Diritto e dovere di essere giovani
Diritto e dovere di essere giovani
Abstract
Attraverso riferimenti letterari e giuridici il contributo mette in luce la responsabilità degli adulti nel favorire l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri da parte dei giovani
Don Luigi Ciotti (tra l’altro fondatore del Gruppo Abele), nel 1996, affermava: “Il grande paradosso è che stiamo rubando il futuro ai nostri giovani e poi ci è comodo scandalizzarci quando ci imbattiamo nelle tragiche ed estreme conseguenze di una «mentalità» a cui siamo ormai assuefatti. L’Italia è l’unico paese in Europa che non si occupa dei ragazzi in modo sistematico, che non ha un dipartimento per le politiche giovanili, che non si fa carico delle prospettive di lavoro, che non considera la propria popolazione sotto i ventuno anni una risorsa anziché «solo» un problema”. Anche se il dipartimento per le politiche giovanili è stato istituito e qualcos’altro è stato fatto si continua a commettere spessissimo l’errore di considerare bambini e ragazzi destinatari di interventi educativi, di informazioni o altro, ma non protagonisti: si perde più tempo a parlare di loro ma non con loro. Infatti, il primo problema comunicativo con i giovani è che, spesso, si parla dei giovani ma non si parla con i giovani e ai giovani, a cominciare dai convegni organizzati sulle tematiche giovanili. Non bisogna solo impiegare risorse a favore di bambini e ragazzi ma valorizzare le loro risorse: “Il bambino possiede in lui importanti risorse” (dalla Charte du B.I.C.E., Parigi giugno 2007, una delle rare fonti in cui si parla espressamente di risorse del bambino). Anche la scrittrice Michela Murgia contesta: “Quando sento l’espressione «il problema dei giovani» mi viene rabbia: i giovani sono una risorsa, non un problema. Hanno un problema, questo sì, e siamo noi, con la nostra mancanza di speranza nel futuro e nei loro confronti. Quello che esiste sempre meno non sono gli allievi, ma i maestri capaci di prendersi sul serio, di assumersi la responsabilità di trasmettere con la testimonianza un’eredità di esperienza e di memoria”.
“Giovane” è etimologicamente “colui che è forte, che combatte, che respinge”: gli adulti tolgono ogni giorno la forza ai giovani, con l’essere “genitori spazzaneve o elicottero” o in altro modo. È quello che sottolinea Armando Matteo, esperto dell’universo giovanile: “C’è bisogno di aria nuova, di forze e di energie nuove, e chi, se non proprio i giovani, può introdurre tutto ciò? Del resto, […], la parola «giovane», secondo un’affidabile traccia etimologica latina, significa portare nuova energia, mentre, secondo il riferimento all’universo culturale greco, indica qualcosa di nuovo, di ingenuo, di genuino e di geniale. È affare loro, insomma, il cambiamento. È ora, dunque, per i nostri giovani, di scendere dai balconi, sui quali spesso noi adulti li abbiamo costretti a trascorrere la loro esistenza, tra un mare di comodità presenti e la promessa che a loro appartiene il futuro. No, non è così: è questo nostro oggi, con le sue sfide, con i suoi cambiamenti, con le sue trasformazioni, che di loro ha bisogno e che a loro, più che ad altri appartiene”. I giovani hanno innanzitutto diritto ad essere e di essere giovani e non ad un astratto futuro.
Già Anna Frank nel suo Diario annotava: “A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio”.
Addirittura “Un papiro del 3000 a. C. lamentava che “i giovani di oggi” ormai sono corrotti e non potranno più vivere i valori che sono stati tramandati...” (il teologo Giovanni Cucci). I giovani di ogni tempo sono sempre gli stessi, sono gli adulti che sono cambiati perché, per esempio, vogliono rimanere giovani ad ogni costo.
Bisogna invece creare più ponti tra le generazioni per un vero arricchimento relazionale ed emozionale (e non solo virtuale) ricordando che “Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia” (Amadou Hampaté Bà, scrittore maliano). La storica Lucetta Scaraffia evidenzia: “Solo ciò che si immagina comincia a essere vero, anticipa la realtà, la rende possibile. Si può pensare al futuro solo se abbiamo speranza, fiducia in qualcuno, solo se ci è stata fatta una promessa. Per esempio, i giovani per pensare in modo creativo al futuro hanno bisogno di una promessa da parte degli adulti, i quali, promettendo, promettono se stessi, il proprio appoggio, la propria solidarietà. Rinnovando così il tradizionale patto tra le generazioni che oggi sembra essersi lacerato: oggi ogni persona sembra vivere senza un prima, e quindi senza un poi, in un eterno presente”.
Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, spiega: “Ciò che emerge con sempre maggiore frequenza è l’esistenza di un disagio giovanile generalizzato, che si manifesta soprattutto in una chiusura verso i valori collettivi per attestarsi su una «socialità ristretta», che privilegia i bisogni e i diritti privati. Questo si traduce anche in un distacco sempre più accentuato nei confronti della scuola e dei suoi programmi culturali, che sembrano appartenere a un mondo al quale i ragazzi hanno da tempo cessato di prestare attenzione. Ma ciò che soprattutto fa paura è la scarsa progettualità verso il futuro che vede le nuove generazioni «schiacciate» sul presente, senza alcuna voglia di transitare all’età adulta. In ciò certamente agevolati dalla situazione economica del Paese, in cui dominano disoccupazione, deflazione e altri sinistri presagi”. La progettualità è insita nella famiglia, infatti anche nel linguaggio comune si suole dire “mettere su famiglia”, “farsi una famiglia”, “formare una famiglia”. La famiglia, pertanto, ha anche il compito di trasmettere questa progettualità ai figli e, come in ogni adempimento, deve essere aiutata ma non sostituita o deresponsabilizzata. “Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
I giovani hanno bisogno di essere scossi, come al mattino quando i genitori li vanno a svegliare per riavviarsi alla quotidianità. I giovani, per essere tali, hanno bisogno di essere circondati da adulti. I primi ad essere adulti devono essere i genitori: si deve diventare genitori se si è adulti e non diventare genitori per sentirsi adulti compiuti.
