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La tutela della dignità nel transumanesimo

“[…] salvare le cose e i pensieri preziosi, custodire la dignità dei valori supremi per i quali si è spesa una vita, tutto questo documenta la maturità umana”
dignità nel transumanesimo
dignità nel transumanesimo

La tutela della dignità nel transumanesimo


Abstract

Si fa di tutto affinché si riconoscano i diritti di alcune “categorie” di persone e affinché se ne redigano le carte o le dichiarazioni trascurando che tutti hanno gli stessi diritti perché tutti hanno la stessa dignità umana.


L’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Nel XXI secolo – in cui si disputa di transumanesimo e postumanesimo –, alla luce di tutto quello che succede, questa statuizione è rispettata? Sembrerebbe di no, a cominciare dalla cosiddetta condizione giovanile.

“I giovani non stanno bene. E non stanno bene non perché manchino loro coccole e attenzioni dei genitori. Non stanno bene perché non lavorano. Infatti troppo pochi hanno un impiego e ancora meno – tra questi fortunati – possono fare affidamento su un posto di lavoro stabile e ben remunerato. È un fenomeno che sottrae ai giovani dignità e desiderio di famiglia, di figli, di futuro. Sottrae loro più radicalmente la possibilità di essere ciò che devono essere: i novatori del mondo” (don Armando Matteo, esperto di problematiche giovanili). Non abituando all’impegno e non favorendo un impiego per i giovani si contravviene a molti diritti, tra cui quelli stabiliti nell’art. 10 della Carta sociale europea in cui si parla di “efficacia del sistema di apprendistato e di ogni altro sistema di formazione destinato ai giovani lavoratori”.

Anche l’eclettico don Andrea Gallo affermava: “I giovani hanno bisogno di testimoni, non maestri. Cioè di maestri che siano veri testimoni: ecco la qualità della relazione! Si deve cercare insieme, altrimenti non si arriverà mai a una vera pedagogia. È necessario ascoltare, lasciando l’integrità dell’altro, la sua dignità. Ai ragazzi dico «non abbandonate la creatività, praticate la disobbedienza passiva evitando la violenza. Resistete con fantasia, indignazione e rabbia»”. I giovani hanno semplicemente diritto di essere se stessi e a manifestare il loro pensiero divergente o dirompente: considerando le possibili origini etimologiche della parola, “giovane” è “colui che è nel fiore dell’essere suo, nell’età più forte, più balda e più piacevole della vita”. Al contrario, non s’investe nei e per i giovani, si fa mancare la fiducia e ogni altra risorsa interiore per corroborarsi e andare avanti come dovrebbe essere nella fisiologia dei giovani, si danno loro solo e tutte le cose materiali anticipando i loro desideri, s’infrangono i loro sogni, li si rende consumatori passivi e acritici, li si spersonalizza con l’ipertecnologia.

Nei confronti dei giovani, purtroppo c’è un atteggiamento di distrazione e di distruzione, come denunciato anche dallo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro: “Nella vita quotidiana, nelle famiglie, nelle scuole, nelle relazioni interpersonali, in particolare nei rapporti uomo-donna, nei comportamenti di molti esponenti delle istituzioni, in televisione e nelle piazze reali o telematiche, si moltiplicano gli arruffapopolo che giocano con il fuoco usando parole incendiarie, seminando paura e odio, con i risultati che sono davanti ai nostri occhi. I ragazzi e le ragazze da sempre amano scherzare con il fuoco. Purtroppo il loro gioco diventa mortale se vivono accanto ad adulti che fanno altrettanto. Io credo che si giochi troppo con il fuoco perché mancano i custodi dell’anima. Il fuoco, come la terra, l’aria e l’acqua, non va eliminato bensì custodito per salvarne l’energia benefica ed eliminarne la carica distruttiva. Ci vogliono i pompieri per le emergenze, ma i custodi per la prevenzione”. Occorre, invece, “allevarlo [il fanciullo] nello spirito degli ideali proclamati nello Statuto delle Nazioni Unite e in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (da un capoverso del Preambolo della Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia).

E così alcuni giovani cadono in disturbi del comportamento alimentare, depressione, in forme di suicidio collettivo, in forme di devianza sino a commettere reati che li conducono alle carceri minorili che, talvolta, svolgono il compito di quelli (istituzioni e adulti) che non ci sono stati e fanno e danno quello che non è stato fatto o dato sino a quel momento.

