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Danno esistenziale: quale tavola di valori/interessi costituzionalmente garantiti?

[Sintesi della relazione dell’avv. Luigi Viola tenuta a Roma, Camera dei Deputati, il 17 giugno 2008, nell’ambito del convegno dal titolo “Il risarcimento del danno esistenziale e del macrodanno”, organizzato dall’avv. Gianmarco Cesari e dall’Associazione Italiana Familiari e vittime della Strada, Altalex, Osservatorio vittime LIDU, Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, Associazione Italiana di Psicologia Giuridica]

Come noto, è arrivato [1] all’attenzione delle Sezioni Unite della Suprema Corte il quesito circa la configurabilità o meno, nel nostro ordinamento, del c.d. danno esistenziale.

Tra i problemi interpretativi posti al Supremo Consesso, vi è anche quello di capire quali siano in concreto i valori e/o interessi costituzionalmente protetti idonei a dare la stura ad una legittima pretesa risarcitoria, sub specie di danno esistenziale, in caso di vulnus.

Più chiaramente: ammesso che sia ammissibile nell’ordinamento un danno esistenziale risarcibile (nascente da una lettura combinata dell’art. 2059 c.c., completato con l’art. 2043 c.c., con i principi costituzionali inerenti alla persona umana), derivato da una condotta antigiuridica realizzata con colpa o dolo [2], quali sarebbero i valori costituzionali che, in caso di lesione, giustificano il risarcimento di un danno definibile come esistenziale?

A tale interrogativo non è facile dare una risposta precisa, in quanto è necessario optare per interpretazioni di tipo evolutivo, che tengano conto dello sviluppo sociale dell’essere umano, anche per merito della clausola generale, ex art. 2 Cost., che si riferisce a diritti inviolabili dell’uomo, senza ulteriori elencazioni, sia come singolo che come soggetto inserito in formazioni sociali “ove si svolge la sua personalità”.

Se, dunque, si tiene presente la clausola generale dell’art. 2 Cost., nonché i singoli diritti garantiti (come salute, informazione, famiglia, lavoro, ecc., ex artt. 32, 21, 29, 35 Cost.), allora, ne deriva che non vi è una tavola di diritti/interessi di rango costituzionale in senso astratto, ma è necessario verificare, caso per caso, se la singola attività realizzatrice dell’individuo sia idonea a far sviluppare la propria personalità (si pensi anche al gioco per il bambino); la formula generica dell’art. 2 Cost. sembra proprio vietare all’interprete un’elencazione tassativa dei diritti della persona suscettibili di risarcimento, preferendo suggerire interpretazioni estensive in subiecta materia.

Diversamente argomentando, si rischierebbe di individuare un vulnus alla lettera dell’art. 2 Cost., optando, di fatto, per un’interpretatio abrogans vietata all’interprete.

Sotto tali profili, pertanto, appare chiaro come la tabella di valori e/o interessi a cui far riferimento, ai fini risarcitori, ex art. 2059 c.c. (completato dagli estremi strutturali dell’art. 2043 c.c. [3]), debba necessariamente essere vista in concreto e caso per caso.

D’altronde, la tavola di valori/interessi di rango costituzionale dovrebbe pur sempre partire dal dato letterale dei singoli diritti espressamente garantiti: tutti i principi costituzionali dovrebbero giustificare una legittima pretesa risarcitoria in caso di illegittima e/o illecita lesione e/o compressione.

Non vi sarebbe ragione per escludere alcuni diritti a favore di altri, riducendo la portata applicativa della stessa Costituzione; al più, non sarebbe giustificata una pretesa risarcitoria (sul piano del danno alla persona) in caso di vulnus verso gli articoli della Costituzione di tipo programmatico ovvero legislativo (come ad esempio le norme sul funzionamento delle Camere).

In altri termini (e sinteticamente): tutti i diritti costituzionali inerenti alla persona dovrebbero legittimare un’azione risarcitoria (differendo, se del caso, sul piano del quantum debeatur), laddove lesi, fatta solo eccezione per le norme programmatiche e legislative, latu sensu.