“La transizione alla vita adulta costituisce per le nuove generazioni un percorso difficile e accidentato – scrive la pedagogista Paola Bignardi –. Le aspettative sul proprio futuro sono spesso frustrate dagli ostacoli ad acquisire autonomia; i sogni della giovinezza si scontrano con una dura realtà; la consapevolezza delle proprie risorse è mortificata da una società che sembra non aver previsto l’ingresso di nuove presenze ed energie. Tutto questo porta i giovani a guardare al futuro con poca fiducia, vedendo in esso più rischi che opportunità e a spegnere la loro tensione ideale contro una realtà che frappone troppi ostacoli alla realizzazione”. “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Preparare le nuove generazioni richiede energia e sinergia, responsabilità e corresponsabilità, lavorare e collaborare, impegnarsi e impegnare, coinvolgimento e convincimento.
La Scaraffia aggiunge: “Quello che oggi denuncio è la tragedia di una gioventù priva di guida, incapace di impegnarsi seriamente perché latitanti o, peggio, talvolta addirittura schierati sul fronte del «nemico» sono famiglie e scuola. E chi considero «nemico»? Tutto ciò che distoglie i giovani da un impegno serio, unica condizione per raggiungere qualche risultato nella vita. «Nemico» è chi li vuole relegare in un mondo fittizio di divertimento a tutti i costi, dove spesso gli adulti li confinano per non avere grane, per non fare la fatica di educarli e di rispondere alle loro domande”. Bisogna dare e saper dare le risposte ai bambini e ai ragazzi affinché imparino a dare le loro risposte alla vita e nella vita.
“Rispondere” è l’etimo di “responsabilità” che è a carico non solo dei genitori e degli altri educatori qualificati ma di tutti gli adulti, di tutto il “consorzio sociale”. Lo scrittore Marco Brusati richiama: “Credo che lo sport nazionale di buttare la croce addosso a genitori, insegnanti ed educatori sia un’operazione profondamente sbagliata perché deresponsabilizza tutti gli altri adulti che, in diversa misura, contribuiscono a generare o ad alimentare il disagio, salvo poi chiedere ad altri di risolverlo o arginarlo. […] è necessario diventare competenti spine nel fianco della televisione, della radio, della musica, dei gestori di reti, agendo quotidianamente nei mass-media, nella cultura, nella società e nella politica, per salvare i giovani dalla cupidigia degli adulti che di sicuro hanno a cuore il loro proprio portafoglio”. Tra gli obblighi di solidarietà richiesti dall’art. 2 della Costituzione è da considerare anche la solidarietà educativa, come si ricava pure dall’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.
Sul ruolo incisivo e insostituibile della scuola quale “ascensore sociale” per i giovani affinché trovino un loro ruolo, il docente Daniele Manni: “Tutti questi anni di esperienza ci hanno insegnato che, se opportunamente stimolati, seguiti e incentivati, le ragazze ed i ragazzi sono capaci di stupirci con idee e azioni strabilianti. Ecco perché è importante nutrire la loro creatività con visioni, pratiche ed esperienze. C’è poi un risvolto molto concreto da non trascurare, noi ci auguriamo che la quasi totalità degli studenti voglia e possa proseguire gli studi e specializzarsi ancora di più, ma a coloro che intendono lavorare al termine del quinquennio di studi superiori è nostro compito fornire le opportune conoscenze e competenze perché possano essere degli esperti nelle future professioni digitali […]. Tutte abilità che, unite alla cultura d’impresa, possono far crescere tanti giovani e giovanissimi startuppers in grado di crearselo il lavoro e non di cercarlo. […] ci vedo benissimo tutti quei giovanissimi che si sentono o aspirano ad essere dei “Steve Jobs” in erba, come pure i figli di imprenditori e commercianti a cui non spiacerebbe seguire le orme di famiglia”. Nell’art. 28 lettera b della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “[…] promuovere lo sviluppo di varie forme di istruzione secondaria sia generale che professionale, renderle utilizzabili ed accessibili a tutti i fanciulli, e a adottare misure appropriate”.
Le affermazioni dei diritti dei bambini e dei ragazzi abbondano: “I bambini e gli adolescenti hanno diritto ad un’adeguata protezione sociale, giuridica ed economica” (Carta sociale europea, riveduta nel 1996, Parte I, punto 17). Alle affermazioni devono seguire le applicazioni.
“Fiducia, futuro, sostegno, maggior peso in politica… Questo chiedono i giovani, che si affacciano all’età adulta e che, faticosamente in questo momento storico, cercano la loro strada verso un’affermazione che non sia solo professionale e che dia loro la possibilità di diventare adulti, di avere un lavoro, una famiglia e una presenza sensibile sul territorio in cui vivono” (la giornalista Orsola Vetri).
Ai giovani, più che divieti, bisogna indicare limiti, inculcare il senso del rispetto: è questo il cuore della libertà. “Libertà dei giovani per tutto ciò che è bene, salvo i consigli di prudenza. Vietare soltanto il male” (lo scrittore Angelo Montonati): educare nella libertà alla vera libertà.
Per i giovani, con i giovani, ai giovani, dai giovani: la vita, la speranza, il presente e il futuro!