“Il carcere è un luogo di sosta. Oltre il muro si è come al confine. Si deve superare la colpa per arrivare alla responsabilità. La pena deve diventare un diritto e non solo una punizione. Deve essere il diritto di poter avere un tempo nuovo che ti metta in contatto con altre situazioni. Chi entra in aula come insegnante deve essere un «costruttore di pena», ricordando che la pena non è per sempre e che, un giorno, il tuo allievo uscirà con un bagaglio che lo potrà aiutare” (Mario Tagliani, maestro nel carcere minorile di Torino). In questo è peculiare il carcere di Nisida (non solo perché sede del Centro europeo di studi sulla devianza e il disagio giovanile): un’isoletta che da lontano sembra una barca tra le onde (com’è la vita) e che ai ragazzi lì ristretti comunque consente di poter vedere il mare e di aspirare a nuovi orizzonti. “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo accusato e riconosciuto colpevole di aver violato la legge penale a essere trattato in un modo che risulti atto a promuovere il suo senso di dignità e valore che rafforzi il suo rispetto dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali altrui, e che tenga conto della sua età, nonché dell’esigenza di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli assumere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima” (art. 40 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Ciò non vale solo per le scuole carcerarie, ma per tutte le scuole che devono “promuovere”, “rafforzare”, “facilitare”, “far assumere un ruolo costruttivo”.

A tale proposito Massimiliano Padula, esperto di comunicazione sociale, osserva: “Non sono i social (altro discorso è quello legato ai videogame che sono presenti nelle nostre vite dagli anni Settanta) a creare il deserto, ma siamo noi che desertifichiamo questi spazi con i nostri vuoti e le nostre ambiguità. I media digitali non sono soggetti attivi dotati di intenzionalità ma proiezioni della nostra coscienza, nel bene e nel male. Per questo motivo, […] l’unica flebile speranza rimane quella educativa. Che significa appunto non «scrollare le spalle», ma farsi carico e impegnarsi nella costruzione di una società dove l’uomo e la sua dignità tornino a essere le misure del pensare e dell’agire”. Ottimi fertilizzanti del campo della vita sono l’arte e la cultura e così bambini e ragazzi diventano artisti e artefici della loro vita. “I bambini hanno diritto ad avere un rapporto con l’arte e la cultura senza essere trattati da consumatori ma da soggetti competenti e sensibili e a frequentare le istituzioni artistiche e culturali della città, sia con la famiglia che con la scuola, per scoprire e vivere ciò che il territorio offre” (artt. 6 e 7 Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura, Bologna 2011).

Un’altra condizione umana in cui la dignità sembra eclissata è la malattia, situazione accentuatasi nel periodo della pandemia durante il quale molte persone sono state allontanate da tutto e tutti sino a morire nella solitudine e non avere nemmeno la possibilità di un degno funerale. Il bioeticista Paolo Marino Cattorini scrive: “Sperare fino alla fine. Cercare un senso attraverso le ferite e nonostante gli strappi che la vita ci infligge, dopo averci affascinato con le promesse dell’infanzia, con le esuberanti passioni del tempo di salute. Come custodire, difendere, esprimere la dignità dell’esistenza, quando siamo sotto scacco? Come testimoniare l’alleanza verso chi ci è caro, quando incombe un disastro prevedibile e inesorabile?”. Uno dei bisogni umani, più umani è la “com-passione”, come il tocco caldo e delicato della mano di una futura mamma sul ventre per quietare il nascituro scalpitante. Di compassione si parla nell’art. 3 della Carta dei diritti del bambino nato prematuro: “In particolare [il neonato prematuro] ha diritto a cure compassionevoli e alla presenza dell’affetto dei propri genitori anche nella fase terminale”.

Il professor Cattorini aggiunge: “Anticipare le decisioni è spesso segno di maturità. Anche in ambito sanitario. Quando una malattia colpisce crudelmente e la medicina esclude possibilità di miglioramento, guardare in faccia la verità, stringere gli ultimi patti con chi è caro, salvare le cose e i pensieri preziosi, custodire la dignità dei valori supremi per i quali si è spesa una vita, tutto questo documenta la maturità umana e cristiana di chi non cede al male da codardo, da fatalista, ma oppone un’ultima resistenza coraggiosa, non accanita. Si tratta di scegliere, tra i diversi scenari possibili, quello più congruo a esprimere una cifra spirituale, una tenace prossimità, una speranza (non ingenua né illusoria) in un principio di liberazione”. Il suicidio assistito, l’eutanasia, l’accanimento terapeutico, le cure palliative del dolore e altro ancora sono questioni che dovrebbero toccare tutti perché nessuno ne è immune e perché l’empatia originata dai neuroni specchio dovrebbe o almeno potrebbe essere l’antidoto alla perdita di dignità che si verifica nelle situazioni estreme della vita.