Inoltre, ogni danno alla persona ben può assumere una duplice veste di danno emergente e mancato guadagno, sulla falsariga dello schema logico dell’art. 1223 c.c..

Se, in particolare, si sottolinea che l’art. 2056 c.c. è inserito sistematicamente nell’ambito dell’illecito aquiliano, e che quest’ultimo cagiona danni patrimoniali e non patrimoniali, allora, ne segue, come corollario logico deduttivo che il rinvio operato dall’art. 2056 c.c. in favore dell’art. 1223 c.c. deve ritenersi operante sia per il danno patrimoniale che per quello con patrimoniale, con la conseguenza che l’art. 1223 c.c. riguarderà entrambe le tipologie di danno menzionale.

Accogliendo tale impostazione [4] (di recente appoggiata incidenter dal Tribunale di Milano [5] nonché specificatamente già accolta dal G.d.P. di Ortona [6], ed in parte suggerita dalla stessa Corte Costituzionale [7] laddove ha affermato che la liquidazione per danni alla persona deve seguire lo schema logico dell’art. 1223 c.c.), pertanto, emerge che anche un danno alla persona impone di tenere presente la perdita del diritto ed il mancato guadagno (sul piano non patrimoniale); nel caso, ad esempio, di uccisione di un soggetto inserito in un contesto familiare, i sopravvissuti potranno vantare un danno diretto da perdita del congiunto ed un mancato guadagno non patrimoniale, derivante alla rinuncia forzata alle affettività che, laddove il de cuius fosse rimasto in vita, di certo, avrebbe erogato.

Ne esce uno schema logico piuttosto chiaro, coerente con la lettera della legge, con specifico riferimento agli artt. 2056 c.c. e 1223 c.c., in un’ottica costituzionalmente orientata: anche il danno alla persona deve tener conto di una perdita del bene personale (che si traduce, per lo più, in un transitorio turbamento psicologico ovvero nel c.d. pretium doloris) e di un mancato guadagno di tipo non patrimoniale (il noto non poter più fare ciò che si sarebbe fatto laddove il danno non si fosse verificato [8] ovvero un dover agire altrimenti, qualificato spesso come danno esistenziale); id est: il danno esistenziale, nella sua accezione di non poter più fare, sarebbe un vero e proprio mancato guadagno di tipo non patrimoniale (ex art. 1223 c.c. per merito del rinvio operato dall’art. 2056 c.c.).



[1] Il riferimento è a Cassazione civile 4712/2008, in Altalex Massimario 9/2008. Si veda anche il contributo di D’APOLLO, Danno esistenziale: parola alle Sezioni Unite, in Altalex.com.

[2] Interessanti i contributi di FRANZONI, Antigiuridicità del comportamento e prevenzione nella responsabilità civile, in La responsabilità civile, 4/2008; MAZZASETTE, La responsabilità civile del medico tra pronunce giurisprudenziali ed interventi legislativi, in Rassegna di diritto civile, 1/2008; LAMBO, Responsabilità civile ed obblighi di protezione, in Danno e Responsabilità, 2/2008; CARBONE V., Responsabilità civile, in Il corriere giuridico, 2/2008; si vedano anche CAMPO, Responsabilità civile e nuovi danni, in Viola (a cura di), Studi monografici di diritto civile, Matelica (MC), 2007; VIOLA, La nuova responsabilità civile lungolatente, in La responsabilità civile, 4/2008; BIANCA, La responsabilità civile, Milano, 1997.

[3] VIOLA (a cura di), Tractatus dei danni, Vol. I, La responsabilità civile ed il danno, Matelica (MC), 2007.

[4] Per approfondimenti sia consentito il rinvio a VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006, nonché VIOLA, Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale, in Altalex.com..

[5] Il riferimento è alla sentenza Tribunale di Milano 2847/2008

[6] Si veda la sentenza Giudice di Pace di Ortona 8.6.2007.

[7] Corte Costituzionale 372/1994.

[8] CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, Padova, 2007; si veda anche BONA, La saga del danno esistenziale verso l’ultimo Ciak, in Danno e Responsabilità, 5/2008.

