] L’atto che richiede la forma ad probationem può essere provato tramite il principio della non contestazione, ex art. 115 c.p.c.. Così Tribunale di Lamezia Terme, 30 giugno 2010

[19] Cassazione civile, Sez. III, 10 novembre 2010, n. 22837, CED Cassazione, 2010.

[20] Tribunale di Varese ord. 1.10.2009, in Tribunale.varese.it, 2009.

[21] GIANI, La non contestazione nel processo civile tra definizione del thema decidendum e del thema probandum, in Relazione tenuta al C.S.M., 2010, http://appinter.csm.it/incontri/relaz/20248.pdf; CEA, La modifica dell’art. 115 e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro. It., 2009, V, 268.

[22] Afferma Cassazione civile, Sez. I, 27 febbraio 2008, n. 5191, in Mass. Giur. It., 2008 che “ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto”.

[23] VIOLA, L’udienza di prima trattazione ex art. 183 c.p.c., Milano, 2011.

[24] Per approfondimenti sul tema, si veda MINARDI, La c.d. revoca della non contestazione, in Lexform.it, 2009.

[25] Tribunale di Mondovì, 12 marzo 2010, Est. Paolo Giovanni Demarchi, in www.ilcaso.it, 2010.

[26] Il principio della non contestazione è a carattere generale, in quanto l’art. 115 c.p.c. è collocato sistematicamente nell’ambito delle disposizioni generali.

[27] Tribunale di Varese, 19 gennaio 2010, Tribunale.varese.it, 2010.

[28] TEDOLDI, già cit., 93.