Nel nostro secolo è ancora compromessa la dignità delle donne con ogni forma di violenza, uxoricidio, femminicidio, reificazione del corpo femminile, mercificazione, ipersessualizzazione in televisione e nella comunicazione in generale… E, spesso, le donne per difendersi usano gli stessi strumenti con una sorta di mascolinizzazione o, peggio, brutalizzazione diffusa. La storica Lucetta Scaraffia mette in guardia: “Forse non è un bene per le giovani donne giocare così con la violenza forte e reale che le circonda. Dovrebbero, dovremmo, forse, pensarci di più, riflettendo sul messaggio che talune scelte possono, involontariamente, mandare all’esterno”. Ogni bambina ha il diritto “Di non essere bersaglio, né tanto meno strumento, di pubblicità per l’apologia di tabacco, alcol, sostanze nocive in genere e di ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità” (art. 9 Nuova Carta dei diritti della bambina). La femminilità non è data dall’abbigliamento, dalla cosmesi, da una certa fisicità, ma da “un’estetica femminile”, da un modo di intuire, percepire e sentire la vita. È importante educare in tal senso bambine e bambini: educare lo sguardo e allo sguardo, educare i sensi e ai sensi e così di seguito.

Quell’educazione alla dignità, alla bellezza, alla vita, che è sempre la migliore forma di prevenzione anche contro la prostituzione di cui quella minorile, purtroppo, è in aumento in Italia. Il sociologo Francesco Belletti ha commentato: “Rispetto al dibattito sulla prostituzione recentemente innescato sull’identità professionale delle cosiddette «escort», fortunatamente la Corte Costituzionale [agli inizi del 2019] ha preso una decisione di grande buon senso, di elevata dirittura morale e di profonda fondatezza giuridica, respingendo l’ipotesi che in fondo «sia una professione come un’altra». Tuttavia proprio la possibilità che si sia innescato tale dibattito è un ulteriore sconfortante esempio di un malinconico e crepuscolare arretramento della contemporaneità rispetto alla tutela della dignità delle persone. Usare denaro per sfruttare il corpo di un’altra persona per il proprio piacere sessuale, definizione brutale ma precisa dell’azione che fa il «cliente/consumatore», rappresenta infatti un evidente tradimento della tutela della dignità della persona, dignità che non può non trovare dimora anche nella concreta corporeità di ogni persona. Ma comprando un corpo si tradisce anche la verità della relazione sessuale, che può essere la forma più pura e trasparente di dono e di reciprocità, e che proprio nella sua «non commercializzazione» trova la sua più completa bellezza. «Fare l’amore» non può diventare «comprare sesso»; è talmente evidente la corruzione della pienezza dell’incontro sessuale quando si mette mano al portafoglio…” (nell’articolo «Libertà di prostituirsi. Chi consiglierebbe questo lavoro ai propri cari?» del 14-03-2019). È impegno comune “Eliminare ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine, sia nella sfera privata che in quella pubblica, compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo” (obiettivo 5.2 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile).

Bisogna inculcare che la sessualità fa l’essere umano, non è soddisfazione di un bisogno corporeo, non è accoppiamento, non è periodo del calore come negli animali. Ragion per cui bisogna prendere in considerazione e rispettare la sessualità delle persone con disabilità, anziane, detenute o in altri status. Basti pensare che in molti Stati degli U.S.A. è ancora legalmente praticata la sterilizzazione forzata ai danni delle persone con disabilità (fenomeno su cui è stato pubblicato un rapporto di ricerca nel 2021). “Parlare di sessualità significa parlare anche di libertà, dignità e autonomia delle persone, comprese quelle disabili” (Claudio Imprudente, giornalista “diversabile”). “Combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose relativi alle persone con disabilità, compresi quelli basati sul sesso e l’età, in tutti i campi” (art. 8 “Accrescimento della consapevolezza”, lettera b della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, dicembre 2006). La sessualità è componente della persona stessa e non una qualità, è elemento dell’identità, è parte della struttura della personalità e della dignità di ciascuno.

Un altro ambito in cui è spesso calpestata la dignità è il lavoro: disoccupazione, lavoro nero, sottoretribuzione, mobbing, mancanza di sicurezza, sino all’ipocrisia terminologica delle cosiddette “morti bianche”, lavoratori che muoiono lavorando o andando a lavorare. Morti che, in realtà, non hanno nulla di bianco ma tutti i colori, dal rosso del sangue di coloro che vengono schiacciati al nero della disperazione di congiunti e familiari che restano soli e invano ad aspettarli o ad aspettare una forma di conforto. Eppure il lavoro dovrebbe essere realizzazione di sé, di sogni, di progetti, espressione della dignità, sostentamento della famiglia, miglioramento della società... e non morte. Eppure il diritto al lavoro è diritto costituzionale, esistenziale, essenziale (artt. 1 e ss. Cost.).

La dignità è richiamata tre volte nella Costituzione italiana (artt. 3, 36 e 41) ed è la rubrica del Titolo I della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) e la rubrica e il testo dell’art. 1 della suddetta Carta, che recita: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Perché la dignità è alla base dei rapporti umani (da quelli interpersonali a quelli internazionali), dell’essere umani, dell’essere persona unica e uguale alle altre, e si avverte ancor di più l’essenza, anzi quintessenza, della stessa e l’esigenza del suo riconoscimento in questi tempi disumani o postumani.

La dignità è umanità, è l’umanità.