[Sintesi della relazione dell’avv. Luigi Viola tenuta a Roma, Camera dei Deputati, il 17 giugno 2008, nell’ambito del convegno dal titolo “Il risarcimento del danno esistenziale e del macrodanno”, organizzato dall’avv. Gianmarco Cesari e dall’Associazione Italiana Familiari e vittime della Strada, Altalex, Osservatorio vittime LIDU, Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, Associazione Italiana di Psicologia Giuridica]

Come noto, è arrivato [1] all’attenzione delle Sezioni Unite della Suprema Corte il quesito circa la configurabilità o meno, nel nostro ordinamento, del c.d. danno esistenziale.

Tra i problemi interpretativi posti al Supremo Consesso, vi è anche quello di capire quali siano in concreto i valori e/o interessi costituzionalmente protetti idonei a dare la stura ad una legittima pretesa risarcitoria, sub specie di danno esistenziale, in caso di vulnus.

Più chiaramente: ammesso che sia ammissibile nell’ordinamento un danno esistenziale risarcibile (nascente da una lettura combinata dell’art. 2059 c.c., completato con l’art. 2043 c.c., con i principi costituzionali inerenti alla persona umana), derivato da una condotta antigiuridica realizzata con colpa o dolo [2], quali sarebbero i valori costituzionali che, in caso di lesione, giustificano il risarcimento di un danno definibile come esistenziale?

A tale interrogativo non è facile dare una risposta precisa, in quanto è necessario optare per interpretazioni di tipo evolutivo, che tengano conto dello sviluppo sociale dell’essere umano, anche per merito della clausola generale, ex art. 2 Cost., che si riferisce a diritti inviolabili dell’uomo, senza ulteriori elencazioni, sia come singolo che come soggetto inserito in formazioni sociali “ove si svolge la sua personalità”.

Se, dunque, si tiene presente la clausola generale dell’art. 2 Cost., nonché i singoli diritti garantiti (come salute, informazione, famiglia, lavoro, ecc., ex artt. 32, 21, 29, 35 Cost.), allora, ne deriva che non vi è una tavola di diritti/interessi di rango costituzionale in senso astratto, ma è necessario verificare, caso per caso, se la singola attività realizzatrice dell’individuo sia idonea a far sviluppare la propria personalità (si pensi anche al gioco per il bambino); la formula generica dell’art. 2 Cost. sembra proprio vietare all’interprete un’elencazione tassativa dei diritti della persona suscettibili di risarcimento, preferendo suggerire interpretazioni estensive in subiecta materia.

Diversamente argomentando, si rischierebbe di individuare un vulnus alla lettera dell’art. 2 Cost., optando, di fatto, per un’interpretatio abrogans vietata all’interprete.

Sotto tali profili, pertanto, appare chiaro come la tabella di valori e/o interessi a cui far riferimento, ai fini risarcitori, ex art. 2059 c.c. (completato dagli estremi strutturali dell’art. 2043 c.c. [3]), debba necessariamente essere vista in concreto e caso per caso.

D’altronde, la tavola di valori/interessi di rango costituzionale dovrebbe pur sempre partire dal dato letterale dei singoli diritti espressamente garantiti: tutti i principi costituzionali dovrebbero giustificare una legittima pretesa risarcitoria in caso di illegittima e/o illecita lesione e/o compressione.

Non vi sarebbe ragione per escludere alcuni diritti a favore di altri, riducendo la portata applicativa della stessa Costituzione; al più, non sarebbe giustificata una pretesa risarcitoria (sul piano del danno alla persona) in caso di vulnus verso gli articoli della Costituzione di tipo programmatico ovvero legislativo (come ad esempio le norme sul funzionamento delle Camere).

In altri termini (e sinteticamente): tutti i diritti costituzionali inerenti alla persona dovrebbero legittimare un’azione risarcitoria (differendo, se del caso, sul piano del quantum debeatur), laddove lesi, fatta solo eccezione per le norme programmatiche e legislative, latu sensu.

Inoltre, ogni danno alla persona ben può assumere una duplice veste di danno emergente e mancato guadagno, sulla falsariga dello schema logico dell’art. 1223 c.c..

Se, in particolare, si sottolinea che l’art. 2056 c.c. è inserito sistematicamente nell’ambito dell’illecito aquiliano, e che quest’ultimo cagiona danni patrimoniali e non patrimoniali, allora, ne segue, come corollario logico deduttivo che il rinvio operato dall’art. 2056 c.c. in favore dell’art. 1223 c.c. deve ritenersi operante sia per il danno patrimoniale che per quello con patrimoniale, con la conseguenza che l’art. 1223 c.c. riguarderà entrambe le tipologie di danno menzionale.

Accogliendo tale impostazione [4] (di recente appoggiata incidenter dal Tribunale di Milano [5] nonché specificatamente già accolta dal G.d.P. di Ortona [6], ed in parte suggerita dalla stessa Corte Costituzionale [7] laddove ha affermato che la liquidazione per danni alla persona deve seguire lo schema logico dell’art. 1223 c.c.), pertanto, emerge che anche un danno alla persona impone di tenere presente la perdita del diritto ed il mancato guadagno (sul piano non patrimoniale); nel caso, ad esempio, di uccisione di un soggetto inserito in un contesto familiare, i sopravvissuti potranno vantare un danno diretto da perdita del congiunto ed un mancato guadagno non patrimoniale, derivante alla rinuncia forzata alle affettività che, laddove il de cuius fosse rimasto in vita, di certo, avrebbe erogato.

Ne esce uno schema logico piuttosto chiaro, coerente con la lettera della legge, con specifico riferimento agli artt. 2056 c.c. e 1223 c.c., in un’ottica costituzionalmente orientata: anche il danno alla persona deve tener conto di una perdita del bene personale (che si traduce, per lo più, in un transitorio turbamento psicologico ovvero nel c.d. pretium doloris) e di un mancato guadagno di tipo non patrimoniale (il noto non poter più fare ciò che si sarebbe fatto laddove il danno non si fosse verificato [8] ovvero un dover agire altrimenti, qualificato spesso come danno esistenziale); id est: il danno esistenziale, nella sua accezione di non poter più fare, sarebbe un vero e proprio mancato guadagno di tipo non patrimoniale (ex art. 1223 c.c. per merito del rinvio operato dall’art. 2056 c.c.).



[1] Il riferimento è a Cassazione civile 4712/2008, in Altalex Massimario 9/2008. Si veda anche il contributo di D’APOLLO, Danno esistenziale: parola alle Sezioni Unite, in Altalex.com.

[2] Interessanti i contributi di FRANZONI, Antigiuridicità del comportamento e prevenzione nella responsabilità civile, in La responsabilità civile, 4/2008; MAZZASETTE, La responsabilità civile del medico tra pronunce giurisprudenziali ed interventi legislativi, in Rassegna di diritto civile, 1/2008; LAMBO, Responsabilità civile ed obblighi di protezione, in Danno e Responsabilità, 2/2008; CARBONE V., Responsabilità civile, in Il corriere giuridico, 2/2008; si vedano anche CAMPO, Responsabilità civile e nuovi danni, in Viola (a cura di), Studi monografici di diritto civile, Matelica (MC), 2007; VIOLA, La nuova responsabilità civile lungolatente, in La responsabilità civile, 4/2008; BIANCA, La responsabilità civile, Milano, 1997.

[3] VIOLA (a cura di), Tractatus dei danni, Vol. I, La responsabilità civile ed il danno, Matelica (MC), 2007.

[4] Per approfondimenti sia consentito il rinvio a VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006, nonché VIOLA, Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale, in Altalex.com..

[5] Il riferimento è alla sentenza Tribunale di Milano 2847/2008

[6] Si veda la sentenza Giudice di Pace di Ortona 8.6.2007.

[7] Corte Costituzionale 372/1994.

[8] CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, Padova, 2007; si veda anche BONA, La saga del danno esistenziale verso l’ultimo Ciak, in Danno e Responsabilità, 5/2008.